LUTTO NEL MONDO DEL TANGO: MUORE ANTHONY MASEN.
Sì
è spento nella sua casa, circondato dai suoi cari, il
più grande tanguero di tutti i tempi. Aveva ottantadue anni.
Domani i funerali
nella chiesa madre di Buenos Aires.
Nato
a Montevideo, in Uruguay,
nel 1925, Anthony Masen è stato un idolo negli anni
Cinquanta portando la passione
del suo ballo da Parigi a New York. Fin da piccolo aveva dimostrato una
notevole passione per il ballo, ma è stato solo
nell’adolescenza che Masen si è
lasciato travolgere dalla sensualità di quelle note
argentine, riuscendo in
breve tempo a diventare un ballerino professionista in grado di
interpretare al
meglio ogni coreografia, con un pathos che andava oltre la semplice
esecuzione
dei passi: era come se Masen vivesse ogni singola coreografia e
melodia,
facendole proprie, diventando egli stesso un personaggio centrale in
quella
danza di sentimenti. Era andato a vivere in Argentina in età
matura per
insegnare danza a una serie infinita di allievi, tra i quali anche il
famoso Edward
Cullen.
Maria
non
riuscì a leggere oltre, le lacrime le offuscavano la viste e
i singhiozzi le
scuotevano le spalle, neanche fosse una quindicenne che era stata
lasciata dal
suo primo fidanzatino.
“ Nonna,
stai male? Che ti succede? ” Ad Isabella venne un colpo
quando vide la nonna in
quelle condizioni.
“ No,
tranquilla bambina mia. ” La rassicurò la donna,
cercando di riprendere il
contegno che le si addiceva alla sua età.
“ E allora
che succede? ” Insisté la nipote, e
l’anziana le passò il giornale, indicandole
l’articolo che l’aveva tanto sconvolta.
“ E poi dici
a me di non urlare quando vedo il mio idolo in tv? Non ti sembra un
po’ troppo
piangere per un vecchio che muore? ” La prese in giro
bonariamente Isabella.
“ Lui è
stato l’amore più grande della mia vita. Ero
più giovane di lui di qualche anno
e persi completamente la testa per lui; Anthony ricambiò da
subito il mio amore
e non mi importava che fosse sposato e avesse dei figli, che io ero l’altra, quella che aveva
torto, il
nostro amore era qualcosa di troppo forte per non essere vissuto.
”
“ Davvero
nonna? ” La ragazza rimase a bocca aperta, non credendo alle
proprie orecchie:
la nonna era stata l’amante di una delle persone
più famose di Buenos Aires.
“ Già, quando
ci incontravamo non eravamo lui il mio maestro di tango e io la sua
allieva,
eravamo semplicemente Maria e Anthony, due ragazzi che volevano
semplicemente
amarsi. ”
“ E poi? ”
“ E poi,
come spesso accade, la vita ha avuto altri piani per noi. Ma non
l’ho mai
dimenticato, l’ho sempre amato in cuor mio, e credo che anche
tuo nonno se ne
fosse accorto. ” Maria si asciugò
un’ultima lacrima, ritirandosi poi in camera
sua, a piangere da sola l’amore più grande della
sua vita.
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5 anni dopo
Ai
nuovi
allievi che affrontavano la pista, i vecchi insegnanti spiegavano:
“ Il tango è
un pensiero triste che si balla ”.
Dicevamo
tutti così tranne don Edward Cullen: lui, a differenza degli
altri,
interpretava ogni canzone, anche la più malinconica, con il
sorriso sulle
labbra e un’irrefrenabile allegria. A 35 anni era considerato
il miglior
ballerino di tango del mondo, vincitore per tre volte di seguito del
Festival
Mondiale di Buenos Aires. Tornava in Argentina solo per
quell’evento, mentre il
resto dell’anno lo passava in viaggio tra USA, America Latina
e Europa per
esibirsi nei teatri e nelle milonghe, i locali dedicati esclusivamente
al
tango.
Teneva
centinaia di corsi per insegnare la sua arte e nell’ambiente
era chiamato “ il
mago ” non solo per le magie che eseguiva in pista con la sua
partner, Gisela
Herrera, ma perché era diventato un mito in pochissimi anni.
Sino al 2009 era
uno dei tanti, poi era esploso e chi lo aveva conosciuto prima del
successo
ancora non riusciva a spiegarsi come fosse riuscito a trasformarsi in
un
danzatore eccezionale in così poco tempo. Solo uno dotato di
poteri magici,
appunto, ce l’avrebbe fatta.
Ora Edward
era a Buenos Aires per difendere il titolo conquistato l’anno
precedente: le
eliminatorie erano state una semplice passeggiata; la semifinale,
appena
conclusa con successo, un impegno minimo.
