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Autore: hanabi    12/11/2007    8 recensioni
Parodia cagnesca autoconclusiva del più classico degli anime yaoi, Il Cuneo dell'Amore.
(2000)
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Iason passeggiava, altero e sprezzante come sempre, incedendo regalmente per la strada. Il suo curato mantello ondeggiava ai fianchi. Era consapevole della sua raffinata bellezza unita ad una statura di tutto rispetto.

Al suo fianco, Jupiter marciava come una copia bipede di Iason, con lo stesso sguardo fisso al di sopra di tutto. Presto sarebbero arrivati ai giardinetti, solito luogo di ritrovo.

Jupiter si fermò un istante, e Iason si sedette con lentezza sull’asfalto, badando che fosse pulito. Sbadigliò. Non c’era niente di eccitante all’idea di vedere le solite facce ai giardinetti. L’unico incontro interessante poteva essere con Raoul, un cocker spaniel dorato di altissimo pedigree, capace di piantarsi come una statua durante i concorsi di bellezza. Iason apprezzava la sua perfezione formale e l’acuta consapevolezza di sé.

“Guarda che carini, Iason!”

Annoiato, l’altero levriero afgano alzò il muso. Jupiter si era fermato davanti a una vetrina, dove in una gabbia di vetro alcuni cuccioli di pura razza garantita ruzzavano sul pavimento coperto di trucioli.

“Mi piace quello là, il barboncino.”

Iason distolse lo sguardo, schifato.

“Non ti va di dividere casa con un altro cane, eh?”

Iason si alzò e tirò il guinzaglio in risposta, come per invitare Jupiter ad allontanarsi dal negozio di animali. Andiamo ai giardinetti, va’!

Si rimisero in marcia.

Ad un incrocio, Iason sentì dei latrati furibondi. Si voltò.

In fondo al vicolo c’era una vera e propria cagnara: alcuni boxer tigrati con collari adorni di borchie avevano circondato un botolo nero, che mostrava loro i denti con una smorfia di odio.

Iason attraversò la strada, con aria indifferente. Fece qualche metro. Poi, non sapendo il perché, si fermò... e diede uno strattone al guinzaglio, strappandolo dalle mani di Jupiter.

“Ehi!”

Con una plastica corsa che mandò onde luccicanti su per il mantello, Iason svoltò l’angolo, raggiunse il luogo della zuffa ed abbaiò perentoriamente ai boxer.

“Fermi!”

Questi lo guardarono alquanto perplessi.

“E tu, bellimbusto, chi credi di essere?!”

La risposta altera fu: “Potete chiederlo al mio padrone, che sta venendo qui...”

“Iason! Dove sei?!”

I boxer si guardarono, incerti.

Iason scodinzolò serafico. “Sapete, il mio umano è responsabile del Registro Canino delle Razze. Quello che deve vidimare i vostri pedigree, per intenderci.”

Le orecchie dei cani si appiattirono. Capirono l’antifona e, brontolando, se la svignarono.

Nel vicolo tornò il silenzio.

Iason scosse il magnifico pelo, godendo incredibilmente quella scarica di adrenalina e cominciando a chiedersi cosa gli fosse preso.

Ho salvato questo cane... ma perché?

Si girò verso il botolo: un randagio, senza collare e medaglietta. Inclinò la testa di lato, per studiarlo meglio: razza incerta, po’ di volpino... qualche traccia di pastore tedesco... di fox terrier...  Iason si arrese: quel cane era un vero figlio di cooperativa!

“Che vuoi,” ringhiò il bastardo, “che ti ringrazi? Sei uguale a quelli là, puzzone che non sei altro!”

Iason alzò mezzo labbro, divertito dal quello sguardo di fuoco.

“Come ti chiami?” gli chiese.

Il cane nero alzò insolentemente la zampa contro il palo della luce. Iason chinò appena il muso regale ad annusare, e distinse il nome.

“Riki.”

Proprio nome da bastardo, pensò.

Si avvicinò allo stesso palo e ci spruzzò sopra con precisione un paio di gocce di urina.

“Iason... Mink,” annusò con una smorfia il botolo. “Ehilà, due nomi mentre io ne ho uno! Sei proprio un nobile, eh?”

