CAPITOLO
DUE – CHIARIMENTI MANCATI
Fra
di noi c’è bisogno d’armonia
poi diventa facile aiutarsi a vivere.
(Quanto
amore sei, E. Ramazzotti)
Si
potevano dire molte cose del Capitano Jack
Harkness. Si poteva dire con assoluta certezza che era un uomo molto
avvenente,
coraggioso, astuto, intelligente. Si poteva dire che fosse anche
piuttosto
audace, a volte troppo impulsivo, agiva prima di pensare alle
conseguenze anche
se poi raramente capitava che si sbagliasse e si poteva pure dire che
era
vanitoso, orgoglioso, pieno di sé e delle volte persino
fottutamente bastardo.
Sì, Jack era tante cose, a volte si faceva persino fatica a
capirlo. Dopotutto
vari secoli di esistenza dovevano averlo segnato profondamente.
Ma
mai, mai qualcuno avrebbe potuto dire che fosse
una persona contradditoria.
E invece, ora, Ianto Jones si trovò costretto ad ammettere
che forse la
personalità di Jack non era poi così del tutto
chiara e prevedibile, come aveva
fino ad ora pensato.
Probabilmente
lui era l’unico del
gruppo ad averlo conosciuto veramente nel profondo e non
perché un po’ di tempo
fa aveva scartavetrato i suoi file per scoprire qualcosa della sua vita
e
nemmeno perché aveva letto il suo diario.
Semplicemente
le situazioni, intime e
non, che avevano condiviso insieme gli avevano permesso di conoscere e
saper
interpretare tutte le sue espressioni facciali, le sue smorfie, i suoi
tic e i
movimenti del suF corpo. fin troppe volte lo aveva guardato in quei
suoi occhi
chiari, così stanchi, così vecchi…
come portatori di un pesante fardello.
Ok,
magari ciò era dovuto anche al suo
elevato spirito d’osservazione, ma Ianto sentiva di avere
tutto il diritto di
vantarsi di conoscerlo bene, persino più di Gwen.
Erano
passate ben due settimane dall’episodio
dell’uomo-gatto, due settimane da quando lui era stato ferito
rischiando la
morte e, soprattutto, due settimane da quando Jack gli aveva sussurrato
quel
“ti amo”. Quel “ti amo” che
ormai sembrava essersi dissolto nel vento e portato
via dall’altra parte del mondo. O dell’universo.
Con Jack non si poteva mai
sapere.
Jack
aveva fatto di tutto per negarlo,
per negare di aver detto quelle due fantomatiche parole, per negare
l’evidenza.
E negare l’evidenza era qualcosa di letteralmente
impossibile, forse solo Dio
poteva riuscirci. Dio e Jack Harkness, ovviamente.
D’altronde
Jack Harkness era Jack
Harkness, se voleva qualcosa trovava sempre un modo per ottenerlo.
Ma
questa volta Ianto non gliel’avrebbe data vinta.
Non gli importava se il Capitano avesse cercato di farglielo capire in
tutti i
modi, che quelle parole lui non le aveva mai dette, che probabilmente
se le era
solo sognate o immaginate perché la febbre lo stava facendo
delirare. E non
sembrava intenzionato a cedere. Come un bambino colto con le mani
sporche di
Nutella che continua a negare di sapere come sia potuto succedere.
Però
pure Ianto sapeva essere più
cocciuto di un mulo, quando voleva, e questo Jack ancora non lo sapeva,
non
conosceva tutte le armi che avrebbe potuto utilizzare.
Perché certo, lui poteva
anche comportarsi da bravo e docile cagnolino ammaestrato che non apre
bocca se
non gli viene chiesto, ma quando si trattava di qualcosa a cui teneva,
non
aveva intenzione di starsene a subire, proprio per niente. Non lo aveva
fatto
con Lisa e non lo avrebbe fatto nemmeno ora.
Però, doveva ammettere, che sarebbe stata dura, soprattutto
perché ora, a
confermare che quello che si sbagliava non era lui, Jack aveva preso ad
evitarlo, a non rivolgergli più la parola a meno che non
fosse strettamente
necessario. La sera era sempre l’ultimo ad andarsene e, se
Ianto cercava di
trattenersi, lui lo congedava in modo gentile ma freddo. E, cosa forse
meno
importante ma comunque evidente, non avevano nemmeno più
fatto sesso.
Magari per il Capitano questo non era un grosso problema: gli bastava
mostrare
quel suo sorriso sghembo da bastardo latin-lover, lanciare uno dei suoi
sguardi
maliziosi con i suoi penetranti occhi grigi e chiunque sarebbe cascato
ai suoi
piedi, donne, uomini, gay, etero e confusi.
Ma per il gallese non era così, invece, per lui era
difficile il doppio. Già
solo per il fatto di fare sesso con un uomo lo metteva parecchio in
confusione,
sballando tutto il suo equilibrio fisico, emotivo e psicologico, tanto
che dopo
la loro prima volta ci aveva messo parecchio a digerire la cosa,
temendo di
dover ricorrere addirittura a uno strizzacervelli, ma sentirsi pure in
astinenza, lui, che comunque al sesso non aveva mai dato molta
importanza, be’,
lo sconvolgeva.
