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Autore: millyray    21/04/2013    3 recensioni
Per chi odia le morti ingiuste anche se eroiche dove a sopravvivere sono i malvagi, perché le eccezioni esistono, esistono sempre. Per chi ama il trionfo degli amori, gli amori veri, quelli un po' platonici e un po' terreni, a volte anche scontati. Per chi odia i misteri e i segreti che si celano dietro gli occhi di qualcuno, ma ama l'aria tormentata che essi hanno.
Be', credo che siate nel posto giusto.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO DUE – CHIARIMENTI MANCATI

Fra di noi c’è bisogno d’armonia
poi diventa facile aiutarsi a vivere.
(Quanto amore sei, E. Ramazzotti)

Si potevano dire molte cose del Capitano Jack Harkness. Si poteva dire con assoluta certezza che era un uomo molto avvenente, coraggioso, astuto, intelligente. Si poteva dire che fosse anche piuttosto audace, a volte troppo impulsivo, agiva prima di pensare alle conseguenze anche se poi raramente capitava che si sbagliasse e si poteva pure dire che era vanitoso, orgoglioso, pieno di sé e delle volte persino fottutamente bastardo.
Sì, Jack era tante cose, a volte si faceva persino fatica a capirlo. Dopotutto vari secoli di esistenza dovevano averlo segnato profondamente.

Ma mai, mai qualcuno avrebbe potuto dire che fosse una persona contradditoria.
E invece, ora, Ianto Jones si trovò costretto ad ammettere che forse la personalità di Jack non era poi così del tutto chiara e prevedibile, come aveva fino ad ora pensato.
   Probabilmente lui era l’unico del gruppo ad averlo conosciuto veramente nel profondo e non perché un po’ di tempo fa aveva scartavetrato i suoi file per scoprire qualcosa della sua vita e nemmeno perché aveva letto il suo diario.
   Semplicemente le situazioni, intime e non, che avevano condiviso insieme gli avevano permesso di conoscere e saper interpretare tutte le sue espressioni facciali, le sue smorfie, i suoi tic e i movimenti del suF corpo. fin troppe volte lo aveva guardato in quei suoi occhi chiari, così stanchi, così vecchi… come portatori di un pesante fardello.
   Ok, magari ciò era dovuto anche al suo elevato spirito d’osservazione, ma Ianto sentiva di avere tutto il diritto di vantarsi di conoscerlo bene, persino più di Gwen.

Erano passate ben due settimane dall’episodio dell’uomo-gatto, due settimane da quando lui era stato ferito rischiando la morte e, soprattutto, due settimane da quando Jack gli aveva sussurrato quel “ti amo”. Quel “ti amo” che ormai sembrava essersi dissolto nel vento e portato via dall’altra parte del mondo. O dell’universo. Con Jack non si poteva mai sapere.
   Jack aveva fatto di tutto per negarlo, per negare di aver detto quelle due fantomatiche parole, per negare l’evidenza. E negare l’evidenza era qualcosa di letteralmente impossibile, forse solo Dio poteva riuscirci. Dio e Jack Harkness, ovviamente.
   D’altronde Jack Harkness era Jack Harkness, se voleva qualcosa trovava sempre un modo per ottenerlo.

Ma questa volta Ianto non gliel’avrebbe data vinta.
Non gli importava se il Capitano avesse cercato di farglielo capire in tutti i modi, che quelle parole lui non le aveva mai dette, che probabilmente se le era solo sognate o immaginate perché la febbre lo stava facendo delirare. E non sembrava intenzionato a cedere. Come un bambino colto con le mani sporche di Nutella che continua a negare di sapere come sia potuto succedere.
   Però pure Ianto sapeva essere più cocciuto di un mulo, quando voleva, e questo Jack ancora non lo sapeva, non conosceva tutte le armi che avrebbe potuto utilizzare. Perché certo, lui poteva anche comportarsi da bravo e docile cagnolino ammaestrato che non apre bocca se non gli viene chiesto, ma quando si trattava di qualcosa a cui teneva, non aveva intenzione di starsene a subire, proprio per niente. Non lo aveva fatto con Lisa e non lo avrebbe fatto nemmeno ora.
Però, doveva ammettere, che sarebbe stata dura, soprattutto perché ora, a confermare che quello che si sbagliava non era lui, Jack aveva preso ad evitarlo, a non rivolgergli più la parola a meno che non fosse strettamente necessario. La sera era sempre l’ultimo ad andarsene e, se Ianto cercava di trattenersi, lui lo congedava in modo gentile ma freddo. E, cosa forse meno importante ma comunque evidente, non avevano nemmeno più fatto sesso.
Magari per il Capitano questo non era un grosso problema: gli bastava mostrare quel suo sorriso sghembo da bastardo latin-lover, lanciare uno dei suoi sguardi maliziosi con i suoi penetranti occhi grigi e chiunque sarebbe cascato ai suoi piedi, donne, uomini, gay, etero e confusi.
Ma per il gallese non era così, invece, per lui era difficile il doppio. Già solo per il fatto di fare sesso con un uomo lo metteva parecchio in confusione, sballando tutto il suo equilibrio fisico, emotivo e psicologico, tanto che dopo la loro prima volta ci aveva messo parecchio a digerire la cosa, temendo di dover ricorrere addirittura a uno strizzacervelli, ma sentirsi pure in astinenza, lui, che comunque al sesso non aveva mai dato molta importanza, be’, lo sconvolgeva.

