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Autore: EvgeniaPsyche Rox    26/04/2013    10 recensioni
I gemelli Newell avevano due grandi occhi blu, i capelli dorati che luccicavano sotto i caldi baci del sole e la pelle chiara come la neve che ricopriva i tetti delle case durante l'inverno.
Venivano dal nord e si erano trasferiti in quel piccolo quartiere circa quattro anni prima.
La madre li aveva mandati nella stessa scuola ma in sezioni differenti, dato che né i professori, né tanto meno i compagni, riuscivano a distinguerli l'uno dall'altro.
Ventus era Ventus Newell. Roxas invece era il Newell della sezione B.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Roxas, Ventus
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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Lost half.

 



In realtà l'ho visto una volta sola.
Eppure, quando mi chiedono di lui, aggiungo sempre più particolari possibili, forse alcuni anche inventati.




«Si sta avvicinando l'estate.»
«Davvero?»
«Sì. Non senti l'aria? Adesso è calda.»
«No, non sento.»
Si voltò verso l'altro e accennò un sorriso divertito. «Come non senti?»
«L'aria è sempre uguale». A quella risposta Ventus rise leggermente e fece per ribattere, quando una voce proveniente dall'interno della casa interruppe il discorso tra i due: «Ventus, corri, c'è qualcuno a telefono che ti cerca!»
Il diretto interessato dunque si alzò immediatamente, tentando poi di spolverarsi i pantaloni da quei fili d'erba particolarmente appiccicosi; dopodiché sorrise nuovamente verso il fratello e si voltò. «Torno subito», disse prima di raggiungere velocemente la porta, affrettandosi ad afferrare la cornetta tra le mani della madre.
Il giovane ancora seduto sul prato iniziò a strappare alcune margherite dal terreno, tirandone via i candidi petali che si persero in mezzo al verde.
Non rimase solo per molto, poiché qualche minuto dopo una voce sopra di lui gli fece alzare di scatto la testa: «Eccoti qui! Ti ho trovato finalmente!»
Il fanciullo dai capelli dorati si illuminò appena e sorrise per la prima volta in tutta la giornata, almeno finché l'uomo non continuò: «Ventus, si può sapere dov'eri finito?»
A quella domanda lasciò andare le margherite che aveva tra le mani e in un attimo si spense, proprio nello stesso momento in cui una nuvola coprì il sole. «Io sono Roxas.»
Date le circostanze il signor Jones si tirò una manata sulla faccia e rise, tra l'imbarazzato e il divertito, scuotendo la testa semicalva e indossando, come al solito, quella sua ridicola giacca blu che a malapena riusciva a chiudersi sul suo pancione. «Accidenti, siete davvero due gocce d'acqua!»




E' come quando ascolti mille volte la tua canzone preferita.
Dopo un po', chissà perché, ti stanchi. Non ti fa provare più nulla. Ti svuota, ti senti tristemente solo senza quelle emozioni che ti facevano vibrare l'animo la prima volta. L'hai sfumata, l'hai consumata del tutto.
Non è più la tua canzone preferita.




I gemelli Newell avevano due grandi occhi blu, i capelli dorati che luccicavano sotto i caldi baci del sole e la pelle chiara come la neve che ricopriva i tetti delle case durante l'inverno.
Venivano dal nord e si erano trasferiti in quel piccolo quartiere circa quattro anni prima.
La madre li aveva mandati nella stessa scuola ma in sezioni differenti, dato che né i professori, né tanto meno i compagni, riuscivano a distinguerli l'uno dall'altro.
Ventus era Ventus Newell. Roxas invece era il Newell della sezione B.
Un giorno addirittura una ragazza aveva invitato Roxas al ballo di fine anno per sbaglio, poiché lei in realtà desiderava soltanto essere al fianco del fratello. Quando, nel bel mezzo della festa, lo aveva ammesso con occhi tristi a Roxas, lui non aveva reagito in alcun modo. Si era limitato a sorridere con comprensione, dicendole che gli dispiaceva del fatto che non era riuscita a passare la serata in compagnia di suo fratello.
Roxas si era scusato di non essere stato Ventus, almeno per poche ore.