E
poi… e poi, non c’era solo questo. Non era solo
per dimostrare di avere ragione e di essere più astuto di
Jack e non si
trattava nemmeno di un semplice bisogno fisico. C’era molto
di più, qualcosa di
molto più profondo, qualcosa che nemmeno lui era in grado di
capire e che gli
sconvolgeva le viscere ogni volta che lo guardava, che lo pensava, che
gli
stava vicino. Ed era sicuro che se Jack gli avesse detto “ti
amo” guardandolo
negli occhi gli sarebbe stato tutto più chiaro.
Rhys
era sempre il solito, sospirò Gwen finendo di
bere la sua tazza di caffè bollente. Stava osservando il suo
ragazzo mentre
mangiava i cereali affogati nel latte e, come un bambino che aveva
appena
imparato a usare il cucchiaio, si era sbrodolato tutto il mento.
Be’, era ovvio,
dopotutto era difficile mangiare senza smettere di parlare, come stava
facendo
lui da un quarto d’ora abbondante. E, come al solito, Gwen lo
guardava con
attenzione, teneva le orecchie aperte, ma non lo sentiva. La sua mente
era
partita per chissà dove, lontana da quella cucina, quella
casa, quel mondo.
D’altronde c’era di molto meglio da fare, che
starsene lì ad ascoltare le
solite storie dell’amico Duff che combinava una delle sue
solite cazzate che
facevano ridere gli amici e annoiare lei, come pensare a che cosa
sarebbe
potuto succedere quel giorno a Torchwood, in quale altra strana e
misteriosa
creatura aliena o paranormale avrebbero potuto incappare.
“Gwen,
ma mi stai ascoltando?”
Soltanto
a quella domanda un po’ contrariata di
Rhys, Gwen riuscì a tornare alla realtà, con un
leggero capogiro dovuto alla
brusca caduta della sua mente in quella che era ormai la sua noiosa
quotidianità. Ecco perché le serviva Torchwood,
per uscire da quella monotonia più
stancante del suo lavoro. Non che fosse colpa di Rhys, anzi, lui era
fantastico. Era lei il problema, lei e il suo bisogno quasi morboso di
avere
delle avventure, fin da quando era una bambina.
“Eh?
Ah, sì sì!” si affrettò a
rispondere dopo
qualche secondo.
“E’
da mezz’ora che te ne stai lì immobile con la
tazza in mano” le fece notare Rhys. Era tornato serio e si
era pulito la bocca
dei residui della colazione.
“Ehm…sì,
ora devo andare al lavoro”.
“Il
lavoro, sì”.
Gwen
sembrò non sentire il suo ultimo commento
piuttosto acido e si avvicinò al divano per prendere la
giacca. Ma nel
piegarsi, gli occhi le caddero sullo schermo della tv, dove stavano
trasmettendo delle immagini al telegiornale che attirarono parecchio la
sua
attenzione. Alzò il volume col telecomando e si mise in
ascolto, più attenta di
quanto non lo fosse stata con Rhys.
“Un’altra
rapina in banca, questa volta ad essere
colpita è stata la International Bank of Wales”
stava dicendo la voce del
giornalista inviato. “La tecnica usata sembra essere la
stessa delle altre tre
rapine a mano armata accadute non molto tempo fa a Londra. Che i
rapinatori
siano gli stessi? Difficile dirlo, con i pesanti passamontagna che
avevano
addosso. Quel che è certo è che è un
mistero come queste persone, appena giunta
la polizia, riescano a scomparire in un batter d’occhio, come
se si
volatilizzassero. Non si capisce nemmeno se fuggano via in auto.
Semplicemente,
sembra che si volatilizzino. E naturalmente questo crea numeroso panico
tra le
persone”.
“Che
c’è di interessante?” le chiese Rhys,
avvicinandosi quatto quatto alle sue spalle.
Gwen
sobbalzò alla sua voce. La notizia l’aveva
totalmente catturata.
“Niente.
Solo un’altra rapina in banca” rispose
frettolosamente, indossando la giacca. Si girò verso il suo
ragazzo per dargli
un sonoro bacio sulle labbra. “Ci vediamo stasera. Non
combinare guai”
ridacchiò, prima di uscire dalla porta.
Aveva
seguito le notizie delle rapine in banca,
erano avvenute a poca distanza l’una dall’altra. La
prima non l’aveva
insospettita più di tanto, ma poi la seconda…
insomma, rapinatori che si
volatilizzano? Era strano… qualcosa le puzzava.
Forse era il momento che Torchwood entrasse in azione.
La
ruota del Nucleo girò lateralmente con il solito
rumore di ingranaggi, impossibile da non sentire, e Gwen fece la sua
entrata
nella basa salutando i suoi colleghi allegramente. Ma c’erano
solo Tosh e Owen
a ricambiare il saluto, la prima inchiodata sulla sua postazione
davanti ai
computer e il secondo a studiare un artefatto alieno nel suo mini
laboratorio.
