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Autore: Heartakiri    30/03/2013    2 recensioni
"Reno aveva alzato le spalle, dicendosi che, in fondo, una persona in più che odiava i Turks non gli faceva poi così tanta differenza.
Eppure, proprio non riusciva a capire l’impellente bisogno di mostrarle la sua simpatia.
Anche se, ogni volta che le parlava, lei sembrava non notarla."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Reno, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Altro contesto
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Note dell’autrice pre-storia:
Mbeh, che dire?! Sono atterrata anche qui, nella categoria di FF.
Non ho molto da dire, solo che spero che i personaggi non cadano nell’OOC e che beh, sì, forse Reno l’ho reso troppo psicopatico. Definiamolo leggero¸ okay? xD
La situazione è questa: non c’è situazione. Nessuna guerra, nessuna diserzione. Solo una cooperativa con SOLDIERS  e Turks.
SOLDIERS che, ahimè, invecchiano. Difatti qui troverete Angeal padre, eh vabè il resto lo scoprite.
Introduzione di merda, ne sono consapevole. Giuro che la storia è migliore.
Ah sì, diciamo che la shot è un insieme di momenti precisi ed importanti separati da *** se indipendenti o da * se uno è in qualche modo continuazione dell'altra.
Ah sì #2: perché ho scelto il nome Anja? Perché è di origine scandinava e significa "portatrice di grazia e felicità".
Ah sì #3, non avevo idea di che grado dare ad Angeal, gli ho dato quello di capitano. Se ne trovate uno più azzeccato, cambio subito!
Ah sì #4, ho messo "Violenza" negli avvertimenti solo per sicurezza, non c'è nulla di tragico. Oddio, nei limiti.

Spero davvero che piaccia.
Baci :**







Lost Humanity
 
 
«Non sapevo che la ShinRa reclutasse nuova gente, zo to!» le aveva urlato subito dopo un lungo fischio.
La ragazza, dall’altra parte del parcheggio della corporazione, era scesa da una jeep tirata a lucido, dalla parte del passeggero.

Rude, al suo fianco, si era irrigidito, mettendo la sicura ad una macchina del medesimo modello.
«Reno, quella è-»
Il rumore pesante dello sportello chiuso con forza aveva zittito l’uomo, che aveva poi saggiamente deciso di entrare nell’edificio con velocità piuttosto innaturale.

La ragazza aveva mosso qualche passo verso il rosso, ma era stata subito fermata per un braccio da un uomo, sceso dal lato dell’autista.
Reno aveva deglutito appena, riconoscendo il SOLDIER 1st class Angeal Hewley.
Aveva circondato le spalle della ragazzina con un braccio, protettivo.
«Reno.»

«Capitan Hewley.»

«Reno, lei è mia figlia. Anja.»
Reno aveva annuito piano. Stavolta non aveva abbastanza saliva da deglutire. Poi, frettoloso, si era guardato il polso alla ricerca di un orologio – inesistente.
«Bene, io andrei, sono davvero in ritardo, zo to!»

Era stato il turno dell’uomo di annuire, e Reno si chiese perché il suo movimento fosse così minaccioso e come riuscisse a farlo.
Mentre camminava – correva – verso l’edificio, si era riproposto di chiedergli di insegnarglielo, un giorno.

* * *

Anja era tornata spesso.
Passeggiava per il cortile, vedeva i SOLDIER allenarsi, leggeva qualcosa nell’ufficio Hewley.
In giro si diceva che Angeal stesse cercando di farla abituare all’ambiente. La cosa andava a genio un po’ a tutti, dato che la ragazza distribuiva sorrisi e allegria ovunque. Era così diversa dal quel musone di suo padre.

Beh, non proprio a tutti.

Reno aveva aspettato il momento giusto – quello dove non c’era traccia del SOLDIER, per intenderci – e le si era avvicinato.
Aveva iniziato una sorta di elenco di apprezzamenti, sottolineando, più di quanto volesse, quanto fosse felice della sua presenza lì. Lo sguardo che lei gli aveva rivolto, invece, quasi l’aveva gelato sul posto.

