2. Aftermaths
Il giorno successivo, o meglio, il giorno stesso qualche ora
più tardi, camminavo su uno dei sottili sentieri del campus della UCL con il
mio terzo caffè in mano, cercando di non avere un’andatura eccessivamente a
zig-zag. Non avevo neanche avuto l'accortezza di indossare degli occhiali da
sole per nascondere le occhiaie che erano apparse sotto ai miei occhi grazie al
tizio dei messaggi, che sul mio cellulare avevo ormai ribattezzato col nome di
"Fidanzato Geloso". Nonostante tutto, mi ritrovai a pensare di essere
un po' delusa dal fatto che non mi avesse più scritto. Controllai velocemente
l'orologio: erano le 9 in quel momento, perció Fidanzato Geloso aveva di sicuro
già avuto modo di parlare con Harold/Harry/Hazza e di capire che il numero a
cui aveva scritto quella notte non era il suo. O no? Magari il suo amico non si
era proprio presentato all'appuntamento, perchè giustamente nessuno l'aveva
avvisato e...
«Cate!» mi sentii chiamare. Girai la testa e vidi Chelsea, la mia migliore amica, correre verso di me. La sua espressione man mano che si
avvicinava a me si trasformava da trafelata a un misto di stupito e terrificato.
Quando fu abbastanza vicina si appoggió sulla mia spalla con una mano e si
piegó su se stessa, ansimando forte e cercando di dire qualcosa «Ero...
ritardo... corsa... corso... bocciata...»
« Chels, non devi parlare per forza ogni minuto della tua vita! Riprendi fiato e poi esprimiti con parole tue, eh!» feci dandole una leggera pacca sulla schiena. Lei continuó a respirare forte per qualche secondo, poi si raddrizzó e finalmente riuscì a parlare: «Sono fottuta. Il professor Torres aveva detto che se non andavo a lezione neanche oggi mi avrebbe bocciata e sono in ritardo di mezz'ora...! Ormai sono fregata» disse tutto d’un fiato, scuotendo la testa desolata. La guardai per qualche secondo e poi scoppiai a ridere.
«Sì, ridimi pure in faccia, non farti troppi problemi, non
sei tu che verrai cacciata da scuola, diseredata dai tuoi genitori, mandata a
lavorare in una piantagio... »
Non la lasciai terminare, nonostante i suoi monologhi
fossero sempre alquanto divertenti: «Chels, pensaci un attimo. Le lezioni di
Torres non sono di martedì? Sai che giorno è oggi?»
«Porca merda!» fece lei poco finemente «Grazie al cielo, oh,
che gioia!» esclamó tirando teatralmente un sospiro di sollievo. Poi,
finalmente, mi guardó in faccia: «A proposito di merda... come, ehm, stai bene,
oggi…»
«Aha, molto simpatica» le risposi con una smorfia «Non ho dormito
tanto stanotte... Alle 4 uno ha iniziato a scrivermi messaggi sul cellulare e
non smetteva più...»
«Oddio, chi?» esclamó lei con gli occhi che le brillavano «Qualcuno che conosco?»
Chelsea era non solo un bulldozer per quanto riguardava la
privacy e in generale la sfera privata delle persone, ma era anche un’aspirante
proprietaria di un’agenzia matrimoniale, o almeno così sembrava dall’entusiasmo
che metteva nel cercare costantemente di creare coppie dal nulla. Iniziai a
camminare per cercare di spegnere sul nascere l'interrogatorio che sarebbe
sicuramente seguito: «A dire il vero non lo conosco neanche io...» borbottai a
mezza voce, quasi sperando che non sentisse.
«Cosa?!? Uuuuh, Cate ha un ammiratore segreto!» esclamò però
lei, confermando le mie paure.
«Ma no, scema! Deve aver sbagliato numero... cercava un tale
Hazza...» ridacchiai al solo sentire quel nome orrendo pronunciato ad alta voce
«L'ho tirato scemo…» continuai fiera.
Sentendo che peró Chelsea non era più al mio fianco mi
voltai e la trovai paralizzata qualche metro più indietro, lo sguardo sbarrato
fisso sul mio e la bocca aperta. Ero abituata alle sue scenate plateali, che in
fondo mi facevano molto ridere, ma stavolta non capivo proprio quale fosse il
problema.
«Chelsea, perchè ti sei fermata?»
«Hazza?» ripetè lei sconvolta.
«Sì, sì, Hazza. Cosa c'è di strano?»
«Oddio,» esclamó lei raggiungendomi a grandi falcate, per
quanto glielo permettessero le scarpe col tacco che portava «Tu proprio passi
tutta la giornata nella biblioteca del campus!»