Sembrava sempre sul punto di dire qualcosa.
Aveva il fiato perennemente sospeso. Tratteneva l'anidride carbonica nei polmoni; vomitava via soltanto l'ossigeno attraverso il naso e la bocca.
Era sempre lì, con le mani tese in avanti. Pareva voler toccare qualcosa, qualcosa di importante, qualcosa che avrebbe potuto aiutarlo in qualche modo.
Il Newell della sezione B.




Sfogliò il libro e poi sospirò, chiudendolo definitivamente prima di appoggiarlo sulle proprie gambe.
A Roxas non piaceva leggere, né disegnare. Non aveva le mani da pianista e non riusciva a tenere in maniera corretta il violino. Era abbastanza bravo in matematica, un po' meno in inglese. Filosofia non la capiva, mentre a motoria non era così veloce come tanti altri.
Gli domandavano spesso che cosa voleva fare da grande e lui aveva risposto ogni volta in maniera diversa.
Il pompiere, diceva, per salvare le persone dal fuoco assassino.
Il medico per vedere la rinascita del paziente.
L'architetto per costruire case per famiglie perfette.
L'avvocato per promuovere la giustizia.
Ma Roxas sapeva di non essere in grado di fare nulla di tutto ciò. Lui era stato fatto a fette, a frammenti, a pezzi che non formavano un puzzle completo. Al pianoforte sapeva suonare l'Inno alla Gioia, ma gli brani gli risultavano praticamente impossibili.
Riusciva a dipingere soltanto il mare e i suoi disegni non terminavano semplicemente perché non sapeva come rappresentare le nuvole. Non conosceva mai il finale dei suoi libri principalmente per il fatto che dopo venti pagine si stancava.
Roxas era stato fatto a metà.
Qualcuno sembrava essersi scordato di disegnargli l'altra parte.




Il Newell della sezione B non guardava veramente in faccia le persone quando parlava. Le fissava negli occhi, sì, ma non per davvero. Guardava altrove, ma nessuno sapeva esattamente dove.
C'era altro che attirava la sua attenzione.
Le sue iridi blu erano rivolte verso differenti orizzonti, orizzonti sconosciuti in quel piccolo quartiere. Orizzonti sconosciuti a scuola; orizzonti sconosciuti dai suoi insegnanti, dalla sua famiglia, da suo fratello.
Orizzonti sconosciuti da me.




«Sei un portento!»
«Vai, non ti raggiunge nessuno!»
«Dai Roxas, così mi farai diventare uno straccione!». Roxas rise, rise forte, ed infilò la decima monetina nella macchinetta, riprendendo la partita.
«La prossima volta ci penserò due volte prima di scommettere con te!», continuò il ragazzo dietro di lui, cercando di prenderla sul ridere, nonostante avesse praticamente perso metà dei suoi risparmi.
Roxas Newell si sentì davvero imbattibile in quel momento. Si sentì il migliore, si sentì bene, si sentì felice. Sentì per la prima volta l'aria calda, il sudore che gli bagnava la maglietta, il profumo dell'estate nell'aria che bussava alle porte di tutti i ragazzi del quartiere.
«Dovremo vederci più spesso!»
Un'altra monetina. Un'altra partita. Un'altra vittoria. Risate, applausi, battute. Un'altra monetina, il tintinnio, un suono che sembrava il Paradiso alle orecchie di Roxas. Odore fitto di fumo proveniente dalle sigarette dei più grandi, qualche lattina di birra ammaccata sul pavimento a piastrelle.
Monetine. Applausi. Risate.
Roxas era bravo a divertirsi. Gli avevano costruito il puzzle del divertimento, tutto, tutto quanto. Non mancava nessun pezzo. Da grande avrebbe fatto il Newel che si divertiva.
Sì, senza alcun dubbio.



I Newell tornarono al nord senza avvertire nessuno. Niente saluti, baci, cartoline, lettere.
Niente di niente.
Un buco nel quartiere.
Un buco che è ancora qui, nel nostro quartiere.