Immobile come una statua, Iason si limitò a squadrarlo dall’alto della sua statura.

“Beh, non voglio debiti con uno come te. Seguimi!”

Riki trotterellò verso un cassonetto dell’immondizia incastrato in un androne. Iason, stranamente affascinato, lo seguì nello squallido luogo.

Il cane nero frugò tra i sacchetti e prese tra i denti un osso marcio e puzzolente. Glielo portò davanti e lo lasciò cadere.

“Toh, mangia.”

Iason guardò l’orribile cosa verminosa tra le sue zampe.

“E questa roba sarebbe commestibile?”

“Certo! Cos’ha che non va? Sei abituato al SuperGourmet servito nella baslotta di platino, signorone?”

C’era una nota isterica nel cane nero... Iason alzò lo sguardo, incontrando le sue iridi ambrate, fiammeggianti.

“Del resto, non ho altro da darti,” mugugnò il randagio, vergognoso della sua povertà. “O ti accontenti, o...”

“O mi prendo qualcos’altro.”

Iason non seppe mai spiegare il perché di quel che fece.

Avanzò, morse il cane nero sulla collottola, gli andò sopra e lo possedette carnalmente.

 

*

 

Ai giardinetti giunse in uno strano stato d’animo.

Non poteva credere di essersi abbassato a toccare un bastardo qualunque, un cane sporco senza pedigree, e di essersi accoppiato con lui in un sudicio vicolo!

Ma la cosa gli aveva dato una soddisfazione enorme, mai provata prima. Il randagio aveva ringhiato, lottato, prima di essere sopraffatto... allora si era messo a uggiolare, e nei suoi occhi umidi era entrata una sterminata passione intrisa di odio.

Riki.

Alla luce dell’esperienza, guardò con occhi diversi i cani dei giardinetti.

Ma si trovò di fronte a una delusione. I cani di razza erano così noiosi! Trotterellavano impettiti sul prato, annusandosi cortesemente a vicenda, uno più superbo dell’altro, con una dignità scostante, e anche nei loro scondizolii si intuiva la falsità.

I loro discorsi erano tutti del tipo: “Ciao, come va?” “Bella giornata!” “Visto il mio nuovo collarino?” “Un bijoux, mia cara.” “Hai provato il nuovo salone di bellezza per cani?” “Ho un compagno di giochi, un gatto persiano geneticamente modificato, vedessi che pelo...”

Iason distolse il muso appuntito. Simili animaletti domestici non avrebbero mai espresso la passione di un selvaggio come Riki.

“Iason...”

Raoul incedeva verso di lui, i riccioli delle sue orecchie pendule ben impostati.

“Oh, buongiorno, Raoul, come va?”

Scodinzolarono, e come sempre si annusarono garbatamente i sottocoda in segno di saluto. Ma Raoul si accorse subito di qualcosa di diverso...

“Iason.”

“Sì?”

“Siamo amici da tanto tempo... a me potresti dirlo.”

“Che cosa?”

“Che sei gay...”

Iason, imbarazzatissimo, calò la coda tra le gambe e si volse a guardare Raoul in faccia. Il cocker lo fissava con occhi umidi e tremanti.

“Insomma, che diamine...” Iason si sedette e si diede una grattatina nervosa. “Raoul, hai voglia di scherzare.”

“Scusa se mi permetto,” puntualizzò il cocker, piccato. “Ma hai odore di maschio addosso.” Si sdraiò a pancia basso sull’erba, con aria depressa. “E di un maschio che non si lava da parecchio, tra l’altro...”

“Beh anche se fosse... sono affari miei,” ringhiò lui, leccandosi frettolosamente le parti basse (e provando un segreto brivido a sentirsi l’odore di Riki addosso).

Raoul uggiolò cavernosamente.

“Oh Iason, come hai potuto metterti con un randagio? Anche se sei gay... beh, potresti sceglierti partner migliori...”

Iason guardò stralunato il cocker.

“Misericordia, Raoul, non vorrai dire che...”

“Ti dico solo che con certa gentaglia ti metterai solo nei guai.” Raoul si alzò di scatto. “Vedi un po’ tu.”