“Ciao,
Gwen. Passata bene la notte?” le chiese la
giapponese in tono cordiale, senza togliere gli occhi dai suoi
macchinari.
“Splendidamente!”
esclamò l’altra. “E voi?”
“Sicuramente
non come la tua, a copulare tutta la
notte con Rhys” la prese in giro Owen, lanciandole
un’occhiata maliziosa. Gwen,
per tutta risposta, gli fece una linguaccia e decise di cambiare
argomento.
“Avete sentito il telegiornale stamattina? E’
avvenuta un’altra rapina in
banca, questa volta nel Galles. Pensate che possano c’entrare
gli alieni?”
Il
dottore, emettendo una specie di ringhio, sbatté
il cacciavite con cui stava lavorando sul tavolo delle biopsie che,
all’impatto
con lo strumento, produsse un’agghiacciante rumore metallico
che fece
sobbalzare le due ragazze.
“Avanti,
Gwen, sono solo rapine, cosa vuoi che
c’entrino gli alieni?”
“Sì,
ma ne sono avvenute tre a poca distanza l’una
dall’altra e…”.
“Sono
solo coincidenze”.
“E
invece Gwen potrebbe avere ragione” la voce calma
e pacata di Tosh interruppe il loro battibecco.
Gwen,
a quella affermazione, lanciò un’occhiataccia
a Owen che ricambiò con una scrollata di spalle, incrociando
le braccia.
“Il
computer ha captato dei segnali alieni in quella
zone” continuò la giapponese. “Adesso
è piuttosto debole, però è abbastanza
chiaro. Dovremmo andare a controllare. Qualcuno chiami Jack”.
“Vado
io!” esclamò Gwen, prima che qualcun altro
potesse dire qualcosa.
Salì
di corsa le scale di ferro e fece per avviarsi
all’ufficio del Capitano quando, in un angolo proprio
adiacente all’ufficio,
notò un’ombra seduta per terra, con la schiena
appoggiata al muro.
“Stai
ammirando un bel panorama?” chiese,
avvicinandosi.
Ianto,
che non l’aveva minimamente sentita, troppo
preso da quello che stava facendo, sobbalzò e
voltò lo sguardo verso di lei.
“Gwen!”
esclamò sorpreso. “Io… no, stavo
solo…”.
“Ammirando
il fondoschiena di Jack?” concluse lei
per lui, guardandolo maliziosa ma divertita.
“Cosa?!
No!” si affrettò a rispondere l’altro.
Ma
adesso era lui a comportarsi come il bambino colto con le mani sporche
di
cioccolato. Non poteva negare l’evidenza.
“Tranquillo,
a me puoi dirlo” lo tranquillizzò Gwen,
sedendosi accanto a lui a gambe incrociate. “E poi ha un bel
fondoschiena” e
anche lei puntò lo sguardo verso Jack che, attraverso la
vetrata dell’ufficio,
dava loro le spalle, chinato in avanti con le mani poggiate sulla
scrivania di
mogano, intento a leggere qualcosa. Indossava i soliti abiti eleganti
con le
bretelle, una camicia bianca e il cappotto appeso
all’appendiabiti accanto
all’armadio.
“Ma
adesso abbiamo una missione da compiere”
aggiunse Gwen, battendo una mano sul ginocchio di Ianto e alzandosi in
piedi di
scatto.
Entrò
nell’ufficio del Capitano senza bussare, come
al solito, spalancando la porta con un gesto rude. Se l’uomo
si fosse
spaventato sentendo quell’improvviso rumore non lo diede a
vedere.
“Jack,
Tosh ha trovato dei segnali alieni nella zona
della banca. Dobbiamo andare” annunciò, senza
altri convenevoli.
Jack
si immobilizzò di fronte a lei con le braccia
incrociate, guardandola di sbieco.
“Scusa,
chi è il capo qui?”
Gwen
sospirò rassegnata. “Tu”.
“Esatto
e gli ordini li do io”.
La
ragazza scrollò le spalle e attese che Jack si
muovesse.
“Dobbiamo
andare” aggiunse l’uomo e senza attendere
risposta afferrò il suo cappotto e si precipitò
fuori dalla stanza. Gwen
sorrise tra sé e sé.
Ed
ecco, gli sembrava di essere tornato come ai
vecchi tempi, come quando era appena entrato a Torchwood III.
Jack lo aveva di nuovo lasciato in disparte. Soltanto che allora lo
poteva
capire, non si fidava ancora completamente e non lo conosceva bene. Ma
adesso…
ormai si era introdotto nel gruppo perfettamente, d’altronde
lui non era nuovo
a quelle cose. Che motivo c’era per lasciarlo alla base
mentre loro andavano in
spedizione, quando avrebbe potuto rendersi utile in missione?
Ah giusto, Jack lo evitava.
Ianto
sospirò affranto riponendo un foglio di carta
dentro ad una cartellina.