«Che cosa succede?». Roxas era rientrato in casa; aveva salito le scale continuando a ridere, con l'odore delle sigarette ancora nelle narici e il tintinnio delle monete che rimbombava nelle orecchie, quando tutto si era spento, un'altra volta.
Ventus piangeva, seduto sul letto con la testa tra le mani, la sua figura illuminata soltanto dalla fioca luce della lampada sul comodino in legno.
«Perché stai piangendo?». E Ventus aveva alzato gli occhi rossi, tentando poi di asciugarsi le lacrime che continuavano a bagnargli le gote.
«Roxas... Non immagini, non immagini che... Che cosa è...», e poi un fiume di disperazione, singhiozzi tremanti, dolore, tristezza, angoscia, in contrasto con il tintinnio delle monete di Roxas.
«Ha fatto un incidente, ma io non sapevo che...»
«C... Chi?», domandò con un filo di voce Roxas, sentendo il cuore salirgli in gola.
«LEI, ROXAS, LEI!», scoppiò nuovamente il fratello prima di alzarsi per poter correre tra le braccia dell'altro, riprendendo nuovamente a singhiozzare. «Ha fatto un incidente, Dio mio... E doveva andare lì... Lì...»
«L-Lì dove?»
«Alla festa! Doveva andare alla festa e io dovevo accompagnarla! Era sicura! Era sicura, doveva andare così, ma io non sapevo niente! Non sapevo che ero stato invitato alla festa, Roxas! Non sapevo niente! Nessuno mi ha detto qualcosa! NESSUNO, NESSUNO! Avrei dovuto invitarla e accompagnarla alla festa, ma nessuno mi ha detto niente! E lei... Lei è andata lì da sola... Da sola... Ci teneva tanto ad andarci, ma... Ma ha preso la moto da poco, lo sai Roxas, lo so anch'io, lo sappiamo tutti... Roxas perché? Perché nessuno mi ha detto niente?!»
Tutto in un attimo. Parole, un fiume di parole, parole mescolate alle lacrime, lacrime che cacciarono immediatamente il fumo e il tintinnio delle monete.
Roxas capì subito che Ventus parlava della sua ragazza. Roxas capì tutto. Probabilmente capì ancor prima di sentire; forse si stava preparando a cacciar via il tintinnio delle monete già mentre saliva le scale.
Roxas non abbracciò Ventus, anche se quest'ultimo continuò a piangere, stringendo la maglia del fratello in preda alla disperazione, mormorando nel frattempo frasi sconnesse e senza senso.
Roxas non parlò. Non rivelò nulla. Non disse che in realtà era stata colpa sua. Non disse che era lui quello che avrebbe dovuto parlargli della festa. La festa che era appena terminata. La festa in cui aveva scoperto che cosa fare da grande. La festa del fumo e delle monete.
Roxas non gli raccontò che una settimana prima una ragazza più grande era venuta a cercarlo.
''Sei Roxas, giusto?'', così aveva detto. E lui aveva annuito, stupito, con la gioia nel cuore. Lo avevano riconosciuto. Era Roxas, non il fratello di Ventus, non il falso Ventus, non il Newell della B. Era Roxas e basta.
''Ti va di venire ad una festa?'', gli aveva chiesto poi.
Un altro cenno con il capo. Troppo emozionato per aprir bocca. Gli veniva quasi da ridere.
''Perfetto, domani ti dirò meglio dove e quando. Invita anche tuo fratello, mi raccomando!''
Aveva annuito, di nuovo. Un altro sì silenzioso, ma non sincero. Suo fratello per la prima volta era passato in secondo piano. Prima Roxas, poi Ventus. Avevano invitato lui. Avevano cercato lui, e non per sbaglio. Roxas e, chissà, magari anche Ventus.
Roxas di sicuro, Ventus forse.
Ventus solo se lo voleva anche Roxas.
E Roxas non l'aveva voluto. Non gli aveva detto nulla, niente di niente.
Roxas Newell era diventato il protagonista.



Mi intervistano spesso. Mi fanno anche domande sciocche come: ''Che cosa hai provato in quel momento?''
Che cosa avrei dovuto sentire, scusate?
Che cosa vi aspettate da me?
Lo vedevo andare a scuola, qualche volta lo incrociavo per strada, un cenno con la testa come saluto e basta. Non gli ho mai rivolto la parola perché era sempre troppo intento a fare qualcosa, come strappare quelle povere margherite.
Sembrava trovarci un certo gusto, chissà perché.




