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Autore: Amy Tennant    04/05/2013    8 recensioni
John Smith e Rose Tyler sono insieme e un altro Tardis sta crescendo nel mondo parallelo, nei laboratori di Torchwood. John però sente che qualcosa sta cambiando ed è qualcosa di cui neanche il Dottore era pienamente consapevole.
Una fine può essere l'inizio di qualcosa di totalmente inaspettato.
Anche per Rose.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Daniel Tashen guardava dall’alto il piccolo gruppo bloccato nel laboratorio. Nonostante sapesse bene delle condizioni della Unit, si sarebbe aspettato di catturare più persone ma evidentemente le stime sulla loro pericolosità erano state pessimistiche. Erano caduti nella loro trappola. Sapevano che il loro intento era reperire notizie sul Pozzo e possibilmente entravi, visto che era stato chiarito che quell’oggetto non sarebbe stato possibile da spostare e portare via. Avevano in mente di distruggerlo ma il Torchwood non poteva permetterlo. Era loro più grande ricchezza.
Che fosse importante lo avevano compreso da come era stato messo da parte da quella nave che erano riusciti ad abbattere solo dopo numerosi sforzi. Gli alieni avevano tentato di fuggire con l’oggetto, spostandolo all’ultimo momento su un’altra nave più piccola ma grazie al programma di difesa e le armi messe a punto, erano riusciti a catturarli.
E compreso perché fosse così importante.
Una trivella dimensionale. Cosa fosse erano riusciti a saperlo solo dopo impegnativi interrogatori con ogni mezzo a disposizione. Le potenzialità di quella cosa erano praticamente infinite. Avevano iniziato a lavorarci sopra prima che il Dottore umano accettasse l’idea di lavorare al suo progetto sul TARDIS dentro il Torchwood. La nuova prospettiva aperta prima dal suo arrivo e poi da ciò che stava accadendo negli ultimi giorni, avevano fatto ripensare all’utilità dell’oggetto in senso differente.
Il progetto iniziale di difesa si era tradotto in un piano di conquista preventiva. Anche di una nuova ricchezza. La trivella era esattamente questo: come trovare ciò di cui avevano bisogno senza muoversi. Funzionava meravigliosamente. Nei test erano riusciti a portare sulla Terra ogni cosa su cui erano stati in grado di calibrarla. Cercava ciò che le veniva chiesto e lo portava indietro.
Il Torchwood era riuscito a mettere da parte molto oro, pietre rare e una grande quantità di rottami di vario genere che la trivella riportava indietro come sottoprodotto della sua azione. Al ritmo cui stava lavorando, avevano potenzialmente in mano la possibilità di fare dell’Impero Britannico la prima forza a livello mondiale ma Tashen aveva iniziato a pensare su vasta scala. Molto più di quanto non fosse chiaro dall’inizio.
Una macchina del tempo a loro disposizione. La creazione di un equipaggio perfetto per lo scopo.
Il Dottore però stava consumandosi velocemente e quella strana nave, nascendo prima del previsto. Fece un sorriso ironico pensando a come quello strano uomo definisse quella macchina. Spesso come fosse una persona, un…bambino. In fin dei conti era decisamente meglio che stesse morendo in quello strano modo.
Se anche il Tardis fosse stato dipendente da lui in un senso che non avevano avuto modo di approfondire, visto il precipitare degli eventi, sarebbero riusciti a venire a capo del suo funzionamento. Lo avevano fatto anche per altri mezzi molto complessi, perché quella nave doveva fare eccezione? Disponevano dei migliori cervelli e della tecnologia per potenziarli. La perdita del Dottore era drammatica in questo senso. Anche appurato che non era stato possibile fare una copia stabile del suo schema sinaptico neanche con un innesto su una struttura cerebrale preesistente, sia pure in quelle condizioni.
Avrebbero ripetuto il tentativo in seguito e dopo aver risolto altri problemi più urgenti. E soprattutto quando il Tardis sarebbe stato pronto. Ma in quel momento il problema, il piccolo problema, era costituito da quella squadra di ribelli alquanto fastidiosa.
