Birthday
Faceva un po’ freddo, la sera, anche con il
mantello.
Ma non poteva, assolutamente no, fumare nella sua stanza.
C’era
silenzio in giardino, uno che non aveva mai sentito, come se nessuno osasse fare
rumore. Il cielo era terso e scuro, punto da minuscole stelle, e la luna
pallida, monca, si adagiava affaticata in esso.
Il fumo saliva, disfacendosi
e disperdendosi.
Tre giorni fa… c’era la luna piena. , pensò
distrattamente.
I giorni in cui i bambini hanno fretta di nascere… è proprio
vero.
Eri un piccolo scomodo, giusto?
Ridacchiò.
Tre giorni, l’aveva
detto la levatrice, dopo esserselo rigirato tra le mani, quando il peggio era
passato. Quando la pelle era tornata rosea, non azzurra, e le labbra illividite
si erano schiarite.
Si era fatto più di un dubbio, prima di lasciare in mano
un bambino così minuscolo a quel donnone enorme, che l’aveva fatto piangere a
forza di pizzicotti.
Le sue erano state grida esasperate ed esauste, che
svuotarono i polmoni dall’acqua per riempirli d’aria. La tosse lo scuoteva, e
l’espressione irritata che metteva su tra un colpo e l’altro, era divertente.
Piagnucolio, e “Inizia già a fare i capricci!”. Poi, avevano cercato per mezzo
paese una puerpera. Era bastato l’odore caldo del latte a zittirlo, e
rianimarlo. Succhiava come un dannato.
Quando piange, sembra un gatto che si
lamenta. Chissà se è davvero normale.
Rabbrividì, e decise di rientrare.
Picchiettò la pipa sui gradini, per svuotarla, e si alzò.
Aprì
silenziosamente la shoji, e cercò di chiuderla altrettanto piano, ma in fretta,
per non far entrare il freddo di dicembre.
In quell’atmosfera di calma
sospesa, si sentiva il suo respiro pesante e raffreddato anche da quella
distanza.
Si avvicinò, con un’infantile curiosità nelle dita, al piccolo
lettuccio di vimini recuperato nel pomeriggio.
La lucerna sul pavimento,
gettava lunghe ombre, e illuminava appena, all’interno della culla.
S’inginocchiò accanto ad essa, e sfiorò il volto del bambino che dormiva,
immaginando le sue guanciotte chiazzate di rosso, la sua boccuccia umida e
socchiusa. Solo un tocco leggero, per non svegliarlo col freddo della
mano.
Sapeva che lui si era scostato di dosso le copertine rimboccate colle
braccia, perché l’aveva fatto ogni volta che qualcuno gliele aveva risistemate,
quel giorno.
Vivace e sicuro del fatto suo, quest’ometto.
Gli appoggiò la
mano sul petto e sorrise, sentendo il suo cuoricino battere veloce e
forte.
Nessuno, quando l’aveva trovato e tirato fuori dell’acqua, a parte lui
stesso, nessuno aveva creduto che il piccolo ce l’avrebbe fatta.
Si sentì
orgoglioso come un padre, e quest’emozione lo riempì nel cuore.
Chissà se ha i piedi freddi…
, ma non lo voleva scoprire, altrimenti si sarebbe raffreddato
tutto.
E poi, perché disturbarlo ancora? Aveva giocato colle sue gambine e le
sue braccine per tutto il giorno, piegandole e solleticandole.
-Mmmh…-
-Ohi, piccolo…- bisbigliò. –Non ti starai svegliando?-
Ecco
che iniziava a miagolare.
-Su, su! Cosa c’è?- s’imbronciò. –Hai fame?-
Le
sue urla svegliarono tutto il tempio.
Tempio di Kinzan – ji, 2 Dicembre di 24
anni fa.