NdT:
Salve a tutti, qui è therentgirl che parla! Ebbene
sì, dopo aver annunciato ad
alcuni che avrei tradotto questa fan fiction, eccomi qui! È
stata una delle
primissime Kurtbastian che abbia mai letto (non che legga moltissime
fan
fiction lo ammetto :p), oltre che la mia preferita in assoluto. Con
questa
angelofcaffeine penso si meriti di entrare nella rosa delle migliori
scrittrici
di questo meraviglioso fandom, e non mi sembrava giusto continuare a
rimandare
il momento della pubblicazione. Essendo ancora una WIP ed essendo di
molti meno
capitoli di DYR (sebbene siano più lunghi), avverto
già da ora che gli
aggiornamenti non saranno
settimanali! Come sempre, il betaggio è ad opera di @nameless colour, che è davvero
un tesoro e a cui farò una proposta
di matrimonio. (: Per il resto, non ho molto altro da dire, se non che
spero
che apprezzerete questa fan fiction quanto l’ho apprezzata
io! Buona lettura!
Titolo: As Your
Shadow Crosses Mine
Pairings: Kurt/Blaine (passata);
Kurt/Sebastian.
Rating/Avvertimenti:
Giallo (per il linguaggio)/Arancione (alcune parti future includono
discussion su
dub/non-con, come anche colpevolizzazione della vittima).
Note: Volevo solamente scrivere una
storia in cui Kurt e Sebastian diventano migliori amici. Basata su questo
prompt.
Spoilers: va A/U dopo la 3x10:
Yes/No
Disclaimer: Glee non mi appartiene
e
non ottengo profitto da questa storia. Il titolo è tratto
dalla canzone di
Rihanna “We Found Love”.
Link
all'originale
CAPITOLO
1
Era stato di
nuovo come con Rachel. Kurt non aveva altro modo di
spiegarlo. C’era qualcosa di sbagliato in lui, qualcosa che
non riusciva ad
impedirgli di diventare amico di qualcuno che disprezzava
incredibilmente.
Dannazione.
*
Era cominciato
tutto a tre giorni dall’inizio della sua nuova vita da
single. Era riuscito a malapena a scappare da Rachel e Mercedes, che
gli erano
state attaccate dalla rottura, ed aveva trovato un angolo relativamente
solitario al Lima Bean e cominciato a lavorare sui suoi compiti di
Matematica.
Naturalmente,
dato che sembrava vivere lì e con frequenza piuttosto
inquietante, l’ombra di Sebastian Smythe si era subito
stagliata sul suo
quaderno.
Sollevò
lo sguardo, disinteressato. “Posso aiutarti?”
domandò, lo
stomaco che si ribaltava alla vista di Sebastian, quel viscido e
bastardo
suricata, che incombeva su di lui.
Il giovane non
si preoccupò di rispondere, si limitò ad inarcare
un
sopracciglio alla vista di Kurt tutto solo.
“Dov’è il fidanzato carino?”
domandò.
“Non
c’è nessun fidanzato carino,”
replicò Kurt, sentendo
momentaneamente il cuore pesante e rimpiangendo d’aver
scaricato le sue
ragazze, che avrebbero capito se avesse sentito bisogno di chiudersi in
bagno e
piangere. (Era stato bravo comunque, fino a quel momento, ad astenersi
dal
piangere di fronte a chiunque non fosse suo padre.) “Quindi
non c’è ragione di
girarmi attorno e asfissiarmi con il tuo puzzo di squallore. Quindi per
favore,
sentiti libero andare via dal mio tavolo insieme alla tua sordida
nuvoletta.”
Sebastian
sorrise, gli angoli degli occhi s’incresparono a quel gesto.
“Non hai intenzione di fare pipì sul tavolo come
con Blaine, vero? Ho sempre
pensato che fossi uno str-”
“Sebastian,
vattene,” sbottò, improvvisamente più
brusco e aspro di
quanto fosse stato prima.
