Era tanto che avevo voglia di
scrivere su dragon ball, la mia prima fissa, la prima cosa che mi abbia portata
alla mia più grande passione: il disegno. A quei tempi
mi sono concentrata molto a disegnare, ma non ho mai scritto niente su dragon
ball, e me ne dispiaccio. Alla fine, stasera, ho
deciso di mettere a racconto quella storia che ho
disegnato tanto tempo fa, e che ora mi fa tanta tenerezza riguardare di tanto
in tanto, come un angolino nel passato dove mi rifugio quando mi sento un po'
persa. La storia non è niente di speciale, ma a me racconta molto. Non posso
pretendere che per voi sia così, e probabilmente sarà noiosa, ma spero che
possa far passare bene qualche minuto anche a chi vorrà dargli una letta.
Baci
baci, Kla.
Cap.1 –L’uomo Che Sapeva Volare-
Assurdo.
Tutto quel che riesco a pensare in questo momento, è
che tutto ciò è semplicemente assurdo, e la sensazione di vita è tanto forte
che nemmeno posso augurarmi di stare sognando. Non sto sognando, e lo so bene.
Eppure, quest’uomo vola, quest’uomo che
mi porta su una spalla sta volando a migliaia di metri dal suolo, e molto più
veloce di qualsiasi veicolo sul quale io sia mai montata.
Provo
a pensare a cosa mi è successo, cerco di far riaffiorare alla mente le ultime
immagini che mi si sono specchiate negli occhi.
Qualche
persona, qualche volto.
Luogo,
ambiente.
Nemmeno
il cielo.
No,
non ricordo niente. E le forze, insieme a una strana
sensazione di paura, mi tengono ferma, senza muovermi, almeno quel poco per
vedere la nuca di colui che finalmente ha raggiunto le capacità che l’uomo ha
sempre invidiato agli uccelli grazie alle bellissime ali piumate che hanno
ricevuto da madre natura. Anche gli angeli hanno le
ali, e possono volare, e anche questi esseri l’uomo ha sempre invidiato,
rappresentandoli in disegni e dipinti, raccontandoli in storie epiche e
musiche, in poesie. Uomini con le ali, che sono tanto lontani
da noi, alti nel cielo, e tanto candidi che preferiscono non avvicinarsi al
nostro mondo così sporco. Sì, il loro volo doveva portarli sicuramente dove ero
io in quel momento, più in alto, forse, ma era difficile immaginarlo, con la
terra sotto di me così lontana e sfocata, da distinguerne solo le valli e le
montagne. Un angelo? Non poteva esserlo. Riversa sulla sua
schiena, avrei dovuto vedere due bellissime e grandi ali bianche,
muoversi armoniosamente, delicatamente, spingere in basso l’aria per poter
andare sempre più in alto. Non c’erano ali su quella schiena vestita di uno
strano tessuto blu, coperto sul torace da una corazza di un materiale
altrettanto sconosciuto ai miei occhi, bianco, rigido, ma contemporaneamente
straordinariamente duttile nel vederlo adattarsi a qualsivoglia movimento di
quel corpo teso e gonfio, muscoli scolpiti e presa
forte. Quella presa, era impossibile non notarla, una presa
forte, quasi arrogante tanto poca era la delicatezza con cui mi costringeva a
testa in giù riversa lungo la schiena. E quel tocco,
non poteva essere la presa di un angelo.
Chissà chi era, quell’uomo
che sapeva volare. Ma soprattutto, cosa voleva da me, come diamine ero finita
sul suo cammino. Qualche immagine affiora rapidamente: luci forti, abbaglianti,
polvere e fumo… immagini strane e confusionarie, c’è
qualcuno, due persone, in questi ricordi, ma non posso vederne le fattezze…
niente, né il colore dei capelli, né la statura, né la corporatura. Non saprei
nemmeno dire se fossero maschi o femmine. Forse, uno di quelli è proprio questo
strano uomo che vola. Ma a parte il fatto che non conosco
nient’altro che la sua schiena, non riesco proprio a vedere niente più in
quelle immagini apocalittiche.
Una
battaglia, distruzione.
La
mia città!
Ero
nella mia città, ecco dov’ero! E poi… e poi… caos. Di nuovo quelle immagini strane. Di nuovo immagini
indecifrabili. Inutile sforzarmi.
E
mi sento tanto stanca, infreddolita, e impaurita.
L’altezza dovrebbe spaventarmi, ma non è quello. La
presa è arrogante, ma forte, e se forse può disturbare
un po', sono sicura di non cadere. Per quanto possiamo essere in alto, non
cadrò giù, e non credo che mi farà cadere di
proposito, altrimenti che motivo avrebbe avuto di portarmi via con sé. No, non
è l’altezza, né la velocità. Non so dove sto andando, né perché. Non so cosa ne è stato della mia città, di quel che ho… o avevo… tutto
distrutto, già. Allora avevo, di cosa avevo… quel poco. Quel poco che mi ero
finalmente ricostruita, una vita, una parvenza di esistenza,
tutto perduto, tutto da ricominciare da capo, di nuovo. Paura? O forse, semplice e pura tristezza, angoscia. Cosa stava succedendo al mondo?