Così gli altri erano là fuori a divertirsi e a
lui toccava stare lì a mettere
in ordine le scartoffie. Oltretutto il Capitano l’aveva
liquidato in un modo
molto brutale e per niente carino. Se n’erano accorti anche
gli altri.
No,
iniziava a stancarsi. Doveva trovare un modo per
risolvere quella faccenda al più presto.
La
banca era vuota. I clienti e i dipendenti scossi
erano stati fatti uscire e il luogo chiuso con del nastro giallo,
segnalato
come scena del crimine. Per fortuna non c’erano stati
né morti né feriti, ma i
rapinatori erano scomparsi nel nulla, dopo aver portato via tutto il
denaro, e
non c’era nessuna traccia che potesse condurre al loro
rifugio. Nemmeno i segni
di gomme di qualche ipotetica auto.
Gli
agenti della polizia erano fuori insieme a
qualche persona ancora un po’ sconvolta che aveva deciso di
rimanere per poter
aiutare nelle indagini. Ma non stavano procedendo granché
bene.
Jack,
Gwen, Tosh e Owen erano le uniche anime vive
dentro la banca, a perlustrare ogni angolo per trovare qualche traccia.
La
giapponese, come al solito, guardava sul suo palmare e lo puntava in
giro per
captare qualche segnale.
“Qui
indica che recentemente c’è stata
dell’attività
aliena, ma il segnale si sta indebolendo”, disse per
informare anche i suoi
compagni.
“Qualsiasi
cosa ci fosse stata ormai è andata via”,
concluse Owen, richiudendo il cassetto di una delle scrivanie.
Jack
diede un’occhiata fuori, attraverso le persiane
abbassate, ma non vide niente di sospetto, se non macchine della
polizia e
molte persone ancora sconvolte.
“Credete
che questi rapinatori usino qualche
marchingegno alieno per commettere i furti?”
ipotizzò Gwen guardando gli altri.
“Può
darsi. O magari i rapinatori sono alieni”, le
diede manforte Toshiko.
“Che
interesse avrebbero degli alieni a rapinare
delle banche?” fece Owen con tono critico.
“Non…
non lo so”.
“Ragazzi,
andiamocene!” esclamò Jack ad un tratto.
“Qui non c’è niente”.
“Sei
sicuro?” gli chiese Gwen.
“Sì”,
rispose senza esitare.
E
quando il capo comandava non si poteva obiettare.
Nel
Nucleo erano rimasti solo lei e Jack.
Gli altri erano usciti fuori a pranzo, il Capitano aveva dato loro il
permesso,
visto che non c’era molto da fare per il momento. Avevano
invitato anche lei,
ma aveva declinato. Preferiva passare un po’ di tempo con
Rhys.
Prese
la sua giacca di pelle e si avviò per uscire.
L’occhio però le cadde sui vetri
dell’ufficio di Jack, dove vide l’uomo seduto
alla sua scrivania. Non stava facendo niente, sembrava incantato a
fissare un
punto davanti a sé, apparentemente senza vederlo,
stravaccato sulla sua sedia,
con i piedi sopra il tavolo.
Il
suo pranzo con Rhys avrebbe dovuto aspettare
ancora un po’, decise.
Salì
di corsa i pochi gradini e piombò di nuovo
nell’ufficio del Capitano. Questi, non appena vide la porta
aprirsi, voltò la
testa nella sua direzione, inarcando un sopracciglio.
“Non
dovresti essere a casa?” le chiese senza
particolare interesse.
“Ci
andrò”, rispose Gwen. “Ma prima volevo
chiederti
una cosa”.
Jack
abbassò i piedi e si mise seduto composto.
Dall’espressione della ragazza sembrava essere una domanda
seria. E lui
detestava le domande serie, implicavano sempre troppa
sincerità.
Gwen
si avvicinò, prese una sedia da lì vicino e si
sedette di fronte a Jack, solo la scrivania li separava.
“Cosa
succede tra te e Ianto?”
Ianto
trangugiò l’ultimo sorso della sua birra e
guardò in direzione di Owen che ormai da dieci minuti stava
giocando a biliardo
con una bella bionda che aveva adocchiato nel locale dove erano venuti
a
mangiare, abbandonando i suoi amici da soli al tavolo.
Ridacchiò alla vista del ragazzo che civettava in modo del
tutto sciallo e
inapparente e anche con buoni risultati. La ragazza ne era attratta,
anche se
cercava di fare un po’ la dura, per non cedere come una
ragazzetta qualsiasi.
“Ianto?”
si sentì chiamare ad un tratto. Si voltò
verso la voce che aveva parlato, trovando gli occhi scuri di Tosh
puntati su di
lui.
“Dimmi?”
“Posso
chiederti che succede tra te e Jack?”
L’uomo
si dipinse in faccia l’espressione più
confusa che gli riuscì e, probabilmente qualcuno ci sarebbe
anche cascato, ma
non Gwen.
“Che
intendi?”
“Mi
sembra che vi stiate evitando. O meglio, che tu
lo eviti”.
“Che
cosa te lo fa credere?”
“Dai,
Jack, non sono cieca”.