Erano patetici.
Un gruppo di giovani anche troppo giovani e vecchi troppo vecchi.
-          E così… ecco ciò che rimane dei terroristi – disse a voce alta e in quel luogo essa rimbombò, nonostante il suono cupo di fondo – davvero poco.
-          Non si permetta di definirci così – rispose Martha guardandolo con rabbia, ancora le armi puntate addosso a coloro che li tenevano sotto tiro.
-          E come dovrei definirvi, dottoressa Jones?
-          Lei conosce il mio nome? – alzò un sopracciglio inquietata ma doveva aspettarselo.
-          Prima della tragedia dei cyberuomini, lavorava con noi una dottoressa Jones molto somigliante a lei.
-          Era mia cugina. Non se ne seppe più nulla.
-          Come di molti altri, purtroppo. Ma se gente come voi ha deciso di andare contro la riorganizzazione nazionale della difesa… evidentemente la tragedia non ha insegnato nulla.
-          La smetta di strumentalizzare il dolore e la paura, Tashen – disse decisa con un sorriso amaro – la guerra preventiva non ha mai scusanti.
-          Noi ci occupiamo di difesa.
-          LaUnit  si occupava di difesa. Lo ha sempre fatto.
-          Il Torchwood è nato per disposizione della regina Vittoria, abbiamo una storia gloriosa alle spalle…
-          E un presente vergognoso! – sbottò un uomo accanto a Martha. Tashen lo fissò un lungo momento e poi gli rivolse un inquietante sorriso.
-          Simili parole proprio da chi ha tradito il suo paese per unirsi ai terroristi…
-          Voi siete dei pazzi, siete dei folli criminali! Del Torchwood riformato non è rimasto più nulla…!
-          Da sempre delle persone si prendono la responsabilità del lavoro sporco per la sicurezza e la tranquillità di tutti gli altri.
-          Nessuno riuscirebbe ad accettare quello che fate, se si sapesse!
-          Io non ne sarei sicuro, dottor Steward – disse Tashen. Martha pensò che le parole di quell’uomo si insinuavano dentro come veleno. Sarebbe stata persino tentata di riconoscergli delle ragioni, non avesse saputo il resto. Quel rumore intanto la stava tormentando e così tutti. Persino Tashen ne era disturbato. Era impossibile non esserlo.
Quando erano entrati, con lo scopo di farla saltare in aria, era immobile.
Tetra, oscura. Nell’angolo. Sembrava apparentemente un portello circolare dentro un muro. Un portello metallico dai riflessi verdastri. Sapevano dagli schemi il suo aspetto originario. Una struttura complessa, in blocco unico di forma approssimativamente tronco-conica.
-          Fermate questa orribile cosa! – disse rivolta a Tashen e lui prima sorrise, poi si mise a ridere.
-          Non la fermeremo e non la distruggeremo di certo.
-          Ma voi non avete assolutamente idea di quello che…!
-          No. Non hanno idea di cosa sia. E neanche voi – la voce ferma e bella aveva straordinariamente superato la vibrazione della mostruosa macchina. Il sorriso di Tashen morì sulle sue labbra e sebbene vi fosse poca luce, parve impallidire di colpo. Vi fu subito una certa confusione di sguardi tra coloro che li tenevano sotto tiro. La presenza di quell’uomo non era prevista.
Martha intanto aveva sollevato lo sguardo verso chi aveva parlato.
Sul parapetto opposto a quello dove si trovava Tashen, la piccola squadra che aveva inviato nei laboratori per cercare le cavie. Ebbe un evidente gesto di sollievo nel vederli tutti sani e salvi ma spalancò lo sguardo sorpreso sulla figura al centro del gruppo, quell’uomo alto e sottile che fissava ciò che aveva davanti a sé, con grandi occhi lucidi che sembravano brillare di una luce che non era in quella stanza.
-          È il Dottore! – mormorò l’uomo che le era accanto.
