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Autore: Conny Guitar    10/04/2013    3 recensioni
"-Pronto?- farfugliò. La voce che le rispose era agitata...". Intro banalissimo, ma non mi veniva in mente altro
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il commissario Giulia Ferrando stava beatamente ronfando nel suo letto, collocato nell’ appartamento numero 19 di via Garibaldi 10, quando il telefono sul comodino iniziò a squillare. Il commissario si svegliò di soprassalto e afferrò la cornetta.
-Pronto?- farfugliò.                                                                                                                         
La voce che le rispose era agitata: -Buongiorno commissario, deve venire immediatamente in commissariato. Hanno rubato l’Autoritratto in età avanzata di Leonardo da Vinci, quello della Biblioteca Reale!-.                                                        
-E allora? Oggi non sono in servizio- rispose Giulia con voce assonnata, avendo solo una vaga idea di ciò che fosse l’Autoritratto in età avanzata del da Vinci.                        
-Da  adesso lo è. Il Gran Capo, il questore cioè, la vuole qui subito, dice che c’è bisogno di lei- rispose l’altro.
-Va bene, arrivo- rispose. “Che sfiga” pensò “ho un giorno libero dopo mesi di corse dietro al maniaco che faceva il samurai tagliando teste e facendo Harakiri a destra e a manca, e Napo Orso Capo mi chiama lo stesso”. Napo Orso Capo, come il personaggio dei cartoni animati, era il soprannome che l’intero commissariato aveva affibbiato al questore, che aveva effettivamente l’aspetto di un orso e comandava tutti a bacchetta. “Però non è un hippie” si disse. Si alzò a fatica dal letto e si fece una doccia, cantando una canzone inventata sul momento dal titolo Ucciderò il questore sulle note di Imagine di John Lennon.“Come significato calza a pennello” pensò con un sorriso. Poi si vestì e scese in strada, raggiunse il garage da cui prese la sua Mito rosso fuoco, e partì verso il commissariato. Appena arrivata, fu immediatamente raggiunta da un poliziotto di nome Giulio Ronco, che tutti chiamavano San Crispino, il quale la salutò e iniziò subito a raccontare tutto d’un fiato cos’era successo: -Stamane è arrivato un tizio di nome Omar Ben-David, un omone israeliano sulla trentina un po’ stupido, insieme ad una storica dell’arte, tal Elisa Dritti. Erano entrambi visibilmente scossi e con qualche ferita. Ci hanno raccontato che il furgone su cui viaggiavano era stato rubato. Così abbiamo chiesto loro cos’era successo esattamente e ci hanno detto che questa mattina presto erano sull’autostrada per andare a Milano perché stavano trasportando l’Autoritratto che deve andare in mostra al museo di Scienza e Tecnologia “Leonardo da Vinci” e hanno visto un uomo fermo in mezzo alla strada. Il signor Ben-David, che guidava, si è fermato ed è sceso avvicinandosi all’uomo per sapere se aveva bisogno di aiuto, in quel momento un altro gli ha dato una botta in testa con una mazza, stordendolo. Hanno preso la storica e hanno stordito pure lei, poi li hanno caricato sul furgone, per poi scaricarli in una strada secondaria. I due, che indossavano dei passamontagna, se ne sono andati via con il furgone e ovviamente con il disegno. Dobbiamo assolutamente fare luce su questa faccenda- continuò, sul punto di strapparsi i capelli- perché quel disegno vale milioni di euro, se non di più. I due viaggiavano insieme perché è prassi che uno storico dell’arte accompagni le opere che vengono trasportate. Sul camion inoltre, era installato un dispositivo GPS, che è stato disattivato dai ladri. Non possono essere stati loro, perché in primo luogo non hanno idea di cosa sia un dispositivo GPS, e, in secondo luogo, il camionista che li ha trovato passando di lì conferma la loro versione, e l’ospedale in cui sono andati ha constatato la ferita lacero-contusa sulla nuca, provocata da un corpo contundente, un sasso o una mazza da baseball, forse. A meno che non sia un complice e il resto tutta una messinscena per depistare le indagini, il signor Ben-David e la Dritti non c’entrano. Dovresti andare a sentirli tu, magari a te dicono cose che non hanno rivelato a noi.- disse Ronco, riprendendo finalmente fiato.
