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Autore: PuffKurtscat    16/05/2013    4 recensioni
Rido portandomi un’altra nocciolina alla bocca, guardo ancora avanti, almeno così è più semplice replicare: “Fai parte di tutto questo” [E' la prima FF su Tom che scrivo. Se volete recensite, anche commenti negativi, sono sempre utili :D Grazie!]
Genere: Erotico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Tom Hiddleston
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera Mr. Hiddleston
Esco di nuovo dalla cucina con il vassoio pieno di caviale e mi ritrovo nel grande salone del lussuoso Baglioni’s Hotel di Londra.
Donne con lunghi abiti di grandi stilisti, uomini con smoking e presentatori dai grandi nomi. Gente famosa, Vip, persone piene di soldi alla serata di beneficenza per la salvaguardia del pianeta. Ipocriti.
Cammino tra di loro il vassoio in alto, un completo che mi rende uguale ai miei colleghi ed il sorriso più falso che c’è. Essere gentile, chiedere in modo quasi timoroso se gradiscono altro, continuare ad andare avanti e dietro sopra questi tacchi, avere orari assurdi, non riposare per giorni per guadagnare un qualcosa in più, gli straordinari, che ne sanno loro? La mia irritazione supera il massimo. Bei volti e personaggi di ogni professione famosa.
Fortunata solo nell’incontrarli direbbero, ma solo per alcuni sono d’accordo. Trasferisciti, mi dicevano, andrà meglio altrove, mi dicevano. E l’ho fatto, ma purtroppo c’è la crisi e anche con una laurea alle spalle mi ritrovo a servire persone che neanche mi guardano. Indifferenza.
Sembra che debba passare un’eternità alla fine del mio turno, che si conclude proprio con l’inizio del discorso di ringraziamento e la consegna dell’assegno all’associazione benefica. Ipocriti, già detto. Questa sera dovrebbe portarmi finalmente al riposo e al mio giorno libero.
Sorrido avvicinandomi all’ennesimo gruppetto di persone che parlano sommessamente a differenza del resto della sala con il vassoio ormai quasi vuoto. Mi sporgo chiedendo se favoriscono e ricevo qualche gesto di diniego e alcune mani che si allungano.
La cosa che più mi colpisce sono due occhi su di me. In tutta quella indifferenza quei due fanali azzurri stanno fissando me nella mia camicia bianca e gonna al ginocchio tipica dello staff. Osserva più il mio viso che altro quell’uomo rossiccio, quel bellissimo uomo rossiccio e inevitabilmente arrossisco, perdendo la mia parte più arrogante e sfrontata, perchè avanti a due occhi del genere solo questo posso fare.
Mi allontano lentamente ancora spossata da tale attenzione e vado a cambiare vassoio. “Anya, lo champagne! Tra poco si comincia” Grida il maitre. Esco velocemente per dirigermi al tavolo delle bevande seguita dai ragazzi che svolgono il mio stesso lavoro. Nell’andare inciampo sui miei stessi trampoli, forse la stanchezza, ma vengo afferrata da una mano liscia e sottile. Alzo lo sguardo per ringraziare e ritrovo l’uomo di prima che mi sorride, bloccando ogni mia capacità di parola. Ha appoggiato la sua mano sul mio avambraccio e l’altra tra la mia che accarezza leggermente, involontario.
Mi perdo nelle sue labbra sottili e nei suoi denti perfettamente allineati, quando vengo riportata alla realtà da un mio collega che mi tira verso il nostro compito. Metodica tolgo la copertura e stappo le bottiglie passandole a chi le versa, osservo l’orologio antico che segna quasi la fine del mio turno. Toc, le grandi lancette indicano le undici in punto e tutto lo staff si reca verso la cucina ed io verso la fine del mio lavoro.