E poi… e poi, non c’era solo questo. Non era solo per dimostrare di avere ragione e di essere più astuto di Jack e non si trattava nemmeno di un semplice bisogno fisico. C’era molto di più, qualcosa di molto più profondo, qualcosa che nemmeno lui era in grado di capire e che gli sconvolgeva le viscere ogni volta che lo guardava, che lo pensava, che gli stava vicino. Ed era sicuro che se Jack gli avesse detto “ti amo” guardandolo negli occhi gli sarebbe stato tutto più chiaro.

 

Rhys era sempre il solito, sospirò Gwen finendo di bere la sua tazza di caffè bollente. Stava osservando il suo ragazzo mentre mangiava i cereali affogati nel latte e, come un bambino che aveva appena imparato a usare il cucchiaio, si era sbrodolato tutto il mento. Be’, era ovvio, dopotutto era difficile mangiare senza smettere di parlare, come stava facendo lui da un quarto d’ora abbondante. E, come al solito, Gwen lo guardava con attenzione, teneva le orecchie aperte, ma non lo sentiva. La sua mente era partita per chissà dove, lontana da quella cucina, quella casa, quel mondo. D’altronde c’era di molto meglio da fare, che starsene lì ad ascoltare le solite storie dell’amico Duff che combinava una delle sue solite cazzate che facevano ridere gli amici e annoiare lei, come pensare a che cosa sarebbe potuto succedere quel giorno a Torchwood, in quale altra strana e misteriosa creatura aliena o paranormale avrebbero potuto incappare.

“Gwen, ma mi stai ascoltando?”

Soltanto a quella domanda un po’ contrariata di Rhys, Gwen riuscì a tornare alla realtà, con un leggero capogiro dovuto alla brusca caduta della sua mente in quella che era ormai la sua noiosa quotidianità. Ecco perché le serviva Torchwood, per uscire da quella monotonia più stancante del suo lavoro. Non che fosse colpa di Rhys, anzi, lui era fantastico. Era lei il problema, lei e il suo bisogno quasi morboso di avere delle avventure, fin da quando era una bambina.

“Eh? Ah, sì sì!” si affrettò a rispondere dopo qualche secondo.

“E’ da mezz’ora che te ne stai lì immobile con la tazza in mano” le fece notare Rhys. Era tornato serio e si era pulito la bocca dei residui della colazione.

“Ehm…sì, ora devo andare al lavoro”.

“Il lavoro, sì”.

Gwen sembrò non sentire il suo ultimo commento piuttosto acido e si avvicinò al divano per prendere la giacca. Ma nel piegarsi, gli occhi le caddero sullo schermo della tv, dove stavano trasmettendo delle immagini al telegiornale che attirarono parecchio la sua attenzione. Alzò il volume col telecomando e si mise in ascolto, più attenta di quanto non lo fosse stata con Rhys.

“Un’altra rapina in banca, questa volta ad essere colpita è stata la International Bank of Wales” stava dicendo la voce del giornalista inviato. “La tecnica usata sembra essere la stessa delle altre tre rapine a mano armata accadute non molto tempo fa a Londra. Che i rapinatori siano gli stessi? Difficile dirlo, con i pesanti passamontagna che avevano addosso. Quel che è certo è che è un mistero come queste persone, appena giunta la polizia, riescano a scomparire in un batter d’occhio, come se si volatilizzassero. Non si capisce nemmeno se fuggano via in auto. Semplicemente, sembra che si volatilizzino. E naturalmente questo crea numeroso panico tra le persone”.

“Che c’è di interessante?” le chiese Rhys, avvicinandosi quatto quatto alle sue spalle.

Gwen sobbalzò alla sua voce. La notizia l’aveva totalmente catturata.

“Niente. Solo un’altra rapina in banca” rispose frettolosamente, indossando la giacca. Si girò verso il suo ragazzo per dargli un sonoro bacio sulle labbra. “Ci vediamo stasera. Non combinare guai” ridacchiò, prima di uscire dalla porta.

Aveva seguito le notizie delle rapine in banca, erano avvenute a poca distanza l’una dall’altra. La prima non l’aveva insospettita più di tanto, ma poi la seconda… insomma, rapinatori che si volatilizzano? Era strano… qualcosa le puzzava.
Forse era il momento che Torchwood entrasse in azione.

