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Autore: Lue    18/04/2013    3 recensioni
Lei sapeva. Per questo le labbra rosse formavano una linea dritta stretta e le sue mani anche strette così intorno alla pelliccia nascondevano il tremore delle sue ossa. Camminò sui tacchi neri incurante della pioggia e degli sguardi degli uomini. Raggiunse un taxi e vi salì senza esitazione. Si fece portare a Heathrow e si concesse una lacrima mentre la pioggia punteggiava Londra fuori dal finestrino. Non tornò mai più.
Genere: Angst, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Irene Adler, John Watson , Lestrade , Mycroft Holmes , Sig.ra Hudson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il peso dell'acqua
 
"Forse era il peso, nei panni,
dell'acqua dei miei anni"
(Giorgio Caproni)



Piovve, quell'autunno. Grandi gocce picchiettarono sulle finestre del 221b, ogni ora del giorno, scivolarono come piccoli rivoli sulle pareti di mattone e arrugginirono la nuova insegna luminosa di Speedy's, spegnendone il neon verde, appena cambiato. La pioggia scrosciò per settimane e mesi, come secchi d'acqua rovesciati sul mondo da una mano instancabile, e fu inghiottita dai tombini per le strade, e i tavolini e le sedie dei bar li portò via dai marciapiedi, così che Londra tutta sembrava il letto di un fiume. Piovve così tanto, quell'autunno, che gli ombrelli dei bambini si ingobbivano sotto il peso dell'acqua, e ormai gli abitanti della città avevano rinunciato a proteggersi, e rincorrevano fradici dalla testa ai piedi rossi autobus pieni, e i tergicristalli sbattevano furiosi sui vetri bagnati dei taxi. Cominciò a piovere un martedì mattina, verso le dieci, mentre per le strade non c'era quasi nessuno. La pioggia cominciò a scendere a gocce talmente piccole che quasi non si potevano vedere, ma bagnò comunque i tettucci delle automobili e i balconi delle case, finchè non cominciò a cadere più veloce e fitta, mischiandosi al sangue di chi era morto suicida quel mattino e infilandosi nella giacca dell'uomo che lo aveva visto cadere.
Era un uomo anonimo, nessuno badò alla sua triste figura ingobbita, accucciata sugli scalini di un palazzo, nessuno notò i suoi grandi occhi chiari sconvolti, puntati in alto, verso il tetto dell'ospedale, grigio come il cielo grigio, e come le nuvole minacciose gravide di pioggia, e nessuno poi – come avrebbe potuto, un londinese, in una mattina di pioggia – si accorse del lamento leggero che usciva dalle sue labbra come una bolla di sapone.
"Oh no, no, no, oh Dio mio, no, no...".
No, nessuno se ne preoccupò. Continuarono tutti a camminare, sperando che le loro scarpe non finissero per sbaglio in una pozzanghera, chiedendosi per un attimo da dove venisse quel sangue in terra, che immagine cruda, ma lasciandosi poi distrarre da un semaforo, una bella donna avvolta in una pelliccia. Lei sapeva. Per questo le labbra rosse formavano una linea dritta stretta e le sue mani anche strette così intorno alla pelliccia nascondevano il tremore delle sue ossa. Camminò sui tacchi neri incurante della pioggia e degli sguardi degli uomini. Raggiunse un taxi e vi salì senza esitazione. Si fece portare a Heathrow e si concesse una lacrima mentre la pioggia punteggiava Londra fuori dal finestrino. Non tornò mai più.
Un taxi sfrecciò vicino a una vecchia signora senza giacca. Lei urlò, la sua messa in piega cominciò a disfarsi sotto la pioggia mentre fermava i passanti piangendo. Ma nessuno sapeva nulla. Le proprietarie indiane di un supermarket la videro maneggiare disperata con un cellulare, aggrapparvisi con tutte e due le mani mentre lo premeva contro l'orecchio, e poi lasciar ricadere le braccia inermi lungo il corpo e guardarsi intorno, spaesata. Le due donne si lanciarono uno sguardo e la andarono a prendere, se la portarono in negozio e la fecero sedere, spettinata, bagnata e infreddolita, tra le mani il telefono come se la sua vita ne dipendesse, tra le labbra parole sconnesse.
"No lui, no, non è, no, non può, io... no, non, non è... no...".
Il telefono squillò, lei non rispose.
In una stazione di polizia un uomo sbattè giù la cornetta. Non gli permettevano di andare. Lui sollevò lentamente la tazza di ceramica sulla scrivania, e ne rovesciò il contenuto per terra. Gocce di caffè grigiastro gli schizzarono sui mocassini e sui pantaloni beige. Fissò per qualche secondo ancora la tazza tra le sue mani, mentre il ticchettio della pioggia non riusciva a coprire il chiacchiericcio di sottofondo degli altri fuori dalla stanza. La fece cadere in terra. Il rumore dei cocci infranti coprì per un istante quello dei suoi pensieri.
In una stanza silenziosa, non troppo lontano, dopo la telefonata breve e neutra della sua segretaria, un uomo in un istante si accorse – così come una mattina s'era accorto di avere le rughe, di essere ingrassato, invecchiato, di aver letto ormai tutti i libri della sua biblioteca – di avere perso l'ultimo brandello della sua famiglia.
Fuori la pioggia continuava a cadere.
   
 
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