“ Hai visto
le mie scarpe? Erano qui e non ci sono più. ”
Disse Edward a Gisela nel
camerino allestito nel grande auditorium dove si svolgevano le gare.
“ Erano lì ”
Rispose la ragazza indicando l’angolo del camerino dove
avevano appoggiato i
trolley con gli abiti da esibizione.
“ Lo so che
erano lì, ma non ci sono più. Le hai spostate tu?
” Il suo tono di voce che
andava diventando sempre più irritato.
“ Non le
tocco mai, lo so quanto sei geloso di quelle due pantofole
sgangherate… ” Lo
canzonò Gisela, non riuscendo a capacitarsi del
perché il suo partner si
ostinasse ad indossare delle scarpe sfondate; Edward aveva decine di
paia di
scarpe da ballo ma quando gareggiava indossava sempre e solo quelle:
erano
bicolore, rosse con la punta nera, vecchissime, piene di graffi e
macchiate.
“ Aiutami,
maledizione! Non startene lì impalata. ”
Sbottò il ballerino sempre più agitato,
iniziando a perdere la pazienza.
“ Calmati,
che ti succede? ” Gisela si era resa conto che Edward,
pallidissimo, ansimava e
sudava. “ Che hai, stai male? ”
“ Sì, tu non
capisci… ” Ansimò il ragazzo,
portandosi una mano sul petto e cercando di fare
dei profondi respiri per tenere sotto controllo l’attacco di
ansia che gli
stava montando dentro.
“ Stenditi e
fai dei lunghi respiri. ” Consigliò la donna e
toccò la fronte del ballerino
bagnata e fredda come il ghiaccio. “ Chiamo un medico.
”
Ma lui
sapeva che non sarebbe andata così: domani sarebbe stato
ancora peggio, perché
il peggio doveva ancora venire. Senza quelle scarpe… Come
poteva stare calmo se
la sua mente non faceva altro che fargli immaginare tutti i disastri a
cui
sarebbe andato incontro?
“ Le hanno
rubate mentre eravamo al bar, non c’è altra
spiegazione. ” Disse alla partner.
“ Rubate? E
che se ne fanno? Le possono solo buttare nella spazzatura. ”
Gisela parlò senza
fare caso alle sue parole, ma quando si accorse dell’occhiata
furiosa e allo
stesso tempo disperata di Edward, si rammaricò di non
essersi morsa la lingua.
“ Sei pazza?
Sono le mie scarpe, le mie, hai capito?! ” Sbottò
l’uomo fuori di sé, facendole
seriamente paura.
“ Sei tu che
stai impazzendo. Forse qualcuno ti ha voluto fare uno scherzo, tutto
qui.
Magari domani te le fanno ritrovare. Andiamo, io ho sonno. ”
Mentre Edward
e Gisela uscivano dal retro dell’auditorium, una ragazza
nascosta nell’oscurità
li stava osservando. Loro presero un taxi, lei li seguì con
un altro.
Gisela
andò
nella sua stanza d’albergo dopo aver dato la buonanotte al
ballerino: era
ancora agitatissimo ma non ansimava più e la pressione era
salita, quindi forse
la ragione gli stava tornando.
Edward si
buttò sul letto, distrutto, e mille pensieri negativi gli
vorticarono nella
mente. Per la prima volta, da tanti anni a questa parte, aveva perso il
sorriso
e la voglia di scherzare.
Squillò il
telefono, era la reception: “ Signor Cullen,
c’è una signorina che chiede di
lei. ”
“ Che vuole,
stavo già dormendo. ” Rispose annoiato, pensando
che fosse una delle sue fan
che era riuscito a scoprire in quale albero stava alloggiando e adesso
voleva
solo una foto e un autografo da sbandierare ai quattro venti.
“ Dice che
ha qualcosa da farle vedere, un paio di scarpe. ” La risposta
del receptionista
lo svegliò da quello stato di torpore in cui era caduto dopo
aver scoperto il
furto.
“ La faccia
salire. E subito! ”
Edward
aspettò la ragazza sulla soglia della porta e non appena la
ragazza fece
capolino dalle porte dell’ascensore, richiamò la
sua attenzione.
“ Mi chiamo Isabella.
” Si presentò la ragazza consegnando al maestro
una scatola di cartone. Lui la
prese con mano tremanti e l’aprì subito
e… non c’erano le sue scarpe bicolore,
ma una busta ingiallita dal tempo.
“ Che
significa? E chi sei? ” Disse furioso.
“ Per
favore, legga la lettera. ” Sussurrò la ragazza
timidamente.
Edward prese
la lettera e porse nuovamente la scatola ad Isabella per poterla
aprire: non
riconosceva quella grafia sottile e sbilenca, ma riuscì
comunque a leggerla:
<
Cara
Maria, non possiamo più vederci. Mia
moglie ha scoperto tutto e ha minacciato di andarsene con i nostri due
bambini.