Invece di recarmi verso lo spogliatoio del personale, dove altre persone sono pronte a prendere il mio posto per questa ‘beneficenza’, dove mi aspettano i miei comodi jeans e la felpa, esco dall’altra parte della cucine e spunto nella hall poco lontano dalle ascensori. Mi procuro le mie adorate noccioline e il the freddo in lattina, che avevo nascosto grazie a Mark alla reception, ed entro nella prima cabina che si apre, direzione il soffitto.
Dopo aver aspettato di arrivare canticchiando la canzoncina di sottofondo, salgo le ultime scale ed arrivo a vedere Londra dall’alto. Il panorama che mi ha fatto innamorare di questa città. Una delle poche cose che mi spinge a rimanere. Nonostante il freddo mi avvicino al cornicione e tolgo i tacchi. Li posiziono vicino a me e mi siedo come al solito con le gambe a penzoloni a godermi la mia pace, fredda pace.
Dopo alcuni minuti un rumore mi riporta alla realtà, la porta è stata aperta con la maniglia anti-panico ed un uomo con lo stile tipicamente inglese esce sotto il lenzuolo nero che il cielo ci offre. Alza lo sguardo verso l’alto e poi lo gira verso di me. È il rossiccio della festa. Indossa un completo blu scuro con un panciotto che evidenzia il suo fisico alticcio e ben tenuto, una camicia bianca e la cravatta a righe blu scuro e chiaro. Sopra la giacca indossa una sciarpa blu cobalto. Ha uno stile, un comportamento che non potresti pensare altro che ad un uomo inglese. Tutto questo di solito mi disturba, quasi disgusta, ma con lui è solo più affascinante. Dopotutto è Thomas William Hiddleston, l’attore inglese che mi ha sempre colpito.
Si sistema mentre mi volto di nuovo verso la mia Londra e riesco a riprendere la facoltà di parlare: “Salve Mr. Hiddleston” Sento dei passi che si avvicinano: “Buonasera” “Come mai sul soffitto?” Ridacchia: “Potrei farti la stessa domanda” “Ma non lo farai” Rispondo sicura e secca. Lo guardo di sbieco e vedo che si inumidisce le labbra: “Sai a volte tutta quella falsità e quelle feste mi infastidiscono. Cerco un modo per scappare” Rido portandomi un’altra nocciolina alla bocca, guardo ancora avanti, almeno così è più semplice replicare: “Fai parte di tutto questo” Vedo che si siede al mio fianco, terribilmente vicino, tanto che il suo profumo di miele mi raggiunge: “Ne faccio parte perché faccio quello che mi piace, Mrs…?”
Mi volto a guardarlo quasi stupita da questa richiesta. Guarda l’orizzonte e si massaggia la barbetta: “Perché dovrei dirti il mio nome?” “Perché tu conosci il mio” e mi inchioda con quei suoi occhi dolci quanto il suo profumo. Distolgo lo sguardo per trovare una risposta: “Il tuo è di dominio pubblico” mi sta ancora guardando. Sorride: “Touchè” Gira la testa portandosi i capelli all’indietro.
“Hiddleston non è che tutta questa dolcezza e gentilezza nei confronti degli altri sia solo una facciata?” Con la testa bassa gira lo sguardo su di me, sulle mie gambe, ormai scoperte perché la gonna nel sedermi si è alzata vergognosamente. Toglie le mani dalle tasche del vestito firmato e mi sfiora la coscia destra con le dita lunghe “A volte può darsi” Sorride malizioso “Dopotutto sono un attore.”
Ho la gola secca. Apro la lattina di the e ne bevo un po’. “Ahahah, ma dai quello non è vero the!” Inglesino del cacchio “Disseta” Lo prende dalla mia mano bevendone un sorso. Gli cade inevitabilmente sul pizzetto. Posa la lattina al suo fianco e con le agili dita di pulisce la barba dalle gocce cadute e se le porta alle labbra leccandole lentamente. Sono incantata da ciò che vedo.