Reno aveva subito pensato che tanta cattiveria guastasse davvero tanto in due occhi così belli.
Quella ragazza avrebbe dovuto sorridere di più. Le ragazze con le lentiggini sorridevano sempre.

*

«Un momento, sbaglio o quella era ostilità? Non vorrei azzardare, ma a me sembrava proprio ostilità, zo to!»
Reno si era sistemato meglio gli occhialoni da pilota sulla fronte, indispensabili a tener fermi i ciuffi rosso fuoco che gli ricadevano sugli occhi.

«Che ne pensi, Rude? L’hai vista, no? Era ostile, non ti pare?» aveva continuato, allungato per bene sul morbido divano nero.
Rude aveva solo annuito distratto, continuando a graffiare ostinato il suo prezioso guanto di pelle nell’intento di levarvi da sopra una macchiolina indefinita.

«Reno, sai chi è suo padre, vero?» aveva squittito Elena, sistemando una pila di scartoffie sulla scrivania.
«Quindi?»
«Quindi? Pensi che il capitan Hewley non l’abbia informata? Le avrà sicuramente detto di stare lontana dai Turks.» aveva terminato la bionda drizzando le sopracciglia e dirigendosi a piccoli passi svelti nell’ufficio più grande e di certo più accogliente del loro capo.

Reno aveva alzato le spalle, dicendosi che, in fondo, una persona in più che odiava i Turks non gli faceva poi così tanta differenza.

Eppure, proprio non riusciva a capire l’impellente bisogno di mostrarle la sua simpatia.
Anche se, ogni volta che le parlava, lei sembrava non notarla.

* * *

«La piccola Hewley! Cosa ci fai da queste parti?» le aveva urlato dall’altra parte della strada, raggiungendola subito dopo a grandi falcate.
«Reno, mi stai seguendo?»
«No!»  Sì.
«Mio padre ti ha chiesto di farlo?»  No, certo che no. Non l’avrebbe mai fatto.
«Sei paranoica, zo to! Non ti stavo seguendo.»

La ragazzina aveva sbuffato annoiata. «Come ti pare. Allora ciao.»
«Ehy, ehy! Dove vai di bello? Magari vengo con te, zo to!» le aveva strillato, piantandosi davanti a lei.
«Facciamo di no, mh?» gli aveva sorriso nervosamente, guardandosi intorno.
Reno aveva seguito il suo sguardo per qualche istante, poi era tornato a sorridere. «Perché no? OH! Ho capito, zo to! È una cosa illegale, nh? Allora sono il giusto accompagnatore.»

La ragazza aveva ridotto gli occhi a due piccole fessure, poi si era ravvivata i capelli ramati all’indietro. «Non è nessuna cosa illegale. E la tua compagnia, non fosse stato abbastanza chiaro, non mi è gradita.» aveva ripreso quindi a camminare, affiancata subito dal Turk.

«Ohh, ma perché no?» aveva piagnucolato scherzoso. «Non mordo mica, zo to! Sono una brava persona.»
Al contrario di ciò che può averti detto tuo padre. Sappiamo tutti quanto sia bacchettone quell’uomo.

«Lascia stare, Reno. So benissimo che persona sei. Inoltre, ho un ragazzo. E sai, non sarebbe affatto felice di conoscerti. Un bel problema, non credi? Ciao, Reno.»
Aveva calcato per bene le ultime due parole, sperando che il messaggio arrivasse chiaro.

E così era stato: il Turk, dopo qualche secondo di riflessione, aveva unito l’indice ed il medio della mano sinistra e li aveva avvicinati alla fronte, in una sorta di saluto. Aveva camminato all’indietro per qualche secondo, sorridendo furbo.
Era stato quel sorriso ad allarmare Anja, che si era strofinata inquieta un braccio ed aveva proseguito, girandosi a tratti per guardarsi le spalle.