E se ne andò dal suo padrone, senza voltarsi.

 

*

 

Jupiter aveva proprio il chiodo fisso di trovare a Iason una compagnia. A causa del suo lavoro doveva spesso assentarsi da casa; e quando tornava, trovava il suo cane sempre più depresso e nervoso.

Iason passava ore ed ore sulla sua coperta a farsi menate esistenziali... si chiedeva se a forza di incroci tra consanguinei la sua razza non si fosse rovinata al punto di far emergere tare genetiche. Come quella di propendere per i cani del suo stesso sesso.

Non sono normale...

“Che c’è, Iason, ti senti solo?” gli chiese il padrone, preoccupato da quell’atteggiamento.

Sì, umano deficiente, mi sento solo!

“Dovrei forse comprarti un amico che ti tenga compagnia.”

Peccato che il cane che voglio non lo vendano nei negozi.

E con uno straziante sospiro canino pensò: Ah, Riki!

“Vabbè,” tagliò corto Jupiter. “Dài, usciamo. Ai giardinetti ti distrai un po’.

Come no, pensò Iason ma con un altro sospiro si alzò. Come aveva detto un celebre generale dell’epoca napoleonica: Never turn down a chance to piss.

Per la strada, sempre le solite cose, le solite facce, le solite vetrine, le solite macchine... Iason pensava che la morte per noia non era un’invenzione dei romanzieri ottocenteschi.

Ma all’improvviso, più meno all’altezza dello stesso incrocio, scorse il cane nero...

Jupiter quasi volò per terra dall’improvviso strappo che Iason diede al guinzaglio. Il levriero afgano si mise a latrare a pieni polmoni, facendo girare svariati passanti. Iason ebbe la soddisfazione di vedere Riki alzare la testa verso di lui e guardarlo con un lampo di inconfessabile gioia... prima di voltarsi di fianco e far finta di niente.

Tutti i muscoli del biondo cane si tesero, trascinando a forza il padrone che vanamente implorava: “Ehi! Buono.... buono, ma che ti prende?!”

Mi prende che l’ho trovato, il cane che voglio!

Iason raggiunse il cane nero, e gli infilò immediatamente il muso appuntito sotto la coda in un’ansiosa, possessiva annusata. Riki reagì abbassando la coda ed appiattendo il sedere a terra, voltandosi e mostrando i denti. Ma la coda di Iason frustava allegramente i suoi fianchi, in una dimostrazione di felicità che metteva in oscillazione tutto il fondoschiena.

Jupiter guardava la scena, esterrefatto.

“Ma che fai, Iason ti metti a giocare con un randagio?!” Guardò il botolo. “Non è di nessuno...” Sospirò, di fronte all’evidente gioia del suo amato cane. “E’ brutto da far paura, ma... se ti piace, lo prendo su, così ci giochi anche a casa, sei contento?”

Riki si irrigidì di colpo. Alzò il muso a Jupiter, poi alle fattezze regali di Iason.

“Come sarebbe a dire, che mi prendete su?”

“Sarebbe a dire che d’ora in poi sarai il mio animaletto,” sorrise il levriero afgano.

Riki si sentì le zampe molli al ricordo del loro amplesso.

“Ma sei matto?” guaì debolmente. “Io non voglio essere il tuo animaletto. E poi sono un randagio, non un cane d’appartamento come te...”

“Non puoi scegliere,” tagliò corto Iason. “Ho deciso che sarai mio, e lo diventerai.”

Le mani dell’umano si allungarono su Riki, che le guardò avvicinarsi paralizzato da una sorta di malvagio, perverso stupore.

 

*

 

Jupiter portò il randagio dal suo veterinario di fiducia, che per prima cosa lo immobilizzò e gli infilò una museruola.

Iason, che osservava la scena seduto in un angolo, si eccitò morbosamente a guardare il suo nuovo giocattolo in quella versione sadomaso.

Interessante...