 

La ruota del Nucleo girò lateralmente con il solito rumore di ingranaggi, impossibile da non sentire, e Gwen fece la sua entrata nella basa salutando i suoi colleghi allegramente. Ma c’erano solo Tosh e Owen a ricambiare il saluto, la prima inchiodata sulla sua postazione davanti ai computer e il secondo a studiare un artefatto alieno nel suo mini laboratorio.

“Ciao, Gwen. Passata bene la notte?” le chiese la giapponese in tono cordiale, senza togliere gli occhi dai suoi macchinari.

“Splendidamente!” esclamò l’altra. “E voi?”

“Sicuramente non come la tua, a copulare tutta la notte con Rhys” la prese in giro Owen, lanciandole un’occhiata maliziosa. Gwen, per tutta risposta, gli fece una linguaccia e decise di cambiare argomento. “Avete sentito il telegiornale stamattina? E’ avvenuta un’altra rapina in banca, questa volta nel Galles. Pensate che possano c’entrare gli alieni?”

Il dottore, emettendo una specie di ringhio, sbatté il cacciavite con cui stava lavorando sul tavolo delle biopsie che, all’impatto con lo strumento, produsse un’agghiacciante rumore metallico che fece sobbalzare le due ragazze.

“Avanti, Gwen, sono solo rapine, cosa vuoi che c’entrino gli alieni?”

“Sì, ma ne sono avvenute tre a poca distanza l’una dall’altra e…”.

“Sono solo coincidenze”.

“E invece Gwen potrebbe avere ragione” la voce calma e pacata di Tosh interruppe il loro battibecco.

Gwen, a quella affermazione, lanciò un’occhiataccia a Owen che ricambiò con una scrollata di spalle, incrociando le braccia.

“Il computer ha captato dei segnali alieni in quella zone” continuò la giapponese. “Adesso è piuttosto debole, però è abbastanza chiaro. Dovremmo andare a controllare. Qualcuno chiami Jack”.

“Vado io!” esclamò Gwen, prima che qualcun altro potesse dire qualcosa.

Salì di corsa le scale di ferro e fece per avviarsi all’ufficio del Capitano quando, in un angolo proprio adiacente all’ufficio, notò un’ombra seduta per terra, con la schiena appoggiata al muro.

“Stai ammirando un bel panorama?” chiese, avvicinandosi.

Ianto, che non l’aveva minimamente sentita, troppo preso da quello che stava facendo, sobbalzò e voltò lo sguardo verso di lei.

“Gwen!” esclamò sorpreso. “Io… no, stavo solo…”.

“Ammirando il fondoschiena di Jack?” concluse lei per lui, guardandolo maliziosa ma divertita.

“Cosa?! No!” si affrettò a rispondere l’altro. Ma adesso era lui a comportarsi come il bambino colto con le mani sporche di cioccolato. Non poteva negare l’evidenza.

“Tranquillo, a me puoi dirlo” lo tranquillizzò Gwen, sedendosi accanto a lui a gambe incrociate. “E poi ha un bel fondoschiena” e anche lei puntò lo sguardo verso Jack che, attraverso la vetrata dell’ufficio, dava loro le spalle, chinato in avanti con le mani poggiate sulla scrivania di mogano, intento a leggere qualcosa. Indossava i soliti abiti eleganti con le bretelle, una camicia bianca e il cappotto appeso all’appendiabiti accanto all’armadio.

“Ma adesso abbiamo una missione da compiere” aggiunse Gwen, battendo una mano sul ginocchio di Ianto e alzandosi in piedi di scatto.

Entrò nell’ufficio del Capitano senza bussare, come al solito, spalancando la porta con un gesto rude. Se l’uomo si fosse spaventato sentendo quell’improvviso rumore non lo diede a vedere.

“Jack, Tosh ha trovato dei segnali alieni nella zona della banca. Dobbiamo andare” annunciò, senza altri convenevoli.

Jack si immobilizzò di fronte a lei con le braccia incrociate, guardandola di sbieco.

“Scusa, chi è il capo qui?”

Gwen sospirò rassegnata. “Tu”.

“Esatto e gli ordini li do io”.

La ragazza scrollò le spalle e attese che Jack si muovesse.

“Dobbiamo andare” aggiunse l’uomo e senza attendere risposta afferrò il suo cappotto e si precipitò fuori dalla stanza. Gwen sorrise tra sé e sé.

 

Ed ecco, gli sembrava di essere tornato come ai vecchi tempi, come quando era appena entrato a Torchwood III.
Jack lo aveva di nuovo lasciato in disparte. Soltanto che allora lo poteva capire, non si fidava ancora completamente e non lo conosceva bene. Ma adesso… ormai si era introdotto nel gruppo perfettamente, d’altronde lui non era nuovo a quelle cose. Che motivo c’era per lasciarlo alla base mentre loro andavano in spedizione, quando avrebbe potuto rendersi utile in missione?
Ah giusto, Jack lo evitava.

