Nessuno
di
importante
«Mamma,
chi era?»
«Nessuno di importante».
Anja
Karénina, molto occupata a sistemare le pieghe del suo abito
da viaggio in modo
che ricadano il più elegantemente possibile, solleva la
testa di scatto,
facendo ondeggiare i morbidi ricci biondi che le accarezzano la curva
del
collo, e guarda fuori dal finestrino. Sì, è quasi
arrivata. Non soltanto la
velocità del treno sta sensibilmente diminuendo, ma ormai
riconosce il
paesaggio brullo e innevato dei dintorni di San Pietroburgo.
Sta
tornando a casa.
Sorride,
felice, si accomoda meglio contro il sedile di velluto per osservare
l’arrivo
alla stazione e intanto non stacca gli occhi color azzurro cielo dal
finestrino. Forse, se farà molta attenzione,
riuscirà a scorgere suo fratello
che la aspetta sulla banchina ancora prima di scendere dal treno.
Oh,
Serëža! Quanto le è mancato! Non sono affatto
abituati a separarsi per tutto
quel tempo… ben quattro settimane!
Anja
è così impaziente di arrivare che riesce a
malapena a star ferma e si rallegra
di essere sola nello scompartimento. È così
sgradevole viaggiare seduti di
fronte ad estranei, senza avere nulla da dire, nel silenzio
più assoluto e
imbarazzante che si possa immaginare. A volte le è capitato
di dividere uno
scompartimento con sconosciuti, ma c’era sempre suo padre con
lei. Anja non
sopporta di trovarsi da sola con persone che non conosce: diventa tutta
rossa,
non sa mai cosa dire né dove guardare e alla fine si isola
completamente nelle
sue fantasticherie. Ma questa volta è stata fortunata
perché da quando la sua
amica Katerina e sua madre, la baronessa Maria Aleksàndrovna
Zarkovskaja,
insieme alle quali ha compiuto la prima parte del viaggio da Mosca,
sono scese
dal treno, poco prima di arrivare a San Pietroburgo, nessun altro
è entrato
nello scompartimento e così ha potuto godersi la pace e il
silenzio di un’ora
di solitudine.
Per
la verità, una signorina di buona famiglia e così
giovane (sedici anni appena
compiuti) non dovrebbe trovarsi da sola su un treno, sia pure per poco
tempo.
Non sta bene. Lo zio e la zia, che hanno ospitato Anja a Mosca per una
vacanza,
avrebbero voluto accompagnarla, ma poiché la baronessa
Zarkovskaja doveva
prendere lo stesso treno insieme alla figlia, si è offerta
di tenerla con sé.
Anja
è felice della vacanza appena trascorsa. Gli zii le hanno fatto un
mucchio di regali: vestiti, cappellini, gioielli. Ci sono stati balli,
ricevimenti, serate all’opera e lo zio Stiva l’ha
perfino accompagnata a vedere
le corse dei cavalli. Lei adora cavalcare. In quelle settimane la sua
cavallina
bianca, Marie, le è mancata da morire. Soltanto
Serëža le è mancato di più. Non
vede l’ora di riabbracciare suo padre e suo fratello, di
trascorrere la serata
con loro, giocando a carte con Serëža e leggendo a voce alta
per suo padre. Non
c’è nient’altro, al mondo, che Anja ami
più di loro due. Loro e il piccolo
medaglione con il ritratto di sua madre che porta sempre al collo.
Istintivamente, lo cerca con le dita sottili fasciate nei guanti
bianchi, lo
apre e per un po’ osserva il viso del ritratto, sorridendo. A
volte lo fa senza
nemmeno rendersene conto, cercando in quella donna così
affascinante e
sconosciuta qualcosa di sé, ma non è mai riuscita
a trovare una somiglianza. La
donna raffigurata ha grandi occhi scuri, folti capelli castani, il
volto
pallido, affilato e un po’ spigoloso. Non ha niente in comune
con i boccoli
dorati e leggeri di Anja, i suoi occhi azzurro cielo, la carnagione
rosata e i
tratti dolci e delicati. La rattrista il pensiero di essere
così poco simile a
sua madre, ma Anja è convinta di aver preso tutto dal padre,
a parte il biondo
dei capelli. Per la verità, nessun altro è
particolarmente incline a vedere
questa somiglianza, ma è solo perché non li
guardano con sufficiente
attenzione. Serëža, invece, è d’accordo
con lei nel dire che somiglia
moltissimo al loro padre. I suoi occhi chiari li ha
senz’altro ereditati da
lui. Forse gli occhi di suo padre non sono così luminosi,
perché lui lavora
troppo, è sempre stanco e spesso ha l’aria triste.