Il
mare sotto di noi era calmo, di un blu tanto intenso, l’acqua
doveva essere molto profonda. All’orizzonte, la distesa blu si inabissava nel cielo, e così per ogni lato che io potessi
vedere. Ma lentamente sento che ci stiamo abbassando,
le orecchie si tappano, la superficie marina che adesso è più vicina si
presenta increspata da una leggera brezza.
In
mare? Che diamine di intenzioni ha questo strano uomo
che vola? Sta scendendo verso il mare, ma che vuol fare?
Paura.
Sì,
adesso è davvero paura, il mare alto, tutto blu, e in fondo all’orizzonte, il
blu del cielo. Sembra di essere in mezzo al niente. Sola, nel niente più
assoluto. Il mare gioca col vento, che fa cantare le sue onde,
ma quel suono così dolce in quel momento non rilassa i miei nervi. Però quel suono, quel suono che sa cullare, non può… no, non
può trovarsi in mare aperto.
Il
blu intenso dell’acqua, diventa via via più celeste.
L’aspetto
cristallino, fa trasparire un fondale ocra, la sabbia chiara.
Il
suono delle onde che sfinite di sdraiano sulla spiaggia
è inconfondibile. Anche se io non lo vedo, davanti a
me c’è della terraferma.
In
un attimo, la vedo anche io, i piedi dell’uomo che sa volare
toccano la sabbia, qualche passo di frenata, e siamo fermi.
Un’isola,
ecco cos’era. E dev’essere anche relativamente piccola, dato che da qui dietro se ne scorge appena la
spiaggia, che curva subito su entrambi i lati.
Delle
voci richiamano chiamano a gran voce un nome che non riesco
a sentire, persa nei miei pensieri. Si avvicinano; le loro voci, proprio ora che
provo ad ascoltarle, si abbassano fino a sparire.
Voglio
scendere, scendere di lì.
Non
ho forze, ho paura, è vero, ma non voglio più fingere di essere
incosciente, non ha senso, e poi probabilmente mi butterà in terra lui da un
momento all’altro. Stringo le mani a pugno, tirando appena la tuta blu. Inizio
ad agitarmi, muovo le gambe.
“Ma dove sono, voglio scendere!”
Mi
solleva, prendendomi per la vita, il tocco è sempre
forte, non garbato. Mi poggia con poca delicatezza davanti a sé, ma non ho
forze, finisco sulle ginocchia. Non credevo di essere così debole.
“Finalmente
parli, tanto lo so che sei sveglia da un bel po'.”
L’uomo
che sa volare, ha una voce strana, forte, fredda ma… ma qualcos’altro.
Nonostante tutto, mi parla di mistero, non riesco ad
averne timore. Non è molto alto, lo noto, sebbene lo veda dal basso. I suoi
capelli sono lunghi e neri, ribelli nel loro svettare verso il cielo. I suoi
occhi, impenetrabili e neri anch’essi. Lo sguardo corrucciato.
Non
era un angelo, non avrebbe mai potuto esserlo. Non
aveva ali, non aveva il tocco, e nemmeno l’aspetto era quello di un angelo. Ma quell’uomo sapeva volare.
Lontano dall’essere una divinità, tutt’altro che
umano, che cosa può mai essere quella persona che mi ha portata su quell’isola? Una figura misteriosa, ma non mi incuteva timore.
“Vegeta,
chi è questa ragazzina?”
“Hei, tutto a posto? Hai bisogno di una mano?”
La
voce di donna che ha dato un nome all’uomo che volava,
viene rapidamente seguita da un’ altra voce, più vicina, calda, bassa, maschile.
La voce, e le parole, mi portano a voltarmi. Ricordo
solo in quell’istante, delle voci che hanno accolto il nostro arrivo pochi minuti prima, e voglio vedere se
anche quelle persone sono strane come l’uomo che sa volare, o se sono più
simili a me.
Sono
lontane, un po' più indietro di quel che credevo. Ma non posso vederli bene, colui che ha attirato la mia attenzione facendomi voltare
prima ancora che per la curiosità, è lì vicino a me. Alzo lo sguardo.
Gli
stivaletti ocra hanno una strana forma, i pantaloni
larghi e scuri finiscono in vita su una cintura dalla chiusura celeste. Una canottiera nera coperta da un giacchettino
blu scuro corto alla vita e lungo di maniche. Un fisico scolpito, estremamente scolpito, ma palesemente di un giovane uomo.
Verso di me, la sua mano destra aperta. Sul viso, dai lineamenti simili al
perfetto, risplendono due occhi celesti dall’espressione un po' triste e
ricadono lunghi capelli di un colore chiaro, un grigio tendente al lilla. Mi
rivolge un sorriso, e non posso fare a meno di posare la mano sulla sua.
Da
quel momento, più niente sarebbe stato come prima.