Ianto sospirò affranto riponendo un foglio di carta dentro ad una cartellina.
Così gli altri erano là fuori a divertirsi e a lui toccava stare lì a mettere in ordine le scartoffie. Oltretutto il Capitano l’aveva liquidato in un modo molto brutale e per niente carino. Se n’erano accorti anche gli altri.

No, iniziava a stancarsi. Doveva trovare un modo per risolvere quella faccenda al più presto.

 

La banca era vuota. I clienti e i dipendenti scossi erano stati fatti uscire e il luogo chiuso con del nastro giallo, segnalato come scena del crimine. Per fortuna non c’erano stati né morti né feriti, ma i rapinatori erano scomparsi nel nulla, dopo aver portato via tutto il denaro, e non c’era nessuna traccia che potesse condurre al loro rifugio. Nemmeno i segni di gomme di qualche ipotetica auto.

Gli agenti della polizia erano fuori insieme a qualche persona ancora un po’ sconvolta che aveva deciso di rimanere per poter aiutare nelle indagini. Ma non stavano procedendo granché bene.

Jack, Gwen, Tosh e Owen erano le uniche anime vive dentro la banca, a perlustrare ogni angolo per trovare qualche traccia. La giapponese, come al solito, guardava sul suo palmare e lo puntava in giro per captare qualche segnale.

“Qui indica che recentemente c’è stata dell’attività aliena, ma il segnale si sta indebolendo”, disse per informare anche i suoi compagni.

“Qualsiasi cosa ci fosse stata ormai è andata via”, concluse Owen, richiudendo il cassetto di una delle scrivanie.

Jack diede un’occhiata fuori, attraverso le persiane abbassate, ma non vide niente di sospetto, se non macchine della polizia e molte persone ancora sconvolte.

“Credete che questi rapinatori usino qualche marchingegno alieno per commettere i furti?” ipotizzò Gwen guardando gli altri.

“Può darsi. O magari i rapinatori sono alieni”, le diede manforte Toshiko.

“Che interesse avrebbero degli alieni a rapinare delle banche?” fece Owen con tono critico.

“Non… non lo so”.

“Ragazzi, andiamocene!” esclamò Jack ad un tratto. “Qui non c’è niente”.

“Sei sicuro?” gli chiese Gwen.

“Sì”, rispose senza esitare.

E quando il capo comandava non si poteva obiettare.

 

Nel Nucleo erano rimasti solo lei e Jack.
Gli altri erano usciti fuori a pranzo, il Capitano aveva dato loro il permesso, visto che non c’era molto da fare per il momento. Avevano invitato anche lei, ma aveva declinato. Preferiva passare un po’ di tempo con Rhys.

Prese la sua giacca di pelle e si avviò per uscire. L’occhio però le cadde sui vetri dell’ufficio di Jack, dove vide l’uomo seduto alla sua scrivania. Non stava facendo niente, sembrava incantato a fissare un punto davanti a sé, apparentemente senza vederlo, stravaccato sulla sua sedia, con i piedi sopra il tavolo.

Il suo pranzo con Rhys avrebbe dovuto aspettare ancora un po’, decise.

Salì di corsa i pochi gradini e piombò di nuovo nell’ufficio del Capitano. Questi, non appena vide la porta aprirsi, voltò la testa nella sua direzione, inarcando un sopracciglio.

“Non dovresti essere a casa?” le chiese senza particolare interesse.

“Ci andrò”, rispose Gwen. “Ma prima volevo chiederti una cosa”.

Jack abbassò i piedi e si mise seduto composto. Dall’espressione della ragazza sembrava essere una domanda seria. E lui detestava le domande serie, implicavano sempre troppa sincerità.

Gwen si avvicinò, prese una sedia da lì vicino e si sedette di fronte a Jack, solo la scrivania li separava.

“Cosa succede tra te e Ianto?”

 

Ianto trangugiò l’ultimo sorso della sua birra e guardò in direzione di Owen che ormai da dieci minuti stava giocando a biliardo con una bella bionda che aveva adocchiato nel locale dove erano venuti a mangiare, abbandonando i suoi amici da soli al tavolo.
Ridacchiò alla vista del ragazzo che civettava in modo del tutto sciallo e inapparente e anche con buoni risultati. La ragazza ne era attratta, anche se cercava di fare un po’ la dura, per non cedere come una ragazzetta qualsiasi.

“Ianto?” si sentì chiamare ad un tratto. Si voltò verso la voce che aveva parlato, trovando gli occhi scuri di Tosh puntati su di lui.

“Dimmi?”

“Posso chiederti che succede tra te e Jack?”

 

L’uomo si dipinse in faccia l’espressione più confusa che gli riuscì e, probabilmente qualcuno ci sarebbe anche cascato, ma non Gwen.

“Che intendi?”

