Non sente di essere
cambiato granché da quando era un Ispettore – ancora oggi ignora tutto ciò che
circola nei corridoi quando gira le spalle e le persone sono convinte che lui
non possa sentirle.
Aveva sempre sostenuto
fermamente che lasciarsi coinvolgere dagli Enforcer fosse una pessima idea per
una serie di motivi ancora tutti ben delineati nella sua mente; l’essere
passato dall’altra parte non gli aveva fatto cambiare idea: è ancora convinto
che in qualche modo non legarsi renda il loro lavoro e quello degli Ispettori
più facili.
Tuttavia ha compreso che forse, a modo suo, c’è un fondo di “verità” nel
pensiero di Tsunemori ed è che mantenere almeno un minimo rapporto porti ad una
maggiore collaborazione non forzata; e, dopotutto, Ginoza aveva sempre
rispettato il protocollo nei limiti del possibile: mai avrebbe peccato dove una
volta era stato lui a rimproverare gli altri.
«Ginoza-san!» si volta verso la voce che lo ha chiamato e non fatica a
riconoscere la ragazza – l’Ispettore – la cui prima apparizione gli ha
ricordato in maniera impressionante quella di Tsunemori: stesso tipo di
operazione, stessa carenza di personale, il calco delle proprie parole allora
rivolte ad una Akane ignara di cos’avrebbe trovato sul campo.
«Ispettore Shimotsuki.» replica con la serietà che gli è propria, posando lo
sguardo – non più nascosto dagli occhiali come un tempo; una delle piccole cose
cambiate in lui, maschera di un mutamento più grande di quello che si può
vedere – su di lei, mentre sale nella macchina che li porterà sul luogo dell’indagine.
«Che tipo è l’Ispettore Tsunemori?» è la domanda che lo allontana dai pensieri
che stava pigramente seguendo, lo sguardo fuori dal finestrino da quando
avevano finito di discutere i dettagli dell’indagine che gli avevano anticipato
prima che si recassero sul posto.
La richiesta gli sembra legittima e prevedibile, eppure rispondere non è
altrettanto facile. Trovare il punto esatto in cui iniziare a descrivere la
collega – ora superiore – è complicato e presupporrebbe troppe cose.
Tutti loro, ha imparato Nobuchika, sono fatti delle persone del passato; allo
stesso modo, per descrivere Tsunemori dovrebbe parlargli di Kogami, e per
spiegare di lui dovrebbe raccontarle di Sasayama, poi verrebbe il momento di Makishima e quello significherebbe parlare di quella civile
– Yuki – e così via.
Significherebbe parlare di dolore, dolore e ancora dolore, di ferite tanto
profonde che non è lui a dovervi mettere impietosamente mano fino a farle
riaprire senza la certezza che si risanerebbero mai – sempre ammesso che lo
abbiano fatto.
Ma sopra ogni cosa dovrebbe parlare a Shimotsuki di cosa Kogami sia stato; di
come entrambi siano stati Ispettori divenuti Enforcer,
di come a portarli sulla via considerata sbagliata siano stati i sentimenti che
sono invece più giusti e puri per un essere umano che voglia considerarsi tale.
E, non ultimo, dovrebbe dirle del rapporto semplice e complicato al tempo
stesso che hanno lui e Akane. Di come, a conti fatti, si siano in un certo
senso salvati a vicenda per quanto potevano: di quanto siano stati ciechi e
deboli, mentre cercavano di vedere la verità e di essere forti.
«Non sono io il più qualificato per rispondere a questa domanda.» è ciò che si
limita a dire – non ha la pretesa né la speranza che tanto basti all’altra,
però: «L’unico che potrebbe farlo non lavora più con noi.» aggiunge soltanto.
Abbandona l’esterno che gli sfreccia davanti agli occhi oltre il finestrino e
si prende il tempo di osservarla; è così facile, riconoscere lo sguardo di chi
teme di fare la domanda sbagliata, che gli scappa un leggero incurvarsi di
labbra che somiglia all’ombra di un sorriso.
