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Autore: lady hawke    22/04/2013    6 recensioni
Kili e Legolas appartengono a due specie diverse che non provano particolare simpatia l'una per l'altra. Da loro ci si aspetta odio reciproco e scarsa considerazione, ma non sono queste cose da dare per certe, in due bambini.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kili, Legolas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note:Pacchetto: Arco e frecce + corpetto di cuoio. Personaggi: Kili e Legolas. Prompt: bulbi. Parole: 599. Grazie a Charme per i prompt!

Incontri

Il giovane Kili non aveva mai visto un elfo. Dai racconti di suo zio sapeva che erano creature detestabili e odiose, ma non le aveva mai incontrate. Stava vagando solo nel bosco da almeno mezzora in cerca di prede; zio Thorin spesso invitava i suoi nipoti a fare battute di caccia in solitaria, pensava che dovessero imparare a cavarsela da soli, e farlo lontani dalla premurosa mamma Dìs era una priorità. Prendeva lui e Fili, li portava per i boschi e poi dava loro compiti come procurarsi la cena, scoprire tane di animali o cose così. Benché non amasse venire obbligatoriamente separato dal fratello, a Kili quel sistema non dispiaceva: ogni volta scopriva un sacco di cose nuove, tipo quel magnifico piccolo alce laggiù, che non aspettava altro che essere colpito da una freccia. Era un esemplare giovane, ancora senza corna, ma Kili era certo che Thorin avrebbe apprezzato l’impresa. Incoccò la freccia e si apprestò a tirare.
L’avrebbe colpito, se solo qualcuno o qualcosa non avesse tirato un sasso per far fuggire l’animale. Kili rimase fermo per un po’, prima di muoversi per recuperare la freccia. Era deluso dalla sua prestazione e voleva scoprire cos’era realmente accaduto. Camminando sentì un fruscio d’erba e foglie secche calpestate che lo seguivano.
- Fili, sei tu? – chiamò. Niente, nessuna risposta. Leggermente impensierito, Kili si chinò a raccogliere la sua freccia e si pietrificò quando vide davanti a sé un giovane, non appena si rimise in piedi.
- Non si uccidono gli alci. – disse il ragazzino. Era alto, osservò il giovane nano, biondo e con le orecchie a punta. I suoi occhi blu lo fissavano astioso. Kili lo riconobbe subito: un orrendo elfo. Sostenne il suo sguardo con aria feroce, i suoi occhi fissi su quello dell’altro, che lo fissava con disgusto.
- E perché no?
- Mio padre non vuole. – fu la laconica risposta.
- Tuo padre non è qui. – replicò semplicemente il nano. – Io non do retta agli stupidi elfi.
- Per forza, sei uno stupido nano.
- Un elfo che ho sentito camminare. Facevi più rumore di un cinghiale.
- Per questo ti sei spaventato quando mi hai visto, no? – il giovane elfo si irrigidì, sembrando ancora più alto ed esile. Si fissarono un po’ con odio, riflettendo sulla possibilità di azzuffarsi. Poi l’elfo parlò di nuovo: - Perché usi un arco? Quelli come te non usano ascia e roba simile?
Kili abbassò lo sguardo; teneva ancora la freccia saldamente in mano. Rialzò lo sguardo verso l’elfo, anche lui portava un arco addosso con una faretra colma di frecce sottilissime.
- A me piace l’arco. È leggero.
- Anche a me. – disse l’elfo. – Io mi chiamo Legolas.
- Kili. – rispose il nano, diffidente.
Sempre sospettosi, sempre fissandosi un po’ male, scoprirono entrambi che erano stati spediti, chi dal padre, chi dallo zio, a dare dimostrazione del loro valore e del loro spirito di sopravvivenza.
Kili trovò Legolas molto gentile, buffo per la sua stazza e il suo portamento, e ne ebbe simpatia.
Legolas trovò Kili più intelligente di quello che si sarebbe aspettato da un nano, e sorprendentemente cortese. Da ragazzini quali erano, si salutarono imitando i pomposi commiati delle loro rispettive stirpi, augurandosi una buona riuscita per la loro missione. Nessuno dei due, al rientro, riferì dell’incontro fatto. Entrambi sapevano che avrebbe portato solo a noiose discussioni. Mantennero il segreto. In entrambi c’era la convinzione di essere stati estremamente fortunati nell’aver incontrato un esemplare dell’altra razza degno di simpatia, e non valeva la pena stare a pensarci. Una rondine sola non si poteva chiamare primavera.


  
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