-E perché mai dovrebbero raccontarmi qualcosa di più? Non sono mica una civile, io! Sono della polizia esattamente come voi!-  chiese Giulia piuttosto irritata.
-Beh noi siamo in divisa, mentre tu no. Magari metti meno soggezione…- .                    
Giulia evitò di rispondere malamente al povero San Crispino, che in fondo era un matas, un poveraccio, come lo avrebbe definito sua nonna, in dialetto, e si avviò verso la sala interrogatori.  Lì stavano seduti i due a braccia conserte. Giulia entrò e si presentò:-Salve, io sono il commissario Giulia Ferrando.- Entrambi la guardarono spaesati, salutandola con un fil di voce. Giulia continuò:- Mi piacerebbe ascoltare la vostra versione dei fatti. Ve la sentite di raccontarmela?- La storica dell’arte annuì e le raccontò esattamente quello che il poliziotto le aveva detto. -Sicuri? Non è successo nient’altro?- chiese Giulia, delusa.
-No, aspetti!- disse il camionista -Quando mi hanno chiuso nel bagagliaio del furgone, hanno iniziato a parlare. Uno di loro ha chiesto all’altro dove dovevano portare il disegno, e quello gli ha risposto che andavano a una certa Daronelo House. Poi hanno continuato piano: “Mio Dio, può fruttare un mare di soldi se lo vende alla gente giusta”. “Ma va, quel balengo se lo vuol tenere per se”. “Ma è scemo?!? Conosco chi lo pagherebbe, anche bene se verifica che è autentico. Ma capace che gli rifila una copia e l’altro ci fa secchi a tutti e tre”. “Già. Una volta l’hanno fregato vendendogli un armoire nuovo di fabbrica dicendo che era del ‘700”. “Miseria ladra”. Ecco, ora le ho detto proprio tutto. Non so nient’altro-. Giulia lo rilasciò sapendone esattamente come prima e poi convocò gli altri poliziotti per iniziare le indagini. Comunicò loro la nuova scoperta, anche se nessuno ne sapeva il significato.

Il furto era un bel problema, perché il museo di Scienze e Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano non sarebbe andato in mostra, e la regione era parsimoniosa in fatto di fondi culturali; l’assicurazione avrebbe dovuto sborsare una cifra astronomica, quanto il valore del disegno; ma soprattutto sarebbe andato perso un capolavoro artistico inestimabile.
-Questa “Daronelo House” deve essere un codice o qualcosa così. Ma il disegno potrebbe già essere chissà dove. Secondo la mia modesta opinione bisognerebbe interrogare i direttori dei musei- disse il questore, il che significava “Muovete le chiappe e chiamate quelli là!”. Era un mago nel fare la parte del finto modesto, povera vittima della cattiveria dei suoi subalterni, ed era per questo che Giulia lo avrebbe volentieri defenestrato quando faceva così. Ovviamente né il direttore della Biblioteca Reale, né il direttore del Leonardo da Vinci, che si era precipitato lì appena saputo ciò che era successo, sapevano qualcosa.
-Ecco, lo sapevo che non ci cavavamo un ragno dal buco!- disse Giulia, che se c’era da criticare il questore era sempre pronta - dobbiamo fare la rivoluzione perché non le sopporto più le sue idee cretine! Era logico che non sapevano!!!-. Giulio Ronco San Crispino iniziò a sghignazzare emettendo dei grugniti porcini e lei lo fulminò con un occhiataccia.
-E dai Giulia- disse il tenente Alessandra Gerani, che tendeva a difendere il questore e per questo si mormorava di una relazione segreta tra i due, nonostante al suo confronto, il questore sembrava Chobin. -Non era mica…-
La sua arringa difensiva fu interrotta dall’arrivo di un’erinni sui cinquanta a passo di carica, che esclamò: - Dov’è il responsabile delle indagini sulla scomparsa dell’Autoritratto?!-
-Sono io- disse Giulia.
