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Autore: need_an_hug    30/04/2013    2 recensioni
Lei era una ragazza vent'enne, abbandonata da tutti, fragile e insicura, autolesionista per giunta.
Come se non bastasse finì in prigione per uno "scherzo" dei suoi "amici".
La prigione la cambiò profondamente, lei per sopravvivere a quell'incubo dovette diventare la ragazza che non era mai stata, sicura di sè, sfrontata, decisa.
[...]
"Quel ragazzo era il più misterioso che avessi mai visto.."
Genere: Dark, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Payne
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CHAPTER ONE - The Prison


-Mi lasci!- urlai al poliziotto che mi stava tenendo saldamente il braccio da un'infinità trascinandomi fino alla centrale di polizia e da lì alla prigione annessa.

-Si calmi!- mi rispose con lo stesso tono duro e freddo mentre si fermava di fronte ad una cella.

Mi cercai di dimenare, ma la sua presa era strettissima, mi faceva un gran male il punto del braccio in cui mi stava tenendo da un sacco di tempo.

Fermatosi di fronte a quelle sbarre prese un mazzo di chiave scegliendone una e infilandola nella toppa. Pochi secondi dopo la così detta porta si aprì facendomi vedere una stanza spoglia, abbastanza buia, con due letti separati e una scrivania. Non avevo mai visto una prigione da vicino.. Cioè.. Non mi ci ero mai trovata dentro, non ne avevo mai avuta l'occasine, per fortuna.

Mi bloccai sulla soglia, l'ultima cosa che volevo era entrare in quello che mi sembrava un grandissimo incubo.

-Entri!- mi ripetè il poliziotto spingendomi dentro.

Prima che potessi ribattere, difendermi, o anche solamente girarmi per far si che non arrivasse a chiudere la cella, mi ritrovai con il viso contro il materasso di una delle due brandine, sentendo un forte dolore al naso schiacciato con forza contro quel letto molto duro.

Mi feci forza sulle braccia e mi alzai lentamente fino a girarmi verso l'entrata. Ora era chiusa, la guardia se n'era andata, e io ero rimasta sola, stesa su quel maledettissimo letto, in quella stanza buia e a dir poco spaventosa.

Era successo tutto così in fretta.

Mi stesi meglio su quel letto a pancia in giù mettendo la testa tra le mie braccia incrociate sul cuscino.
Sentii qualche lacrima rigarmi il volto. Non potevo crederci, non potevo credere di essere finita in prigione, non potevo credere di essermi fidata di quelle persone che ora mi avevano dato la colpa così che ci rimettessi solo io, non potevo credere a tutto quello che mi era successo.


Il tempo passava, e io stavo sempre stesa lì, inerme, su quel letto che ormai aveva assorbito un sacco di lacrime, in qualche modo mi dovevo sfogare, e non c'era altro modo che piangere, finendo le ultime energie che avevo rimasto.
Avevo solo vent'anni, non potevo essere già finita in galera pur essendo innocente. Avevo sentito di tante persone che avevano fatto questa fine, ma mai mi sarei aspettata di trovarmi in questa situazione.

Continuai a stare stesa, senza muovermi, senza pensare troppo.
Piangere mi stava facendo venire mal di testa, e ormai stanca, chiusi gli occhi sperando di addormentarmi e poi svegliarmi nel letto di casa mia innocente e felice come sempre. Se felice si può dire, ma non in prigione, questo ovviamente no.

Ormai non aveva più senso stare lì ferma a non fare nulla.. Così mi misi seduta sul letto con la schiena appoggiata al muro freddo. MI asciugai con le maniche della mia felpa le lacrime che avevano bagnato fino a poco tempo prima le mie guance e tirando verso di me le gambe, facendole toccare il mio petto, appoggiai la testa tra di esse guardando la parete grigia di fronte a me, spoglia, senza nessun disegno quadro o qualsiasi altra cosa per renderla un po' più accogliente.
Ma daltronde, che stavo pensando? Era una prigione, non una casa o un albergo.
Osservai meglio la cella dov'ero finita. Non era sporca, o meglio, lo sembrava, ma non lo era.
Il letto in cui mi ero seduta era già fatto e perfetto, non credo ci si fosse mai messo nessuno prima di me, mentre l'altro era sistemato, ma non come il "mio".

Ancora appoggiata con la schiena al muro, fissando il vuoto, appoggiai la testa indietro chiudendo leggermente gli occhi.