Il giovane fece
un veloce passo indietro, le sopracciglia inarcate,
dunque rispose: “Wow, okay. Ho capito, ho interrotto la tua
sindrome
premestruale. Ci vediamo in giro, Ladyboy.”
Osservando
Sebastian uscire nel parcheggio, tutto ciò cui Kurt
riuscì a
pensare fu, Ucciderò davvero
quell’idiota, un giorno. Lo farò, lo
farò e farò in modo che sembri un
incidente.
Dunque
tornò ai suoi compiti di Matematica, sforzandosi per
ritrovare la
concentrazione al meglio delle proprie capacità.
*
A una settimana
da quell’episodio, Kurt era tornato al suo angolino del
Lima Bean. Questa volta era scappato di casa con il portatile, dato che
Finn
aveva preso confidenza con le loro chiacchierate e aveva voglia di
parlare di
Rachel e di come stesse scaricando il suo stress per la NYADA sulla
loro
relazione, e Kurt… Kurt non riusciva a parlare di relazioni
in quel momento.
Così, aveva portato il suo computer e i suoi compiti al Lima
Bean e stava
provando a scrivere una relazione di storia.
La prima cosa
che aveva fatto era stata spegnere il cellulare. I suoi
amici erano un meraviglioso supporto, e aveva bisogno di ognuno di
loro, ma non
poteva occuparsi del fatto che volessero avere il pieno controllo su di
lui
quando era occupato a pensare alla scuola invece che al dramma del suo
ragazzo
(ex-ragazzo).
“Dunque,”
disse Sebastian, apparendo da uno spiffero d’aria,
perché era
un demone e i demoni avevano questo potere e Dio,
Kurt stava per ucciderlo, “Ho visto che la situazione
sentimentale di Blaine su Facebook è cambiata.”
Kurt
sbatté le palpebre in sua direzione, facendo del suo meglio
per
apparire disinteressato. “Aspetti che io arrivi al Lima Bean
per sbucare fuori?
È così che trascorri i tuoi pomeriggi adesso?
Fatti curare, Sebastian.”
Invece di
cogliere il messaggio (che non era affatto subdolo, era
praticamente un gigantesco cartello luminoso che diceva VATTENE
SEBASTIAN),
Sebastian si sedette al suo tavolo e sogghignò.
“Dimmi cos’è accaduto,
allora,”
disse. “Blaine non risponde alle mie telefonate. Avete
litigato per colpa mia?”
Kurt lo
osservò per qualche momento, cercando di ricordare se il suo
cappuccino ipocalorico fosse caldo abbastanza da ustionare
l’altro. Inspirò a
fondo. “No,” disse. “Non tutto gira
attorno a te, per quanto possa sembrarti
difficile crederlo.” Sebastian continuò a stare
lì seduto con quel fastidioso
sopracciglio inarcato, quella fastidiosa faccia da scoiattolo, dunque
Kurt
decise che parlare fosse meglio che stare in silenzio. “Ha
detto,” cominciò,
saggiando sulla lingua la ragione che gli aveva dato Blaine,
“Che gli piaceva
davvero avere un fidanzato, che lo amava, ma che era indifferente che
fossi io
o qualcun altro.”
“Dici
sul serio?” domandò Sebastian, inarcando
maggiormente il
sopracciglio.
Smise risoluto
di prestare attenzione alle sue stupide sopracciglia e,
invece, fissò lo sguardo sullo schermo del suo computer.
“Sul
serio,” rispose. “Quindi credo che fossi coinvolto.
Ha detto che ha
capito di amare le attenzioni, non perché fossi tu, ma
perché erano attenzioni.
Ha capito che era lo stesso con me.”
Deglutì,
rifiutandosi di mostrare le proprie emozioni, nonostante tutto
ciò che stava pensando fosse non
eri
speciale, non eri amato, sei stato usato. Sempre e solo usato.