-          Il Dottore… chi? – chiese nervosa. L’uomo la fissò un momento, Martha comprese ed assunse un’aria smarrita mentre  lui annuiva – lui è…? Quel “Dottore”? Ma… è… giovane…!
-          No, decisamente non lo è – disse l’uomo – è più vecchio di tutti noi messi insieme.
Martha guardò il suo compagno e poi di nuovo l’uomo con attorno la sua squadra. Vide Lakil a capo scoperto e pensò che da quando lo conosceva, poche volte gli era parso così poco umano, sebbene lo sembrasse quasi del tutto ed in parte lo fosse, dopo la fusione della sua matrice con i resti umani in cui era stata buttata. Proprio quello aveva chiarito definitivamente, come sospettava il dottor Steward, che al Torchwood facessero anche esperimenti su terresti. Martha fissò gli occhi irreali del giovane alieno che brillavano ma non quanto quelli dell’uomo che aveva accanto e sul quale, notò curiosamente, teneva una mano. L’espressione del ragazzo era sconvolta mentre quella del Dottore era strana, immobile, calmissima.
La luce bluastra del laboratorio faceva sembrare così severi i lineamenti di quell’uomo ma scacciò rapidamente il pensiero che fosse davvero molto affascinante.
-          Perché ho l’impressione di averlo già incontrato? – si chiese sforzandosi di non guardarlo.
Intanto Tashen sembrava essersi ripreso dal lungo momento di perplessità che aveva causato l’arrivo del Dottore e della piccola squadra.
-          Dottor Smith… - disse con tono affabile.
-          DOTTORE – lo corresse lui con sguardo fiammeggiante. Tashen ebbe un brivido istintivo. Così tutti coloro che erano in quella stanza. Cercava di ripetersi che si trovava davanti ad un umano ma nessuno riusciva a trovare la cosa tranquillizzante. Non a giudicare dalle espressioni di tutti coloro che erano lì. Sapevano chi lui fosse.
-          Dottore... – Tashen guardò i ragazzi attorno a lui – lei non sarebbe dovuto essere qui.
-          Oh, sì… suppongo non sarei dovuto essere neanche in piedi.
-          Pensavo fosse ancora…
-          Non… ancora – disse ironico con un inquietante sorriso. Martha lo guardò stupita e poi rivolse lo sguardo a Tashen.
-          Dottore, la sua salute è al momento precaria … - disse Tashen e tutti rivolsero lo sguardo su John che rispose con una smorfia di fastidio istintiva – ma stiamo cercando… una cura.
-          Sì… immagino sia così … - Lakil tremò sentendolo dentro eppure dall’esterno parve quasi che il Dottore avesse dato ragione a Tashen.
-          Ad ogni modo lei non dovrebbe essere qui, ora – l’affermazione era stata fatta da un responsabile del laboratorio nel quale si trovavano. John inclinò il capo con un mezzo sorriso.
Ricordava di averlo visto varie volte, nel reparto medico. Lo ricordava e aveva ben presente la pessima impressione che gli faceva e quante volte si fosse chiesto per quale motivo razionale, visto che sembrava non esservene.
Forse doveva ringraziare Donna del residuo di un certo intuito femminile in lui? Il pensiero era divertente e Lakil lo fissò ancora più nervoso, perché tutto in lui era sconvolto e mescolato.
-          Dottore, come è arrivato qui? – Tashen sembrava perplesso sul da farsi e persino indeciso.
-          Avevo lasciato in laboratorio qualcosa di importante su cui lavorare – rispose ironicamente con un lampo negli occhi – loro… mi aspettavano lì – Martha tentò di dissimulare la sorpresa per le sue parole. Non poteva essere vero. Erano diretti nella direzione opposta e di quello ne era certa – tuttavia… ora che sono qui… - il suo sguardo parve spalancarsi – io… sento le urla del passato
-          Cosa…?
-          Non sapete cosa state facendo, non ne avete idea! – ripeté. I responsabili del laboratorio si guardarono confusi – state facendo funzionare un oggetto… che dovrebbe essere distrutto!
