UN UOMO E NIENTE
PIU’
Marco era
in bagno. Era in bagno sì, ma non per il motivo per cui
tutti ci vanno. Sì, si
stava masturbando. Una cosa che aveva conosciuto a undici anni e che
adesso, dopo
cinque, considerava del tutto normale. Pochi minuti di piacere, magari
pensando
a Lisa ("La bella fica della classe", come la chiamava Giulio, il suo
migliore amico), che gli permettevano di non pensare alla scuola e ai
rompipalle dei suoi genitori, che ormai da tre anni facevano finta di
essere
felici e di volersi ancora bene, quando Marco sapeva benissimo che
erano a due
passi dal divorzio.
Ipocriti, sì. I suoi genitori erano degli
ipocriti, dei falsi, ma sopratutto dei pessimi attori. Ricordava molto
bene
quella volta che, tornato a casa da scuola, sua madre l'aveva accolto
con un
sorriso. Un sorriso, sì, ma con gli occhi gonfi di pianto.
In cucina c'era suo
padre, seduto alla tavola apparecchiata, che leggeva il giornale, e
anche lui
aveva un sorriso sulle labbra, sì: ma era rosso, rosso di
una rabbia che cercava
di contenere, ma che sarebbe esplosa di lì a poco se,
adducendo come scusa il
non aver fame e l'essere in ritardo, non se ne fosse andato in ufficio,
tutto
bello vestito e profumato. O come quell’ altra volta che si
erano preparati per
andare ad una festa organizzata dai colleghi di suo padre: lui non
aveva detto
niente a sua moglie e l'avvertì all'ultimo momento. Lei era
pronta ad
incazzarsi a morte, ma poi si rese conto che Marco era presente e,
facendo
finta di niente, andò a prepararsi.
Ecco, era
questa l'ipocrisia e la falsità che i suoi genitori avevano
fin nel midollo. Peccato
che alla fin fine, non fossero poi tanto bravi a nascondere la
realtà.
Marco
raggiunse l'orgasmo. Sapeva che non era niente in confronto ad una vera
sana
scopata, e lo sapeva perché glielo avevano detto, ma per
adesso bastava. Dopotutto,
sebbene genitori e amici dicessero che era ancora immaturo e infantile,
lui non
era così stronzo da scoparsi la prima che capitava, voleva
che almeno la
ragazza lo interessasse. Anzi, il massimo sarebbe stato farlo con una
che lo
amava. E non per vantarsi, ma di ragazze che gli andavano dietro, un
paio ne
conosceva. Non era un Adone, questo no, ma era abbastanza "giusto" da
rientrare nei canoni di preferenza femminile: alto, con i capelli neri,
corti e
tenuti sempre alla spina dal gel, e lineamenti da duro; era "giusto" ,
sì; almeno per quanto riguardava il suo
paese, un piccolo paese di provincia dove è facile parlare,
ma molto più ascoltare e credere come vere storie che non lo
sono.
Marco si
lavò
e, dopo essersi sistemato, uscì di casa; i suoi genitori
sarebbero tornati di
lì a poco e non aveva voglia di trovarseli davanti. Ormai
non sentiva più il
calore familiare o l’amore per la famiglia che aveva prima; o
almeno, per
quanto riguardasse la sua, di
famiglia. Anche
la sola parola "famiglia" gli faceva saltare i nervi e lo trasformava
in una belva, come quando aveva aggredito l'insegnante di religione che
aveva
parlato della bellezza di "appartenere ad una famiglia". All' inizio
la professoressa, allibita e sconcertata dalle parole di Marco, aveva
cercato
di ribattere, ma alla fine fu costretta ad alzare bandiera bianca.
Marco andava
male a scuola, malissimo, ma la sua capacità oratoria era
straordinaria: se
c'era qualcosa che non gli andava, o che non gli piaceva, Marco lo
diceva, e lo
diceva in maniera tale che nessuno potesse replicare: o aveva ragione
lui (e le
sue ragioni erano sempre dimostrate), o aveva ragione lui
(perché gli altri si
arrendevano).