Sotto il suo sguardo compiaciuto, il veterinario inflisse a Riki una visita umiliante, e svariate vaccinazioni. Poi l’ormai ex randagio passò nelle mani di altri aguzzini, che lo misero in una vasca e lo lavarono energicamente: un’esperienza allucinante, che Riki non aveva mai provato prima. Dopo l’ultimo risciacquo, in piedi e gocciolante, col pelo impudicamente aderente al corpo, levò uno sguardo sdegnato al levriero afgano che lo fissava impassibile. E si scrollò rabbiosamente, sperando forse che l’acqua raggiungesse anche lui.

Iason non batté ciglio, ma in cuor suo ringraziò il Creatore di essere un cane a pelo lungo: così poteva nascondere un’imbarazzante metamorfosi dei suoi organi sessuali...

Asciugato, il pelo di Riki si rivelò di un lustro e morbido color nero, e il bastardino  apparve di una nuova, inaspettata bellezza nonostante l’ammasso di caratteristiche genetiche spurie. L’umano lo guardò abbastanza soddisfatto, poi studiò l’espositore del negozio e fece la sua scelta.

“Questo dovrebbe starti bene addosso...”

Riki guardò il collare, inorridito.

“Non muoverti,” lo ammonì Iason con un brontolio. “E’ il collare dell’obbedienza.”

Riki se lo lasciò allacciare, umiliato.

“Ecco, adesso sei proprio di mia proprietà,” scodinzolò Iason, compiaciuto.

“Vai a farti fottere,” ringhiò Riki, voltando la testa.

Intanto, Jupiter sorrideva. “Bravo cane, dobbiamo trovarti un nome, così ti faccio fare anche la medaglietta... come lo chiamiamo, Iason?”

Iason abbaiò il nome di Riki.

“Bobi,” capì ovviamente lo stupido umano.

Riki si guardò allo specchio, sconvolto da quel che vedeva. Un cane di appartamento, col pelo gonfio a phon, e il collare a bottoncini dorati.

Era quello il famigerato Riki Lo Scuro, terrore degli addetti alla nettezza urbana, e dei postini in bicicletta?

Dietro a lui incombette la figura imponente ed elegante di Iason.

“Sono finiti i tuoi giorni di stenti,” disse il gigante, con un sadico brontolio. “D’ora in poi avrai sicurezza, pasti regolari e una cuccia calda. Ma... dovrai ricordare sempre che il vero cane del padrone sono io, e tu solo il mio animaletto. Dovrai fare tutto quel che ti dirò, è chiaro?” Il muso di Iason sfiorò il nuovo collare di Riki. “Tutto.”

Riki rabbrividì.

 

*

 

La casa di Jupiter era molto bella, e Riki era intimidito da quell’ambiente così diverso dalle sue cucce improvvisate: tutto specchi, mobili lustri e tappeti.

Dovette imparare le regole del “vivere civile”, e non fu facile. Katze, l’algido domestico di Jupiter, lo sgridava spesso, per disastri combinati a volte a bella posta anche dal perfido Iason (notoriamente, il cane più educato del mondo e quindi intoccabile); e talvolta colpiva Riki sul sedere col giornale arrotolato. E Riki, benché avesse provato di molto peggio nella sua vita che qualche sonoro colpo di giornale, guaiva e ringhiava non sopportando di essere picchiato sotto lo sguardo imperscrutabile di quel cane superbo...

Finché, una volta Katze l’aveva punito, e lui inutilmente aveva cercato Iason nella stanza. E si era accorto che gli era mancato, che essere picchiato senza che lui lo guardasse non era la stessa cosa, non era così coinvolgente... non era così bello.

Non appena gli umani uscivano di casa, la torbida sensualità del rapporto tra Iason e Riki trovava il suo sfogo. Il levriero afgano si avvicinava al suo giocattolo, e prendeva possesso dei beni desiderati con una costanza da far paura, in un vero e proprio surmenàge erotico. Quel nuovo Riki dal pelo pulito e lustro era irresistibile, e per di più non aveva perso niente della propria passionalità rabbiosa: Iason doveva usare la sua stazza superiore e la sua forza fisica con lui. Spesso gli faceva provare la brutalità, incassando anche qualche morso. Ma poi, quando finalmente Riki si arrendeva, lo lasciava a vergognarsi di avergli ceduto, leccandogli amorevolmente il sottocoda esulcerato.