“Mi sembra che vi stiate evitando. O meglio, che tu lo eviti”.

“Che cosa te lo fa credere?”

“Dai, Jack, non sono cieca”.

Jack sospirò debolmente. Ormai era inutile negare. E magari gli faceva bene parlarne, forse avrebbe potuto togliersi un peso dallo stomaco.  

“Se l’è presa per una cosa che è successa tra di noi”, rispose, voltando subito dopo lo sguardo dall’altra parte, per non guardare l’amica negli occhi.

“Che cosa?”

“Non sono affari tuoi”, berciò poi, ma naturalmente non poteva aspettarsi di spaventare una ragazza come Gwen con una semplice frase detta in tono duro.

Lei puntò i gomito sulla scrivania e poggiò il mento sulle mani.

“Resterò qui finché non me lo avrai detto”.

“Rhys non ne sarà contento”.

“Con Rhys me la vedrò io”.

Il Capitano mostrò il suo solito sorrisetto sghembo e si rassegnò a dover raccontare tutto.

 

“Che intendi?” chiese Ianto, non capendo.

“Mi sembra che da un po’ di tempo ti eviti”, spiegò l’amica.

“Allora non sono matto!” esclamò l’altro un po’ troppo a voce alta, facendo spalancare gli occhi a Tosh per la sorpresa. “Anche tu te ne sei accorta”.

“Ce ne siamo accorti tutti”.

“Sì, diciamo che il rapporto tra me e Jack si è un po’ raffreddato”, concluse infine il ragazzo, rimanendo sul vago.

“E come mai?” Toshiko sembrava veramente interessata, il che era un po’ strano visto che di solito non si interessava mai agli affari degli altri. Sicuramente erano stati Owen e Gwen a metterle la curiosità addosso, chissà quante chiacchiere si saranno fatti su loro due.

Ianto si guardò un attimo attorno per assicurarsi che nessuno li stesse ascoltando e si protese un po’ sul tavolino che lo separava dalla ragazza.

“Mi ha detto che mi ama”.

 

“E’ convinto che io gli abbia detto che lo amo”.

Gwen restò un attimo interdetta, ma poi si avviò di nuovo all’assalto. “Ed è vero?”

Jack abbassò gli occhi senza dire niente e la ragazza emise un verso di esultazione. “Lo sapevo!”

“Sapevi cosa?”

“Che fra voi due c’era molto di più del semplice sesso. Io e gli altri…”.

Il Capitano inarcò le sopracciglia. “Tu e… gli altri?”

“Certo. Mica crederai che lavoriamo senza spettegolare sul nostro capo”, spiegò in tono malizioso.

L’uomo ridacchiò e si lasciò andare contro lo schienale della sedia.

“E sentiamo un po’, che storie vi raccontate?”

“Non cambiare argomento”, lo redarguì lei tornando seria e guardandolo come una madre che sgrida il proprio figlio.

“Ianto che cosa ti ha risposto dopo?”

“Niente. E’ stato un incidente, la cosa non deve andare oltre”.

Gwen spalancò gli occhi. “E perché?”

Jack fece per aprire bocca ma si bloccò di colpo. Già, perché?

 

“E tu che gli hai risposto?” chiese Tosh, questa volta veramente curiosa.

“Niente. E’ successo quando stavo per morire. Lui era convinto che stessi dormendo e me lo ha sussurrato. Adesso però lo ha ritirato e sta cercando di convincermi che me lo sono solo immaginato o sognato” le spiegò Ianto, in vena di confidenze. Era la frase più lunga che la ragazza gli avesse sentito pronunciare, ma non ci fece molto caso.

“Scusa se te lo dico, ma non è che può… insomma, magari ha ragione lui. Che ne sai…”.

“No che non ha ragione lui!”, esclamò il ragazzo interrompendo bruscamente l’amica. “So quello che ho sentito, ma non capisco perché lui si ostini a negarlo”.

“Ma allora perché non glielo dici tu, che lo ami”.

“Perché voglio che me lo dica prima lui”.

 

“Perché è meglio così” rispose senza alcun timbro nella voce che facesse capire che cosa provava. Ma gli occhi tradivano sempre le emozioni della gente e quelli di Jack, se li si osservava bene, erano meglio di un libro aperto.

“Hai mai sentito parlare del carpe diem, Jack? Cogli l’attimo perché non ti si presenterà più”.

 

“Questo non mi sembra…”, iniziò Tosh ma l’amico la interruppe di nuovo.

“Scusa, perché ti interessi alla mia situazione sentimentale e non guardi un po’ di più alla tua?”

“Io non ho nessuna situazione sentimentale”.

“Io non direi”, non era tipico di Ianto giocare sporco, ma era stufo e il discorso stava prendendo una piega che non gli piaceva. Si voltò in direzione di Owen e della ragazza bionda che era con lui. “Sai, è carina quella tipa. Il tipo di ragazza che starebbe bene con Owen”.