Non doveva incontrare nessuno in particolare,
ma la voglia di non vedere i suoi genitori era troppo alta. E poi, ai
giardini avrebbe
sicuramente incontrato qualcuno che, o non aveva niente da fare,
oppure, come
lui, non voleva accettare la realtà, ma non era
così coglione da drogarsi; al
massimo una sigaretta, ogni tanto, giusto per fare
qualcosa in più che i genitori proibivano.
Perché la realtà era brutta; la realtà
era che
non c'era realtà. Perché tutti fingevano, dai
suoi genitori, agli insegnanti, ai
compagni, agli amici, se esistevano. Di tutte le persone che conosceva
non ce
n'era una che lui potesse dire "sincera". Tutti erano pronti a
cambiare parere su qualsiasi cosa, a seconda delle persone con cui si
trovavano; così i pantaloni o la maglietta nuova di Tizio
erano belli se ti
trovavi con Caio, brutti se ti trovavi con Sempronio. E alla fine
l'immaturo
era lui, Marco, che diceva quello che pensava e viceversa; e che
sopratutto, faceva
solo ciò che era in grado di fare, o che gli andava di fare.
Forse era per
questo che l’unica materia in cui andava abbastanza bene era
Arrivato ai giardini Marco cominciò a
guardarsi intorno, nella speranza di incontrare qualche viso
conosciuto; non
importava chi fosse, anche una persona non proprio "simpatica", ma
che almeno lo
distraesse dalla merda di vita che faceva. Fu accontentato: la maggior
parte
delle panchine erano vuote, dopotutto era ancora presto, le cinque, e
le
panchine dei giardini si popolavano dopo le sette, ma seduto su una di
queste, tutto
solo, perso nei suoi pensieri e intento a fumare una sigaretta, c'era
Giulio.
Giulio era un compagno di classe di Marco, e
il suo migliore amico. Non per niente, si conoscevano da
quando avevano sei
anni e avevano frequentato le elementari e le medie nelle stesse
classi. Non
passava giorno che non si vedessero e, sebbene non lo dimostrassero mai
e in
nessun modo, si volevano un gran bene
- Ciao, Giulio
- disse Marco sedendosi accanto all'amico e rubando la sigaretta, per
poi inspirare il fumo come se fosse stata
sua.
- Ciao. - rispose
Giulio - Come va? -
- Come al
cazzo. - era un rito che avevano, una sorta di "saluto dell'amico
ritrovato" o una parola d'ordine che andava detta quando si
incontravano.
Stavolta però, Marco l'aveva detto in modo diverso e Giulio
l'aveva capito
- E' successo
qualcosa? -
- Mh mh. -
rispose Marco, facendo cenno di "sì" con la testa.
- Che
cosa? -
- Oggi mio
padre mi ha detto che sta per divorziare da mia madre. –
- Mi
dispiace. -
- Figurati
- disse Marco, con tono noncurante - lo sapevo da un bel pò.
Avevo capito che
c'era qualcosa che non andava. A dire la verità, non me ne
frega niente. -
- Non dire
così - disse Giulio con tono ammonitivo - Non devi neanche
pensarlo, potresti
pentirtene.-
- E di che
cazzo dovrei pentirmi? Di dare dolore ai miei genitori? - aveva
i nervi a fior di
pelle e Giulio l'aveva capito, perciò era meglio cercare di
dirigere la
conversazione su un altro argomento.
- Hey, è
stata forte oggi Alessia, eh? - fece Giulio dopo un pò di
silenzio. Marco rispose sorridendo. Frequentavano tutti e due il terzo
anno del
liceo scientifico, sempre nella stessa classe. Nessuno dei due
era una cima in
nessuna materia, ma con l’inizio del nuovo quadrimestre si
erano promessi di
studiare un pò di più. Complessivamente
però, la classe era una delle migliori
dell'istituto. E Alessia era la migliore della classe: brava,
superbrava, fisicamente
non da buttare, ma sopratutto, sconsiderata: non guardava nessuno pur
di raggiungere
il suo obiettivo, ed era talmente sicura di ciò che faceva
che era pronta ad
intraprendere con i professori delle discussioni che spesso occupavano
tutta
l'ora; naturalmente, per questo era la benvoluta della classe. Quella
mattina,
per esempio, aveva attaccato il professore d’Italiano, che
durante la lezione
su Dante si era messo a parlare di politca. Un vero mostro, vista la
testardaggine del professore
- Prima di
andarsene in ufficio mi ha detto che doveva dirmi una cosa importante.