“Mi piace domarti,” gli sussurrava.

“Non mi hai mai domato,” ringhiava Riki.

“Però sei mio lo stesso.”

“Ti odio,” era la costante risposta.

“Mi odi e non puoi fare a meno di me...”

Iason gli leccava il muso, Riki scodinzolava debolmente, e... succedeva ancora, lì sulla coperta della cuccia, con la luce del sole che entrava dalla finestra, e la languida musica di Glen Miller dalla radio.

 

*

 

Per Riki la vera ordalia era la passeggiatina ai giardinetti. Ci andava al guinzaglio, vergognandosi un bel po’ perché era in quei frangenti che sentiva acutamente la sua schiavitù. Tra l’altro, passeggiando al fianco di Iason, si accorgeva di quanto lui era inarrivabilmente bello, e se l’idea che fosse il suo amante poteva solleticare il suo orgoglio, la consapevolezza della propria bruttezza lo faceva soffrire.  

Ma mai come il disprezzo degli altri cani di razza di quell’esclusivo luogo di ritrovo, che lo guardavano dall’alto in basso, lo evitavano come la peste, e gli sparlavano alle spalle con commentini di una cattiveria senza limite...

“Che postaccio è diventato questo, se ci vengono anche i bastardini.”

“Che creatura miserevole e bizzarra!”

“Poverino, è talmente ignorante che non sa parlare, e allora ringhia...”

Ah sì? Venite a dirmelo qui, cani di merda!

“Buono, Bobi, a cuccia!” Jupiter strattonava il guinzaglio, imbarazzato. “Cane maleducato, non si abbaia così! Seduto!”

Iason, di fianco a lui, sogghignava appena.

E voltando il muso, incontrava la faccia sempre più lunga di Raoul, che lo fissava tetramente, e fissava Riki con disappunto scuotendo le orecchie ricciute.

Ah, Iason, che vergogna...

Un giorno però, ritornando verso casa, davanti a loro si parò un cagnone dal pelo multicolore. Jupiter e i due cani si fermarono di botto.

Il cagnone latrò: “Per l’amor del cielo, ma sei proprio tu?!”

Imbarazzato, Riki distolse il muso.

“Ciao, Guy.”

Iason guardò il cagnone con gelida ostilità. “Riki, chi è questo cane?”

“Un mio... amico dei vecchi tempi,” rispose lui, con un sussurro appena percettibile.

“Ti ho cercato dappertutto, Riki!” Guy era trafelato. “Ma... ma come ti sei conciato?!” Lo guardò come se non potesse credere ai suoi occhi. “Tutto leccatino... lavato e pettinato... con collare e guinzaglio!”

“Senti, Guy, non mi stressare, va bene?!”

Iason mostrò i denti al nuovo arrivato. “Hai sentito, randagio. Sparisci, che dài fastidio al mio animaletto.”

“Il mio animaletto!” Guy abbaiò una risata. “Ma sentilo, questo tappeto ambulante! Parla di te, Riki, e tu lo lasci dire... veramente, non avrei mai creduto che ti avrei visto in questo modo così abietto, ridotto a un giocattolino...”

“Mi danno da mangiare, va bene?!” Riki lo guardò con occhi furiosi. “E sto in una bella casa! E dormo su una trapunta, e... sto da dio, mentre tu grande cane che vita mi offrivi? Quanto tempo sarebbe passato prima di trovarmi schiacciato sulla superstrada, pieno di rogna sul muso, con un topo infetto nello stomaco, e qualche pezzo di orecchio di meno?!”

Guy arretrò, come se quelle parole l’avessero colpito fisicamente.

Faticò a trovare la voce, e quando ci riuscì uggiolò: “Lo so, era dura stare con me, ma ogni tanto ci divertivamo, non ci preoccupavamo mai del futuro che non avevamo, e ci godevamo l’unica cosa che ci rimaneva, la libertà.” Sospirò. “Ti credevo diverso, Riki, non immaginavo che per te la felicità consistesse nel diventare il peluche di quest’altro peluche un po’ più grosso...”

Iason scattò in avanti, le mascelle spalancate.

“Ora basta, non tollero la tua insolenza!”