Si era addormentato accanto alla cornetta del telefono, in attesa di una telefonata dall'ospedale, con il volto ancora arrossato e bagnato.
I suoi genitori erano entrati e lo avevano adagiato sul letto, rattristati, e poi avevano detto a Roxas di spegnere la luce e di andare a dormire, dato che era mezzanotte passata.
Roxas aveva annuito.
Un sì silenzioso.
Buona notte. Speriamo in una giornata migliore.
Poi aveva spento la luce.
Ed ora era lì, immerso nelle tenebre.
Aveva cercato di fare tutto silenziosamente. Silenzio, silenzio, silenzioso, come lui, come il suo sì, come la sua buona notte, come il silenzio di ciò che non aveva rivelato a Ventus.
Si annoiava sempre in fretta dei libri, chissà perché.
Non ci pensò molto. Aveva passato la vita a riflettere e in quel momento non gli servì di certo.
Alzò gli occhi solo per un attimo e vide un prato di fronte a sé.
L'aria in fondo non era così calda.
Poi chiuse le palpebre e si lasciò andare al verde sottostante.





«Sei quello che ha visto Roxas Newell suicidarsi?»
Annuisco.
«Mi permetti un paio di domande?»
«Tanto me le fareste comunque.»
Lei solleva un soppraciglio, è irritata, ma cerca di non darlo a vedere. «Lo conoscevi?»
«Più o meno.»
Bugia. Ma soltanto in parte, ve lo posso garantire. Lo incrociavo per strada, lo vedevo andare a scuola, lo salutavo con un cenno solamente perché era del mio stesso quartiere.
Però quella notte è stata l'unica volta in cui l'ho guardato per davvero.
«Piangeva spesso? Era depresso per caso? Soffriva di qualche malattia?»
«No.»
«E allora secondo te perché l'ha fatto?»
«Avrà avuto le sue buone ragioni». La giornalista mi guarda in maniera strana, quasi sconvolta. «E quali sarebbero? Perché mai un giovane studente che vive in una famiglia benestante dovrebbe togliersi la vita, lasciando il fratello gemello nello strazio più totale?»
Non rispondo.
Non rispondo perché la risposta un po' la conosco, e un po' no.
Lei aspetta qualche secondo. Poi sospira e cambia domanda. «Come si è suicidato?»
«Si è buttato dal balcone della sua stanza.»
«Ed è morto sul colpo, sì?»
«Sì. Era al terzo piano.»
«Perché non l'hai fermato?». La donna sembra interrompere per un attimo la trascrizione e mi osserva con la coda dell'occhio, quasi volesse soddisfare una sua curiosità e non una semplice domanda per il prossimo articolo.
«Non ne ho avuto il tempo.»
«Perché?»
«Sono uscito a fumare una sigaretta e l'ho visto in piedi sulla ringhiera.»
«La finestra della tua stanza era di fronte alla sua?»
«Sì.»
«E lui ti ha visto?»
«Non lo so, forse.»
«E poi che cosa hai fatto?»
«Sono corso ad avvertire i Newell. Sono uscito e ho suonato il loro campanello.»
«Eri sconvolto?»
«Beh, sì. Ho addirittura lasciato cadere la mia sigaretta». Mi lancia un'altra occhiataccia, pensando forse che io abbia appena fatto una battuta di cattivo gusto.
«Come hanno reagito i Newell?»
«Il padre ha gridato. Penso che abbia svegliato tutto il vicinato. Il fratello non lo so, non ha visto il corpo di Roxas perché sua madre gli ha tenuto il volto nascosto per tutto il tempo, piangendo.»
«Vuoi lasciare un tuo commento personale su questa storia?»
«No.»
La giornalista allora sospira e fa qualche passo indietro, allontanandosi dal portone. «Come ti chiami?»
«Axel Hudson.»
E' sul punto di andarsene definitivamente, quando qualcosa la ferma; dopodiché si volta di scatto e mi guarda attentamente. «Un'ultima domanda... Che cosa hai detto ai signori Newell, quando hai suonato il loro campanello?»
Rimango in silenzio per qualche secondo prima di rispondere.
Penso che la cosa più buffa di questa storia sia il fatto che ora Roxas è conosciuto con il suo nome e cognome, non più come il Newell della B.
E' una cosa positiva in fondo, no?
Tiro fuori una sigaretta dal pacchetto che ho in tasca e l'accendo immediatamente. «Ho detto loro che a quanto pare non avevano mai ascoltato per davvero le urla di Roxas.»
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*Note di Ev'*
Non sono una tipa da ''via di mezzo'', mi spiace. O troppo, o poco.
O non pubblico nulla per quasi due mesi oppure aggiorno una long-fic e, qualche giorno dopo, me ne esco fuori con una nuova storia.
Mi spiace, io sono fatta così.
Ho sempre voluto scrivere qualcosa riguardante il suicidio, ohm. Aveva pensato ad un sacco di storie nei mesi precedenti, davvero, però miravo principalmente a qualcosa di molto breve. Qualcosa da... Uhm, un flash, piccolo, un fulmine, una seatta.
E no, non ce l'ho fatta.
Le storie che ho iniziato qualche mese fa le interrompevo. Ma ieri, particolarmente ispirata anche grazie alla visione di un film incentrato sui suicidi, ho deciso di scrivere per davvero. Amen, non è breve, chissenefrega, mi è uscita così, di getto, senza interruzioni o ripensamenti. Liscio come l'olio, adoro quando accade così, lo sapete bene.


