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Autore: _Frency_    08/05/2013    4 recensioni
Dal testo:
[...] Lei, la ragazza senza nome dallo sguardo assente, aveva dei meravigliosi occhi verdi speranza. Una speranza così forte e disarmante da palesarsi in tutta la sua meraviglia. E tutta la speranza che celava in fondo a quegli specchi smeraldini sembrava aver abbandonato il suo corpo, per andare a rifugiarsi solamente nei suoi occhi. [...]
Lei si chiama Nesta. Come il secondo nome del famoso Bob Marley. Non è nessuno e non cerca di diventare qualcuno. Agli occhi di molti è senza età, e ad altrettante tante persone appare molto più trasandata e provata dei suoi coetanei. Ha una famiglia numerosa, ma non ha genitori. Anzi sì, ci sono, però sono lontani. O forse è lei ad essere distante da loro. Patita del reggae, è una fumatrice incallita e odia ballare. Non è bella, almeno non a prima vista: è strana.
Quando i Tokio Hotel al gran completo fanno la sua conoscenza, è un caso: Bill e Nesta sono ricoverati nello stesso ospedale, ma per motivi ben differenti. Nesta non ha paura della morte, ma non per questo si definisce coraggiosa, no. Lei si definisce incosciente. Quando la sua vita si ritrova legata a quella di "quattro mocciosi ricchi sfondati" come li definisce lei, non è felice. Affatto.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ricami sul Cuore.'
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No Woman No Cry



Capitolo 1: Nesta Green.

§

Nesta Green. Già per il nome ai quattro ragazzi era apparsa una tipa strana, una di quelle ragazze che difficilmente incrociavi per strada. Averla incontrata in ospedale, quindi, aveva fatto di lei un personaggio ancor più singolare. Le stranezze stavano sia nel suo aspetto che nel suo carattere. Soprattutto in quest’ultimo. Ognuno aveva pensato la sua vedendola la prima volta, quando la barella candida su cui era stesa, trasportata da due robusti infermieri, gli aveva superati nell’atrio dell’ospedale. Sembrava una questione seria, non certo un semplice svenimento. Non aveva una bella cera, quella piovosa mattinata di marzo. Sembrava un leoncino spelacchiato, con quella massa di capelli rasta sparsi scompigliatamente sulla barella, fradici e gocciolanti di acqua. La pelle, che avevano immaginato biscottata dal sole, era bianca come il latte, innaturalmente grigiastra quasi. Le labbra piene erano screpolate, gli occhi strizzati convulsamente sotto le palpebre. Il corpo scosso dai tremiti. Ecco come si era presentata ai loro occhi Nesta Green, per loro semplicemente La Strana, ancora senza nome nei loro cuori.

Bill Kaulitz era stato ricoverato a fine marzo del 2008, a causa di una ciste presente nelle sue corde vocali, che gli impediva il corretto uso della voce. Tom, il suo fratello gemello, non lo aveva mai perso di vista, facendogli sentire tutto il suo affetto. Lo stesso era stato per Georg e Gustav, sempre pronti a offrirgli il loro sostegno. Poi c’era stata mamma Simone, Andreas e David, e addirittura i più intimi conoscenti all’interno della troupe.

Durante gli stessi giorni, era stata ricoverata Nesta Green. La prima volta in quell’ospedale, ma certo non la prima in tutta la sua vita. La causa del suo ricovero? Un principio di overdose. Era arrivata ad un passo dal rischiare seriamente la pelle. Il problema? Non era la prima volta.
Per lei niente fratelli o sorelle, niente genitori in lacrime, niente amici o amiche. Niente conoscenti. Nessuno. Non un  mazzo di fiori aveva ornato la spoglia e fredda camera dell’ospedale, non un sincero sorriso aveva illuminato le sue giornate. Era stata ricoverata per meno giorni del cantante, essendo priva di soldi per garantirsi l’assistenza sanitaria. L’unico motivo per cui l’avevano trattenuta più del dovuto era stata la compassione che aveva mosso medici e infermiere, desiderosi di non rigettare nelle braccia della morte certa l'ennesima ragazza. L’ennesima bambina cresciuta troppo in fretta.