- disse
Marco
- Eh? - chiese
Giulio, che non aveva capito di cosa Marco stesse parlando
- Mio
padre. Mia madre era già al lavoro, così lui ne
ha approfittato per parlarmi.
Mi ha detto perché vuole divorziare da mia madre.-
- Perchè? -
- Si è
trovato un' altra, quel coglione. –in un impeto di rabbia,
diede un pugno alla
spalliera della panchina
- Hey, quello
è tuo padre, non dovresti parlare così di lui.
–
- Ma cosa
cazzo me ne importa? Lui va a scopare con la sua puttana, tradendo sua
moglie e
quello che si deve fare degli scrupoli sono io? -
- E' pur
sempre tuo padre, e poi non puoi giudicare una situazione che non
conosci. -
- Ma cosa
c'è da conoscere? - Marco si stava davvero innervosendo -
Mio padre ha tradito
mia madre, è questa la verita, e io non ho alcuna intenzione
di nasconderla.
- Sì, ma
tu che ne sai se non c'è sotto qualcos’ altro, se
il tradimento di tuo
padre non
è la fine di qualcosa iniziato
chissà quanto tempo fa? -
Marco
rimase per qualche secondo a fissare Giulio; stavolta aveva ragione,
Marco conosceva
solo la parte finale del litigio dei suoi. Del resto non sapeva niente.
Si
limitò ad annuire, guardando davanti a sé
- Ciao, ragazzi.
- una voce femminile fece alzare lo sguardo ai due. E proprio
lì, davanti a
loro, si materializzò Lisa, sì "La bella fica
della classe", colei
che solo i ragazzi davvero "giusti"
potevano avere. I suoi
capelli lunghi, biondi, oscillavano trasportati dal dolce vento. I suoi
occhi verdi,
felini, osservavano i due ragazzi con sincera allegria. Il suo viso
dolce, allegro
sembrava sprizzare felicità. Ma ciò che
più di tutto interessò i due ragazzi fu
il suo corpo, sinuoso, sensuale, di fronte al quale nessun uomo degno
di tale
nome poteva restare indifferente. Giulio dovette curvare un
pò la schiena, per
evitare che Lisa si accorgesse di strane protuberanze nelle
"parti
basse"
- Ciao, Lisa.
- disse Marco. Cercò di rimanere il più
tranquillo possibile, ma si vedeva
lontano un miglio che sperava che Giulio se ne andasse, lasciando i due
in
pace, come probabilmente avrebbe fatto; Giulio era il classico tipo che
le
ragazze le vedeva, le guardava, le desiderava... ma non se le cercava.
Nessuno
sapeva dire se lo facesse apposta oppure no, e forse non ne era in
grado
neppure lui, ma non sarebbe stato capace neanche di saltare addosso a
Monica
Bellucci nuda, che magari lo invitava a fare di lei ciò che
voleva. Non ci
riusciva nemmeno nei sogni, anche perché solo nei suoi sogni
gli capitava di
incontrare
- Beh, per
me si è fatto tardi - disse Giulio - non posso perdermi la
puntata de "L'uomo
tigre" di oggi. Ci si vede! - Detto questo, si alzò e se ne
andò. Lisa si
sedette vicino a Marco e poi, dopo un tempo che a Marco
sembrò interminabile, chiese
- Beh? -
- "Beh",
che cosa? - si riprese Marco.
- Tutto a
posto? Non hai la faccia molto sveglia, ti sei fatto? - lo chiese, ma
non con
tono convinto
- No, sono
solo un pò stanco. - disse Marco accennando un sorriso.