-          Non dica assurdità! – disse con un sorrisetto uno di loro. Il Dottore lo guardò severamente.
-          I miei occhi hanno davanti… la cosa peggiore che possa anche solo pensare, un signore del Tempo – disse con tono lugubre ma per un istante parve che della rabbia velasse la sua voce.
Martha però comprese che non era esattamente quello. Si trattava di sofferenza e sofferenza fisica.
Guardò interrogativamente il dottor Steward accanto a lei e lui scosse il capo come per risponderle.
Martha Jones e i suoi compagni, circondati dalle guardie e tra Tashen e il Dottore uno di fronte all’altro, sembravano diventati le comparse di una scena che poco prima aveva loro al centro come protagonisti. La Unit sapeva del Dottore e di John Smith, il Dottore umano in parte.
Sapeva del Tardis, anche se non abbastanza.
Non si era mai interessata a lui se non in modo accessorio: il pozzo era una priorità. Martha conosceva tuttavia le storie sul Dottore e si sarebbe aspettata qualcuno molto diverso da quell’uomo giovane. Sembrava solo un tipo strano. Lo pensò guardando come fosse vestito, pettinato. E si chiese, seccata con sé stessa, perché stesse ragionando su cose così ridicole in quel momento, visto che rischiavano di morire. Poi pensò che il rumore terribile del pozzo poteva renderla meno lucida.
Forse stava danneggiando il suo cervello. Represse il senso di panico che l’opzione stava già generando dentro di lei. Non era il momento neanche per quello.
Il Dottore però sembrava pensarla come loro su quell’oggetto.
-          Dottor Steward, noi pensavamo che il Dottore stesse lavorando con Tashen…
-          Sembra non sapesse di questa cosa, invece – le rispose un po’ inquieto.
-          Mi sembra sincero – osservò Martha.
-          Sinceramente preoccupato – aggiunse l’uomo guardando il Dottore.
Lakil intanto fissava John sempre più inquieto.
Il tremito del suo corpo era più forte, le sue lunghe dita si stringevano forsennatamente alle maniche del vestito, mentre teneva le braccia conserte apparentemente sereno e fermo. Il velo della sua coscienza stava appannandosi ma sentì chiaramente dentro di lui quel pensiero. Azzardato e improvvisato.
… Lakil, So che puoi farlo, l’ho sentito. Fai brillare nella mente di Martha quest’idea…
… Dottore, perché?...
… perché dobbiamo stare in mezzo agli altri e voglio provare a tirarvi fuori vivi da qua dentro…!
Sapeva perché voleva che fossero con la squadra. Glielo aveva detto e lui l’aveva guardato stupito. Lo sapeva solo lui. Era l’unica speranza.
John strinse la balaustra dalla quale si affacciava, con un lungo respiro rabbioso. Lakil si chiedeva davvero come riuscisse ancora ad avere la forza di ragionare con tanta lucidità.
Aveva ragione.
Poteva fare quel che gli aveva chiesto e non era difficile. Martha era molto recettiva, già lo sapeva. Valeva la pena tentare e poi lui era l’essere più vecchio che avesse incontrato nella sua vita, avrebbe fatto tutto quello che riteneva giusto. Lakil si concentrò su di lei e sussurrò nella sua mente quel pensiero.
Martha era confusa.
Confusa e impaurita. Non comprendeva cosa stesse succedendo ma improvvisamente guardò il gruppo dei suoi con il Dottore e Tashen dall’altro lato e le venne in mente che fosse possibile. Ed insieme che non fosse vero.
-          I miei uomini hanno catturato il vostro Dottore! – disse con il tono più convinto possibile, quasi stupita dalle sue parole. Vide che i ragazzi l’avevano fissata con sguardo stupito e infatti quell’uomo non sembrava prigioniero. Neanche lo minacciavano in alcun modo. Martha si morse le labbra come pentita di ciò che aveva appena detto. Non aveva senso.
Ma come le era potuto venire in mente di dire quelle parole?