“Huh,”
sospirò Sebastian alla fine, e Kurt volse nuovamente la sua
attenzione alla relazione. Scrisse alcune parole, senza curarsi che
avessero
senso, sperando solo che l’altro cogliesse. Aveva avuto quel
che voleva… aveva
rotto con Blaine, era confuso e ferito… non aveva bisogno di
girargli attorno
per osservarlo scrivere una relazione. “Deve essere uno
schifo per te.”
“Già,”
rispose. “Asciuga le lacrime e poi vattene. Sento il mio Q.I.
sprofondare ad ogni minuto trascorso nelle tue vicinanze, e ho davvero
bisogno
di finire questa relazione senza monosillabi.”
Sebastian rise a
quelle parole, ma lui si rifiutò di sollevare lo
sguardo.
“Per
quanto possa importarti,” disse il giovane, un certo
divertimento
nella sua voce. “Ti disprezzo precisamente perché
sei tu. Non perché tu sia
qualcuno da disprezzare.”
Kurt
provò a trattenersi per un secondo, ma non ce la fece;
scoppiò a
ridere e serrò gli occhi nel farlo.
Dovette
ammettere, quando Sebastian gli rivolse un sorrisetto prima di
alzarsi e lasciare la caffetteria, che quella fosse la prima volta che
avesse
riso sinceramente da quando era stato scaricato.
Bene. Era stato
così.
*
A un certo
punto, durante i due recenti incontri al Lima Bean, Sebastian
doveva aver rubato il suo numero di telefono, perché il
giorno dopo a scuola
ricevette un messaggio da SMYTHE.
Qualcuno
ha investito un gatto mentre andavo a scuola oggi. Ha strillato. Mi ha
ricordato te.
Kurt
aggrottò le sopracciglia per qualche momento, dunque
rispose: Sei un essere spregevole.
Tre ore dopo,
mentre Kurt sedeva nella sala del glee in attesa che Mr
Shuester giungesse al punto, lo schermo si illuminò a
mostrare una risposta.
Un
essere
spregevole con un magnifico fondoschiena, comunque.
Quando Kurt
rise, Finn e Rachel si chinarono avanti per guardare a lui
oltre Mercedes. Kurt scrollò le spalle.
*
Per Kurt Hummel,
la scuola era stata un Inferno in diverse forme durante
la sua adolescenza. Prima c’era stato il bullismo in generale
– granite che
rovinavano i suoi completi preferiti e lo facevano sentire miserabile,
gettato
sugli armadietti molte volte come passatempo dei giocatori di football
– e poi
c’era stato Karofsky, che aveva reso ogni angolo della scuola
una minaccia,
dato che poteva essere ovunque, e ora c’era Blaine.
Non che
l’altro stesse facendo qualcosa di proposito, ma solo il
fatto
che fosse troppo vicino era difficile. Qualche giorno era
più facile di altri
(qualche volta si era svegliato ribattendo a quell’inferno
con parole come, Sono Kurt Elizabeth Hummel e
posso fare
qualsiasi cosa), ma altri giorni avrebbe voluto dimenticare
tutto, poi
vedeva Blaine ridere o dirigersi in classe o solo esistere, e tutto gli
crollava addosso.
Era stato in una
di quelle brutte giornate (il terzo giorno dopo la
rottura che si era chiuso in un fetido cubicolo di un bagno, solo per
essere
solo mentre si convinceva a non piangere) che Sebastian si fece di
nuovo vivo.
Kurt aveva un
sacco di pazienza. Viveva con Finn, per l’amor di Dio,
certo che aveva un sacco di pazienza. Rachel Berry era una delle sue
migliori
amiche, e con lei c’era un bisogno quasi costante della
regola del “conta fino
a dieci”. Era un pacifista, non importava quante volte avesse
subito angherie.
Comunque, quando
stava attorno Sebastian Smythe, la nuvola di pazienza
sulla quale viveva si dissipava immediatamente.
“No,”
fu il suo unico saluto.
Sebastian si
sedette comunque di fronte a lui. “Ciao, Kurt,”
disse con
un finto tono allegro. “Mi piace il tuo maglione; penso che
la mia sorellina ne
abbia uno uguale.”