* * *

Inoltre, ho un ragazzo. Un bel problema, non credi?”
 
Aveva fatto un ragionamento piuttosto semplice durante quei giorni, forse troppo, ma comunque degno di un Turk.

Problema = ragazzo; soluzione = eliminare il ragazzo

In realtà aveva subito pensato fosse un’ottima idea. Ma non aveva calcolato la reazione che ­­­Anja avrebbe potuto avere.
Insomma, si aspettava qualcosa del tipo “Ehi babbeo, era il mio ragazzo!”. Noia, rabbia, forse tristezza.

Erano cose che aveva dimenticato, le reazioni, come è giusto aspettarsi da chi frequenta solo gente morta e gente… beh, morta dentro.

Perciò, quando gli aveva fracassato il cranio con il suo taser nel buio di un qualunque vicolo del settore 5 non si aspettava di certo urla isteriche, lacrime ed una fuga malamente accompagnata da ruzzoloni probabilmente dovuti alla vista appannata.

Per questo, assicuratosi che il giovane non respirasse più, si era girato soddisfatto verso la piccoletta, pulendosi distrattamente il viso ed esclamando trionfante un “problema risolto!”.

* * *

Il giorno dopo l’aveva aspettata nel parcheggio per dirle qualcosa che somigliasse il più possibile a delle scuse.
“Ehy, so di aver ucciso il tuo ragazzo, non prendertela però. L’ho fatto per il nostro futuro insieme.”

Il fatto era che, solitamente, se fracassava un cranio, se passava un cuore da parte a parte con un coltello, se faceva esplodere qualcuno, poi non doveva scusarsi. Gli dicevano “Bravo, Reno!” e gli davano una pacca sulla spalla.

Ma lei non era arrivata. E nemmeno il giorno dopo, e quello dopo ancora.

Ma lui l’aspettava comunque, nel parcheggio. Qualche volta si sedeva sull’asfalto gelido, annoiato. Ed aspettava.

*

«Ehy Rude, pensi sia una tattica?»
Aveva chiesto al collega, alternando lo sguardo dalla faccia dell’uomo appena entrato nell’ufficio alla finestra – che dava al parcheggio.
Rude si era stretto nelle spalle voluminose.
«Beh, io credo sia una tattica, zo to. Probabilmente vuole farsi rincorrere, come tutte le ragazze.»
Si era quindi buttato sulla sedia girevole, allontanandola dalla scrivania.
«Sai chi altro non vedo da un po’? Angeal. Credi faccia parte del piano?»
«E’ nell’ufficio di Tseng. Chiede di farti mettere in prigione.»

Reno aveva dovuto impegnarsi davvero molto per non buttarsi a terra e ridere come un dannato tenendosi la pancia.

* * *

Aveva capito che, se voleva che la situazione avesse dei risvolti, doveva incontrarla.
Anja non sembrava aver intenzione di tornare alla ShinRa – erano passati quasi due mesi e non si era fatta viva.

Reno aveva anche fatto un salto – più di uno  – al settore 5, ed al 7. Un po’ in tutti in realtà.
Ma di lei non c’era traccia. Così era andato a spiare nel fascicolo del SOLDIER per scoprire dove fosse situata la sua abitazione.

Era un Turk, era esperto di spionaggio. E di rapimenti.

Non voleva proprio rapirla, solo portarla con sé per un paio di giorni, per discutere.

*

Quasi rise, quando si rese conto che quello era stato il contatto più intimo che avevano avuto. Quello durante il quale lui le aveva premuto una mano esile sulla bocca, per placare le grida di spavento che la sua irruzione nella cameretta aveva causato.
In quel momento le aveva anche accarezzato uno zigomo candido, con il pollice.

Ma lei sicuramente non se n’era accorta.