Vide però che Tashen era rimasto confuso dalla cosa e aveva rivolto lo sguardo sul Dottore.
-          Catturato?
-          Decisamente sì – ammise il Dottore con un tirato sorriso e alzò le braccia. I ragazzi si guardarono per un breve istante, interrogativamente. Lakil però incrociò lo sguardo del ragazzo robusto il quale comprese. Puntò l’arma alle spalle di John e dopo di lui gli altri.
-          È ferito…? – gli chiese una delle guardie.
-          No. Non ancora, almeno. Non sembrano scherzare … - precisò e parve davvero convinto, di quelle parole. Ma non era lì. Non del tutto. E Lakil lo sentiva.
Tremava e la mano del giovane alieno sul suo corpo poteva sentire quanto, sia fuori che nel suo animo.
L’orrendo suono della trivella dentro il signore del tempo in parte umano. Era straziante per lui.
Sia fisicamente che oltre. Ma forse soffrire così tanto riusciva a distogliere la sua mente da quell’orrore. Ironicamente il corpo che si stava distruggendo stava proteggendo la sua coscienza.
Ma nonostante tutto e la mescolanza di ogni cosa, un pensiero riecheggiava in lui sopra ogni cosa. Un pensiero che brillava in lui come una stella ed era l’unico calore che ormai gelido sentiva, dentro.
Lakil allora sentì profondamente quanto quel vecchio signore del Tempo, in procinto di morire, stesse pensando ad una cosa, una sola e in modo così forte e disperato da seppellire ogni altra idea in quel momento, persino quella di quell’orrendo oggetto che lo stava tormentando e che stava ingoiando il presente facendo urlare il passato. Più forte della sofferenza, della paura della fine. Persino della volontà di salvare ogni cosa ma affiancato ad essa perché ne era il motivo. Lakil lo trovò bellissimo e terrificante insieme: in oltre novecento anni di vita, ciò che restava di tutto era solo l’amore per una donna. Per un’umana.
Gli occhi blu del giovane alieno diventarono più brillanti ma lucidi. Di pianto. Rivolse lo sguardo verso Lena e lei verso di lui. Era stato più fortunato. Aveva aspettato molto meno del Dottore, per incontrare qualcuno di cui innamorarsi.
Era stato sfortunato. Per salvare il Dottore avrebbe dovuto perdere ogni cosa. E lei.
Ma Lakil doveva farlo. Era nella sua natura.
… Dottore… tu…
stai morendo…
Lakil glielo disse senza parole, come ormai parlavano e vide incredibilmente le sue labbra piegarsi in uno strano sorriso.
… sì…
Ma non ora, Lakil.
 
**
 
La mappa luminosa era tesa davanti a loro, Catherine restava in attesa e Rose tremava. Tremava di paura, non poteva che ammetterlo. Qualcosa la inquietava fin nel profondo; quella donna. E quella situazione.
La dottoressa aveva detto che sperava che il dispositivo di contenimento dimensionale funzionasse. La mappa tremava, come in attesa; ma ciò che serviva, la sua voce, sembrava esserle morta in gola.
-          Dottore… perché ora? Perché tutto precipita sempre così in fretta? – gli chiese pur sapendo che non poteva risponderle.
-          Rose, dobbiamo fare in fretta! – l’urgenza nella voce della dottoressa le fece inghiottire a stento una saliva troppo densa che sembrava soffocarle quasi il respiro. Ma anche la voce della dottoressa ormai le faceva venire i brividi. Sentiva, il sottofondo della propria. Vedeva, nei suoi occhi, i propri e quelli di lui insieme. Concentrarsi su quel qualcosa che apparteneva al Dottore, la faceva un po’ calmare ma lei faceva davvero venire i brividi. Era sbagliata.
Non era però il momento di pensarci.  Doveva fare quel che John le aveva chiesto.