Jack
sospirò debolmente. Ormai era inutile negare. E
magari gli faceva bene parlarne, forse avrebbe potuto togliersi un peso
dallo
stomaco.
“Se
l’è presa per una cosa che è successa
tra di
noi”, rispose, voltando subito dopo lo sguardo
dall’altra parte, per non guardare
l’amica negli occhi.
“Che
cosa?”
“Non
sono affari tuoi”, berciò poi, ma naturalmente
non poteva aspettarsi di spaventare una ragazza come Gwen con una
semplice
frase detta in tono duro.
Lei
puntò i gomito sulla scrivania e poggiò il mento
sulle mani.
“Resterò
qui finché non me lo avrai detto”.
“Rhys
non ne sarà contento”.
“Con
Rhys me la vedrò io”.
Il
Capitano mostrò il suo solito sorrisetto sghembo
e si rassegnò a dover raccontare tutto.
“Che
intendi?” chiese Ianto, non capendo.
“Mi
sembra che da un po’ di tempo ti eviti”,
spiegò
l’amica.
“Allora
non sono matto!” esclamò l’altro un
po’
troppo a voce alta, facendo spalancare gli occhi a Tosh per la
sorpresa. “Anche
tu te ne sei accorta”.
“Ce
ne siamo accorti tutti”.
“Sì,
diciamo che il rapporto tra me e Jack si è un
po’ raffreddato”, concluse infine il ragazzo,
rimanendo sul vago.
“E
come mai?” Toshiko sembrava veramente
interessata, il che era un po’ strano visto che di solito non
si interessava
mai agli affari degli altri. Sicuramente erano stati Owen e Gwen a
metterle la
curiosità addosso, chissà quante chiacchiere si
saranno fatti su loro due.
Ianto
si guardò un attimo attorno per assicurarsi
che nessuno li stesse ascoltando e si protese un po’ sul
tavolino che lo
separava dalla ragazza.
“Mi
ha detto che mi ama”.
“E’
convinto che io gli abbia detto che lo amo”.
Gwen
restò un attimo interdetta, ma poi si avviò di
nuovo all’assalto. “Ed è vero?”
Jack
abbassò gli occhi senza dire niente e la ragazza
emise un verso di esultazione. “Lo sapevo!”
“Sapevi
cosa?”
“Che
fra voi due c’era molto di più del semplice
sesso. Io e gli altri…”.
Il
Capitano inarcò le sopracciglia. “Tu e…
gli
altri?”
“Certo.
Mica crederai che lavoriamo senza
spettegolare sul nostro capo”, spiegò in tono
malizioso.
L’uomo
ridacchiò e si lasciò andare contro lo
schienale della sedia.
“E
sentiamo un po’, che storie vi raccontate?”
“Non
cambiare argomento”, lo redarguì lei tornando
seria e guardandolo come una madre che sgrida il proprio figlio.
“Ianto
che cosa ti ha risposto dopo?”
“Niente.
E’ stato un incidente, la cosa non deve
andare oltre”.
Gwen
spalancò gli occhi. “E
perché?”
Jack
fece per aprire bocca ma si bloccò di colpo.
Già, perché?
“E
tu che gli hai risposto?” chiese Tosh, questa
volta veramente curiosa.
“Niente.
E’ successo quando stavo per morire. Lui
era convinto che stessi dormendo e me lo ha sussurrato. Adesso
però lo ha
ritirato e sta cercando di convincermi che me lo sono solo immaginato o
sognato” le spiegò Ianto, in vena di confidenze.
Era la frase più lunga che la ragazza
gli avesse sentito pronunciare, ma non ci fece molto caso.
“Scusa
se te lo dico, ma non è che può…
insomma,
magari ha ragione lui. Che ne sai…”.
“No
che non ha ragione lui!”, esclamò il ragazzo
interrompendo bruscamente l’amica. “So quello che
ho sentito, ma non capisco
perché lui si ostini a negarlo”.
“Ma
allora perché non glielo dici tu, che lo ami”.
“Perché
voglio che me lo dica prima lui”.
“Perché
è meglio così” rispose senza alcun
timbro
nella voce che facesse capire che cosa provava. Ma gli occhi tradivano
sempre
le emozioni della gente e quelli di Jack, se li si osservava bene,
erano meglio
di un libro aperto.
“Hai
mai sentito parlare del carpe diem, Jack? Cogli
l’attimo perché non ti si presenterà
più”.
“Questo
non mi sembra…”, iniziò Tosh ma
l’amico la
interruppe di nuovo.
“Scusa,
perché ti interessi alla mia situazione
sentimentale e non guardi un po’ di più alla
tua?”
“Io
non ho nessuna situazione sentimentale”.
“Io
non direi”, non era tipico di Ianto giocare
sporco, ma era stufo e il discorso stava prendendo una piega che non
gli
piaceva. Si voltò in direzione di Owen e della ragazza
bionda che era con lui.
“Sai, è carina quella tipa. Il tipo di ragazza che
starebbe bene con Owen”.
Tosh
abbassò lo sguardo e arrossì.