“Stai cercando di provocarmi, Mr. Hiddleston?” Mi guarda con un sorrisino “Potresti chiamarmi Tom? Preferisco” Cambia il discorso “D’accordo. Comunque sappi che gli inglesini doc non mi interessano” Dico sghignazzando. Riporta lo sguardo all’orizzonte “Eppure mi mangi con gli occhi, Mrs. Nobody” Replico stizzita, non può averla vinta: “Anche tu non sei da meno, Tom” Affermo calcando con la voce il suo nome. “Io lo ammetto, come lo hai appena ammesso tu.” Resto zitta incapace di replicare. Come si può replicare dopo che un uomo  ti ha appena detto che gli sbavi dietro, ma con una velata gentilezza e dolcezza, quasi come se non facesse di ciò un gioco?
Restiamo a osservare l’orizzonte in silenzio nel freddo e la sua compagnia in questo posto che sento così mio non mi infastidisce per nulla. “C’è una tale pace qui” Sorrido per la sua affermazione: “A volte se si è fortunati si riescono a vedere anche le stelle.” Si leva la giacca: “Questo è il tuo angolo felice?” Mi sta osservando con curiosità, arrossisco per tale attenzione, non ne sono abituata “Già..” Mi posa da vero galantuomo la sua giacca sulle spalle dato che tremo dal freddo. “Perché?”  Sposto i capelli che mi ricadono al lato mentre cerco di guardarlo meglio e lui segue i miei movimenti con le iridi: “A volte c’è bisogno di solitudine. Anche solo per pensare.” Una mezza risata gli parte dalla gola “A volte pensare fa male” “Sai che non si può farne a meno.” “Già..” “Tu hai un angolo felice?” “Non ancora”
Porta le mani dietro e si appoggia su di esse con la testa in alto e gli occhi chiusi. Anche loro hanno bisogno della loro pace. Anche loro sono esseri umani. Anche loro vivono e questo è abbastanza per renderli come me. Sospiro con gli occhi chiusi e dico tutto di un fiato: “Anastasia. Mi chiamo Anastasia Pavlov.” Apre gli occhi e si riavvicina al mio busto sedendosi bene. Sorride “Immaginavo non fossi Londinese. Oltre all’odio profondo per il nostro stile” “Dai, a volte è affascinante” “Ti riferisci a me?” Sposto lo sguardo perché quella scintilla nel suo mi fa solo battere velocemente il mio cuore “Si” Appoggia una mano sulla mia: “Grazie”
Gioca con la mia mano e poi “Perché sei venuta qui?” Gli occhi mi diventano lucidi. Casa mi manca più di quanto io creda: “In Russia la situazione non era delle migliori, o meglio dalle mie parti. Andare via significava cercare qualcosa di meglio per me. Ma mi manca” La sua mano non smette di accarezzare la mia fino a che non si intreccia tra le mie dita: “Cosa?” “Il freddo nelle ossa. La lingua. Le strade che percorrevo da piccola. Voglio diventare qualcuno prima di tornare a casa.” Mi sorride: “E ce la farai. Il crederci aiuta... Ah, grazie. Da tempo non facevo una chiacchierata così spensierata.”
Mi volto e trovo il suo viso a pochi centimetri dal mio. Il suo respiro mi entra nelle narici facendomi perdere la lucidità. Sa così tanto di buono. “Lo avevo detto che era solo una facciata la tua, Tom” Posa una sua mano sulla mia guancia e mi avvicina a sé: “Ed io lo avevo detto che a volte era vero”
Non mi oppongo, non potrei mai farlo. Poggia le sue labbra sottili sulle mie che si schiudono al contatto. Porta l’altra sua mano a incastrarsi tra i miei capelli e sento la sua lingua farsi spazio. Un bacio dolce, senza uno dei due che predomina, un bacio che in poco di dolce non ha più nulla. Mi succhia il labbro inferiore mentre scende dai miei capelli alla mia schiena sotto la camicia, facendo attenzione alla sua giacca.