-          Ho paura… - mormorò e Catherine le rivolse uno sguardo che ammetteva anche la sua. Le venne vicino nell’ombra e le prese la mano. Le prese la mano e la strinse e in quel momento Rose sentì con chiarezza che sembrava lui ad averlo fatto, il Dottore. Inquietante ma in quel momento era quello di cui aveva bisogno. La sua stretta attraverso un’altra persona.
Possibile quello. Possibile anche avere il coraggio di andare a prenderlo attraverso di Lei.
-          Ragazza… vai da lui, ti prego! – sussurrò e stringendo la mano di Catherine, dimenticando per un istante che non fosse quella di John, Rose alzò lo sguardo sulla mappa.
Emise un lieve soffio e tutto parve tremolare troppo.
Rose prese respiro e Catherine invece lo trattenne quasi, al tremito che sentiva in lei.
-          John… - mormorò quasi tra sé e le corde vibrarono più forte. Rose spalancò gli occhi scuri sulla mappa che aveva reagito. Aveva reagito alla voce di Catherine. Ebbe improvvisamente più fiducia in tutto quello che non riusciva a capire. Ripensò a lui. E stranamente ripensò anche alla prima volta che si erano conosciuti, ripensò ancora una volta a colui che era prima e di cui si era innamorata. Era lì, in lui. Lui era stato anche degli uomini che non aveva conosciuto ma la stessa persona. Con un solo nome.
.. DOTTORE…
Lo disse e la sua voce non le parve abbastanza chiara ma il dispositivo reagì immediatamente emettendo una vibrazione che diventò un suono e poi parve perdersi nel nulla, forse perché da loro non più udibile.  Rose lo guardò confusa e cercò conferma nello sguardo di Catherine che continuava però a fissare la mappa. Aveva iniziato a ruotare.
-          L’avevi vista comportarsi così? – chiese a Rose.
-          No… -  il reticolo luminoso iniziò ad orientarsi al di là di qualunque direzione Rose pensava potesse esserci nello spazio. Sembrava che ogni cosa stesse perdendo il verso conosciuto per trovarne un altro. Le linee si intersecavano, univano in modo impensabile, creavano accordi e colori, nella loro mente e lo facevano come scintillassero violentemente nel buio. Era come vedere i fuochi artificiali senza che vi fossero in altro luogo se non in loro. Gli spazi si rivoltavano aprendosi in altre dimensioni, sembravano molte cose insieme.
Un’infinita tela, infiniti nodi, infinite trame di cui sembrava fatto ogni filo.
-          Rose… dillo ancora! – disse Catherine fissando tutto con una consapevolezza maggiore di quella che aveva la ragazza. Lei la strinse ancora.
-          Dottore! – ripeté Rose più convinta e a voce più alta. Il reticolo parve come tirarsi all’infinito e poi spezzarsi in microscopici pezzi che divennero polvere scintillante e poi, insieme, quasi un’aurora boreale allungata verso l’oscurità. Ogni cosa si era frantumata e d’istinto Rose pensò che continuare a respirare nel nulla era un miracolo.
A quel punto entrambe videro apparire davanti un orizzonte, qualcosa che non esisteva un attimo prima. Era una dimensione, quasi un luogo. Dal silenzio assoluto il rumore, spaventoso e fortissimo. Tutto divenne di un blu profondissimo e cupo. E fu con orrore che si resero conto che quella linea lontana si stava incurvando in qualcosa di assurdo e difficile da descrivere, qualcosa di spaventosamente alto e assurdamente simile ad un’onda di maremoto, che puntava dritta nella loro direzione e infinite altre insieme.
Rose emise un singhiozzo che non ebbe suono.
Catherine le rivolse delle parole che non si sentirono.
Forse qualcosa si era spezzato, forse il contenimento non era riuscito.
Guardò Catherine con terrore e lei le rivolse uno sguardo disperato.
Furono travolte, come tutto, troppo spaventate persino per urlare. Ma davanti a quella cosa spaventosamente grande e terrificante, Catherine la prese tra le braccia e la strinse a sé e Rose chiuse gli occhi.
Era la fine.