Ma Jupiter lo tirò indietro, tenendo stretto il guinzaglio.

“No! Buono, Iason, non morderlo! Ha le malattie!...” E poi, con un passo avanti: “Pussa via brutto cagnaccio schifoso! Sciò, sciò!”

Guy si voltò per schivare il calcio dell’umano, diede un’ultima occhiata a Riki, con le lacrime agli occhi.

Forse si aspettava una frase di addio. Ma Riki abbassò la fiera testa.

E quando la rialzò, Guy era scomparso.

 

*

 

Iason scoprì di star perdendo ogni giorno qualcosa di Riki.

A volte, del cane orgoglioso e ribelle non rimaneva che una chiazza di pelo nero, acciambellata sulla coperta. Veniva voglia di fargli male solo per sentirlo guaire ed essere sicuri che fosse vivo.

Jupiter scoprì Iason in flagranza di reato. Occupato a marchiare a denti le pantofole buone: una cosa che il cane non aveva mai fatto da quando era cucciolo, e che fino a quel momento era stata imputata all’innocente Riki (con conseguenti punizioni da parte di Katze).

Ma Iason non fu punito. Il padrone si limitò a guardarlo esterrefatto.

“Qualcosa non va, Iason?”

Una digrignata di denti per niente amichevole.

“Ehilà, siamo nevrotici oggi, eh?!”

Iason lasciò andare le pantofole maciullate, si voltò e andò da Riki, in camera. Lo trovò come al solito stravaccato sulla trapunta.

Gli andò vicino e chiese, perentoriamente:

“Voglio sapere se lo amavi.”

“Chi?”

“Quel cane.”

“Guy?” Una smorfia da Riki. “Io non amo nessuno.”

Iason si sentì trafitto dolorosamente, in maniera inaspettata.  “Neanche me?”

“Dovrei?”

Iason sospirò, strofinò il muso contro quello inerte di Riki. Poi, si chinò ad annusargli il didietro. “Ti piace però far l’amore con me, no?”

“E questo cosa c’entra?”

“Guardami.”

Riki si voltò a pancia in alto.

“E adesso?” lo sfidò, fissandolo con occhi brillanti.

Iason chinò la testa a guardare il ventre del giovane cane, così appetitoso e vulnerabile... la sua lingua se ne impossessò, giocò coi capezzoli, raggiunse la prominenza del sesso, e Riki si contorse ansimando.

“Ti lasceresti toccare così da qualsiasi altro cane?”

“Oh, basta, basta...”

“Non è mai abbastanza.”

“Iason... io...”

“Dillo, bastardo. Dimmi che mi ami.”

“Non è amore...” Riki gemeva, ormai. “Tu mi possiedi e basta...”

“E tu ti lasci possedere, perché... oh Riki, adesso puoi dirlo il perché...”

“Non te lo dirò mai... non ti dirò mai che...”

“Che cosa?”

“Che mi piaci...”

Con quel gemito, Riki si girò di nuovo a pancia a basso, la sua coda si scostò invitante.

“Oh, Riki,“ ruggì Iason, eccitatissimo. “Se fai così vuol dire che...”

“Non parlare, sbrigati, ti voglio, ti voglio!”

Con un ringhio di passione, Iason lo morsicò facendolo guaire, lo schiacciò contro la parete, e si accoppiò furente con lui...

“IASON!!!”

La voce sconvolta di Jupiter.

I due cani si irrigidirono come statue.

Iason passò disinvoltamente dalla posizione del coito a quella seduta, voltò appena la testa per guardare il padrone e fece andare timidamente la coda a destra e a sinistra.

Successo qualcosa?....

Riki, pieno di vergogna, scappò in ripostiglio con la coda tra le gambe.

La faccia di Jupiter era uno spettacolo. Contemplava il suo cane, il suo bellissimo cane con occhi sgranati, la testa che oscillava in uno stupefatto diniego.

Poi, lentamente, le fattezze del suo volto si rilassarono.

“E’ stata colpa mia,” mormorò. “Povera bestia, non mi rendevo conto del tuo problema...”

E sorrise.