L’aveva caricata in macchina e l’aveva portata lontano, in una specie di Motel del settore 3.
Lei aveva pianto tanto e lui era stato in silenzio, rispettando i suoi tempi.

Quando si fu ridotta a singhiozzi regolari, le aveva detto «Mi dispiace dover usare questi … uhm, modi. Ma sono gli unici che conosco.»
Lei aveva alzato gli occhi, rivelando il rancore che vi serbava dentro. «Sei u-un mostro.»
«Beh, questa è una cosa che possiamo cambiare. Vedi, è successa una cosa. Credo di essermi innamorato.»

Reno non era affatto sicuro di ciò che stava dicendo. Era solo certo di aver trovato qualcosa – qualcuno – di cui non aveva mai saputo l’esistenza. La stava cercando, era una vita che la cercava.

Una sorta di spiraglio di luce nella sua vita buia. L’aveva interpretato come amore, ma nessuno gli aveva insegnato a gestirlo. Si era trovato così a doversi adattare, ad usare i metodi Turks.

«Non è così che funziona, Reno.» gli aveva detto il giorno dopo la ragazza, costatando la sua inoffensività.
«Hai ucciso un ragazzo. Il… il mio ragazzo. Reno, puoi capirne la gravità?»
Lui si era giustificato dicendo che per il mestiere che faceva era stato costretto a spegnere la sua umanità.
E lei gli aveva detto che senza umanità, un essere umano era solo una carcassa.

Reno considerava le carcasse inutili. Quando un uomo è morto non può fornirti più informazioni. Inutile.
Reno non voleva essere inutile, ai suoi occhi.
Fammi ricoprire la mia umanità, le aveva chiesto. E lei non aveva risposto.

Era passato un altro giorno. Ne erano passati tanti, Angeal li avrebbe trovati presto.
Lei si era un po’ calmata.
Poi le aveva detto che gli dispiaceva di aver ucciso il suo ragazzo. E gli venne da sorridere, perché non si era mai scusato.

*

«Quel sorriso, Reno! Quel sorriso è totalmente sbagliato! Non è normale!» aveva quasi strillato. Si era portata di nuovo le mani sul viso, intrecciando le dita tra i capelli.
E Reno aveva infilato le mani nelle tasche. Non sapeva cosa fare. Aveva iniziato con l’eliminare il sorriso dalle sue labbra, ma poi?
Avrebbe voluto avvicinarsi alla ragazza, ma con il primo tentativo aveva appurato che la cosa avrebbe solo peggiorato la situazione.

Quindi strisciò la schiena contro il muro, in basso, fino a toccare il pavimento. Le ginocchia piegate e le braccia penzoloni.
«Cosa vuoi, Reno?» era stremata.

«Te.» aveva risposto, tirando di nuovo fuori il sorrisetto sghembo che si curò si cancellare subito. Come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Non ci trovava nulla di male nell’ammetterlo. Era una cosa normale -no?- provare sentimenti. Era quello che lei voleva. Che tirasse fuori i sentimenti. Solo che lui non li provava ancora tutti. Il senso di colpa, per esempio, non lo avvertiva. Non era meglio così, in fondo? Provare solo le cose belle, quelle che ti rendono leggero. A Reno bastava.

Al massimo, avrebbe potuto fingere di provare rancore, risentimento, per “le cose orribili che aveva fatto”, magari per convincerla della sua umanità.
Sì, avrebbe fatto in questo modo. Ci sarebbe voluto tempo, ma lei l’avrebbe perdonato, magari avrebbe persino creduto di essere riuscita a cambiarlo. Alle donne piaceva un sacco credere di poter cambiare un uomo. A Reno stava bene così.

Lei non aveva risposto. Non aveva sorriso, ma non l’aveva nemmeno guardato con disprezzo.
 
Ci sarebbe voluto del tempo, ma a Reno andava bene così.
Aveva aspettato una vita, poteva aspettare ancora un po’.
  
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