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Autore: shadowdust    27/04/2013    6 recensioni
Il sangue scorreva caldo, denso, inondando il suo corpo e facendogli provare brividi che mai in vita sua aveva sperimentato.
L'adrenalina gli scorreva nelle vene al pari del sangue che gli scorreva sinuoso fra le dita, serpeggiante in lunghi rivoli color cremisi dai riflessi scarlatti. Il suo sguardo avrebbe potuto annegare, immerso in quei colori caldi ed abbaglianti.
Si sentiva pieno. Si sentiva euforico. Si sentiva vivo.
Genere: Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: No.96 Black Mist/ No.96 Nebbia Oscura
Note: Nonsense | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Violenza
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 One shot dedicata a Vegge_Perry, o come adoro chiamarla io Bra Princess Sayan. In occasione del suo compleanno, mi sono sentita in dovere di scriverle qualcosa, dedicarle un piccolo lavoro. Non credo che una one shot splatter possa definirsi un vero e proprio regalo di compleanno, ma la mia ispirazione mi ha portata su questa strada ed io l'ho percorsa, giungendo sino a questo
punto. Spero che possa gradirla, e che chiunque la legga possa sentirsi appagato quanto mi sono sentita io nel comporla. Buona lettura.




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Slaughter

 
Il sangue scorreva caldo, denso, inondando il suo corpo e facendogli provare brividi che mai in vita sua aveva sperimentato. Sentiva una sorta di ebbrezza, l'euforia, pervadergli il corpo e risalirgli la spina dorsale, percorrendo ogni singolo nervo ed ogni fibra, raggiungendo ogni più piccola parte del suo essere. Si sentiva pieno. Si sentiva euforico. Si sentiva vivo.
Non lo era mai stato come in quel momento. L'adrenalina gli scorreva nelle vene al pari del sangue che gli scorreva sinuoso fra le dita, serpeggiante in lunghi rivoli color cremisi dai riflessi scarlatti. Il suo sguardo avrebbe potuto annegare, immerso in quei colori caldi ed abbaglianti. Avvicinò la bocca a quella sostanza per lui annebbiante più dei fumi dell'alcool per gli uomini, e ne bevve. Ne bevve e ne sentì il nettare. La vera essenza degli esseri viventi, la vera essenza della vita stessa. L'unico modo per gustarla appieno, è assaggiarla quand'essa è prossima alla fine.
Lo sentiva scorrere lungo il mento, il collo, il petto. Il calore che si lasciava dietro, una strisciata calda sulla sua pelle, avrebbe potuto essere paragonata solo al tocco sensuale e molle di un amante. Lo eccitava. Sentì il suo corpo bruciare, mentre quel liquido gli percorreva la gola e scorreva giù, sino ad inoltrarsi nei più profondi anfratti del suo essere. Ardeva in lui, sentiva la pelle scottare.
Sorrise, mettendo in mostra i canini insanguinati. Era soddisfatto, pienamente soddisfatto. Era ciò che aveva sempre cercato, qualcosa che lo facesse sentire vivo e completo, che rendesse la sua anima affine a quello che aveva intorno.
Agitò la mano ed una scia color rubino saettò nell'aria, dipingendo l'ambiente con schizzi e onde lussuriose dai colori intensi. Eccolo. Il suo alcool, la sua droga, la sua colpa. Tutto quello che aveva cercato era lì, una pozza scura nel quale avrebbe potuto nuotare, immergere il corpo sino a sprofondarvi. Un mare color morte, che però a lui dava la vita.
Iniziò a ridere, in modo sguaiato, mentre agitava le braccia in quel lago carminio e luccicante che impregnava la sua pelle e schizzava intorno, macchiando con piccole gocce e schizzi il pavimento circostante. Sembrava un bambino che aveva appena ricevuto un dono inaspettato. La frenesia sprizzava dal suo corpo quanto il sangue schizzava sulle pareti, lasciando macchie dense che scorrevano lente trascinate dalla forza di gravità. Lunghe scie impregnarono ben presto il muro, ricoprendo ogni angolo della stanza come ombre sinistre e sanguinolente, striscianti nel buio ed in attesa del momento opportuno per attaccare nuovamente. Balzare sulla preda. Azzannarla, aprirla, dilaniarla. Richiamare nuovo sangue, nuovi fratelli, ed armare nuovamente quell'esercito di dita viscide e calde dai riflessi rubino.
Continuò a ridere, agitando le gambe e le braccia convulsamente, come in preda ad una follia implacabile che non gli permetteva di restare fermo. Rideva, e le sue urla sadiche riempivano con l'eco quell'angolo di mondo vuoto, dominato dagli unici colori che per lui contavano. Quelli che distinguevano il suo volto, e che facevano di lui ciò che era. Nero e rosso. Buio e sangue. Tenebre e carne.