Tom aveva incontrato Nesta nel bar dell’ospedale, la seconda volta dopo circa quattro giorni. L’aveva vista seduta, da sola, ad uno dei piccoli tavolini bianchi. Aveva una tazza stretta tra le mani, che doveva essere assai calda a giudicare dalla sottile scia di fumo che rilasciava. Lo sguardo di lei era perso nel vuoto. Ne aveva scorto gli occhi, e il loro colore intenso: verde. Verde come smeraldi, come i prati in primavera, come la speranza. Lei, la ragazza senza nome dallo sguardo assente, aveva dei meravigliosi occhi verdi speranza. Una speranza così forte e disarmante da palesarsi in tutta la sua meraviglia. E tutta la speranza che celava in fondo a quegli specchi smeraldini sembrava aver abbandonato il suo corpo, per andare a rifugiarsi solamente nei suoi occhi chiari.

Non l’aveva visto arrivare; non aveva visto nessuno. Aveva continuato a fissare un punto imprecisato di nulla, oltre le spalle del ragazzo. Le ci era voluto qualche istante per mettere a fuoco la figura del ragazzo dalla sua medesima conciatura. L’aveva fissato, assente. E lui aveva deciso di interpretare quella totale mancanza di espressione come una gran voglia di essere lasciati in pace.
Il terzo incontro tra Nesta Green e i quattro membri della band aveva avuto luogo in un corridoio, ad un orario assai improbabile come le sette di mattina. Era passata quasi una settimana. Sei giorni durante i quali i ragazzi erano stati sommersi di lettere dirette a Bill, in cui auguravano al cantante una pronta guarigione e lo sommergevano degli usuali complimenti/dichiarazioni d’amore. Il ragazzo si era mostrato desideroso a livelli quasi patologici di sgranchire le lunghe gambe e di cambiare aria. Il fratello e gli amici non seppero dire di no a quegli occhi da cucciolo e a quel labbrino tremante. Decisamente, non seppero resistere. Come al solito.

Lei aveva indossato, per la prima volta da giorni, i suoi abiti di quando l’avevano raccattata dalla strada in preda al delirio. Un paio di jeans stracciati a vita bassa, decisamente grandi per il suo bacino stretto, e una maglia a righe rosse, gialle, verdi e nere. La felpa scura che portava sopra era slacciata e le maniche arrotolate mostravano una quantità notevole di braccialetti di cuoio o perline ai polsi. Le Victory slacciate e sformate nere ai piedi. E quella massa di rasta scuri che le ornavano il capo, tra cui ora notavano alcune perline colorate e una ciocca tinta di verde, che le scivolava lungo il collo. Era buffa, vista così: particolare, sicuramente.
Bill, se avesse potuto parlare, avrebbe fatto uno dei suoi soliti commenti a riguardo del fatto che molte persone si lasciavano andare senza ritegno. Avrebbe criticato gli abiti poco femminili, e magari le avrebbe anche proposto il nome di un paio di negozi firmati, senza forse rendersi conto che lei faceva fatica ad arrivare a fine mese. Ma lo avrebbe fatto con un’innocenza e una tenerezza tale che lei forse avrebbe soprasseduto. O probabilmente gli avrebbe lanciato le braccia al collo, urlando come una pazza. Anche se di quest’ultima opzione Tom dubitava fortemente: non aveva mai fatto scenate simile, e gli aveva già incontrati. In realtà aveva incrociato solo lui, almeno coscientemente, e non aveva detto nulla. Anzi, pareva che nemmeno l’avesse visto.