- Hey, ti
va di passeggiare un pò? -
Passeggiarono
per le vie del paese, senza curarsi di dove stessero andando e parlando
di
sciocchezze, tutti persi in quelle. Finché non arrivarono
sotto casa di Lisa
- Qui
abito io. - disse lei
- Ah. -
annuì
Marco, come se non lo sapesse; in realtà era passato molte
volte sotto casa
della ragazza, sperando magari che lei uscisse sul balcone e lo
invitasse a
salire; ma non era mai successo
- Ti va di salire un
attimo? - chiese Lisa - Dài, i miei non ci
sono. -
Dopo
quella proposta, Marco aveva toccato tutti i cieli con tutte le dita.
Magari ci
scappava una pomiciata, sì: qualche bacio, qualche
toccatina, qualche carezza e
poi... la promessa che la prossima volta si sarebbe fatto sul serio. La
prossima volta, sì: non oggi.
Senza rendersene neanche conto, Marco era in
casa di Lisa, nella sua camera, intento a guardare gli innumerevoli
pupazzetti
della ragazza. Lei era seduta sul letto e lo guardava
- Certo
che ti piacciono proprio i pupazzi, eh? - chiese Marco, che non sapeva
come
fare per allentare la tensione che provava dentro di sè
- Sì -
rispose
Lisa - sono i miei amici, i miei consiglieri. Quando sono triste o ho
un
problema li metto tutti per terra, mi ci siedo in mezzo e li guardo,
senza fare
altro. Mia madre pensa che sono pazza. - si mise a ridere.
Anche
Marco rise. Rimase per un pò a guardare ancora quei pupazzi
e, quando si voltò,
Lisa era davanti a lui e lo fissava seria. D'un tratto lei gli prese il
volto e
cominciò a baciarlo; lui si limitò a stringerle
la vita, ma non voleva, non
poteva, non DOVEVA essere da meno. Senza mai smettere di baciarla, la
tirò a sé
e poi la fece stendere sul tappetino della stanza: non era il suo primo
bacio, no,
ma non l'aveva mai fatto con una che gli piaceva veramente. Gli
piaceva, ma
aveva anche paura che a lei non piacesse. Con dolcezza, Lisa
allontanò il viso di
Marco dal suo e gli sorrise
- Sai - disse
- era da tanto tempo che volevo farlo.-
- Sì,
anch'io.
- le rispose il ragazzo.
- Stai
pensando a quello, vero? -
- Eh? -
Lisa
sorrise – Non fare lo stupido, hai capito. -
Marcò
arrossì - Ti dà...ti dà fastidio? -
balbettò.
- No,no. -
rispose lei - Penso sia normale che tu stia pensando a quello, no? - lo
baciò
ancora.
- Sì,
però,
non voglio farlo... qui... adesso... se tu non ti...- riprese a
balbettare
- Voglio
farlo. -
- Cosa?!? -
- Voglio
farlo. Sarebbe assurdo pensare il contrario, ma lo faremo quando ci
sentiremo
pronti. -
Marco si
scostò e si sdraiò accanto a lei. Rimasero
così per un pò, parlando di tante
cose... amici, famiglia, scuola, tutto.
Alla fine, fu Marco che decise di andarsene, e
che le diede l'appuntamento per il giorno dopo a scuola. Lei
sembrava
contenta, allegra. Ora stavano insieme, potevano vantarsene.
Tornato a casa, Marco si accorse che non
c'era nessuno. In cucina c'era un foglio di carta, scritto a mano, da
suo padre
"Marco,
quando
sono passato a casa tu non c'eri, spero ti sia divertito. E' difficile
doverti
mettere a conoscenza di questi fatti, e farlo per iscritto è
ancora più
difficile. Ma tra me e tua madre le cose non andavano più
bene da tanto tempo e
forse il più debole sono stato io, che mi sono rifugiato
nelle braccia di
"quella puttana" come tu la chiami. Le tue parole, oggi, mi hanno
ferito, ma in fondo la tua reazione è comprensibile. Vorrei
che però prendessi
in considerazione l’ ipotesi che anche tua madre
avrebbe potuto mettersi con
un altro uomo prima di me. Certo, non l'ha fatto, ma avrebbe potuto.
