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Autore: afterhour    23/04/2013    6 recensioni
Il diavolo non è mai nero come lo si dipinge, e forse due persone che non si piacciono possono scoprire di avere qualcosa in comune, se guardano al di là della superficie.
E allora chissà, un incontro può diventare anche l'occasione per cambiare la propria vita, basta solo saperla cogliere.
:
"... - Non ti piaccio, vero? –
Si voltò a guardarla incuriosito, si aspettava qualche frase di circostanza, formale, non un approccio così diretto, non gli pareva da lei.
- Non particolarmente – le rispose, ma mentre pronunciava quelle parole e notava il leggero rossore che le saliva alle guance, sapeva che non era esattamente così..."
SasuSaku AU, OOC.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kakashi Hatake, Karin, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Eccomi qua!
Non ho riletto (sono tutta presa da un'altra storia che ho in mente), per cui se c'è qualche errore, o qualche punto poco chiaro, ditemelo!




3.
L’euforia di un momento.



Sakura si era fermata a lato della strada, di fianco ad alcune case, ed era rimasta ad aspettare.
Quando lo aveva chiesto, la sera prima, Naruto le aveva spiegato che Sasuke tentava di mettersi in contatto con suo fratello che al momento era irreperibile (come doveva essere vivere così, con l’ombra di un fratello malato e senza la protezione di una famiglia?), e Karin aveva aggiunto che lo aveva odiato, suo fratello, quando erano insieme.
Le aveva anche confermato che lo aveva lasciato lei.

 - …ma non significa che non fossi più innamorata di lui –

 - E allora perché? –

 - Perché…faceva troppo male – spiegò l’altra passando la bottiglia a Naruto.

E c’era quella parte di lei, quella che aveva voglia di piangere, che la capiva benissimo.

Si riscosse e tentò invano di sistemarsi un po’ meglio i capelli, perché non aveva fatto in tempo a truccarsi accuratamente e si vergognava di mostrarsi così imperfetta, così orribile, proprio con lui, tra tutti, che la irritava incredibilmente e un poco la terrorizzava, ma le piaceva da morire, inutile negarlo (ricordava vagamente il profumo della sua pelle, quando si era lasciata andare e si era adagiata su di lui).

Il trucco era impercettibilmente sbavato e ricordò le sue dita che le asciugavano la lacrima.
Era tanto che sentiva quel groppo in gola, quel grumo di lacrime mai versate, e lui era così bravo a scuoterla, come se sapesse perfettamente come fare, come se la conoscesse davvero, come se…la vedesse.
Una sola lacrima…
Era talmente tanto che non piangeva che quella lacrima le pareva il principio di qualcosa, o forse la fine.

Magari avrebbe dovuto odiarlo per quello, sì, avrebbe dovuto, invece…invece mentre lo guardava avvertiva uno strano calore, quasi fosse vicino a una fiamma, e aveva voglia di avvicinarsi, toccare quella fiamma, come una falena attratta dal fuoco voleva farsene avvolgere fino a bruciarsi.

Stupida, si riscosse finalmente, era Sasuke Uchiha quello, i suoi avrebbero fatto un colpo se fossero venuti a sapere che era lì con lui, e non avevano tutti i torti perché era duro, caustico, e non c’era gentilezza in lui, né cortesia, e probabilmente nemmeno un codice morale, non corrispondente al suo almeno…e comunque, in ogni caso, era una persona senza radici e senza legami, cui lei non piaceva neppure, e non faceva niente per nasconderlo.  

Rimase a guardarlo mentre si accendeva una sigaretta, illuminato dalla luce grigia del primo mattino, ed in quel momento pareva una splendida figura tragica.

 - Era tuo fratello? – fece uscire senza pensare quando lui si era seduto accanto a lei.

Aveva sentito lo sguardo di lui anche senza vederlo, dato che si ostinava a fissare dritto davanti a sé.

 – Sì – le rispose.

 - Ho chiesto a Naruto a chi telefonavi – chiarì, per un irrazionale bisogno di spiegarsi.

 - Va bene -

 - E’…– si interruppe – se vuoi un mio parere ti fa onore preoccuparti così per lui – continuò di getto, perché ormai non le importava di esporsi ulteriormente, non aveva molto da perdere – voglio dire…è tuo fratello, è importante per te…gli vuoi bene –
 
 - Non mi fa così tanto onore – mormorò lui – a volte lo odio -

Per una frazione di secondo rimase senza parole, colpita da quella confidenza improvvisa.