Quella volta, però, sembrava decisamente più in forma. E anche pronta per andarsene, dopo un soggiorno quasi illegale in quel posto tutto luminoso e pulito e che odorava di disinfettante. Per la prima volta apparve loro lucida, sveglia e cosciente. Presente, e non solo con il corpo. Presente con la mente.
Tom avrebbe voluto dirle qualcosa, qualsiasi cosa. Non sapeva nemmeno lui il perché di quel desiderio, che stava diventando quasi un bisogno. Era curioso forse, tutto lì. Era desideroso di conoscere il suono della sua voce, che nonostante tutto non riusciva proprio a immaginarsi melodioso. L’associava ad un suono graffiante, stridente. Poi però le guardava gli occhi luminosi, e cominciava a richiamare alla mente una melodia malinconica e struggente. Dolce.
Contro ogni previsione, fu lei a parlare per prima, dopo alcuni attimi di silenzio durante i quali tutti e cinque avevano osservato il panorama urbano fuori dalle immense vetrate del corridoio. Le aspettative di Tom non furono deluse, non del tutto almeno.

-Ehi, sei tu quello per cui le infermiere e le dottoresse impazziscono tanto?- domandò.

La sua voce era bassa, leggermente soffocata e strascicata. Aveva un non so che di stridente, come se celasse una nota stonata tra le corde vocali e che questa le alterasse il suono della voce. Niente saluti, niente presentazioni. Tom la capiva. Era più facile saltare subito al dunque, perché perdere tempo in inutili convenevoli?
Bill annuì, sorridendo gentile, nell’impossibilità assoluta di parlare. Georg parlò per lui, anche se di solito era il gemello a farlo. Eppure, al momento quest’ultimo era troppo impegnato a osservare la ragazza che aveva difronte.

-Sì, è proprio lui. È stato operato alle corde vocali; non parlerà per un pezzo- Georg sorrise, mentre a Bill si arrossavano lievemente le guance.

-Ah, operazione eh… Fortunato- asserì lei.

I quattro la guardarono con tanto d’occhi. Di solito in quelle situazioni si dicevano cose come “Auguri, rimetti presto!” o “Vedrai, il tempo passerà in fretta, nemmeno te ne accorgerai” oppure ancora “Tranquillo, tornerai a cantare presto”.  No, lei aveva detto “Fortunato”. Era una fortuna essere operati? Beh, per certi versi magari sì, ma…

-F-fortunato? Ehm, beh, immaginiamo di sì, insomma adesso starà meglio…- provò Gustav, grattandosi la nuca.

Lei lo degnò a malapena di uno sguardo compassionevole, come se loro non potessero capire veramente. E in effetti era così, loro non potevano capire realmente. Prima ancora che scendesse un imbarazzante silenzio, Tom si preoccupò almeno di chiederle come si chiamasse.

-Green. Nesta Green- aveva risposto lei sommessamente, appoggiando meglio i gomiti al cornicione della ringhiera delle scale e tornando a fissare fuori dalla vetrata.

-Che nome particolare- aveva constato il chitarrista, mentre il fratello annuiva.

-Ompf, si vede che tua madre non era una fan sfegatata di Bob Marley come lo era la mia- ribatté lei, ma davanti a quell’affermazione apparvero solo più confusi, costringendola a spiegarsi meglio.

-Nesta era il secondo nome del famoso cantautore giamaicano-

Ecco, si spiegavano molte cose ora. Ad esempio, quella sua aria decisamente orientale, la maglia dai colori della bandiera giamaicana e quei rasta.

-E come mai sei qui tu?- domandò allora Georg, anche se nel profondo un vago sospetto l’avevano tutti. Lei rimase un attimo in silenzio, per poi rispondere.

-I medici l’hanno chiamata con un cazzo di nome: quasi un' overdose. È una minchiata. O è overdose o non lo è. Ma va beh, sta di fatto che forse avevo esagerato un po’. Tutto lì- sbottò, alzando gli occhi al cielo e arricciando 
le labbra in una smorfia.

I gemelli si scambiarono un’occhiata d’intesa. Loro l’avevano già capito che in quella ragazza c’era qualcosa che non andava.
Nesta si stiracchiò, mentre al piano inferiore riprendeva una certa vita. Si ficcò le mani in tasca, scostandosi una ciocca di capelli dal volto.