 
**
 
I ragazzi avevano scortato il Dottore nel gruppo che fronteggiava Tashen e le squadre pronte ad attaccarli. La situazione era sospesa, in stallo. La mente del Dottore però girava vorticosamente su sé stessa cercando di mantenere la calma. Da sotto, dove ora si trovava, fissava la cupa imponenza di quel mostro che avevano definito il pozzo. Lo chiamavano così perché vi avevano tirato fuori di tutto. Non stentava a crederci. Ma nessuno di coloro che era in quella stanza poteva capire cosa proveniva da quel che tornava indietro da loro. Ne era scosso. Ne sarebbe stato scosso in ogni caso ma nelle sue condizioni non iniziare ad urlare era già al di là di quel che avrebbe potuto pensare di riuscire a fare. La trivella.
Non era qualcosa che avrebbe mai pensato di ritrovarsi davanti e soprattutto in funzione. Erano dei folli. Gli impulsi violenti che sentiva dentro, erano a stento trattenuti da una ragione che però gli sembrava sempre più disperata e meno lucida.
Il suono di quella cosa orrenda intanto, si era fatto più cupo e più lento. John aveva notato come stesse facendosi più profondo, perché era proprio una questione di dimensioni che raggiungeva oltre, rallentando. Correva disperatamente il suo cuore, invece. Non erano deboli, gli umani. Erano spaventosamente forti. Fu un pensiero che lo fece sorridere. La maggior parte dei suoi compagni di viaggio erano stati umani, doveva sapere che fossero così resistenti. Ma ciò nonostante, qualcosa gli diceva che era la sua mente a tenere ancora in piedi quel corpo. La sua mente e l’aiuto di Lakil.
Lakil lo teneva per un braccio, non lo lasciava.
Il giovane alieno si ripeteva che doveva resistere.
Ancora un po’ e non sapeva fino a quando ma doveva resistere. Eppure il Dottore stava cedendo ed era inevitabile. Lakil aveva paura. Più paura di lui.
 
Le armi erano puntate su di loro, Tashen era perplesso sul da farsi.
Eliminare il Dottore sarebbe stata la cosa più saggia e fossero stati soli, lo avrebbe fatto fare. Un conflitto a fuoco sarebbe stata un’ottima scusa. Ma le guardie erano rinforzi esterni al Torchwood e John Smith non era un terrorista e non era assolutamente d’accordo con la Unit.
Assottigliò gli occhi.
A meno che il suo ritorno in laboratorio non volesse dire altro. Era però altamente improbabile.
-          Dottore, il dispositivo cui lavorava è ancora al suo posto? – chiese impensierito.
-          Sì… sono così stupidi e malmessi che per la fretta lo hanno ignorato – fece un sorriso ironico. I ragazzi dovettero trattenersi dal rispondere sarcasticamente a parte i soliti due, che d’istinto strinsero più forte le armi.
-          Voglio scaricartela addosso da quando ti ho visto – mormorò Sophia.
-          Lo so – rispose freddamente John, senza guardarla.
Martha Jones alla fine l’aveva avuto vicino e non poteva smettere di guardarlo. Lui era il Dottore.
Era alto e la sua corporatura leggera, ma ciò nonostante sembrava imponente. La cosa però che la colpì più di lui in quel momento, a parte gli occhi profondissimi, fu quel respiro ansante, la percezione assoluta che quell’uomo fosse sfinito e in piedi per qualche strano mistero e molta forza di volontà.
-          Dottore, lei sta male…  – non poté trattenersi dall’osservarlo. Era pur sempre un medico. Lo vide sorridere e sorridere quasi dolcemente prima di guardarla con occhi febbricitanti.
-          Non preoccuparti per me, Martha…  - le disse con un tono strano, indefinibile che però la fece irrigidire d’istinto. Sapeva il suo nome. Il Dottore sapeva come si chiamava. Cosa poteva dire?
Il suo sguardo ansioso non incrociò quello del dottor Steward, anche lui evidentemente colpito dalle condizioni fisiche di quell’uomo.