Non era vero, pensai un po’ risentita. Andavo anche a
qualche festa, ogni tanto... Eppure questo Hazza proprio non lo conoscevo. Che
fosse quel ragazzo carino che frequentava letteratura anglosassone con me e
Chelsea? Evitai di chiederglielo, per non incappare in nuove prese in giro.
Lei inizió a spiegare, come si farebbe con un bambino: «Hazza
è un soprannome che sta per Harry...»
«Grazie tante,» sbottai «questo lo so, l'ha detto anche il
tipo dei messaggi...!»
«Oddio!» ripetè lei portandosi le mani alla bocca «È davvero
lui!»
«Ma lui chi?» sbottai «E poi sai quanti Harry ci sono al
mondo? Sai quanti ce ne sono solo a Londra?!?»
«Sì sì» disse la mia migliore amica concitata. Non l'avevo
più vista così dal giorno in cui Dan Schroeder le aveva chiesto di andare con
lui al ballo all'ultimo anno di liceo. Il che, in effetti, era avvenuto solo pochi
mesi prima. Chelsea era una ragazza piuttosto esuberante, al contrario di me,
ma chissà come avevamo coltivato un’amicizia vera, una di quelle che resiste a
tutto, forse perché insieme ne avevamo passate tante sin dal primo anno di
liceo, quando ci eravamo conosciute. Avevamo deciso insieme di iscriverci alla
UCL quell’anno ed eravamo insieme quando avevamo aperto le nostre lettere di
ammissione.
«"Sì sì" nel senso che li hai contati e sai quanti
sono?» le chiesi ironica e risi sotto i baffi, ma lei non vi badó troppo,
esaltata com'era: «No, no. Ma conosci tanti Harry che si fanno chiamare Hazza?»
continuó agitando le mani.
Sbuffai: «No! È proprio questo il punto! Non la volete
proprio capire tu e il tipo dei messaggi! Non conosco nessun Hazza!» mi
ritrovai a urlare nel bel mezzo del campus, suscitando gli sguardi incuriositi
di alcuni studenti che passavano di lì. Una ragazza addirittura si voltò verso
di noi, rise ed esclamó: «Nemmeno io, ma se lo conoscessi sarebbero guai per
lui!»
Lanciai le braccia in aria mentre la sconosciuta si
allontanava: «Ma lo conoscono tutti tranne me, questo?»
Chelsea aveva quindi proceduto concitatamente a spiegarmi
chi fosse questo Hazza a cui secondo lei erano rivolti i messaggi di Fidanzato
Geloso, ovvero Harry Styles, cantantucolo in una band di cantantucoli
denominata One Direction. Questo fu tutto quello che mi rimase in testa della
sua spiegazione, oltre al fatto che avesse usato decisamente troppe volte le
parole "figo" e "oddio", persino più del solito.
«Fammi leggere i messaggi» mi intimó con fare da investigatore
privato professionista quando pensó di avermi dato abbastanza dettagli sulla
vita dei cantantucoli, compresi flirt vari con Taylor Swift («E chi non ha
avuto un flirt con Taylor Swift, eh? Dico bene?» avevo detto a quel punto,
ammiccando a Chelsea, ma lei mi aveva liquidato con un «Non sai chi è Harry
Styles e ti permetti di fare queste battute trite e ritrite sulla cultura pop
moderna?» il che mi aveva zittito per almeno cinque minuti). Spalancai gli
occhi e quando vidi che era serissima e non accennava ad abbassare la mano
protesa verso di me, estrassi il cellulare dalla mia vecchia borsa di pelle
marrone e glielo porsi. Scorse velocemente le pagine, facendo solo una smorfia senza commentare quando lesse il nome che avevo assegnato al messaggiatore misterioso e ad un certo punto si lasció sfuggire un urletto quasi isterico.
«Cosa?» le chiesi spazientita.
«Qui!» disse lei in iperventilazione «Lui dice… "Tom
vuole vederci" e tu come un'idiota "Tom chi?" e lui “Il nostro
manager”...»
La guardai senza espressione per indicarle che proprio non
avevo capito.
«Dice "vederCI", "nostro"...» spiegò
lei.
«Quindi... conosce i pronomi possessivi...» feci io tentando
di indovinare. Lei sbuffó: evidentemente non avevo azzeccato.
«Quindi…» iniziò a voce più alta del dovuto, come per
richiamarmi all’ordine «non solo questo Hazza è davvero Harry Styles... Ma
anche quello che scrive fa parte della band» spalancó ancora di più la bocca
prima di fare la sua scottante rivelazione: «È uno degli altri quattro».