Tosh abbassò lo sguardo e arrossì.

 

Forse questa volta avevano trovato una pista più fruttuosa, ma a quanto pareva si trovava ai confini del mondo.
Seguendo le indicazioni del navigatore si erano trovati a guidare in una strada fuori città, di campagna, dove c’erano sì e no quattro case costruite con un paio di assi attaccate alla bell’e meglio e la maggior parte disabitate. Era una strada piuttosto dissestata anche, piena di ghiaia e fango e più volte avevano beccato una buca, tanto che Gwen aveva quasi cacciato Jack fuori dall’auto per potersi mettere al volante lei. Forse era meglio avere un fuoristrada e non un Suv.
In poche parole, non era una zona che loro avevano mai frequentato.

Finalmente il navigatore segnò loro che erano arrivati a destinazione. Erano davanti a una casa, o meglio, una bettola fatta di pietre e qualche asse di legno, ma sembrava più resistente delle altre, quantomeno.

Tutti e cinque scesero dall’auto e si guardarono attorno. Questa volta Ianto non aveva accettato di venire escluso per i banali capricci di Jack e si era unito alla missione prima che il Capitano avesse avuto il tempo di protestare.

“Ma dove diavolo siamo?” chiese Owen, storcendo il naso.

“Spero non in un posto come quel villaggio con gli abitanti cannibali”, aggiunse Ianto, che aveva un ricordo molto preciso di quell’esperienza.

“Entriamo a controllare”, concluse Jack ed estrasse la pistola.

Anche gli altri lo imitarono e, prima di varcare la porta, fecero un giro di ricognizione attorno alla casa, sbirciando attraverso le finestre sporche e rotte per vedere se ci fosse qualcuno. Ma a quanto pareva era vuota.

Gwen aprì la porta con un calcio liberando l’accesso e, sempre con le pistole ben puntate per sorprendere eventuali abitanti, entrarono uno alla volta.

Appena varcata la soglia, si separarono e si diressero in varie direzioni, a controllare le varie stanze.

“Oh, mio Dio!” si sentì Owen esclamare. “Venite a vedere”.

I suoi compagni gli furono presto dietro le spalle e rimasero sorpresi da quello che videro: una stanza, quasi completamente vuota ad eccezione di un tavolino basso e un paio di sedie di legno. Quello che però li lasciò sconvolti era la quantità di denaro in contante sparso per tutta la stanza. Per terra c’erano valigette traboccanti sterline e non era possibile camminare senza calpestarle.

“Pensate che siano i soldi delle rapine?” chiese Gwen, camminando con cautela nella stanza.

“Probabile”, le rispose Ianto.

“Qualcuno dovrebbe controllare le altre stanze”, disse ad un tratto Jack.

“Ci andiamo io e Ianto”, si intromise Tosh guardando Ianto che le lanciò un’occhiata strana, ma la seguì senza protestare.

Quando i due ragazzi furono usciti, Owen si avvicinò ad un attaccapanni dietro la porta, dove erano appesi quelli che sembravano essere due lunghi mantelli di stoffa morbida e scura.

“Che cos’è?” chiese, prendendone in mano uno.

Gwen si avvicinò e lo toccò guardandolo affascinata. “Non lo so”.

“Guarda, faccio re Artù!” esclamò il ragazzo e, per fare lo stupido, girò il mantello per metterselo sulle spalle. Ma non appena questi gli si appoggiò sul corpo Gwen sgranò gli occhi e lo guardò come se gli fossero appena spuntate le antenne in testa. Be’, effettivamente una cosa simile era successa: tutta la parte dal collo in giù del suo corpo era scomparsa e la sua testa era rimasta a fluttuare in aria.
Anche Owen abbassò gli occhi e gridò un “Porca miseria!”
Il suo corpo c’era ancora perché se lo sentiva, il punto era che non si vedeva.

Uscì in corridoio e si guardò allo specchio.

“Forte! Sembra il mantello dell’invisibilità di Harry Potter”, era emozionato come un bambino.

“Hai visto un po’ troppo fantasy, Owen?” lo prese in giro Gwen, appoggiata allo stipite della porta.

“Be’, perché no? Una volta sono usciti dei circensi da un video”.

“Non pensavo fossi amante di quella saga”.

“Come non amarla? Johanne Kathleen Rowling è un mito”.

Prima che Gwen potesse aggiungere altro, però, sentirono dei rumori provenire dall’esterno: portiere che sbattevano e voci concitate che parlavano.
Owen fece la prima cosa che gli venne in mente e trasse a sé Gwen per nasconderla sotto il mantello. Poi si infilarono in uno sgabuzzino.

Dalla porta d’ingresso fecero la loro entrata due tizi, uno alto, barbuto, sulla quarantina e dall’aria per niente rassicurante e l’altro molto più giovane, piuttosto bello, dai lineamenti fini e delicati.