Forse
questa volta avevano trovato una pista più
fruttuosa, ma a quanto pareva si trovava ai confini del mondo.
Seguendo le indicazioni del navigatore si erano trovati a guidare in
una strada
fuori città, di campagna, dove c’erano
sì e no quattro case costruite con un
paio di assi attaccate alla bell’e meglio e la maggior parte
disabitate. Era
una strada piuttosto dissestata anche, piena di ghiaia e fango e
più volte
avevano beccato una buca, tanto che Gwen aveva quasi cacciato Jack
fuori
dall’auto per potersi mettere al volante lei. Forse era
meglio avere un
fuoristrada e non un Suv.
In poche parole, non era una zona che loro avevano mai frequentato.
Finalmente
il navigatore segnò loro che erano
arrivati a destinazione. Erano davanti a una casa, o meglio, una
bettola fatta
di pietre e qualche asse di legno, ma sembrava più
resistente delle altre,
quantomeno.
Tutti
e cinque scesero dall’auto e si guardarono
attorno. Questa volta Ianto non aveva accettato di venire escluso per i
banali
capricci di Jack e si era unito alla missione prima che il Capitano
avesse
avuto il tempo di protestare.
“Ma
dove diavolo siamo?” chiese Owen, storcendo il
naso.
“Spero
non in un posto come quel villaggio con gli
abitanti cannibali”, aggiunse Ianto, che aveva un ricordo
molto preciso di
quell’esperienza.
“Entriamo
a controllare”, concluse Jack ed estrasse
la pistola.
Anche
gli altri lo imitarono e, prima di varcare la
porta, fecero un giro di ricognizione attorno alla casa, sbirciando
attraverso
le finestre sporche e rotte per vedere se ci fosse qualcuno. Ma a
quanto pareva
era vuota.
Gwen
aprì la porta con un calcio liberando l’accesso
e, sempre con le pistole ben puntate per sorprendere eventuali
abitanti,
entrarono uno alla volta.
Appena
varcata la soglia, si separarono e si diressero
in varie direzioni, a controllare le varie stanze.
“Oh,
mio Dio!” si sentì Owen esclamare.
“Venite a
vedere”.
I
suoi compagni gli furono presto dietro le spalle e
rimasero sorpresi da quello che videro: una stanza, quasi completamente
vuota
ad eccezione di un tavolino basso e un paio di sedie di legno. Quello
che però
li lasciò sconvolti era la quantità di denaro in
contante sparso per tutta la
stanza. Per terra c’erano valigette traboccanti sterline e
non era possibile
camminare senza calpestarle.
“Pensate
che siano i soldi delle rapine?” chiese
Gwen, camminando con cautela nella stanza.
“Probabile”,
le rispose Ianto.
“Qualcuno
dovrebbe controllare le altre stanze”,
disse ad un tratto Jack.
“Ci
andiamo io e Ianto”, si intromise Tosh guardando
Ianto che le lanciò un’occhiata strana, ma la
seguì senza protestare.
Quando
i due ragazzi furono usciti, Owen si avvicinò
ad un attaccapanni dietro la porta, dove erano appesi quelli che
sembravano
essere due lunghi mantelli di stoffa morbida e scura.
“Che
cos’è?” chiese, prendendone in mano uno.
Gwen
si avvicinò e lo toccò guardandolo affascinata.
“Non lo so”.
“Guarda,
faccio re Artù!” esclamò il ragazzo e,
per
fare lo stupido, girò il mantello per metterselo sulle
spalle. Ma non appena
questi gli si appoggiò sul corpo Gwen sgranò gli
occhi e lo guardò come se gli
fossero appena spuntate le antenne in testa. Be’,
effettivamente una cosa
simile era successa: tutta la parte dal collo in giù del suo
corpo era
scomparsa e la sua testa era rimasta a fluttuare in aria.
Anche Owen abbassò gli occhi e gridò un
“Porca miseria!”
Il suo corpo c’era ancora perché se lo sentiva, il
punto era che non si vedeva.
Uscì
in corridoio e si guardò allo specchio.
“Forte!
Sembra il mantello dell’invisibilità di
Harry Potter”, era emozionato come un bambino.
“Hai
visto un po’ troppo fantasy, Owen?” lo prese in
giro Gwen, appoggiata allo stipite della porta.
“Be’,
perché no? Una volta sono usciti dei circensi
da un video”.
“Non
pensavo fossi amante di quella saga”.
“Come
non amarla? Johanne Kathleen Rowling è un mito”.
Prima
che Gwen potesse aggiungere altro, però,
sentirono dei rumori provenire dall’esterno: portiere che
sbattevano e voci
concitate che parlavano.
Owen fece la prima cosa che gli venne in mente e trasse a sé
Gwen per
nasconderla sotto il mantello. Poi si infilarono in uno sgabuzzino.
Dalla
porta d’ingresso fecero la loro entrata due
tizi, uno alto, barbuto, sulla quarantina e dall’aria per
niente rassicurante e
l’altro molto più giovane, piuttosto bello, dai
lineamenti fini e delicati.