Quando, nel pomeriggio, mi ritrovai sola nella grande
biblioteca per studiare, avevo la testa che mi faceva male. Chelsea non aveva
fatto altro che ripetere che dovevo scrivere a Fidanzato Geloso, che non potevo
lasciarmi sfuggire questa occasione, ma io non avevo ceduto. Soprattutto perché non
pensavo proprio che fosse un’occasione. Nel frattempo non ero riuscita a
seguire una parola della lezione di antropologia. Questo perché, per
convincermi, la mia solerte migliore amica aveva continuato ad aggiornarmi su
quei "gran fighi" che facevano parte della band chiamata One
Direction anche in aula. Mi aveva raccontato tutto quello che sapeva su come si
erano conosciuti, cioè partecipando a un talent show («Strano!» era stato il
mio commento acido «E chissà che musica di qualità!»), su vari gossip e sui
loro nomi completi, che peró avevo immediatamente rimosso. Chelsea sosteneva
che fossero tutti pieni di talento e “fighissimi”, soprattutto quello più scuro
di carnagione, anche se anche quello che si era appena rasato i capelli e
persino questo Hazza non erano male, secondo la sua opinione. Chelsea aveva
concluso dicendo che, insomma, erano tutti e cinque "niente male".
Dop la lezione e un veloce pranzo con Chelsea nella mensa dell'università, mi ero ripromessa che il mio pomeriggio sarebbe stato Chelsea-less e One-Direction-less, finalmente, e che avrei studiato senza lasciarmi distrarre.
Ero peró una ragazza estremamente curiosa e le parole della mia amica mi avevano
messo la pulce nell'orecchio. Potevano questi ragazzi essere così perfetti? No,
ovviamente no. Avrei dovuto verificare di persona, perlomeno per poter
contraddire Chelsea, cosa che mi sarebbe alquanto piaciuta, pensai decisa mentre aprivo il portatile sul pesante
tavolo antico di legno. Picchiettai nervosamente con le dita sul piano della
tastiera fino a quando Google non si aprì. Quindi digitai "One
Direction" nella ricerca. Circa 966.000.000 risultati. Oh. Allora erano
davvero famosi. Cliccai su "Immagini" e iniziai a guardarne qualcuna,
cercando di coprire lo schermo non appena notavo qualcuno avvicinarsi alle mie spalle. Nelle
fotografie, notai per primo il ragazzo con i capelli neri e la pelle scura:
tralasciando la pettinatura con il ciuffo biondo era davvero carino, ma niente
di più. Gli altri per il momento mi sembravano tutti uguali. Scorsi con una
smorfia alcune foto in cui i cantantucoli abbracciavano dei cuccioli, palese
tentativo di attirare ragazzine, e aprii un'altra foto più grande per guardarli
meglio. In questa erano vestiti molto bene ed erano meno ridicoli del solito,
anzi dovevo ammettere che gli stylist avevano decisamente fatto un buon lavoro, assegnando ad ognuno un look che ne metteva in risalto le qualità.
Il ragazzo che avevo notato poco prima aveva una camicia a quadri come quelle che
piacevano a me; il riccio alla sua sinistra indossava una camicia di un blu
particolare e sorrideva come un bambino; il tizio castano in basso a destra
portava una semplice polo bianca che gli donava particolarmente; il biondo al
centro attirava la mia attenzione più che altro per gli occhi azzurrissimi e il
viso infantile e dolce; l’ultimo cantantucolo, sulla sinistra, aveva pantaloni del mio
colore preferito, delle bretelle e… un sorriso smagliante e sicuro di sè, quasi
impertinente. Solo a quel punto mi resi conto di una sensazione di fastidio
alla bocca dello stomaco che avevo iniziato a provare da quando stavo osservando
quelle fotografie. In ognuna di quelle che avevo visto, effettivamente, un paio di occhi
azzurrissimi e sfrontati mi fissavano con ironia e un certo senso di sfida. Cercai
di scuotere quella sensazione con poco successo e continuai a guardare
fotografie per un po’, curiosa di capire da dove venisse tutto il clamore che
si faceva attorno a quei cinque ragazzotti inglesi. Erano carini, era vero, ma
bastavano una manciata di faccini carini a creare un fenomeno mondiale? Grazie a
Internet, avevo avuto modo di vedere la loro trasformazione nel corso di
qualche anno ed ero arrivata alla conclusione che, inizialmente, non fossero
poi così diversi da un qualunque ragazzo che, per esempio, si trovasse nella biblioteca
dove stavo io in quel momento. Si vedeva che erano stati sistemati e… tirati a
lucido da uno stuolo di stilisti, parrucchieri e allenatori. E allora, se erano
così normali, cosa c’era in loro che attirava milioni di ragazze e ragazzine in
quel modo quasi maniacale? Fu solo quando mi resi conto che nella biblioteca
avevano acceso le luci dei lampadari perché fuori iniziava a far buio che mi
accorsi che si era fatto decisamente tardi. Com’era passato il tempo! Avevo
perso un pomeriggio di studio a fissare cinque idioti con i loro sorrisi
idioti, i loro occhi impertinenti e le loro bretelle.