Perdonami,, ti ho amato come non avevo mai amato
nessun’altra. Anthony. >
Dopo
aver
letto la firma Edward ricominciò a sudare freddo e
barcollando si appoggiò alla
cassettiera.
“ Maria era
mia nonna, è morta sei mesi fa. ”
Spiegò la ragazza. “ Prima di andarsene mi ha
raccontato di essere stata l’amante di Anthony e di non
averlo mai dimenticato.
Nelle ultime notti, ormai allo stremo, lo sognava spesso e lui le
diceva: ‘
Trova le scarpe… le scarpe. ‘ Io le ho cercate per
mesi e finalmente le ho
trovate. Ce le aveva lei. ”
“ Che cosa
c’entro io con tua nonna e il suo amante? ”
Sbottò Edward cercando di
riprendere il controllo.
“ Non faccia
il furbo. Lei sa benissimo chi è Anthony. Vuole dirmi la
verità? ” Lo provocò
Isabella, sfidandolo con lo sguardo.
“ Non c’è
nessuna verità da raccontare, ma insomma che cosa vuoi? Devi
ridarmi le scarpe,
subito. Altrimenti io… ” Ma non riuscì
a finire la frase, perché sapeva che non
c’erano minacce da fare.
“ Vuole
denunciarmi? Faccia pure, così dovrà poi parlare
con la polizia e… con i
giornali. Questo è il mio numero di telefono, mi chiami se
cambia idea. ” E se
ne andò, lasciando il ballerino sconcertato.
La ragazza
aveva ragione, lui sapeva benissimo chi era l’autore della
lettera: Anthony
Masen, il più grande ballerino della storia del tango. Era
stato proprio don
Masen a farlo innamorare del tango, ad insegnarli la passione con cui
si
dovevano eseguire i passi, nonostante lui non fosse di certo il
più brillante
degli allievi. Quando Masen era morto nel 2009, per Edward era stato un
duro
colpo, era affezionato a lui come ad un nonno, ed era stato tra i primi
a
partecipare alla veglia funebre in casa del maestro. E mentre i parenti
pregavano, lui aveva salito di nascosto le scale e si era intrufolato
nella
camera da letto del maestro per prendere un ricordo del suo idolo:
stava
cercando qualcosa di piccolo, che potesse portare sempre con se come
una specie
di talismano, ma poi il suo sguardo era stato attirato
dall’anta di un armadio lasciata
aperta e lì aveva trovato le vecchie scarpe rosse con la
punta nera.
Da quel
giorno la sua vita era cambiata.
Il
mattino
dopo Edward, che aveva avuto un sonno agitato e pieno di incubi, si
alzò ancora
più sconvolto e teso. Passò la giornata
riprovando con Gisela la coreografia
che avrebbero presentato la sera successiva, alla finale, e
litigò con lei tutto
il tempo.
“ Oggi sei
insopportabile, che cos’hai? ” Urlò
Gisela dopo aver perso la pazienza.
“ Non ho lei
mie scarpe, come posso…. ” Fu la sua
giustificazione, ma la donna non lo lasciò
finire, credendo pazzo un uomo che si comportava così solo
perché non trovava
più le sue scarpe.
“ Basta con
questa storia. Devi concentrarti, domani non possiamo sbagliare nulla.
” Lo
apostrofò, lasciandolo poi solo nella sua disperazione.
Si alzò e
dalla tensione ebbe un leggero giramento di testa: aveva le gambe dure
e rigide
come due tronchi di quercia, ma non poteva tirarsi indietro. Gisela si
accorse
subito che qualcosa non andava, sembrava essere un robot dal modo in
cui
camminava per raggiungere la pista, e gli altri se ne resero conto
appena dopo,
quando il grande ballerino danzò come se fosse un
principiante, sbagliando i
passi più semplici e perdendo spesso il tempo. Il finale fu
tragico: perse
l’equilibrio e trascinò Gisela a terra, scatenando
risate di scherno da una
parte e un chiacchiericcio alquanto velenoso dall’altra.
Il
mattino
dopo i quotidiani di Buenos Aires massacrarono Cullen con titoli come:
< Edward:
la caduta di Dio > e < Cullen, il tango più
triste >. I giornali scandalistici
ipotizzarono che il ballerino fosse gravemente malato o, peggio ancora,
sotto
l’effetto di sostanze stupefacenti.
Chiuso nella
sua camera d’albergo, Edward aveva spento il cellulare per
non rispondere ai
giornalisti e pensava seriamente di fare le valigie e scappare il
più lontano
possibile: senza le vecchie scarpe di Anthony non sarebbe mai riuscito
a
ballare, e non poteva perdere la faccia più di quanto
già non avesse fatto. Poi
si ricordò di quella ragazza, Isabella, e cercò
come un disperato il
bigliettino con il numero di telefono che aveva lasciato
chissà dove; quando lo
trovò quasi urlò per la felicità.