-Non penso che ci rivedremo. In bocca al lupo- fece rivolgendosi al cantante e salutandoli con un cenno della mano, mentre scendeva svelta le scale e spariva dalla loro vista.

L’incontro con Nesta Green si era rivelato una delle tante chiacchierate da archiviare sotto la voce “Interessante”, ma che certamente ben presto sarebbe andato dimenticato. Uno dei tanti incroci con persone più o meno sconosciute, il cui ricordo nel giro di qualche giorno si faceva già affievolito. Eppure, vedere quella ragazza in quelle condizioni così disperate aveva acceso un non so che all’interno del cuore dei due gemelli, che ancora una volta si erano ritrovati accomunati da pensieri ed emozioni simili. Ad ogni modo, nonostante l’interesse, avevano finito per dimenticarsi presto di lei, troppo presi dai relativi impegni.
Bill avrebbe dovuto aspettare un mese abbondante prima di poter ricominciare a parlare. Un mese che si annunciava lungo e stranamente, forzatamente silenzioso. Il gemello maggiore era convinto che Bill, anche se ne avesse avuta l’occasione, non avrebbe dialogato molto. E non sapeva se esserne felice o meno.
Il cantante afono aveva trascorso il tempo facendo fisioterapia e un sacco di terapie simili. Aveva scritto canzoni e anche semplici pensieri a proposito di quel periodo così inusuale. Aveva rivolto anche due righe alla strana ragazza, quella che aveva incontrato durante il suo soggiorno in ospedale. Georg l’aveva supportato in mille modi, dimostrando ancora una volta quanto il legame tra il più piccolo e il più anziano membro della band fosse forte. Tom spesso e volentieri perdeva la pazienza o non ne aveva la voglia di assistere il fratello con gli esercizi, anche perché la sua voglia di sentirlo nuovamente chiocciare da mattina a sera non aiutava. All’inizio aveva pensato che avrebbe gradito quel periodo silenzioso, ma ben preso si era dovuto ricredere: lui adorava i discorsi logorroici del fratello più di quanto volesse ammettere. Ecco allora che la figura del bassista si era rivelata provvidenziale: con pazienza e perizia, che non raramente aveva dimostrato di possedere, si era dato da fare. Bill gli era stato grato. Gustav, invece, aveva curato la parte fiscale della questione, tenendo a debita distanza dal cantante qualsiasi essere vivente dotato di block-notes o microfono. Con questi personaggi si era dimostrato gentile ma distaccato, sfornando una parlantina esauriente e, a tratti, quasi tagliente. Il moro, quando aveva capito che era stato il suo adorato batterista a permettergli un mese senza disturbi vari, si era letteralmente commosso. Aveva capito quanto i suoi amici e suo fratello tenessero a lui. L’avevano fatto sentire protetto, amato. E Bill sapeva che non avrebbe mai potuto ricambiare in altro modo se non prendendosi cura di loro (metaforicamente) come loro avevano fatto con lui.

Il mese era, in definitiva, passato velocemente ed egregiamente bene. Niente scleri silenziosi o verbali da parte di coloro che ancora avevano la voce. Niente capricci. Solo…tranquillità. E un’insolita e rilassata routine.
Tom, quella serata calda dei primi di maggio, aveva deciso di uscire un po’ per una passeggiata, convinto che una boccata d’aria, unita ad una di fumo, gli avrebbe fatto bene. Era soddisfatto, e piacevolmente felice. Niente impegni impellenti, meeting o interviste snervanti. Solo relax che da tempo non ricordava di aver assaporato. Si accese la sigaretta, camminando lungo una strada che costeggiava il parco vicino a casa loro. Aveva imboccato il sentierino di ghiaia chiara che attraversava tutto il parco, inoltrandosi in quel paesaggio così familiare. Il cielo terso era ancora luminoso e irradiato dai raggi del sole che tramontava, mentre un lieve soffio di vento faceva ondeggiare le foglie verdi degli alberi. Proprio queste ultime, con il colore intenso mentre venivano baciate dai raggi caldi del sole che calava, gli riportarono alla mente una cosa che pensava di aver dimenticato. Il bagliore di un paio di occhi del medesimo colore delle fronde. Così intenso e luminoso, così ricolmo di speranza.