Era dunque pomeriggio inoltrato quando uscii dalla biblioteca e la giornata mi aveva stressato più di quanto avrei potuto pensare, visto che gli occhi mi si chiudevano mentre mi dirigevo verso il mio dormitorio. Non era stata solo la nottata in bianco, ma anche i discorsi fatti con Chelsea e tutto il resto. Non feci in tempo a mettere piede dentro il piccolo appartamento che condividevo con Sasha, una ragazza con cui non avevo legato molto nonostante fosse la mia coinquilina da qualche mese, che il mio cellulare iniziò a suonare. Ricordandomi che avevo promesso di passare la serata con Chelsea risposi senza guardare il display: «Ehi» dissi semplicemente, entrando nella mia camera e buttando la borsa sul letto sfatto.
«Pronto? Chi è?» disse una voce maschile dall’altro capo del telefono. Una voce acuta ma non fastidiosa e con un accento stranissimo. Ci misi qualche secondo a capire che era soprattutto una voce che non conoscevo. Finalmente allontanai l’orecchio dal cellulare e guardai lo schermo per vedere il numero del chiamante. Rimasi per un attimo senza fiato: accompagnato dallo smile con la linguaccia che avevo aggiunto al suo nome, faceva bella mostra di sé sul mio schermo la scritta “Fidanzato Geloso”. Riportai meccanicamente il telefono all’orecchio, ma mi resi conto che non sapevo cosa dire, perciò mugugnai un «Ehm…»
«Senti, carina» riprese lui «Non so perché tu abbia il cellulare di Harry, se tu sia una delle sciaquette che si sbatte o una fan impazzita che l’ha rapito, ma se è lì con te e non è privo di sensi o smembrato in pezzi minuscoli nella tua vasca da bagno ti pregherei vivamente di passarmi quel coglione immaturo».
Il suo tono colorito e irritato mi allarmò un poco, senza contare che non me la cavavo bene di mio nelle conversazioni telefoniche, quindi, presa dall’ansia e dal non sapere cosa rispondergli, riattaccai. Dopodichè stetti qualche minuto a rimirare il cellulare nella mia mano, sconvolta da quello che avevo appena fatto. Era possibile che avessi appena sbattuto il telefono in faccia a una popstar internazionale? Tutto quello che mi aveva detto Chelsea e a cui in fondo non avevo tanto creduto fino a quel momento era improvvisamente diventato più reale. Rimasi immobile in quella posizione senza riuscire a formulare un pensiero coerente per qualche altro minuto, finchè il rumore di un messaggio e la vibrazione del cellulare non mi fecero sobbalzare. Premetti “Apri” con la mano tremante.
"Questo non è il numero di harry, vero?"
N.d.Summer
SPOILER ALERT (nel
passaggio che segue potrei involontariamente darvi indizi sull’identità
di Fidanzato Geloso: se non volete leggerli, saltate a dopo la riga)
Che
dite, avete capito chi è Fidanzato Geloso? L’ho reso abbastanza sassy da
somigliare almeno un po’ all’originale? xD Tra l'altro è pure scritto praticamente nell'introduzione, nei personaggi, doh, quindi vabbè!
Be’, che dire. Credo di
non aver mai mai mai scritto un capitolo così lungo. Come al solito posto alle
2 di notte perché… è l’unico momento in cui scrivo? No in realtà questo
capitolo l’avevo già scritto, ho dovuto solo sistemarlo… ma a qualcuno frega
qualcosa? Nope.
Ditemi cosa ne pensate di
questa ff, lo so, la sto tirando un po’ per le lunghe, ma nel prossimo capitolo
prometto che succederà qualcosa, muahahahha
(Cosa che non c’entra ma
che volevo dire: quanto non mi piace il titolo di questa ff non ve lo potrei
spiegare, ugh. Ho pensato per un momento anche di rinominarla in “Fidanzato
Geloso”, ma era pure peggio, sigh.)
Baci, Sum