Deve essere per questo che
gli altri faticano a riconoscere la somiglianza.
All’improvviso
sente gridare il nome della stazione e torna bruscamente alla
realtà. Il treno
si è fermato e tutt’intorno si sente un gran
trambusto. È arrivata davvero!
La
ragazza chiude il medaglione con uno scatto e lo fa scivolare di nuovo
al suo
posto, poi controlla rapidamente di essere in ordine e di avere un
bell’aspetto. Liscia le pieghe della mantella bordata di
pelliccia, accomoda i
riccetti d’oro sotto il cappellino. Esce dallo
scompartimento, percorre in
fretta il corridoio deserto e raggiunge la porta che dà
sulla banchina. Scende
i gradini con entusiasmo e per poco non finisce contro qualcosa. O
meglio,
qualcuno. Qualcuno che indossa un’uniforme militare azzurra e
stava per salire
sul treno. Anja indietreggia precipitosamente, travolta
dall’imbarazzo e dalla
sorpresa, le guance in fiamme. Che terribile figura! Se la vedesse zia
Dolly
sicuramente la rimprovererebbe dicendo che una signora non si precipita
giù dal
treno correndo come una selvaggia. Non è un comportamento
degno di lei. Deve
assolutamente scusarsi.
«Oh,
Santo Cielo!» esclama, un po’ affannata.
«Perdonatemi, signore, non mi ero
accorta che…»
Anja solleva
lo sguardo, incrociando quello dell’uomo con il quale si
è scontrata. Sussulta
improvvisamente e le parole muoiono sulle sue labbra come scintille di
fuoco spente
da un bicchiere d’acqua. È un gentiluomo non
più nel fiore degli anni, ma ancora
affascinante; in gioventù deve essere stato molto bello. Ha
folti capelli
biondi e ricci con qualche tocco di grigio, occhi di un azzurro
intenso, il
viso sottile, i lineamenti delicati. È alto e snello, ma in
qualche modo la sua
figura appare possente, maestosa. Forse è per via della
divisa che indossa o
dell’atteggiamento sicuro e spavaldo che ostenta. Osserva il
mondo come se
fosse in ginocchio ai suoi piedi, in attesa solo di essere conquistato.
Ma
nell’istante in cui i suoi occhi incontrano quelli della
ragazza, un lampo di
assoluta, totale sorpresa gli balena sul volto e sembra aprire uno
squarcio in
quella maschera di impassibile freddezza. È solo un lampo,
però, così rapido
che Anja dubita di averlo visto davvero. Un attimo dopo è
già sparito senza
lasciare traccia e la maschera è di nuovo al suo posto. Ma
Anja continua ad
osservarlo con gli occhi sgranati, senza riuscire a staccarsene. Dentro
di sé
sente farsi strada una strana sensazione, tanto vaga quanto insistente.
Le
occorre un minuto per riuscire a definirla: riconoscimento.
Lo
conosce.
Sì,
lei ha già visto quell’uomo… ma dove?
Quando? Per quanto frughi nei suoi
ricordi, non trova nulla. Nessun volto noto corrisponde a quello che le
sta
davanti. Eppure sembra così familiare. È come se
avesse ritrovato qualcosa che
le apparteneva e che aveva perso. Confusa, Anja si rende conto
all’improvviso di
quanto sia sconveniente il suo comportamento e arrossisce ancora di
più. Chissà
cosa starà pensando quel gentiluomo… prima gli
è quasi caduta addosso correndo
giù dal treno e ora se ne sta lì a fissarlo come
un’attrazione da circo. Si
affretta ad abbassare lo
sguardo, un po’ stordita da quella sensazione così
forte e improvvisa, e in
quel momento l’uomo interviene.