“La
tua sorellina ha ereditato i geni del buon gusto,” rispose,
rivolgendogli finalmente lo sguardo. “Come posso aiutarti nei
tuoi piani
diabolici, oggi, Smythe?”
Il giovane fece
un sorriso smagliante. “Stavo solo pensando che mi
mancava il suono di autocommiserazione, ed eccoti qua.”
“È
buffo,” rispose. “Stavo giusto pensando che mi
mancava l’aura di completa
mancanza di amor proprio. Grazie per avermi aiutato.”
“Prego,
Kurt Hummel,” rispose Sebastian, dunque tirò fuori
il suo
portatile e si sistemò di fronte a lui.
Kurt rimase a
guardarlo per qualche momento, gli occhi sgranati, dunque
domandò: “Cosa pensi di fare?”
L’altro
sollevò lo sguardo, dunque lo abbassò di nuovo al
portatile.
“Cosa pensi che stia facendo? Non è abbastanza
ovvio da comprendere per il tuo
cervellino ricolmo di estrogeni?”
“Sembra
che tu voglia stare al computer al mio tavolo,” gli fece
notare.
Il sorriso del
giovane si fece condiscendente. “Ben fatto, Kurt. La
prossima volta impareremo come si allacciano le scarpe.”
“Non
ti siederai accanto a me, Smythe,” rispose.
Sebastian
abbassò lo sguardo alla sedia, il volto gli si
illuminò di
falsa sorpresa, e Kurt (che davvero, di solito era un pacifista) ebbe
voglia di
dargli un pugno su quella stupida faccia. “Buffo, sembra che
io lo stia già
facendo, a dire il vero.”
Kurt
sollevò lo sguardo al soffitto e contò fino a
dieci. E poi contò
fino a venti, giusto per essere sicuro, prima di tornare a guardarlo e
affermare: “Non sei il benvenuto qui.”
“Ma
ero qui prima di te,” rispose l’altro.
“No
tu…” cominciò, più forte e
più aspro di quanto intendesse, dunque
inspirò a fondo. “No, non è vero. Sei
appena arrivato, io sono stato qui per
mezz’ora.”
Il giovane gli
rivolse un sorrisetto. “Intendevo al mondo. Sono due mesi
più grande di te.”
Kurt chiuse gli
occhi. Quando li riaprì, guardò deliberatamente
allo
schermo del portatile invece che alla sua faccia sorridente da
roditore. “Prima
di tutto, ciò è irrilevante. Seconda cosa, il
fatto che tu sappia quando sono
nato è inquietante al massimo.” Sebastian
ridacchiò. Si disse di mantenere la calma.
“E terzo, se devi studiare, devi stare in silenzio. Devo
scrivere un tema.”
Ed ecco come
Kurt finì con lo stare seduto di fronte a Sebastian Smythe
per un ora. In qualche modo, era riuscito a trattenersi dal dargli un
pugno per
tutto il tempo. Quando se ne andò, comunque, sedette in
macchina per cinque
minuti, sbattendo la testa contro lo sterzo.
*
Hai
vinto
le nazionali di cheerleading cantando Céline Dion in
Francese? Chi diavolo SEI?
Kurt
fissò il messaggio, dunque abbandonò il telefono
durante la sua
pulizia del viso. Quando tornò, il messaggio era ancora
lì, ed era ancora da
SMYTHE.
Sono
magnifico, rispose,
seguito da: Smettila di
perseguitarmi, stalker.
*
Di solito, Kurt
era il primo ad arrivare al Lima Bean e Sebastian lo
raggiungeva qualche minuto dopo. Non avevano giorni prestabiliti
– qualche
volta Sebastian non si faceva vivo e dovevano essere giorni in cui
preferiva
fare i compiti da solo – dato che non erano amici e quella
non era altro che
una routine fatta di coincidente. Occupavano un tavolo al Lima Bean
riempiendolo di roba, e Kurt aveva deciso che i commenti di Sebastian
erano un
test per la sua pazienza e sarebbe diventato più forte.