-Ah, bene. Sono la sovrintendente dei Beni Artistici e Storici. Con un bel po’ di ritardo, di questo sono molto, molto arrabbiata ma non importa ora, mi hanno informata del furto del capolavoro di Leonardo Da Vinci e voglio che tutti voi vi mobilitiate a cercarlo! Conoscete il suo valore?!? E’ inestimabile! Voglio sapere tutto ciò che vi hanno detto i testimoni!-. Sembrava una di quelle leonesse dei documentari che vengono disturbate da altri animali e hanno i cuccioli. Stessa frenesia. Giulia raccontò degli interrogatori, senza tralasciare nulla. -Quindi l’indizio chiave dovrebbe essere questa Daronelo House, ma cosa significa?- concluse. Si aspettava chissà quale reazione spropositata da parte della sovrintendente, ma quella iniziò a pensare. E poi sfoderò un largo sorriso da pescecane e disse ad alta voce: -Ora come ora potrete pensare che io sia pazza, ma credo di avere la soluzione del caso!-. Tutto il commissariato si girò verso lei con la bocca aperta, attendendo il suo responso.
-Vedete, quando ero all’università, avevo un compagno in classe di nome Andrea Bianchi, anonimo come il suo cognome all’apparenza, ma un volpone in realtà. Questo ragazzo idolatrava letteralmente Leonardo Da Vinci: sapeva tutto della sua vita, conosceva tutte le sue opere e non si perdeva una mostra o rassegna stampa su di lui. Certe volte saltava diverse lezioni pur di non perdersele e ci fece persino la tesi. Ora, lui era anche un genio nel risolvere problemi di logica o enigmi, nulla gli sfuggiva, per questo dico che era furbo come una volpe, e perciò aveva creato un club, che peraltro non ebbe lunga vita a causa del suo trasporto se si trattava del Da Vinci, e indovinate come lo aveva chiamato!-.
-Daronelo?- sussurrò Giulia con gli occhi sbarrati. -
Bingo!- esclamò l’altra -Daronelo è l’anagramma di Leonardo! Un nome perfetto per un Davinciano fervente che ama gli enigmi. Lui mi diede la prima idea di come le cose siano diverse da come appaiono-.
Nel commissariato regnava un silenzio di tomba. La sovrintendente continuò: -Ora fa l’antiquario, e io so dove ha il negozio, avanti, andiamo!-. Si comportava come se fosse stata il capo, ma Giulia e gli altri poliziotti le andarono subito dietro. Giulia fece accomodare la donna nella sua auto, che partì alla testa del gruppo, seguita dalle volanti dei poliziotti. La donna li portò un po’ fuori città, fino al negozio di questo antiquario. La polizia entrò, con la sovrintendente a capo e trovò il signor Bianchi che stava controllando un trumeau del ‘700, infilando la testa nei cassetti. All’apparenza era veramente scialbo e anonimo, un piccoletto pelato con l’espressione ansiosa e attenta di chi è sempre stato un osservatore della realtà che lo circonda. Di certo non si poteva pensare subito a lui se veniva rubato un capolavoro dell’arte. Giulia diede qualche parola di spiegazione, mentre gli altri setacciarono il retrobottega. Poi uno di loro quasi si spaccò la testa inciampando su una protuberanza nel parquet nascosta da un tappetino a righe e finendo contro una sedia. Era un anello inchiodato al pavimento e un’osservazione più attenta rivelò l’apertura di una botola. La aprirono e scesero la scaletta che conduceva in un segreto seminterrato. Quello che videro li stupì: era pieno di libri, depliant di mostre e copie di capolavori di Leonardo Da Vinci. E in mezzo a tutto ciò, in una teca di vetro, c’era l’Autoritratto. Il signor Bianchi, terrorizzato, cercò di scappare fuori, nella strada, ma la sovrintendente gli si parò davanti, con tutto il peso della sua autorità in quell’ambito, e lo squadrò dall’alto della sua persona. L’antiquario venne ammanettato e fu arrestato. Confessò di averlo fatto perché stravedeva per quel capolavoro e confessò anche i nomi dei due complici, persone che gli erano state suggerite da amici che avevano loschi affari e rinomate per la loro discrezione, falsa, dato che avevano rivelato l’indizio fondamentale. -Maniaco- disse Giulia con aria di sufficienza.

Il questore si congratulò con la sovrintendente per l’aiuto fornito, facendole anche il baciamano mentre Giulia fingeva di vomitare. Non sprecò invece una sola parola per Giulia e i suoi colleghi, ma, in compenso, le fece avere una settimana di meritato riposo, durante la quale, per fortuna, nessun maniaco volle rubare qualche opera d’arte.

   
 
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