Entrarono nella stanza dove poco prima si trovavano anche Owen e Gwen. Jack aveva appena fatto in tempo a nascondersi dietro all’armadio e sperava con tutto il cuore di non essere trovato.

“Dovremmo mettere in ordine questo casino”, disse quello più giovane raccogliendo una mazzetta da terra.

“Lo faremo”, rispose l’altro, con una voce profonda e baritonale. Poi si guardò intorno e parve annusare l’aria come un cane. “Qui c’è stato qualcuno”, concluse.

Il ragazzo lo guardò preoccupato. “Che intendi?”

“Quello che ho appena detto. Qualcuno è appena stato qui”.

“Ma no, non è possibile”.

Il barbuto si avvicinò all’armadio e, senza che Jack se lo fosse minimamente aspettato, lo afferrò per un braccio e lo trascinò al centro della stanza.

“Sentivo io che c’era un brutto odore”, commentò acido.

Il più giovane, invece, se ne restò immobile a fissare lo sconosciuto con occhi vacui. Pareva terrorizzato.

“Non startene lì immobile!” gridò l’altro “e lega questo infiltrato”.

Nel frattempo la porta d’ingresso sbatté di nuovo e un altro uomo fece il suo ingresso. Aveva la testa completamente calva ed era vestito tutto di pelle.

“Chi cazzo è quello lì?!” esclamò, non appena vide il Capitano.

“Un infiltrato. E potrebbero essercene altri. Vai di sopra a controllare”.

Il pelato corse immediatamente fuori dalla stanza, mentre l’uomo giovane tentava di legare Jack su una sedia, ma gli tremavano parecchio le mani. Il Capitano se ne stava in silenzio, pregando mentalmente perché Toshiko e Ianto si fossero nascosti bene.

Poco dopo, però, il pelato fece ritorno con gli altri due membri di Torchwood che non avevano potuto opporre resistenza visto che stava puntando loro una pistola.

“Avevi ragione, Rod, qui ce ne sono altri due”.

L’uomo barbuto, che a quanto pareva si chiamava Rod, grugnì qualcosa e andò alla finestra.

Anche Tosh e Ianto vennero legati ben bene vicino a Jack.

“Chi diavolo siete voi tre?” berciò il primo uomo, spostandosi dalla finestra.

“I tre moschettieri?” fece Jack con espressione seria.

Ma parve che Rod trovò la battuta di pessimo gusto. Si scagliò contro Jack e gli tirò la testa all’indietro tirandolo per i capelli. Rimase a guardarlo con occhi inceneritori. Se avesse potuto uccidere con lo sguardo probabilmente Jack sarebbe già morto, risorto, poi morto di nuovo e risorto un’altra volta.

“Stammi a sentire, belloccio. Non sono in vena di battute, capito? Oggi ho i coglioni girati e credimi, potrei girarli anche a te solo per il gusto di sentirti urlare”.

“Che paura”, commentò Jack derisorio, non appena l’altro gli lasciò andare la testa. Rod, per tutta risposta, sputò per terra, vicino alla sua scarpa.

“Che ne facciamo di loro, Rod?” chiese il tizio pelato.

“Li ucciderei, ma dobbiamo aspettare il capo”.

Ianto si avvicinò lentamente a Jack. “Non so chi sia questo capo, ma dobbiamo trovare un modo per andarcene”, sussurrò al Capitano, il quale annuì.

“Dove sono Gwen e Owen?” chiese Tosh.

“Comunque!” esclamò di nuovo l’uomo barbuto. “Questo non significa che io non mi possa divertire un po’”.

Si avvicinò di nuovo a Jack e gli tirò un pugno in pieno viso facendogli sanguinare il naso. Jack emise un debole lamento e guardò l’altro con gli occhi lucidi, confuso. “Adesso ti farò alcune domande e tu mi risponderai sinceramente. Oppure ti farò soffrire talmente tanto che mi scongiurerai di ucciderti”.

Jack gli avrebbe riso in faccia se il naso non gli avesse fatto così male e se non avesse avuto paura di compromettere la situazione ancora di più.
Tante volte la gente lo aveva fatto soffrire fisicamente e per questo tante volte aveva sperato di ottenere la grazia, ma sembrava che il Tristo Mietitore non volesse concedergli quella possibilità.

“Allora ti servirà parecchia fantasia”, lo informò Jack guardandolo dritto negli occhi.

Rod ridacchiò minaccioso.
Poi, sotto lo sguardo fisso dell’altro, si avvicinò a Ianto, estrasse un coltello dalla cintura e gliela puntò contro la gola.

“A quanto pare ho toccato un tasto debole”, sibilò il tipo, notando gli occhi spalancati del Capitano. Ianto cercava di non tremare, ma era difficile con una lama di freddo acciaio puntata contro, pronta a tagliarti la testa.