 - Sì, capisco - gli fece poi, un rossore immotivato e stupido, così stupido, che le colorava le guance – ma in un certo senso ti fa ancora più onore –

 - Scusa, puoi fermarti di nuovo? - le fece poco dopo.

E lei accostò ancora una volta, parcheggiò, ed aspettò mentre lui rispondeva ad un’altra chiamata.

Poco dopo lui aveva aperto la portiera e l’aveva guardata senza salire.

 – Non abito tanto lontano e qui vicino c’è un distributore di sigarette – le fece – proseguo a piedi, hai fatto anche troppo ed ho voglia di camminare  –

Annuì e si mise ad armeggiare con la borsa senza guardarlo, per non mostrargli quanto si sentiva delusa, anche se non ne aveva motivo, e quando trovò il cellulare lo tirò fuori per inventarsi qualcosa da fare.
Avrebbe voluto avere ancora un po’ di tempo da trascorrere con lui, fosse anche una manciata di minuti, perché sapeva che non si sarebbero mai più incontrati loro due, ed anche se era stato stronzo con lei, era stato…onesto…e lei aveva un disperato bisogno di onestà, di verità, di un punto fermo, e in quel momento le pareva che il resto, che tutta la sua vita, fosse solo una parata di forma che ricopriva un vuoto.
O forse era semplicemente il fatto che solo come la guardava le faceva rimescolare il sangue.

Lui era ancora lì, come se fosse indeciso, e Sakura alzò finalmente la testa a guardarlo.

  - Fai due passi con me? –

 - Sì – rispose in fretta, e non riusciva a non sorridere, ma sorrideva anche lui, per cui andava bene.

Mentre scendeva dalla macchina si rese conto che si sentiva lo stomaco in gola, che il cuore le batteva all’impazzata e le mani le sudavano, e forse era per lui, non lo sapeva, era la prima volta che si sentiva così agitata per un uomo, a parte suo  padre, ma era così diverso ora, era una sensazione paurosa e nel contempo esaltante, che la rendeva instabile, come se potesse (se volesse)rivoltarsi al rovescio da un momento all’altro, per la prima volta in vita sua, con tutte le emozioni più intime al di fuori.
Così rischioso.

Camminarono in silenzio dopo avere svoltato in una stradina laterale, e girarono ancora, su una strada un po' più larga, lei che guardava davanti a sé: ora riconosceva la strada, se non sbagliava lì in fondo c'era un ponte.
Guardò Sasuke al suo fianco, incerta.
Le pareva quasi irreale ora.
E a pensarci tutto era irreale, lei, le sue reazioni, i suoi discorsi, e lui, soprattutto lui.
 
- Sai, per la foto che hai scattato – mormorò seguendo il filo dei suoi pensieri – non so perché mi abbia dato così fastidio…è che...non mi riconoscevo –

 - Era solo una foto al cellulare – alzò le spalle lui.

 - Sì ma sembravo così…amara – continuò – sembro…sembro davvero così dal di fuori? –

 – Non ti sentivi amara in quel momento? –

Sì, si sentiva amara.

 - Mio padre ha rifiutato per l’ennesima volta un mio progetto, sì che mi sentivo amara – confessò di getto.

 - Sei una stupida – le sorrise – i parenti sono dei pessimi datori di lavoro, dovresti andartene da lì –
 
Continuarono a camminare in silenzio e lei pensava che non poteva, che lui non capiva, che non aveva senso andare altrove, a fare qualcosa che aveva intrapreso solo per compiacere suo padre.

 - Non farti intrappolare in quel mondo angusto, tu puoi essere diversa da loro, migliore –

 - Non è così facile – mormorò, il cuore che batteva forte, forte, perché lui non usava riguardi, mezze parole, andava dritto al punto, senza pietà, e quello che aveva detto pareva niente, e invece era un punto cruciale, mai espresso, mai neppure pensato apertamente.

 - Non ho detto che fosse facile, non c’è niente di facile, e i miei consigli valgono zero, non sono un gran esempio –

Meglio di me, pensò, il grumo di lacrime che premeva, premeva per uscire.