«Uhm, ma lei conosce da tanto l’Ispettore Tsunemori, giusto Ginoza-san?» cambia
approccio e per un attimo si chiede anche lui quanto effettivamente possano
dire di conoscersi – la verità è che hanno condiviso cose che solo compagni di
tutta una vita spesso provano insieme e l’uno per l’altra, ma non è avvenuto
con la complicità di due amici né con la naturalezza di due amanti.
Vedere sangue e morte, non sapere più se si sta proteggendo la giustizia o una
menzogna e non sapere più da quale parte si stia – o da quale sia giusto stare –
erano cose che ti legavano in maniera profonda ma contorta, affatto giusta.
Una cosa così non potevi spiegarla.
«Abbiamo lavorato insieme in passato, sì.» conferma con pacata neutralità: «Ma
non sono stato io l’Enforcer assegnato a Tsunemori,
fino a poco tempo fa.» aggiunge e solo a quel punto torna a guardare fuori,
prendendosi un piccolo vantaggio su Shimotsuki.
«Le consiglio di non chiedere molto del suo partner di prima, Ispettore.»
«…È una storia così triste?» azzarda lei, cercandolo
con la coda dell’occhio ma riportando quasi immediatamente l’attenzione sulla
strada.
«Non è triste.» afferma quasi con orgoglio, il tipo di sicurezza che hanno solo
i sopravvissuti che pensano di non poter vedere nulla di peggio di quanto hanno
già visto: «Solo complicata.» conclude, e il modo in cui volta il viso
nuovamente verso l’esterno sembra mettere un tacito punto a quella loro
conversazione – non troppo bruscamente, ma con la dovuta decisione.
«Ginoza-san,
Shimotsuki-kun, siamo qui.» pronuncia Akane in loro direzione, facendogli un
cenno per farsi notare. Quando le sono vicini si rivolge alla giovane e
Nobuchika ha il tempo di guardarle entrambe: Tsunemori rivolge all’altra lo
sguardo attento di un supervisore, sì, ma anche quello gentile che l’ha sempre
caratterizzata.
Mentre vede in lei ciò in cui lui ha mancato da Ispettore e ciò che
probabilmente suo padre aveva visto e interpretato come potenziale nella
ragazza, pensa che dopotutto il loro rapporto è esattamente quello: fatto di
cose che è difficile raccontare e di altre che sono solo complicate da capire.
Anche ora si guardano in tanti modi che si mescolano insieme – allievo e “maestro”,
compagni d’armi, due persone che hanno subito la perdita sebbene in maniera diversa:
su di loro c’è l’ombra di un padre rifiutato finché per accettarlo non era
stato troppo tardi, di troppa bontà tramutatasi nella morte di un’amica.
E infine c’è quella dell’abbandono in forme diverse, quello di Kogami che nessuno
sa dove sia, di Kogami che è riflesso in lei così come in Ginoza
stesso – Akane è per lui il riscatto di un ennesimo collega perso in un modo
peggiore che con la morte, lui è per Tsunemori la seconda occasione di salvare
se stessa salvando qualcun altro.
Restano vicini per non crollare, rimangono vicini senza mai oltrepassare la
linea, quel limite immaginario ma insuperabile.
Si restano accanto nell’unico modo che conoscono – assumendo l’uno per l’altra
il ruolo di qualcuno che non sono loro.
Note autore
Era tanto che quest’idea mi gironzolava in testa,
ma ancora adesso non sono convinta di essere riuscita a spiegare quello che
nella mia testa è il rapporto tra Ginoza e Akane nel “fine
serie/post serie”.
Forse perché è una ‘coppia’ che non si basa, a mio avviso, sul romanticismo ma
su qualcosa di molto più contorto che somiglia alla dipendenza che si può avere
da ciò che ti allevia il dolore. *confusa*
La speranza è che non sia un fail pazzesco e totale
<3