Pensai ai miei genitori. Sicuramente ancora non sapevano del guaio dove mi ero cacciata, daltronde a loro non interessava nulla di me. Da quando ero diventata maggiorenne mi avevano spedito in un appartamento da sola, dandomi i soldi per l'università che volevo frequentare e ordinandomi di trovare un lavoro.
Mi sistemai bene in quell'appartamento, anche se da sola mi annoiavo, e per questo uscivo sempre, con chiunque pur di non stare in casa. Bene, il detto che dice: "meglio soli che mal accompagnati", ha tutte le ragioni.
Il problema è che l'ho imparato troppo tardi.
Beh, quando uscivo uscivo, e dato che i miei non si facevano più sentire mi ero dovuta trovare un lavoro per forza, per trovare i soldi per l'università e per vivere.
Di amici non ne avevo tanti, intendo amici amici, nessuno diciamo, ma un sacco di conoscenti, quelli si che ne avevo.

Un ragazzo? No. Almeno ora come ora non lo avevo, per fortuna, e mi ero ripromessa di non innamorarmi fino a che avessi trovato uno con la testa a posto, non come quello con cui ero stata per qualche mese, che avevo lasciato dopo aver scoperto che fumava canne e si drogava.

Diciamo la verità, la mia vita era una merda, avevo amici drogati e che non pensavano altro che al sesso, amiche, non ne parliamo, tutte troie. I miei genitori se ne fregavano di me e quindi ero completamente sola.
L'unica cosa che mi era rimasta era l'università e il lavoro da barista che mi faceva guadagnare abbastanza.

La voglia di vivere? No neanche quella.

Riaprii gli occhi dopo aver pensato un po'.
Avevo smesso di piangere, ma il mal di testa era rimasto, e in quella prigione c'era un gran rumore.
Mi guardai attorno. Nessuno sembrava sapere della mia esistenza, nessuno mi controllava, nessuno mi osservava.
Abbassai lo sguardo sulle mie mani. Con la destra mi alzai la manica sinistra della felpa nera scoprendo il polso e il braccio. La feci arrivare fino al gomito. Mi fissai il braccio senza pensare a nulla, senza dire nulla, senza sentire alcuna emozione particolare.
L'unica cosa che facevo era guardare insistentemente i tagli che ricoprivano quella pelle ormai segnata per sempre.

Una lacrima mi scese silenziosa rigandomi la guancia destra fino ad arrivare al mento, per poi cadere sulla morbida felpa che mi accompagnava ovunque.

Continuai a fissarmi il braccio per qualche minuto, mentre le lacrime continuavano a scendere.

-Basta- sussurrai appena alzando la testa di scatto e guardandomi attorno.

Ero decisa ad uscire da quella orribile sistuazione, da quella orribile stanza, da quella orribile cella, da quella orribile prigione.

Mi alzai dal letto tirandomi giù la manica facendo finta che tutto fosse normale come sempre.
Mi asciugai le lacrime con la felpa con un gesto veloce, e decisa mi avviai alle sbarre. Mi appoggiai ad esse e guardai fuori, nel corridoio piuttosto buio.
Non c'era nessuno, almeno nei metri che con la poca luce si vedevano da dove stavo osservando con attenzione. Dei poliziotti non ce n'era traccia, e neanche delle guardie. Sentii qualche grido e dei colpi, come se due si stessero picchiando. Mi vennero i brividi al solo pensiero di quei rumori.

Pochi secondi dopo due signori sulla quarantina in uniforme attraversarono lo stretto corridoio di corsa passandomi davanti andando verso la fonte di quel fracasso.

Si udirono altri colpi, qualche urlo da parte delle guardie e qualche imprecazione dai due detenuti che si stavano picchiando.

Detenuti.
Wow.. Quindi ora ero una detenuta anche io?

Lasciai le sbarre e mi allontanai, indietreggiando spaventata da tutto quel mondo da cui ero sempre stata rigorosamente lontana, e in cui ora mi trovavo dentro fino al collo.

Mi appoggiai alla parete girando lo sguardo a destra e sinistra, in allarme, avendo paura di tutto ciò che in quel posto infernale mi circondava.
Alzai lo sguardo cercando una via di fuga, una luce, un qualcosa che mi avrebbe potuto salvare, qualcosa che mi avrebbe confortato, qualcosa che mi avrebbe calmato.
Ma niente, scoprii solo la finestra da cui veniva l'unica luce che rendeva visibile il contenuto di quella cella, che rendeva visibile i miei tagli, le mie paure, il mio terrore.
Spostai lo sguardo dopo aver constatato che anche quella via d'uscita era sbarrata, e quindi inaccessibile.