Comunque
da oggi io non vivrò più con voi. Tra un
pò io e tua madre divorzieremo e starà
al giudice decidere con chi tu andrai a vivere. Mi dispiace per quello
che stai
passando, ma spero che te ne dimenticherai al più presto.
PAPA'
P.S. = Mamma
passerà la notte dalla zia Licia, se hai bisogno di
qualcosa, chiamala."
Con gli
occhi pieni di lacrime, non tanto per il dolore, quanto per la rabbia,
Marco
prese il foglio e lo strappò più volte che
potè, poi lanciò in aria i pezzi di
carta e urlò
- Ti
dispiace per
quello che sto passando, eh? Però ti piace godere con quella
troia! Le mie
parole ti hanno ferito, eh? Però non te ne fotte un cazzo
del mio dolore! Sei
solo uno stronzo! Un emerito, matricolato, semplicissimo
STRONZO!!!!
Il mattino dopo, Marco e Lisa si incontrarono
a scuola. Si comportarono come due fidanzati
avrebbero fatto, mano nella
mano, baci sul collo o
sulla guancia. Marco si era chiesto come si sarebbe dovuto comportare e
se si
fosse sentito imbarazzato davanti ai suoi compagni, ma tutta la paura
passò
appena si rese conto che un comportamento anomalo avrebbe potuto
insospettire
i suoi compagni. Il loro comportamento disinvolto portò
invece ad applausi e
commenti, spesso poco carini, ma che altro non erano che apprezzamenti
rivolti
alla virilità di Marco, che era riuscito a conquistare Lisa.
Ovviamente, nel
giro di poche ore tutti, insegnanti inclusi, sapevano che Marco e Lisa
"stavano insieme". Ma alla fine della giornata, già non ci
pensava
più nessuno. Prima di separarsi, Marco e Lisa si diedero
appuntamento per la
sera, ai giardini del paese.
Il ritorno
a casa non fu per Marco una cosa allegra. Appena tornato, si
trovò davanti
sua madre.
- Ciao. - disse.
Aveva gli occhi rossi di pianto e l'aria stravolta, ma si
sforzò di sorridere. Marco non
disse niente, entrò e
si sedette a tavola. Sua madre aveva cucinato i tortellini: Marco
ne andava matto e vedendo sua
madre che si sedeva a tavola
e che cominciava a mangiare, fu assalito da
una forte rabbia verso suo padre. In questo momento lui poteva essere
dappertutto
con la sua puttana, mentre
loro erano lì, abbandonati
dalla persona che più amavano, una volta
- Ti
piacciono? - chiese la donna
Marco
annuì
- Sai, me
li ha dati zia Licia, perché sa che ti piacciono. -
Marco
annuì.
Nessuno
disse o fece più niente. Dopo aver mangiato, Marco
andò in salotto e accese
madre, invece,
sparecchiò e poi andò in camera sua e chiuse la
porta. Marco pensò che sola, nella
sua
camera, lei stava certamente piangendo, ma non volle, o non ebbe il
coraggio di
andare
da lei.
Erano ormai le otto di sera, quando Marco
uscì di casa. Sua madre era rimasta tutta la giornata in
camera sua e forse ci
sarebbe rimasta fino al giorno dopo. D'un tratto gli venne un pensiero.
Se suo
padre non si faceva scrupoli, perché lui avrebbe dovuto
farseli? Perchè doveva
avere l’innaturale, irrazionale e stupida paura di chiedere a
Lisa di fare del
sesso con lui? Non c'era un perché.
Marco era seduto su una panchina, nei
giardini del paese. Non sapeva con quale coraggio, o
sfacciataggine, o chissà
che cosa, ma aveva comprato un preservativo: ora l'aveva in tasca. Era
nervoso,
ma tutto intorno a lui sembrava dirgli che non era poi tanto grave se
lo faceva
il giorno dopo essersi messo con una ragazza. Lei stessa sembrava
essere
d'accordo; peccato che fossero già le otto e mezza e lei non
arrivasse.