Forse è la prima volta che parlo per davvero di Ventus, credo. E' un personaggio perfetto in questa storia, proprio ciò che mi serviva. Di certo non potevo infilare Sora come fratello gemello di Roxas. Insomma, un tonto come lui non può causare tutta questa sofferenza in Roxas.
Well... Roxas è un giovane studente complessato, molto complessato. Complessato principalmente perché nulla riesce a renderlo felice nella sua misera esistenza. Non è propriamente depresso, non manifesta dei veri e propri sintomi, ma... Ma è pieno di malinconia, angoscia. O forse è apatico, non prova nulla, non si sa.
Non sente niente. Quando all'inizio del racconto rivela a Ventus di non sentire l'arrivo dell'estate, in realtà lui si riferiva alla vita in generale. E' quella che non sente per davvero.
Nessuno lo riconosce perché tutti sembrano prestare attenzione esclusivamente a Ventus, tanto che Roxas viene definito come ''Il Newell della B'', che forse, oltre ad indicare la sua sezione, simboleggia anche la seconda lettera dell'alfabeto. Prima la A, poi la B.
Non c'è qualcosa in cui Roxas si riconosce particolarmente. Se la cava in generale in tutto, ma non tanto da essere particolare o addirittura speciale. Ciò in cui riesce e i suoi desideri sembrano essere addirittura dei controsensi di fronte alla sua vita; è in grado di suonare soltanto l'Inno alla Gioia, nonostante lui di gioia ne prova ben poca. Non riesce a dipingere il cielo, anche se il suo suicidio è una ricerca verso altro, un orizzonte diverso, un altro cielo.
Si apre uno spiraglio di luce verso metà racconto, quando Roxas, invitato ad una festa, si diverte per davvero. Assaggia la vita e sente per la prima volta il famigerato profumo d'estate, ma per poco. La sua gioia è destinata a terminare perché la ragazza di Ventus ha fatto un incidente. Lei ha preso la patente da poco, non è un portento a guidare, perciò sperava di farsi accompagnare da Ventus; quest'ultimo, però, non sapeva nulla della festa.
Perché? Semplice, perché Roxas, incaricato di invitarlo, non gli aveva detto a nulla. Sperava di essere il protagonista per una volta sola e quell'unica volta per lui è stato letale.
E niente... Il narratore esterno, quelle piccole righe in corsivo che interrompono il corso degli avvenimenti, sono di Axel, sì. Non l'ho scritto tra i personaggi perché non mi andava che i lettori lo sapessero immediatamente, tutto qui. Axel ha visto Roxas suicidarsi e, nonostante talvolta lo abbia incrociato per strada, quella è l'unica volta in cui sembra leggerlo dentro per davvero.
Se Roxas l'ha visto? Probabile, poiché, prima di abbandonarsi al prato del giardino, guarda un altro verde, ovvero quello delle iridi di Axel.
Bom, basta, credo di aver terminato l'analisi.



Che dire, che dire... Niente, aspetto con ansia la fine della scuola. Come voi tutti, immagino, ohw.
E, come sempre, vi incito a commentare se avete letto questa storia. Come dico ogni volta fino alla nausea, siamo in un sito in cui è importante il CONFRONTO e per me le recensioni sono essenziali.
Vado a respirare un po' d'aria fresca,
alla prossima!
E.P.R.

   
 
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