Mi risedetti sul letto, ormai rassegnata ad aspettare quello che gli altri avevano deciso per me, cosa abbastanza difficile dato che ero sempre stata una ragazza decisa, che prendeva le sue decisioni da sola, e senza problemi.

Mi ritornò in mente la faccenda di prima.

Se mi avessero messo in cella con un tipo grosso e grasso, alto due metri, tutto muscoli che picchiava la gente e magari era andato in prigione per omicidio?! O furto con aggressione?! O per aggressione?! O per rapina a mano armata?!

Mille dubbi mi salirono in mente. Iniziai ad immaginarmi il mio possibile compagno di cella continuando a fissare il suo letto fatto male pensando alla sua stazza e a quanto poteva essere crudele.

Sentii dei passi e mi voltai di scatto verso le sbarre, scorgendo una ragazza più o meno della mia età che veniva portata dentro, nello stesso modo in cui avevano trattato me. Solo che lei a differenza mia era piena di tatuaggi, aveva una sigaretta in bocca, e probabilmente era fatta di qualcosa, dal suo sguardo neutro e senza obbiettivo.

E se al posto del grasso uomo omicida, avessi un maniaco o un drogato come compagno di cella?! Tornai a fissare il letto, l'unica traccia che potevo avere di lui, o anche lei non potevo saperlo.

Iniziai ad avere ancora più paura di prima.

Ricapitolando, come compagno di prigione potevo avere: un maniaco, un omicida, un ladro, un drogato..
Altro?! Direi che i peggiori li ho detti.
Ma le guardie non permettono che i detenuti maltrattino gli altri vero? Non possono, cioè, io a questo punto sono nelle mani della polizia..la polizia è per fare giustizia..quindi la prigione è un posto sicuro..vero?!

Iniziai a torturarmi le mani mordendomi il labbro inferiore con questa preoccupazione che mi stava divorando.
Lo facevo sempre. Quando avevo paura o ero preoccupata o confusa, mi mordevo le labbra. Normalmente i ragazzi pensavano subito male di questo mio gesto, ma se io non ero qualcosa, non ero proprio troia.

Mi riguardai il polso per poi nasconderlo in fretta nella felpa che mi stava larga in cui mi trovavo comodissima. Infatti ero una tipa semplice, mettevo jeans e felpe larghe. Tutti mi dicevano che così sembravo un maschiaccio, ma a me non interessava. Ognuno si può vestire come vuole no? Bene, io voglio stare comoda.
Fortuna che i prigione c'ero finita in jeans, felpa nera e all star nere, se no sai che fastidio?

Venni distolta dai miei pensieri con il rumore di una guardia che probabilmente si stava avvicinando. La riconobbi per via del tintinnio continuo delle chiavi. Ma non fu questo a colpirmi, ma il fatto che i passi non erano di una sola persona, ma di due, e sembravano venire verso la mia cella. Questo voleva dire che presto avrei incontrato il maniaco/assassino/ladro/aggressore/drogato che avrei avuto come compagno di cella.

Pochi secondi dopo vidi apparire il solito poliziotto, in uniforme, con la faccia dura e senza espressione, capelli corti e comportamento più che disciplinato. Mi rivolse uno sguardo che mi sembrò quasi dispiaciuto, per tornare poi freddo come prima e afferrare una spalla che intravedevo in quel buio quasi totale.
La figura misteriosa era controluce, non riuscivo a vederla per bene, ma riconobbi che era un ragazzo giovane, e non era affatto l'uomo grasso e puzzolente con la faccia trucida che mi aspettavo.

-Entra!- gli ordinò la guardia dopo aver aperto la cella.

Io continuavo a osservare tutti i loro movimenti, uno per uno, senza mai spostare lo sguardo.

-Entro entro calmino!- gli rispose il ragazzo che come reazione ricevette una forte spinta che lo fece entrare completamente nella cella.

Fece spallucce e con le mani in tasca si diresse verso quello che doveva essere il suo letto, non degnandomi neanche di uno sguardo.
La guardia ci lasciò soli, dandoci un ultimo sguardo, forse per vedere la mia reazione.
Dopo aver osservato il poliziotto che si allontanava, tornai a guardare quel ragazzo meglio. Ora, lo vedevo distintamente, e non riuscivo a capire perchè fosse lì. Non faceva assolutamente paura come mi aspettavo. Rimasi per qualche minuto ad osservarlo nella stessa posizione, con le gambe appoggiate al petto e la schiena al muro.

Quel ragazzo era il più misterioso che avessi mai visto.



"That boy was the most mysterious I had ever seen.."
  
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