Come si chiamava la ragazza?
Nesta Green.

Sì, quell’assurdo nome esotico se lo era ricordato il chitarrista. E si era anche ricordato del motivo, a grandi linee. Non riusciva a ricordare però il resto, o meglio, faceva una gran fatica. Rammentava come era fatta, per sommi capi: rasta ribelli, pelle ambrata sotto il pallore preponderante. Visino pulito, ma brutte occhiaie a incorniciare gli occhi. Addirittura non si era dimenticato della sua voce strana, quella voce così poco armoniosa e smielata che però lo aveva affascinato, incantandolo come la più dolce melodia. Il suo profumo faceva fatica a ricordarlo. Sotto l’odore insopportabile di disinfettante dell’ospedale, gli ricordava quello… Quello che gli sembrava si sentire nell’aria proprio in quel momento. Assurdo. Se lo stava immaginando, era poco ma sicuro. Non era possibile, si era solo fatto suggestionare. Eppure…
Spense nervoso la sigaretta sotto la suola della scarpa. Alzò nuovamente il capo, respirando a pieni polmoni. No, non era una sua impressione: lo sentiva veramente quell’odore dolciastro e penetrante. Proveniva da poco distante, precisamente da un albero alla sua destra, qualche metro più avanti, dietro a cui intravedeva una figura.

Gli sembrava di essere tornato un bambino, quando con il nasino all’insù fiutava l’aria profumata di biscotti provenire dalla cucina. Allora andava a chiamare Bill, solitamente chiuso nella loro stanzina a comporre versi, e insieme facevano un’incursione in pieno stile Kaulitz in cucina, riempiendosi i palmi delle manine di quelle meraviglie più che potevano. Si rifugiavano poi a sgranocchiare il bottino in camera, sotto il letto, finché mamma Simone non li scopriva e fingendosi arrabbiata gli rimproverava, senza però impedire ad un sorriso dolce di incorniciarle le labbra. Allora li tirava su, spolverava le loro magliette da polvere e briciole, e tirandoseli dietro imbastiva una bella merenda sotto l’albero del giardino. Peccato che l’albero non fosse lo stesso, e che non ci fosse nessuna mamma e nessuna appetitosa merenda. Tom scacciò quei preziosi ricordi, costringendosi ad archiviarli nuovamente in un angolo della mente e a concentrarsi su quell’odore. Gli pareva di conoscerlo, ma non lo associava a niente di esattamente corretto.

Mosse qualche passo, e quando fece il giro del tronco imponente dell’albero per vedere che cosa celasse dall’altro lato, rimase alquanto stupito. Nesta Green, una sigaretta stretta tra le dita della mano destra e lo sguardo vacuo, stava appoggiata al tronco. Qualche bottiglia vuota le giaceva accanto, bagnandole la stoffa dei jeans di scuro. Un penetrante odore le aleggiava intorno.










My Space:

Ciao a tutti! :)

Sono Frency, una sfegatata Alien che si è appena decisa a pubblicare questa fan-fiction sui suoi adorati musicisti. Adoro i Tokio Hotel, e ho pensato di scrivere qualcosa di fuori dagli schemi per rendere omaggio ai miei idoli nel miglior modo che conosco: scrivendo.

Spero che questo primo capitolo sia di vostro gradimento, ci ho messo tutta me stessa.

Un'unica avvertenza, soprattutto per quanto riguarda i prossimi capitoli: non tratterà di temi leggeri questa storia, anzi. Penso che però sia importante, a volte, anche aprire gli occhi, mettere da parte feste e simili e concentrarsi di qualcosa di più attuale e, purtroppo, vicino a noi.

Grazie a chi deciderà di seguirmi.
   
 
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