«Non
preoccupatevi, signorina. Sono io che domando scusa». La sua
voce è ferma e
controllata. Accenna un lieve inchino verso di lei.
Anja
vorrebbe rispondere, ringraziarlo, ma il fiato le si mozza in gola. Per
quanto
si sforzi di non fissarlo, i suoi occhi, disubbidienti, tornano di
continuo al
viso di lui, irresistibilmente attratti da qualcosa. Il suo respiro
è affannoso
e le gira un po’ la testa. Santo Cielo, che le sta
succedendo? Non riesce ad
emettere un suono.
«Posso
fare qualcosa per voi, signorina?» chiede il gentiluomo,
esitante. Forse teme
che stia per sentirsi male.
Anja
fa un respiro profondo e riacquista un po’ di
lucidità. Scuote appena la testa.
«N-no… vi ringrazio. Perdonatemi, io…
mi sembra di...». Lo guarda di nuovo,
senza sapere nemmeno cosa stia dicendo. È come trovarsi
nell’atmosfera sospesa
e irreale di un sogno. Per un istante si chiede se non si sia
addormentata sul
treno e non stia sognando davvero. Le parole sgorgano da sole prima che possa cercare di trattenerle. «Ci siamo già
incontrati?» chiede con un filo
di voce.
Le
labbra dell’uomo hanno un lievissimo fremito, ma il resto del
viso non lascia
trasparire alcuna emozione. «Non credo di aver mai avuto
questo onore,
signorina. Permettetemi di presentarmi: sono il conte
Vrónskij, al vostro
servizio».
Fa
un inchino, breve, asciutto. Conte Vronskij. Anja ricorda di aver
sentito
parlare di lui e di sua moglie, qualche volta, in società,
eppure è abbastanza
sicura che non siano mai stati presentati. Ma allora perché
quella persistente
sensazione di familiarità?
«Anja
Karénina» risponde a bassa voce, chinando appena
la testa.
Il
conte accenna un sorriso e un angolo della sua bocca si muove verso
l’alto. «So
chi siete».
«Davvero?
E come?» esclama la fanciulla, sconcertata. Allora si sono
incontrati davvero!
Lui
la fissa in silenzio per un tempo che le sembra interminabile.
«Non ha
importanza» risponde infine, la voce bassissima.
L’amarezza
che traspare dal suo tono, la sua espressione vuota, sorprendono
profondamente
Anja. Sempre più confusa, vorrebbe domandare ancora,
chiedere spiegazioni, e
allo stesso tempo vorrebbe che quella strana conversazione terminasse.
Non si è
mai sentita così a disagio in compagnia di qualcuno. In quel
momento scorge con
la coda dell’occhio suo padre e suo fratello, a una certa
distanza da lei. Non
l’hanno ancora vista, parlano tra loro e ogni tanto si
guardano intorno.
All’improvviso Anja si scuote del tutto e rimprovera se
stessa. Cosa sta
facendo lì, perdendosi in sciocche, insensate chiacchiere
con uno sconosciuto?
La sua famiglia la aspetta e quell’assurda sensazione che la
attanaglia non ha
alcun fondamento. Come può pensare di conoscere una persona
che non ha mai
visto in vita sua? Cerca di scrollarsela di dosso.
«Devo
andare, mi aspettano» mormora.
Il
conte Vrónskij rimane impassibile. Si limita ad accennare un
altro inchino. «È
stato un piacere conoscervi».
«Anche
per me, conte. Arrivederci».
A
fatica, esitando, distoglie lo sguardo da lui e si allontana lungo la
banchina.
Fa solo
qualche passo, poi, d’istinto, si volta appena e in una
frazione di secondo si
accorge che il conte è ancora lì, in piedi, a
fissarla. Sembra una statua,
tanto il suo volto è privo di sentimenti, eppure…
quello strano lampo, poco
prima… quando si sono scontrati… Non poteva
essere così sorpreso soltanto
perché una fanciulla era piombata giù dal treno
con troppo entusiasmo. No,
c’era qualcosa di più profondo. La stesso
sconvolgimento che ha provato lei.
Per un attimo si chiede se il conte non le abbia mentito quando le ha
detto che
non si sono mai incontrati prima.
In
quel momento raggiunge suo padre e suo fratello e ogni altro pensiero
scompare
rapidamente.