 

*

 

Una settimana dopo Iason si svegliò come al solito al mattino tardi. Si alzò dalla sua trapuntina, si stirò, sbadigliò, scosse le orecchie.

“Riki?”

Nessuna risposta.

Bevve un po’ d’acqua dalla ciotola. Esplorò pigramente la casa, latrando.

“Riki!”

Non lo trovava... né nella sua cuccia, né in bagno, né sul terrazzo, né in ripostiglio.

Una gelida angoscia gli scese nelle viscere.

“Riki, dove sei? Rispondimi!... Riki!”

In quel momento, la porta di casa si aprì.

Jupiter entrò in casa, tutto sorridente. Iason si alzò sulle zampe posteriori per salutarlo festosamente, ma con quell’ansia dentro che lo divorava.

Dov’è Riki?

“Ho una grande novità per te,” fece Jupiter, con occhi entusiasti. “Finalmente ho capito di aver sbagliato tutto. Insomma, sei un cane giovane, pieno di energia e di forza...”

Sì, ma dov’è Riki?!

“Però devi capire, ti ho preso da cucciolo, per me eri ancora il mio cucciolo, dovevo vederti come dire... in azione, per capire che anche voi cani siete come noi esseri umani...”

Brutto umano deficiente, dov’è Riki?!?!

“Ed anche voi avete le vostre brave esigenze. Allora, guarda qua!” Iason restò confuso a vedersi metter davanti un pezzo di carta. “Sua madre, medaglia d’oro al concorso di Tamagura dell’ultimo anno. Suo padre, figlio diretto del campione continentale. Genealogia tracciabile oltre la decima generazione! Caro il mio Iason, ti presento...”

Jupiter si scostò, e dietro a lui apparve la più vezzosa esponente femminile della razza dei levrieri afgani.

“...Fifì!”

Iason si impietrì.

“Niente male la cucciolotta, eh?” fece Jupiter con aria da vecchio lenone, dando dei buffetti alla spalla del proprio cane congelato.

E Riki?

Iason scoprì inorridito di immaginare la risposta alla sua domanda...

“Sei un campione, Iason! Vuoi accoppiarti com’è giusto per un cane della tua età? Benissimo, non c’è bisogno di ridursi a sodomizzare un botolo qualsiasi: con questa fantastica fattrice potrai mettere a frutto i tuoi ormoni per una nobile cucciolata!”

La levrierina afgana entrò graziosamente nella casa, scodinzolando e scuotendo il suo mantello perfettamente pettinato. Iason la contemplò in stato di shock; e alle sue narici giunse un odore particolare, uno schiaffo di feromoni molto più esplicitò delle pudiche occhiate di quegli occhi languidi...

Bel fustone, preparati. Sarai padre.

“AUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUHUUUUUUUUUUUUUU!!!!!!!!!!!!!!!!!”

Gli ululati di Iason si udirono fin dalla strada sottostante.

 

*

 

Riki restò immobile, tra i capannoni della zona industriale, a guardare la macchina di Katze che si allontanava.

Il domestico l’aveva abbandonato lì, aveva detto qualcosa a proposito di Iason che per la prima volta si era innamorato davvero, ma di un amore impossibile... aveva sospirato, accendendosi una sigaretta. E poi aveva richiuso la portiera ed era sgommato via.

Che tristezza.

Tutto finito... senza neanche un bacio di addio.

Riki non uggiolò nemmeno. Sospirò, si voltò e si incamminò verso i vicoli che erano stati la sua casa... prima di quell’intervallo di passione che sembrava essersi portato via tutto il suo cuore, lasciando di lui soltanto un guscio vuoto.

Cosa sto al mondo a fare, senza Iason?

Forse, alla fine, scopriva che l’aveva amato.

Troppo tardi, Iason...

Non gliel’aveva mai detto. Per orgoglio.

Orgoglio di che? Non sono nient’altro che un bastardo!

Si sedette sul ponticciolo, a guardare le acque del canale di scolo, i rifiuti variopinti sul suo greto. Forse avrebbe fatto meglio a buttarsi e far loro compagnia...

“Riki?”

Non si voltò a quella voce. Tanto era inutile, quel tempo trascorso nella casa di Jupiter aveva reso di nuovo vergine il suo naso, e l’odore del corpo non lavato di Guy gli giungeva fin troppo forte e chiaro.