Ma prima che qualcun altro potesse fare o dire altro, si sentirono delle assordanti sirene accompagnate da dei lampeggianti blu.

“Chi diavolo ha chiamato la polizia?” gridò l’uomo pelato uscendo in corridoio.

“Io!” esclamò Owen appena sbucato dallo sgabuzzino. Dietro di lui c’era Gwen che reggeva il mantello.

 

E anche per quel giorno era finita. Torchwood aveva fatto il suo dovere, portando la calma e la tranquillità nel Galles. E anche la giustizia.
A quanto pareva i rapinatori di banche erano proprio quei tre, o meglio quattro, tizi della casa in mezzo alla campagna. Per scomparire e non lasciare tracce usavano i mantelli dell’invisibilità i quali erano stati sequestrati da Torchwood e riposti con cura insieme a tanti altri oggetti alieni della loro collezione.

Jack stava per chiedere a Ianto di preparargli un caffè, ma quando si avvicinò alla postazione dove stava la macchina tanto adorata dal ragazzo, non lo trovò. Effettivamente era da un po’ che non lo vedeva.

“Jack!” lo chiamò Gwen. “Potresti uscire? Ianto ti vuole parlare”.

Il Capitano inarcò le sopracciglia nella sua direzione e la ragazza scrollò semplicemente le spalle per dirgli che lei non sapeva niente.

Alla fine uscì e cominciò a dirigersi verso il molo, pronto a spiegare a Ianto una volta per tutte che doveva smetterla di insistere.
Ma non appena lo raggiunse rimase scioccato da ciò che vide.

 

MILLYS’ SPACE

E la mia passione per Harry Potter si fa sentire anche qui ^^ effettivamente non vedrei male Owen che legge la saga della Rowling. Voi che dite??

Avrei voluto aggiornare il capitolo un po’ prima ma purtroppo mi è mancato il tempo. Ma meglio tardi che mai, no?

Allora, alcune piccole note: le vicende alle quali si riferiscono Ianto e Owen sono rispettivamente quelle che avvengono nella puntata sedici della prima stagione (Il villaggio degli orrori) e la dieci della seconda stagione (Intrappolati in un film). So benissimo che prima di questa puntata Owen doveva essere già morto e risorto ma da brava fan quale sono ho deciso di saltare quel pezzo e così l’Owen della mia storia è ancora vivo con tutti gli organi ben funzionanti ^^.  Sinceramente l’ho trovata una cosa un po’ di cattivo gusto, far succedere a Owen quello che gli è successo, ma sappiamo che al nostro Russel Davis piace far soffrire i suoi personaggi.
Per quanto riguarda la frase ad effetto che Gwen dice a Jack, “Carpe diem”, be’ penso che non abbia bisogno di spiegazioni. Comunque è un verso tratto da un’ode di Orazio, famosa anche per essere stata usata nel film “L’attimo fuggente” di Peter Weir.
E, ultima cosa: avrei voluto far chiarire le cose tra Jack e Ianto in questo capitolo, ma mi sarebbe venuto troppo lungo. E poi così vi lascio con un po’ di suspance ^^.

Bene, ora rispondo alle recensioni e vi saluto : )

Buona serata a tutti…

SWEETLADY98: sono mooooolto contenta che i capitoli precedenti ti siano piaciuti, spero di non averti deluso neanche stavolta : ) grazie anche per i complimenti. Anche io adoro la coppia Jack/Ianto, secondo me doveva essere molto più approfondita e invece Davis ha deciso di stroncarla sul nascere ç___ç maledetto >.< ti ringrazio per la recensione, spero di leggerne altre : )
Un bacio, M.
P.S. sì, mi piacerebbe se mi passassi i link, ma sono piuttosto impedita con la tecnologia e rischierei di fare qualche danno. Non mi è mai piaciuto scaricare roba sul pc, oltretutto ho l’antivirus scaduto. Se potessi vedermeli in streaming sarebbe molto meglio : ) se vuoi comunque passa e vedo se riesco a combinar qualcosa.

BIMBA3: pensa, io stavo già preparando varie armi per andare a casa di Davis ad ammazzarlo, come lui ha fatto col povero Ianto. Avrei raccolto un bel gruppetto di fan infuriati u.u sì, ho deciso di salvare anche Tosh e Owen perché, nonostante mi piacciano le storie drammatiche, patteggio sempre per l’happy ending. E poi, a parte Jack e Ianto, anche Owen mi piace molto come personaggio. Io sono convintissima che anche nella serie Jack ami Ianto, sebbene non glielo dice mai, il che è un peccato (almeno in punto di morte poteva farlo, proprio come hai detto tu), ma visto che Davis non vuole approfondire la cosa, lo farò io ^^.
Grazie mille per la recensione, fammi sapere che ne pensi di questo capitolo.
Un bacione, M.

P.S. venite a trovarmi sulla mia pagina facebook: https://www.facebook.com/MillysSpace

 

  
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