Si sedette
pesantemente di fronte all’altro studente, dunque
inspirò a
fondo e costantemente.
In seguito,
ritornando a quel momento, Kurt avrebbe realizzato che
quella era la prima volta che si fosse avvicinato a Sebastian che
viceversa. A
quel punto, comunque, le sue mani sembravano cercare qualcosa da fare,
così
lasciò la borsa sulla sedia e dunque si diresse, stordito,
verso il bancone.
Gli sarebbe
sopravvenuto anche, guardando indietro, che doveva aver
imparato l’ordine di Sebastian per osmosi. Piazzo le due
tazze di caffè sul
tavolino, dunque vi gettò in mezzo una busta bianca.
Finalmente,
Sebastian sollevò lo sguardo, quindi aggrottò le
sopracciglia verso una delle tazze. “Uh, grazie,”
disse, confuso. “A meno che
non siano entrambe per te…?”
Kurt si mise
nuovamente a sedere. Le mani gli prudevano ancora. “No,
è
tuo. Non dire niente.”
“Perché
no?” domandò l’altro. “Che
cos’è successo? Cos’è quella
busta?”
Si
sentì male. “Viene dalla NYADA.”
“NYADA?
Hai mandato il modulo d’iscrizione alla NYADA?”
domandò il
giovane, suonando onestamente interessato. “Oh,
Gesù. Non potrò andare a New
York allora.”
“Huh?”
domandò, chiedendosi se fosse in stato di shock.
“La
scelta è tra New York o Parigi, non ho ancora
deciso,” rispose
Sebastian. Ovvio che fosse sicuro riguardo il suo college dei sogni,
era
Sebastian. Non riuscì a raccogliere le energie per
desiderare gli dargli un
pugno, perché anche se lo stava osservando era ancora
totalmente immerso nel
pensiero di quella piccola lettera accartocciata e non ancora schiusa.
“Sei
entrato?”
Sentì
il respiro divenire tremulo. “Non lo so, non l’ho
ancora aperta.”
Il sopracciglio
di Sebastian scattò in su. “Perché
no?” domandò.
Kurt
scrollò le spalle, dunque tirò le maniche
estremamente lunghe del
suo maglione, dato che aveva bisogno di qualcosa da fare.
“Io… uh, nessun posto
mi sembrava adatto.”
Lo sguardo di
Sebastian era indifferente. “Quindi la trascinerai in giro
finché non ti sembrerà il luogo
adatto?” domandò. “Cristo, Kurt,
dirà la stessa
cosa, a prescindere da dove la aprirai.”
“Non
sono ancora pronto per saperlo,” disse Kurt, ben consapevole
di
quanto suonasse patetico. Non riusciva neanche a curarsene.
“Insomma, cosa
succede se non mi vogliono? E se invece mi volessero?”
“Wow,”
rispose Sebastian. “I miei compiti sono davvero
più interessanti
del tuo sclerare sul nulla. Cresci un po’, Hummel. Di
cos’hai paura, comunque?”
E poi, siccome
l’universo lo stava perseguitando, il giovane prese la
busta.
Kurt
allungò la mano e l’altro indietreggiò,
dunque si alzò in piedi.
“Sebastian,” sibilò, alzandosi a sua
volta.
Il giovane gli
rivolgeva un’espressione di sfida. Quando Kurt non fece
altro che guardarlo, strappò la busta con un sorrisetto,
dunque cominciò a
leggere la lettera.
Kurt si sentiva
male. Sentiva come se davvero potesse vomitare, e
l’avrebbe fatto puntando alle stupide scarpe di Sebastian se
fosse accaduto.
Ad ogni modo,
Sebastian tornò a volgergli lo sguardo.
“Congratulazioni,”
disse.
Si
sentì gelare sul posto. Era pur sempre Sebastian Smythe, le
congratulazioni potevano significare tutto e niente. “Cosa
dice?” domandò.
Sebastian
sollevò la lettera, sorridendo. “Sei uno dei
finalisti.”