Erano quasi arrivati al ponte, adesso iniziava a sentire il rumore della città che si svegliava, qualche serranda che si alzava, qualcuno che camminava svelto, un paio di macchine che passavano.  

Lui attraversò la strada e si fermò ad un distributore automatico di sigarette (le piaceva perfino il suo modo di camminare, naturalmente elegante), poi proseguirono fino al piccolo ponte e si fermarono in cima a guardare l'acqua, a non guardare niente, mentre Sasuke apriva il nuovo pacchetto e si accendeva l'ennesima sigaretta.

Sakura si appoggiò al parapetto e fermò lo sguardo sull’acqua grigiastra che scorreva silenziosa sotto di lei: sembrava senza fondo e misteriosa, e un poco minacciosa.
Si voltò a guardare dall’altra parte del fiume, dove la strada proseguiva, e per un tratto seguì con gli occhi una coppia che camminava abbracciata, che dava loro le spalle e rideva, e chissà dove andavano insieme di primo mattino.
Sembravano felici, sembravano padroni della loro vita.

Il fumo della sigaretta le arrivò alle narici, fastidioso, e quando si voltò a guardarlo lui la guardò a sua volta: i suoi occhi scuri riflettevano la luce grigia del cielo plumbeo ed in un qualche modo apparivano senza fondo e misteriosi come l’acqua del fiume, e altrettanto minacciosi.
Cadeva qualche goccia di pioggia ora, e rimasero per alcuni secondi così, a studiarsi, lei che non riusciva a distogliere lo sguardo e si chiedeva se lui sapesse l’effetto che facevano i suoi occhi, e se si divertisse a mettere in imbarazzo le persone.
Ad agitare lei.

 - Mi piace quando mi guardi così – le fece.

 E lei distolse lo sguardo, le guance in fiamme, senza sapere cosa dire.

Si staccarono contemporaneamente dal parapetto e si avviarono in silenzio lungo la strada.
Piovigginava appena, quasi niente, e poi non importava, e lui aveva finito la sigaretta ed aveva buttato il mozzicone a terra.
Non si dovrebbe, pensò una parte di lei, quella che assomigliava a sua madre, e non dovrebbe fumare così tanto, gli farà male, non voglio che stia male, pensava un’altra Sakura che se ne stava seppellita dentro di lei da così tanti anni.

 - Non conosco nessuno che fumi così tanto (troppo)  – ruppe il silenzio.

 - E’ rilassante…non come una scopata –

 - Almeno quelle sono più salutari – replicò in fretta guardando a terra, un poco imbarazzata.

 - E’ una proposta? –

  - Non credo tu abbia problemi a trovarti una donna, scommetto che hai un paio di ragazze che ti aspettano, in giro per il mondo – rispose di getto, in difesa, più agitata di quel che avrebbe dovuto.   

- No, non ho mai relazioni molto lunghe - le fece accendendosi un'altra stramaledetta sigaretta.

 - Perché? -

 Lui aveva esitato un momento – Le persone non sono disposte ad accontentarti del secondo posto –

Fu il suo turno ora di rimanere in silenzio per qualche secondo, lui aveva parlato con un tono neutro, quasi duro, eppure lei sapeva che non aveva casa, che non aveva famiglia, e che doveva sentirsi solo, senza un punto fermo.
Si chiese se si riferisse ad una situazione particolare, ad una donna in particolare. A Karin magari.

Cacciò la fitta di gelosia che non aveva motivo di esistere e pensò che suonava troppo come una scusa quella, e non si riferiva solo a lui, si riferiva anche a se stessa.
Non era un modo per dirsi che non valeva la pena di provare?
Per non provarci nemmeno?

 - O magari questa è solo la tua scusa per non impegnarti – mormorò.

Lui non aveva risposto, ma aveva sorriso appena prima di alzare la testa e guardare la strada davanti a sé, in lontananza.
Continuò a sbirciarlo cosciente del suo corpo che camminava, del vento sulla pelle, di quella strana sensazione che avvertiva di cui lui era la causa.

 - E' un po' più complicato di così - le rispose poco dopo – Itachi è un pensiero costante, fisso...è un peso che non mi fa dormire, o rilassare...anche in questo momento, non so dov’è e cosa sta facendo, e so che non sta prendendo i farmaci e che prima o poi si sentirà male –

Lei ascoltò in silenzio, sforzandosi di capire, protesa verso di lui.