Entrarono
nella stanza dove poco prima si trovavano
anche Owen e Gwen. Jack aveva appena fatto in tempo a nascondersi
dietro all’armadio
e sperava con tutto il cuore di non essere trovato.
“Dovremmo
mettere in ordine questo casino”, disse
quello più giovane raccogliendo una mazzetta da terra.
“Lo
faremo”, rispose l’altro, con una voce profonda
e baritonale. Poi si guardò intorno e parve annusare
l’aria come un cane. “Qui
c’è stato qualcuno”, concluse.
Il
ragazzo lo guardò preoccupato. “Che
intendi?”
“Quello
che ho appena detto. Qualcuno è appena stato
qui”.
“Ma
no, non è possibile”.
Il
barbuto si avvicinò all’armadio e, senza che Jack
se lo fosse minimamente aspettato, lo afferrò per un braccio
e lo trascinò al
centro della stanza.
“Sentivo
io che c’era un brutto odore”, commentò
acido.
Il
più giovane, invece, se ne restò immobile a
fissare lo sconosciuto con occhi vacui. Pareva terrorizzato.
“Non
startene lì immobile!” gridò
l’altro “e lega
questo infiltrato”.
Nel
frattempo la porta d’ingresso sbatté di nuovo e un
altro uomo fece il suo ingresso. Aveva la testa completamente calva ed
era
vestito tutto di pelle.
“Chi
cazzo è quello lì?!”
esclamò, non appena vide
il Capitano.
“Un
infiltrato. E potrebbero essercene altri. Vai di
sopra a controllare”.
Il
pelato corse immediatamente fuori dalla stanza,
mentre l’uomo giovane tentava di legare Jack su una sedia, ma
gli tremavano
parecchio le mani. Il Capitano se ne stava in silenzio, pregando
mentalmente
perché Toshiko e Ianto si fossero nascosti bene.
Poco
dopo, però, il pelato fece ritorno con gli
altri due membri di Torchwood che non avevano potuto opporre resistenza
visto
che stava puntando loro una pistola.
“Avevi
ragione, Rod, qui ce ne sono altri due”.
L’uomo
barbuto, che a quanto pareva si chiamava Rod,
grugnì qualcosa e andò alla finestra.
Anche
Tosh e Ianto vennero legati ben bene vicino a
Jack.
“Chi
diavolo siete voi tre?” berciò il primo uomo,
spostandosi dalla finestra.
“I
tre moschettieri?” fece Jack con espressione
seria.
Ma
parve che Rod trovò la battuta di pessimo gusto. Si
scagliò contro Jack e gli tirò la testa
all’indietro tirandolo per i capelli.
Rimase a guardarlo con occhi inceneritori. Se avesse potuto uccidere
con lo
sguardo probabilmente Jack sarebbe già morto, risorto, poi
morto di nuovo e
risorto un’altra volta.
“Stammi
a sentire, belloccio. Non sono in vena di
battute, capito? Oggi ho i coglioni girati e credimi, potrei girarli
anche a te
solo per il gusto di sentirti urlare”.
“Che
paura”, commentò Jack derisorio, non appena
l’altro
gli lasciò andare la testa. Rod, per tutta risposta,
sputò per terra, vicino
alla sua scarpa.
“Che
ne facciamo di loro, Rod?” chiese il tizio
pelato.
“Li
ucciderei, ma dobbiamo aspettare il capo”.
Ianto
si avvicinò lentamente a Jack. “Non so chi sia
questo capo, ma dobbiamo trovare un modo per andarcene”,
sussurrò al Capitano,
il quale annuì.
“Dove
sono Gwen e Owen?” chiese Tosh.
“Comunque!”
esclamò di nuovo l’uomo barbuto. “Questo
non significa che io non mi possa divertire un po’”.
Si
avvicinò di nuovo a Jack e gli tirò un pugno in
pieno viso facendogli sanguinare il naso. Jack emise un debole lamento
e guardò
l’altro con gli occhi lucidi, confuso. “Adesso ti
farò alcune domande e tu mi
risponderai sinceramente. Oppure ti farò soffrire talmente
tanto che mi
scongiurerai di ucciderti”.
Jack
gli avrebbe riso in faccia se il naso non gli
avesse fatto così male e se non avesse avuto paura di
compromettere la
situazione ancora di più.
Tante volte la gente lo aveva fatto soffrire fisicamente e per questo
tante
volte aveva sperato di ottenere la grazia, ma sembrava che il Tristo
Mietitore
non volesse concedergli quella possibilità.
“Allora
ti servirà parecchia fantasia”, lo
informò
Jack guardandolo dritto negli occhi.
Rod
ridacchiò minaccioso.
Poi, sotto lo sguardo fisso dell’altro, si
avvicinò a Ianto, estrasse un
coltello dalla cintura e gliela puntò contro la gola.
“A
quanto pare ho toccato un tasto debole”, sibilò
il tipo, notando gli occhi spalancati del Capitano. Ianto cercava di
non
tremare, ma era difficile con una lama di freddo acciaio puntata
contro, pronta
a tagliarti la testa.