“Alloggi in quest’albergo?” dico tra un bacio e l’altro. “Come mai t’interessa?” Dice divertito. Lo guardo storto mentre scendiamo dal cornicione, lasciando la mia merenda lì. “Volevo sapere se per caso ho rifatto la stanza anche a te” Dico sarcastica. Indosso i tacchi e andiamo verso l’ascensore con lui che non ha intenzione di lasciare la mia mano. Mi sorride e mi sistema meglio la sua giacca addosso. “Sai ti sta bene” Arrossisco e lui mi trascina nell’ascensore contro il suo petto. Si chiudono le porte.
Si avvinghia di nuovo alle mie labbra e abbassa le mani verso l’orlo della mia gonna. Sussulto presa alla sprovvista. “Shh..” sussurra sensuale al mio orecchio. Sale con le dita verso i miei slip. Penso velocemente a cosa ho indossato prima di venire al lavoro e ringrazio il cielo che non sia niente stile nonna. Accarezza il pizzo delle mie culotte nere e gioca sfiorando appena sotto. Con le labbra blocca i miei sussulti. I suoi occhi sembrano chiedere di più di quella semplice reazione e il suo sorriso è soddisfatto. Si fa indietro per guardarmi meglio negli occhi. Lo riattiro a me dalla cravatta e divoro il suo labbro superiore e lo sento gemere deliziosamente. Sbottono lentamente il suo panciotto e allento quelle righe dalle sfumature diverse di blu.
Arriviamo al suo piano e mi tira velocemente nella sua stanza. Si libera del panciotto e della cravatta, mentre si toglie le scarpe. È adorabilmente impaziente. Io tolgo lentamente la sua giacca con la sciarpa sopra e la sistemo su una sedia. Mi giro e lo vedo seduto sul letto con la camicia completamente sbottonata e la cerniera abbassata. I suoi abissi fissi su di me. Mi avvicino a lui quando mi ferma. E si avvicina allo stereo in camera. Accende e parte la cover di Marylin Manson di “Personal Jesus” e si risiede.
Mi osserva e serio dice “Spogliati” Fremo dalla tanta autorità che esce dalle sue labbra. Sbottono lentamente la camicia e rivelo il reggiseno abbinato agli slip. La sfilo lasciandola a terra e abbasso la cerniera. Infine tolgo i tacchi. Non mi sono mai sentita tanto in imbarazzo. Quegli occhi mi stanno divorando e il suo sorrisino non promette nulla di buono. Si alza, togliendosi la camicia e arriva dietro di me. Poggia le sue labbra dietro al mio orecchio “Anya” Rabbrividisco in modo molto evidente “Ho detto spogliati… del  tutto.” Porto le mie mani dietro verso il gancetto del reggiseno sfiorando in questo modo il suo petto con le mie unghie  e freme. Lo slaccio. Resto inerme. Incapace di andare avanti. “Ti aiuto” Mi lecca lentamente il collo arrivando al mio orecchio che succhia e tortura, mi strappa gemiti. “Basta poco”
Mi lascia andando sul letto, liberandosi dei pantaloni griffati. Mi sistemo lentamente seduta su di lui e lui geme leggermente quando sente i nostri bacini avvicinarsi. Sentire che tutto ciò lo provoco io, mi fa sentire potente. Gli mordo la mascella mentre lo faccio stendere meglio e lo provoco al basso ventre. Lui gioca ancora, fino a che esausti delle finte ci troviamo faccia a faccia. Lui su di me. I suoi occhi lucidi e le sue labbra che fremono il mio nome. Mi osserva come se fossi unicamente sua, di sua appartenenza.
Sono rimasta in albergo a dormire e ciò che trovo è solo uno stupidissimo biglietto “Ciao Anya, appena trovo il mio angolo felice, vienimi a disturbare, te ne sono debitore.” Aaah questi inglesi forse iniziano a piacermi.
Mi vesto velocemente e mentre esco noto che ha dimenticato la sciarpa sulla sedia. Un altro bigliettino: “Anche a me piacciono le stelle comunque” Esco dalla stanza, tolgo il bigliettino ‘Non disturbare’, pensando che dopotutto è stato un uomo gentile in ogni parola o tocco, e vado via.
 
   
 
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