- Non è possibile rintracciarlo in qualche modo? – gli chiese poi – la polizia non può fare qualcosa? –

 - E’ un adulto, può fare quello che vuole, perché la polizia dovrebbe rintracciarlo -

 - Ma se è malato -

 - E’ libero di fare quello che vuole, non l’ho fatto interdire – le fece bruscamente – forse ho sbagliato ma non me la sono sentita, lui sarebbe venuto a saperlo, e non volevo  –

 - Sì, capisco - sussurrò lei trattenendo la tentazione di sfiorargli le dita con le sue.

Sei anche tu in una gabbia, pensò.

Continuarono a camminare in silenzio, e ormai non era più nemmeno consapevole delle strade che percorreva meccanicamente, della pioggerellina sottile che cadeva, troppo tesa, troppo cosciente di essere accanto a lui, di non avere più tempo.
Quando erano arrivati di fronte ad un edificio che le aveva indicato come casa sua, lei si era fermata a guardarlo, tesissima, e sapeva di avere scritte in volto mille emozioni che avrebbe dovuto controllare, che non si dovevano mostrare, ma non importava ora, e poi era la sua ultima occasione di vederlo.
Pioveva un po’ di più, ora, ed iniziava a bagnarsi i capelli, ma non le importava.

 - Ehi – le fece lui, e come al solito non distoglieva lo sguardo, si divertiva a tenerla prigioniera in quel fuoco nero.

 - Sei bello – mormorò.

Lui si era abbassato appena e le aveva sfiorato le labbra con le sue per un brevissimo momento. Troppo breve.

 - Anche tu –

Restò a fissarlo paralizzata mentre lui inclinava la testa di lato e appoggiava ancora le labbra sulle sue, e senza rendersene conto allungò le braccia ed appoggiò una mano sulla spalla di lui, e l’altra sul suo collo, a toccargli i capelli.

Improvvisamente  la testa le girava e si sentiva folle, e euforica, e la sensazione delle sue labbra era così perfetta che aveva subito schiuso le sue e aveva assaporato la lingua di lui che sapeva di fumo, e avrebbe dovuto infastidirla teoricamente, invece le piaceva da impazzire.
Quando lui la strinse a sua volta si sentì mancare il respiro, una strana vertigine che le impediva di pensare, di capire, e la faceva affondare in quella sensazione fisica, carnale, che era il sapore di lui, l’odore di lui, il calore di lui.

Quando si erano staccati erano ambedue bagnati di pioggia ed il cuore le batteva all’impazzata, pareva sul punto di scoppiare.

 - Vieni – le fece prendendole una mano.

Lo guardò esitante.

 - Che c’è – le chiese accarezzandole la guancia, e lei non riusciva a ragionare lucidamente – c’è qualcuno? –

 - Circa… - ammise imbarazzata, aveva completamente scordato Kakashi.
 
 - Non sembri molto convinta. E’ importante? –

 - No -

 - E allora vieni –

Lo seguì all’interno dell’edificio, e tremava come un’adolescente al suo primo appuntamento, e nell’ascensore, mentre lui la baciava, e le sue mani le scorrevano sulla schiena fino ai glutei, lei che gli si aggrappava quasi disperata, la testa che girava, e girava,  pensò che probabilmente era così agitata che non si sarebbe neppure divertita così tanto.

 - Cosa c’è – le sussurrò all’orecchio.

 - ...hai un preservativo? – gli rispose col cuore che batteva ancora all’impazzata, perché se non lo aveva non si faceva niente, su questo era irremovibile e...

 - Sì, li ho presi prima –

Pensò che allora non era solo un distributore di sigarette quello, non ci aveva fatto caso, e allora voleva dire che già in quel momento…
La baciò ancora, interrompendo i suoi pensieri, ogni pensiero.
I suoi baci le mandavano un fremito di eccitazione lungo l’intero corpo, e sapeva che anche se per l’agitazione non fosse riuscita a raggiungere l’orgasmo, comunque questa giornata se la sarebbe ricordata per sempre.

Entrarono nell’appartamento abbracciati e baciandosi arrivarono in qualche modo in camera; le tapparelle erano ancora abbassate e lui aveva acceso la lampada sul comodino prima di farla sedere sul letto.
Lo guardò togliersi la maglietta e fece scorrere gli occhi sul suo corpo. Meccanicamente alzò il braccio e passò le dita sulla sua pelle, incantata.