«Mon cher papa!»
esclama,
gettandosi tra
le sue braccia tese.
Alekséj
Karénin la stringe forte a sé. Trattiene a
malapena un sorriso emozionato.
«Bentornata, piccola mia» mormora, premendo le
labbra sui boccoli biondi della
figlia.
Esita
a lasciarla andare, ma Serëža, al suo fianco, scalpita per
salutare la ragazza.
Fanno appena in tempo a separarsi che il giovane prende Anja tra le
braccia e
la solleva da terra, pieno di allegria. Le stampa un bacio sulla
guancia.
«Finalmente,
sorellina! Com’era Mosca? Ti sei divertita? Ti mancavo,
vero?»
«Tantissimo!».
Anja sorride, traboccante di felicità, ancora stretta al
fratello. È così bello
essere di nuovo tutti insieme. «Ho un mucchio di cose da
raccontarvi!»
«Prendiamo
i tuoi bagagli e andiamo a casa, allora. Voglio sapere tutto»
commenta Serëža,
prendendo affettuosamente Anja sotto braccio.
«Parlavi
con qualcuno, prima? Chi era?» chiede Karénin,
mentre si avviano insieme tra la
folla.
Anja
non ha dimenticato il suo strano incontro. Si gira di nuovo, incapace
di
trattenersi. Il conte è scomparso. Deve essere salito sul
treno, ma la ragazza
ha la sensazione che abbia continuato a seguirla con lo sguardo fino a
un
attimo prima.
«Anja?»
Suo
padre le sta sorridendo con affetto, come sempre quando lei si perde
nelle sue
fantasie. Fantasie, tutto qui. All’improvviso Anja non
è più così sicura di
aver già visto il conte Vrónskij. Deve essersi
sbagliata. E in fondo, cosa
importa? Ricambia il sorriso del padre mentre infila l’altro
braccio sotto il
suo, trovandosi stretta tra i due uomini. Finalmente
l’impressione di aver
perso e ritrovato qualcosa di importante scivola via. Non ha perso
nulla. Non
c’è niente da trovare. Ha tutto quello che le
serve, ora.
«Nessuno,
papa. Nessuno di
importante».
Il
conte Vrónskij monta sul treno un istante prima che Anja si
volti di nuovo,
sfuggendo al suo sguardo. Ne è sollevato. Non vuole che si
giri indietro per
cercarlo. Lei deve andare avanti.
Nell’ambiente
chiuso il profumo di violette che ha avvertito accanto alla ragazza
è
particolarmente intenso. Ne segue la traccia ed entra nel primo
scompartimento.
Sì, lei era lì. Chiude la porta e siede accanto
al finestrino. La banchina è
affollata, ma individua subito il biondo chiaro dei capelli di Anja.
È con suo
padre e suo fratello. Parla, ride, li prende sottobraccio. Sembra che
stia
bene. Sembra felice. Continua ad osservarla finchè i tre non
si allontanano
lungo la banchina, camminando vicini, e scompaiono dalla sua vista.
È andata
via. Il conte abbassa lo sguardo mentre il treno riprende a muoversi
lentamente.
Fine
Spazio
autrice.
Verso la fine della shot Anja risponde a suo padre che la persona che aveva incontrato non era nessuno di importante, ma lei ha una visione parziale delle cose, perchè non sa che quell'uomo è il suo vero padre. Siete d'accordo con Anja oppure no? Credete che questo incontro non avrà alcuna importanza nella sua vita e lo dimenticherà in fretta, o credete che il dubbio sul misterioso legame che ha avvertito con quell'uomo continuerà a tornarle alla mente senza mai trovare una risposta? Sarei curiosa di sapere cosa ne pensate.
Il finale della shot è volutamente aperto. I sentimenti del conte Vrónskij riguardo l'incontro con sua figlia non sono ben definiti. Cosa prova mentre la osserva da lontano, mentre abbassa lo sguardo e il treno lo conduce via? Potrebbe essere addolorato, nostalgico, furioso o semplicemente sorpreso. Ciascuno è libero di interpretare i suoi gesti e le sue espressioni come desidera. A voi la scelta e, se vi va, fatemi sapere qual è. Grazie.