Ma
prima che qualcun altro potesse fare o dire
altro, si sentirono delle assordanti sirene accompagnate da dei
lampeggianti
blu.
“Chi
diavolo ha chiamato la polizia?” gridò
l’uomo
pelato uscendo in corridoio.
“Io!”
esclamò Owen appena sbucato dallo sgabuzzino. Dietro
di lui c’era Gwen che reggeva il mantello.
E
anche per quel giorno era finita. Torchwood aveva
fatto il suo dovere, portando la calma e la tranquillità nel
Galles. E anche la
giustizia.
A quanto pareva i rapinatori di banche erano proprio quei tre, o meglio
quattro, tizi della casa in mezzo alla campagna. Per scomparire e non
lasciare
tracce usavano i mantelli dell’invisibilità i
quali erano stati sequestrati da
Torchwood e riposti con cura insieme a tanti altri oggetti alieni della
loro
collezione.
Jack
stava per chiedere a Ianto di preparargli un
caffè, ma quando si avvicinò alla postazione dove
stava la macchina tanto
adorata dal ragazzo, non lo trovò. Effettivamente era da un
po’ che non lo
vedeva.
“Jack!”
lo chiamò Gwen. “Potresti uscire? Ianto ti
vuole parlare”.
Il
Capitano inarcò le sopracciglia nella sua
direzione e la ragazza scrollò semplicemente le spalle per
dirgli che lei non
sapeva niente.
Alla
fine uscì e
cominciò a dirigersi verso il molo, pronto a spiegare a
Ianto una volta per
tutte che doveva smetterla di insistere.
Ma non appena lo raggiunse rimase scioccato da ciò che vide.
MILLYS’
SPACE
E
la mia passione per Harry Potter si fa sentire anche
qui ^^ effettivamente non vedrei male Owen che legge la saga della
Rowling. Voi
che dite??
Avrei
voluto aggiornare il capitolo un po’ prima ma purtroppo
mi è mancato il tempo. Ma meglio tardi che mai, no?
Allora,
alcune piccole note: le vicende alle quali si
riferiscono Ianto e Owen sono rispettivamente quelle che avvengono
nella
puntata sedici della prima stagione (Il villaggio degli orrori) e la
dieci
della seconda stagione (Intrappolati in un film). So benissimo che
prima di
questa puntata Owen doveva essere già morto e risorto ma da
brava fan quale
sono ho deciso di saltare quel pezzo e così l’Owen
della mia storia è ancora vivo
con tutti gli organi ben funzionanti ^^.
Sinceramente l’ho trovata una cosa un
po’ di cattivo gusto, far
succedere a Owen quello che gli è successo, ma sappiamo che
al nostro Russel
Davis piace far soffrire i suoi personaggi.
Per quanto riguarda la frase ad effetto che Gwen dice a Jack,
“Carpe diem”, be’
penso che non abbia bisogno di spiegazioni. Comunque è un
verso tratto da un’ode
di Orazio, famosa anche per essere stata usata nel film
“L’attimo fuggente” di
Peter Weir.
E, ultima cosa: avrei voluto far chiarire le cose tra Jack e Ianto in
questo capitolo,
ma mi sarebbe venuto troppo lungo. E poi così vi lascio con
un po’ di suspance
^^.
Bene,
ora rispondo alle recensioni e vi saluto : )
Buona
serata a tutti…
SWEETLADY98:
sono mooooolto contenta che i capitoli precedenti ti siano piaciuti,
spero di
non averti deluso neanche stavolta : ) grazie anche per i complimenti.
Anche io
adoro la coppia Jack/Ianto, secondo me doveva essere molto
più approfondita e
invece Davis ha deciso di stroncarla sul nascere
ç___ç maledetto >.< ti
ringrazio per la recensione, spero di leggerne altre : )
Un bacio, M.
P.S. sì, mi piacerebbe se mi passassi i link, ma sono
piuttosto impedita con la
tecnologia e rischierei di fare qualche danno. Non mi è mai
piaciuto scaricare
roba sul pc, oltretutto ho l’antivirus scaduto. Se potessi
vedermeli in
streaming sarebbe molto meglio : ) se vuoi comunque passa e vedo se
riesco a
combinar qualcosa.
BIMBA3:
pensa, io stavo già preparando varie armi per andare a casa
di Davis ad
ammazzarlo, come lui ha fatto col povero Ianto. Avrei raccolto un bel
gruppetto
di fan infuriati u.u sì, ho deciso di salvare anche Tosh e
Owen perché,
nonostante mi piacciano le storie drammatiche, patteggio sempre per
l’happy
ending. E poi, a parte Jack e Ianto, anche Owen mi piace molto come
personaggio. Io sono convintissima che anche nella serie Jack ami
Ianto,
sebbene non glielo dice mai, il che è un peccato (almeno in
punto di morte
poteva farlo, proprio come hai detto tu), ma visto che Davis non vuole
approfondire
la cosa, lo farò io ^^.
Grazie mille per la recensione, fammi sapere che ne pensi di questo
capitolo.
Un bacione, M.
P.S.
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