John fece di tutto per non farsi ancora distrarre dalla presenza di Martha Jones, lì e in quel momento.
Poteva esserci chiunque altro ed invece c’era lei. Entrando, l’aveva vista subito e pensato che davvero le coincidenze erano troppe, continue e che forse, ancora una volta, avevano a che fare con l’assoluta necessità che dovesse accadere qualcosa. Infondo la stessa metacrisi era stata decisa a quel modo, da ragioni incomprensibili ma che davvero sembrava fossero urgenti e impossibili da ignorare per il resto dell’universo.
Dovevano esserci.
Era tutto troppo complesso perché fosse casuale. Doveva essere causale. Se non fosse stato così doloroso, in quel momento, se ne sarebbe meravigliato con piacere. Adorava le coincidenze inesistenti costituite dalle piccole incongruenze che rendevano possibile l’esistenza di una parvenza di perfezione agli occhi di tutti. Erano quelle cose che avvolgevano l’esistenza del mistero che aveva sempre rincorso, tutta la vita.
Una vita lunghissima…
... una vita che era la somma delle vite di uomini diversi e che ora continuava altrove senza di lui.
Mai come in quel momento si era sentito la somma singolare del suo passato.
Sapeva da cosa dipendeva quel senso di distacco: la trivella.
Socchiuse gli occhi e Lakil lo sostenne più forte. Martha Jones gli rivolse un’occhiata preoccupata, nonostante il contesto.
Ad un tratto lo strano strumento del Dottore iniziò a lampeggiare e Lakil vide le sue lunghe dita stringerlo in uno scatto disperato. Poi il fischio.
Fu così acuto che superò ogni altro rumore e costrinse tutti a chinarsi storditi, coprendosi le orecchie. Tutti tranne lui e John Smith che parve improvvisamente svegliarsi da quel sofferto torpore di quegli ultimi momenti, spalancando gli occhi su qualcosa che nessuno vedeva.
-          Dottore! E’ la trivella? – chiese Lakil guardandosi spaventato attorno.
-          No… è LEI…  - gli rispose il Dottore con tono spezzato dall’emozione – sta arrivando! Lei… sta… arrivando…! – gridò con espressione quasi incredula. Lakil sentiva quanto fosse forte quell’emozione e vide che si era portato la mano al petto con una breve smorfia di dolore, subito represso. Il dolore si irradiava fino alla spalla e per tutto il braccio sinistro. John sapeva, sentiva chiaramente cosa stava succedendo.
Ma sorrise di meraviglia estrema e di gioia, con gli occhi lucidi come specchi, quando sopra ogni cosa, anche il rumore sordo della trivella, si sentì quel suono.
Quel suono meraviglioso, quel lungo soffio che era il suo respiro.
Chiuse gli occhi sfinito ma sorridendo.
-          Rose… ce l’hai fatta… - sussurrò quasi tra sé – ce l’hai fatta…!
Il cupo suono della trivella parve farsi più forte.
… Pochi minuti, potrà materializzarsi per pochi minuti la prima volta…
Rivolse all’improvviso lo sguardo al pozzo e dopo qualche istante la sua espressione diventò improvvisamente di terrore, si portò le mani al viso e poi tra i capelli ed emise un gemito di disperazione alzando gli occhi lucidi.
Tutti sembravano essere ancora disorientati, storditi. Lo era anche lui, visto che non ci aveva pensato subito.
John guardò Lakil ma senza la forza di dire una parola.
La trivella dimensionale era in funzione ed aveva raggiunto una profondità. Ma temporale e questo non lo aveva compreso nessuno, tranne lui.
La trivella apriva buchi nelle dimensioni ma soprattutto nel tempo passato.
Spazio e tempo erano le variabili che servivano al Tardis per materializzarsi lì e in quel momento.
La trivella rendeva tutto più instabile.
Fluttuava ogni cosa, lo percepiva nonostante il suo stato.
A quel punto non sapeva, neanche teoricamente, cosa poteva succedere.
 
 
 
 
  
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