Digitò
velocemente il numero, sbagliandolo due volte tanto era nervoso, e
quando partì
la chiamata, incorciò le dita sperando che lei rispondesse;
il suo cuore
batteva in sintonia con gli squilli del telefono e quando al decimo
“ Tuu ”
senza risposta stava per cedere, finalmente sentì il click
che la chiamata era
stata presa.
“ Pronto? ”
“ Sono Edward,
possiamo incontrarci? ” Chiese a Isabella senza inutili giri
di parole. Lei
rimase in silenzio per un attimo, ripensando chi fosse questo
fantomatico
Edward, ma poi le venne subito in mente che era il ballerino che
rivoleva le
sue scarpe.
“ Sì, ma
solo se sei pronto a dirmi la verità. ”
“ Dove ci
vediamo? ” Edward era disposto a tutto per riavere le scarpe
prima della
serata.
“ Al bar
dell’auditorium, tra un’ora, siediti in un tavolino
appartato. ”
Lei si
accomodò salutandolo con un cenno della testa e non perse
tempo. “ Racconta. ”
Lo apostrofò.
Edward prese
un profondo respiro e poi iniziò a parlare: “ Le
scarpe che mi hai rubato sono
quelle di Anthony Masen, ma questo lo sapevi già. Le ho
prese a casa sua:
dovevano essere solo un ricordo, invece quando sono tornato a casa ho
visto che
erano della mia stessa misura, il 43, e mi è sembrato strano
che un uomo
piccolino potesse avere un numero così grande, e allora le
ho calzate, così
tanto per provare. Non ci volevo credere: i miei piedi hanno cominciato
a
muoversi da soli, tirandosi dietro le gambe, il bacino, le braccia e
tutto il
resto. Non ballavo semplicemente come il grande Anthony, ero lui in persona, sentivo la sua
passione per il tango
scorrere nelle mie
vene, riuscivo a fare
passi difficilissimi e spettacolari, a interpretare la melodia delle
canzoni
come non mi era mai riuscito prima. Ecco il mio segreto. Ma non ho
ancora capito
che cosa vuoi tu. Soldi? Sono disposto a pagare. ”
“ Il denaro
non mi interessa, voglio solo ballare con te. ”
“ Tutto qui?
” Chiese Edward.
“ Forse non
hai capito: dobbiamo ballare insieme durante il Gran Galà di
chiusura del
festival. ” Lo guardò dritto negli occhi Isabella,
assicurandosi così che non
pensasse che lei stesse scherzando.
“ Stai
scherzando? Il pubblico aspetta me e Gisela, tu sei una sconosciuta.
”
“ Vuoi o no
le tue scarpe? ” Lo ricattò lei.
“ Certo,
senza non potrei mai vincere la finale. ”
“ E allora
promettimi che ballerai con me tutta la notte. ”
“ Sei pazza
e io sono più pazzo di te. Va bene, promesso. ”
Isabella
sorrise felice, mordendosi il labbro inferiore, e Edward, senza sapere
neppure
bene il perché, ricambiò quel sorriso.
Aspettava
l’arrivo di Isabella, in parte perché non voleva
venire meno alla sua promessa,
e in parte perché era desideroso di ballare con lei, sentiva
una strana
emozione quando ripensava a lei; e poi la vide: avanzava tra la folla
con un
abito nero che le lasciava scoperte le spalle e un fiore bianco tra i
capelli.
“ Io sono
pronta. ” disse Isabella, quando lo raggiunse.
“ Da quanto
tempo balli il tango? ” Chiese Edward.
“ Io? Non
l’ho mai ballato. ”
“ Allora sei
proprio pazza. ” Sorrise lui, scuotendo la testa come se
ancora facesse fatica
a credere a quello che stava per fare.
“ No, perché
ho queste. ” Disse la ragazza estraendo dalla borsetta un
paio di vecchissime
scarpette da ballo bianche, graffiate e macchiate. “ Erano di
mia nonna. ” E
non ci fu bisogno di aggiungere altro: sarebbe andato tutto bene, lo
sapevano
entrambi.
Edward l’accompagnò
in pista.
Quando le
loro mani si toccarono, un brivido percorse la schiena di entrambi e un
alito
caldo soffiò sui loro visi. Sulle note di “
Libertango ” di Astor Piazzolla,
partirono all’unisono come se avessero ballato insieme per
tutta la vita, con i
piedi che sembravano volare nelle vecchie scarpe.
In quel
momento Edward e Isabella non esistevano più.
“ Maria,
perdonami ancora, ti amerò per sempre. ”
Sussurrò lui appoggiando le labbra su
quelle di lei.
“ Sei
perdonato Anthony, amore mio. ”