Appoggiò i palmi delle mani in quella calda pozza e lasciò che si tingessero del colore della morte, prima di sollevare le braccia e portarle sopra il viso. Il liquido caldo scivolò lungo le sue dita, il dorso delle mani, le braccia, e gocciolò ricco sul suo volto, sulle labbra, nella bocca. Avvicinò il palmo della mano e lo leccò, avvertendo la pelle d'oca strisciare sulla sua pelle e tagliarlo come mille spine o frammenti di vetro. Ma ne sarebbe valsa la pena. Ne sarebbe sempre valsa la pena.
Si rimise a sedere, lo sguardo folle e le pupille dilatate, rivolgendosi a ciò che lo circondava. Era tutto nero e rosso, pece e sangue. Le pareti nere erano martoriate da lunghe scie rossastre e sembravano esse stesse grondare, quasi fossero ricolme di cadaveri sanguinanti. Ricominciò a ridere, estasiato dall'immagine di tutto quel sangue. Ne voleva ancora. Ancora.
Non avrebbe mai potuto fermarsi, ora che l'aveva assaggiato. Era divenuto tutto il suo mondo, la sua unica ragione di vita. Un intento da seguire, una missione da portare a termine. Non per gli altri, ma per sé. Per sé e per nessun altro.
Si alzò in piedi ed iniziò a tirare calci, sollevando gocce e schizzi carmini quasi stesse giocando sulle sponde di un lago. Un lago scarlatto e talmente denso da tirare sul fondo, ed affogare chiunque avesse osato addentrarsi. Ma lui non aveva paura. Lui, d'altronde, era già morto.
Si abbassò sulle ginocchia e vide il suo volto riflesso nel mare di sangue che lo circondava. Era il volte folle di chi ha trovato l'estasi, la gioia incontenibile e malsana di chi non ha più nulla per vivere se non un'unica e malata fantasia. Ma a lui bastava. Era tutto ciò di cui aveva bisogno.
Affondò le mani nella pozza, infrangendo la sua immagine specchiata ed annegando i palmi delle mani in quel liquido vischioso. Avvertì la sostanza snodarsi fra le sue dita, carezzargli le unghie e bramare la sua pelle, come se vi stesse lasciando languidi baci passionali. I brividi gli percorsero la schiena e lui non poté far altro che inarcarla e lasciare che quelle sensazioni avessero il sopravvento sul suo corpo. Era perso. Perso nell'illusione di un gioco di seduzione che non lo avrebbe mai definitivamente appagato, mai definitivamente soddisfatto. Ma a lui bastava quello che provava. E ne voleva provare ancora.
Abbassò lo sguardo, mentre i brividi cessavano e lo lasciavano spossato. I suoi occhi bicolori lo scrutavano dalla pozza, con sguardo storto e malato. Uno nero e uno dorato, i colori e le forme distorti dallo scorrere della sostanza sul pavimento. Sorrise sghembo, avvicinando il volto a quello riflesso di fronte a lui. Una bocca dai contorni perfetti, deformati in un'espressione folle e sadica. I lineamenti delicati deturpati, ricoperti da chiazze rosse e viscide che gli colavano lungo mento. Era l'incarnazione della follia, della mente malata e della deturpazione del proprio essere. E non avrebbe potuto desiderare apparire in altro modo.
Era un numero, un numero sbagliato. Un errore di progettazione la cui esistenza in quel mondo non era altro se non un errore. Non aveva mai avuto un posto perché semplicemente non era stato creato per vivere, era stato creato per morire. E trascinare la morte ovunque egli andasse.
Le sue dita erano falci, pronte a tranciare la vita e strapparla e chiunque avesse incontrato nel suo cammino. Non aveva bisogno di cercare le sue vittime. Esse sarebbe venute a lui, richiamate dall'inestinguibile sete di potere e passione che solo il sapore metallico del sangue poteva dare. Il sapore della vita che muore. E che solo lui poteva provare.
Le sue labbra si piegarono in un ghigno, mentre sollevava le mani a coppa, ricolme di quell'ambrosia che lui, e lui soltanto, avrebbe potuto degustare. Sino all'ultima goccia.
Un numero sbagliato. Un errore. Un tradimento.
E la morte. Il sangue. La pece.
Lui era morte, lui era morto. Ma quello che uccideva lo rendeva più vivo ad ogni istante che passava.
Lui era sangue, il sangue di cui erano intrisi i corpi che falcidiava ad ogni passo lungo la sua strada. Ma ad ogni vittima il sangue sembrava non bastargli mai.
Lui era pece, e presto il mondo ne sarebbe stato inghiottito. Nulla sarebbe rimasto.
Nulla, oltre a lui.
Il nero, il rosso. La nebbia e il fuoco. L'oscurità e l'inferno.
Un numero speculare. Lui.
 
 
 
   
 
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