Lo aiutò a toglierle a sua volta la camicetta improvvisamente vergognosa, consapevole di tutti i suoi difetti, orribilmente insicura perché tutto questo era assurdo.
Cosa voleva da lei, proprio da lei?
Lei che non gli piaceva neppure.
Ma forse questa era solo una bugia, e forse la sua era solo paura.

Allungò comunque la mano e la posò sul suo collo attirandolo a sé, sul letto, perché aveva voglia di lasciarsi andare e non pensare a niente.

 - Sas’ke – mormorò, e doveva piacerle il suono del suo nome perché lo ripeté ancora, e ancora mentre lui le baciava il collo, e il seno, e le slacciava i jeans impaziente.

Avvertì ancora un senso di vertigine mentre lo guardava spogliarsi a sua volta, i particolari del corpo di lui che le si stampavano nella memoria troppo nitidi per essere un sogno, o un parto della sua immaginazione.

 - Sas’ke –

 - Non devi ripetere il mio nome – l’ammonì lui – o rischi di fartelo scappare con il tuo uomo –

Rimase per qualche secondo completamente immobile, quasi umiliata, smontata da quelle parole così crude, che sicuramente erano vere e la riportavano alla squallida realtà di quello che stavano facendo.
Non era niente lei, per lui?
Solo un modo per rilassarsi?

 - Va bene – mormorò improvvisamente triste.

Lui sorrise e le accarezzò appena la guancia.

 - Sakura – le sussurrò, così seducente, così pericoloso.

E ancora una volta era rimasta prigioniera sotto il suo sguardo intenso, dimentica di tutto il resto, l’eccitazione che come un formicolio la faceva tremare leggermente, un’impellente ondata di desiderio in mezzo alle gambe che le pareva intollerabile.

Si abbandonò alle mani di lui, al calore del suo corpo, delle sue labbra, della sua lingua dicendosi che doveva vivere, non sviscerare tutto.

Era stato il suo ultimo pensiero coerente, perché fare l’amore con lui era stato come non essere più padrona di se stessa, e per quanto toccasse, si muovesse, baciasse, era come se fosse solo lui a decidere come e quando doveva provare piacere lei, come se fosse lui a decidere come il suo corpo doveva reagire, come se il suo corpo dovesse obbedire a lui, non a lei.
Dapprima era stato un piacere che cresceva lento, una dolcissima tortura, poi, quando era entrato in lei con più forza, era esploso in un orgasmo quasi violento, brutale, che l’aveva lasciata senza più un briciolo di energia.
Karin la sera prima le aveva detto che più bravi erano a letto più erano bastardi, e si chiese con una punta di tristezza se si riferiva proprio a lui.
__

Il suo corpo spossato se ne stava languido accanto a quello di lui, e gli occhi lo guardavano ancora lucidi di piacere, e stanchezza.

  - Cosa c’è -  

 - Ti guardo – gli spiegò pigramente – non riesco a trovare difetti nel tuo corpo – la cosa era assurda se ci pensava.

 - Perché li cerchi? -

- Perché tutti li abbiamo, io ne ho, e tu invece...-

 - Il tuo corpo non ha difetti – la interruppe facendo scorrere una mano sul suo seno - I corpi non hanno difetti, hanno caratteristiche fisiche…tutti i corpi possono essere perfetti, e il tuo mi piace tantissimo -

Si era sollevato a guardarla, a guardare il suo corpo mentre lo tracciava con le dita, e lei era improvvisamente arrossita sotto il suo sguardo attento, il che era ridicolo se pensava a quello che avevano fatto fino a quel momento.

 - Aspetta – le fece, e lei rimase a studiarselo mentre si alzava nudo e prendeva una macchina fotografica dal comò – queste foto ti piaceranno di più – le spiegò sedendosi sul bordo del letto.

 Lo fissò improvvisamente imbarazzata, perché chissà dove finiva quella foto e...

 - Solo il viso, non le mostro a nessuno –

E forse era solo ingenua, forse se ne sarebbe pentita, ma gli credeva, e rimase a guardarlo di nuovo rilassata, di nuovo totalmente fiduciosa come era stata prima, tra le sue braccia.
Aspettò paziente per un poco mentre lui scattava le fotografie, e dopo allungò il piede e si mise a sfregargli lentamente la coscia, fino a quando lui non appoggiò la macchina fotografica e non l’attirò a sé.
Era possibile avere bisogno di qualcuno che si era appena conosciuto?
Perché mentre facevano ancora l’amore le pareva di non poterne più fare a meno.