- Non lo
sai che una donna si fa sempre aspettare? - disse Lisa, sulla porta di
casa
sua. Alla fine
Marco c'era andato
- Scusa - si
giustificò il ragazzo - ma non ti vedevo arrivare e pensavo
che ormai non
venissi più. -
- Ma non
dire stupidaggini! - esclamò Lisa ridendo - Dài,
entra, i miei non ci sono. -
I suoi
genitori non c'erano: ottimo! Magari poteva farlo lì, senza
tanti problemi. Lei
stava per
andare in camera sua a finire di truccarsi, ma lui la prese per un
braccio e la
strinse forte a
sé
- Non
usciamo. - le sussurrò all'orecchio - Restiamo qui. -
- Che ti è
successo? - chiese Lisa, accarezzandogli la guancia con la mano. Si
accorse che
era bagnata. Si
voltò verso di lui; Marco era in lacrime
- I miei
stanno divorziando. - disse il ragazzo - Lo so, lo so che sono uno
stupido a
piangere
come un
moccioso, ma... -
- No, non
dire così. - lo riprese Lisa - Il divorzio dei 'propri
genitori non è una cosa
facile. E' normale
che tu sia triste. - Lo abbracciò, forte, in modo che lui
potesse sentire la
sua presenza.
- Voglio farlo. -
disse Marco
- Cosa?!? - chiese
stupita Lisa.
- Voglio
farlo. Qui, ora, con te. Ti prego, dimmi di sì. Non
prendermi per pazzo. -
Lei non
rispose, ma cominciò a baciarlo. Gli sfilò la
maglietta, poi passò ai pantaloni
e ai boxer.
Qualche
minuto dopo, Marco era su di lei. Le accarezzava i capelli, lei
sembrava
imbarazzata, ma non era impaurita.
- Comincia.-
gli disse. Marco la baciò e poi entrò. Al piccolo
dolore si sostituì un grande
piacere, che non aveva niente a che fare con quelle stupide seghe che
si era
fatto fino a quel momento. Non voleva parlare, anche perché
parlando avrebbe
rovinato tutto; gli bastava ansimare e ascoltare i lamenti di piacere
di Lisa.
Ora niente
aveva più importanza; suo padre, sua madre, la scuola, la
fottutissima vita che
faceva, niente aveva più interesse adesso, perché
lui, Marco, stava per
diventare un uomo, un vero uomo. La cosa che più gli
interessava ora, era
diventare uomo, era Lisa, era che il preservativo l'aveva messo, quindi
non
c'era pericolo, era tutto questo e molto altro ancora.
Marco
raggiunse L'orgasmo: stavolta però non c'era la sua mano a
ricevere il suo
sperma, ma c'era una sottile, sottilissima pellicola che separava il
piccolo
Marco dalla piccola Lisa. E basta, solo questo era importante.
Qualche giorno dopo il padre di Marco tornò a
casa, per prendere la sua roba. Sua madre era al lavoro,
proprio per questo
suo padre era passato in quel momento. Parlarono di tante cose, ma
Marco non
gli disse che aveva fatto sesso, perché questi non erano
affari suoi. Parlando
con lui, provava quasi vergogna di essere anche lui un uomo e non volle
considerare neanche lontanamente l'ipotesi che potesse tradire Lisa.
No, per
niente al mondo sarebbe successo.
- Beh, io
ho finito. - disse suo padre - ho preso tutto. - erano in piedi,
davanti alla
porta di ingresso. Marco si limitò ad annuire
- Magari un giorno di
questi ti vengo a trovare, ce ne andiamo in
giro. - ancora, Marco annuì
- Ce l'hai ancora con
me, vero? - Marco non rispose, ma distolse
lo sguardo - Beh, non mi rende felice questa cosa, ma forse
sarà meglio che non
mi faccia vedere per un pò. Se hai voglia di telefonarmi,
fallo, ce l'hai il
numero, vero? - Marco annuì.
- Beh, allora ci
vediamo. - L'uomo aprì la porta e uscì.
- Ciao, papa. - disse
Marco, poi chiuse la porta.
Quando non
sentì più i passi di suo padre per le scale,
Marco si
abbandonò ad un pianto, triste. Perché era
triste, sì, non era come i suoi
amici che facevano di tutto per sembrare super-eroi. Marco era un uomo,
solo un
uomo, sì. E niente più.