“Era ovvio che finisse così,” mormorò, con voce soffocata. “Vero?”

“Già,” rispose Guy. E soggiunse: “Mi dispiace.”

Le lacrime bruciarono gli occhi di Riki.

“Ci abbiamo provato,” guaì. “Nel poco spazio che ci concedeva questo mondo fetente, ci abbiamo provato, ad amarci...”

“Amarvi? Con collare e guinzaglio?”

“Era l’unico modo,” mormorò lui. “Io ero il suo animaletto, ma anche lui... era l’animaletto di qualcun altro, per questo è finita. Non siamo mai stati liberi. Forse, l’unica cosa che ci era concessa era morire assieme...”

“Però sei vivo, e anche lui nel suo grattacielo lo è.” Guy gli si affiancò. “Coraggio, Riki, non è cambiato niente, sei tornato alle tue origini...”

“E’ cambiato tutto sì!” Riki scosse la testa. “Come fai a dire una stupidaggine simile?! Non potrò mai più vedere questo mondo con gli stessi occhi!”

“Allora... fatti degli occhi nuovi,” mormorò Guy.

Riki lo guardò. Il cagnone ora fissava il cielo, il pelo scosso dal vento.

“Hai ancora tante possibilità, Riki. Più di quante ne abbia io, che sono rimasto qui tra i rifiuti ad aspettarti. E vivo aspettando l’accalappiacani... che un giorno mi prenderà, e un’iniezione letale mi cancellerà dal mondo, come se non fossi mai esistito.”

“Il destino dei randagi,” annuì Riki, pensosamente. “Ed anche il mio destino, adesso che sono stato abbandonato...”

“Veramente, tu hai ancora al collo la medaglietta.”

“Eh?!” Riki si girò di scatto.

“Tanta è stata la fretta di sbarazzarsi di te che si sono dimenticati di togliertela,” sorrise Guy. “Per cui, se ti prendono, guarderanno il tuo collare, faranno la multa al tuo ex padrone e ti riporteranno da lui.” Un sospiro. “Non tutto è perduto. Hai ancora una speranza di convincerlo a tenerti, così da rimanere col tuo amato tappeto ambulante...”

Gli occhi di Riki lampeggiarono.  

Poi, lentamente, le sue membra si rilassarono.

“Guy, mi fai un piacere?”

“Cosa?”

“Tagliamelo.”

Guy trasalì, col pelo dritto sulla schiena.

“Ma sei matto?! Non... non me la sento...”

Riki alzò il muso. “Che cosa hai capito, deficiente? Tagliami il collare!”

“Ah.” Il cagnone si rilassò. “Avevo pensato male.” Trasalì. “Ma... così tu...”

“Ridivento un randagio? Beh, non ha senso far tornare indietro il tempo. Se è finita, è finita.” Riki mise il muso per terra. “Se mi pigliano preferisco farti compagnia al canile, che illudermi un’altra volta e soffrire!”

“Come vuoi tu, allora.”

Ci volle almeno mezz’ora di lavorio di denti da parte di Guy, ma alla fine il collare di Riki cadde per terra. Il cane nero lo guardò in silenzio. Poi, con un sospiro ed un colpo di zampa, lo mandò a inquinare vieppiù il già inquinato rigagnolo.

Vaffanculo a tutto.

“Ed ora?” chiese Guy, arricciando la lingua in uno sbadiglio.

Un campanello di bicicletta alle loro spalle...

“Chi è quello che sta arrivando?”

“Il postino.”

“Ed io chi sono?”

Un’occhiata d’intesa, un sorriso sulla faccia lupina di Guy.

“Tu sei Riki lo Scuro.”

“Benissimo.”

E con quella parola ancora sulle labbra, Riki schizzò, dritto come una freccia nera verso le gambe del povero postino, col vento nel pelo, le unghie che grattavano l'asfalto, e il sapore acido ed aspro della vecchia vita sempre nuova sulla lingua.

“BAUBAUBAUBAUBAUBAU!!!!....”

 

 

 

 

 

FINE.

  
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