Dopo continuò a toccarlo, e guardarlo, e guardarlo, e non capiva perché, ma sentiva le lacrime che premevano, premevano, per uscire, e sapeva di avere gli occhi lucidi, probabilmente rossi.

- Non so cosa mi prende – mormorò sulla sua pelle, perché si vergognava di mostrarsi così fragile, vicina al crollo, e non sapeva cosa potesse pensare lui.
 
 Lui non aveva commentato, e Sakura continuò a stringerlo, e stringerlo, e non voleva staccarsi da lui.

Rimasero abbracciati per alcuni minuti, così poco, troppo poco, Sasuke che l’accarezzava piano, e fu lui a staccarsi per primo.

 - Devo andare in banca prima che chiuda – le spiegò.

- Che ora è? – chiese incerta, e si spostò per prendere l’orologio che si era tolta (le dava fastidio, o meglio, dava fastidio a lui) – così tardi! – esclamò sorpresa – mia madre mi starà aspettando per pranzo – e non aveva alcuna voglia di andare da lei, di tornare lì.

Sasuke si sollevò sul letto scostandole la mano che ancora indugiava sulla sua pelle e prese il cellulare che aveva lasciato sul comodino, per una volta abbandonato.

 - Devo andare  – le spiegò mentre lo controllava.

 - Sì, anch’io –  mormorò lei alzandosi a sua volta.

Si erano rivestiti in silenzio.

 - Se vuoi ti accompagno alla macchina –

 - Non occorre che ti disturbi, è qui vicino –

Lui non aveva insistito e per qualche assurdo motivo si era sentita un po’ morire.

 - Allora vado – mormorò, e lo guardò ancora un momento, l’ultimo – Non sparire, ti prego – aggiunse, ma non sapeva se lui aveva sentito.

In ogni caso non aveva detto niente, si accendeva una nuova sigaretta e neppure la guardava.

Sakura aveva preso la sua borsa ed era scappata fuori di lì, da quella giornata irreale, da quella stanza irreale con quella persona irreale, perché tra poco doveva rientrare nella realtà, nella sua realtà fatta di persone reali, di lavoro che non soddisfaceva e di legami asfissianti, o di relazioni ambigue, meno intense, un po’ banali, ma prevedibili, manovrabili.

Non pioveva più, notò.

Le prime lacrime iniziarono a scendere poco dopo.
Camminò a testa bassa, tentando di non farsi notare, perché mentre procedeva verso la macchina non riusciva a fermare le lacrime che le riempivano gli occhi e iniziavano a rigarle il viso.
Era una sensazione inconsueta, quasi bizzarra, come se quelle gocce scendessero meccanicamente, senza un motivo, senza alcuno stimolo, com’era possibile?

Iniziò a ridere tra le lacrime e dopo aver frugato in borsa si asciugò le guance, invano, ormai singhiozzante, incapace di arrestare quel fiume di emozioni, di pianto che la devastava dall’interno.

Finalmente si chiuse in macchina, al sicuro, e continuò a piangere per quelle che le parevano ore; quando smise si sentiva completamente svuotata, e quel grumo amaro che da sempre le occupava la gola era come sciolto.

Il giorno dopo Naruto le spiegò che Sasuke era dovuto scappare via, che suo fratello lo aveva chiamato e gli aveva chiesto di andare a prenderlo da qualche parte, e che lui era subito corso, svanendo dalla sua vita per andarsene nella vita di qualcun altro, qualcuno di irreale quanto lui.

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Ecco…per me la storia potrebbe anche  finire qui, ma sarò generosa e aggiungerò un altro capitolo, eh eh.

E lo so, in un modo nell’altro li faccio sempre finire nello stesso letto, ma mi pare sempre che Sakura faccia bene a cogliere l’attimo, o forse, diciamocelo, sono solo molto perversa, eh!
Comunque credo che un rating arancione possa essere sufficiente, se mi sbaglio ditemelo (forse è che mi sono abituata a scrivere ‘ben di peggio’:D).
   
 
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