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Autore: None to Blame    21/05/2013    5 recensioni
Italia e Germania, quindi, si avviarono verso la cucina.
«Come sta Benito? »
«Indaffarato » disse Italia con tono spiccio. «Questa faccenda della “campagna” ci sta consumando. Lui e la sua mitomania mi faranno uscire pazza. »
«Ma almeno il negozio sta andando bene? »
«Oh, "Etiopia" è un vero affare, stando a quanto dice lui »
Genere: Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Note introduttive di marginale importanza

Evviva i cliché, le incongruenze e gli anacronismi!
Ho dimenticato di inserire metà dei “personaggi principali”, ma chissene. Tanto non ha senso, perciò tutto è lecito. OH, nota per i pignoli come me. Ho preferito usare Gran Bretagna al posto di Regno Unito per una pura questione di concordanza (LA Gran Bretagna, IL Regno Unito). Non odiatemi.

(note per voi che aspettate aggiornamenti: lo so, miei lettori, lo so. Non guardatemi male, ve ne prego. Chiedo perdono in ginocchio, abbiate pietà!)








 
31 agosto 1939

 


Era un pomeriggio pigro e luminoso, il sole picchiava sulle strade in modo inclemente, schiacciando con la sua calura i tetti delle case e rispecchiandosi sulle finestre. La villa Europa era abbagliante nel suo candore.

Le sorelle Reich si muovevano svelte lungo il selciato.
La più giovane, che si teneva indietro di qualche passo, aveva un viso ovale tendente all’austerità, i capelli biondi raccolti in un paio di trecce che le ricadevano sul petto ed aveva tutta l’aria di voler scappare il prima possibile.

«Austria, andiamo! »  la rimproverò Germania. La minore sbuffò ed affrettò il passo, affiancando la sorella.
Avevano lo stesso aspetto, alte e slanciate entrambe, ma attorno agli occhi glaciali di Germania la pelle già si increspava ed i suoi capelli biondi, raccolti in una crocchia sulla nuca, avevano perso la luminosità della giovinezza.

Arrivate al portico, la minore si sistemò meglio il cesto di vimini al braccio mentre Germania si sporgeva per suonare il campanello.
Pochi istanti dopo, la porta si spalancò, rivelando una ragazza con un grembiule fiorito a coprirle l’abito, che si illuminò alla vista delle sorelle.

«Oh, eccovi, finalmente! Non ci speravamo più! »  sorrise e fece loro cenno di accomodarsi, pulendosi la farina alla buona dalle mani.

«Mia cara Italia, perdonaci per il ritardo. »

Italia emise un verso, borbottando qualcosa come “sciocchezze”, scostandosi dalla fronte una ciocca di capelli col dorso della mano. Era tanto giovane da avere ancora l’aspetto di un’adolescente, ma si dava già arie da gran signora, con i capelli in un'acconciatura da donna matura e tanto trucco da far concorrenza con le migliori meretrici.

Austria entrò nel corridoio tentennando un po’, evitando il contatto visivo con Italia.  

«Austria! Non mi aspettavo di rivederti! »  esclamò. L’altra abbassò il viso.

Germania si sentì in dovere di spiegare: «Italia, spero non ti dia fastidio. Austria si è trasferita da me, ora. So che c’è stata tensione fra voi due... »

«Bah! Roba del passato, dimentichiamocene! »  sventolò la mano in aria, scacciando via quel pensiero.
Austria sembrò dubbiosa, ma la sorella le rivolse un’occhiata penetrante, imponendole di restare al suo posto.

Italia sorrise.  «Ma venite, su. Sono già tutte dentro. Ho preparato i migliori ravioli al forno della mia vita, da leccarsi i baffi! »

«Oh, dimenticavo! »  esclamò Germania:  «Ti ho portato dello strudel! »  
Afferrò il cestino di vimini al braccio della sorella e ne estrasse un recipiente rettangolare. Italia batté le mani per l’entusiasmo, quasi saltellando sul posto.

«Che bellezza! Vieni in cucina, aiutami a preparare le porzioni. Austria »  si rivolse alla minore, indicando una porta col mento «il salotto è in fondo al corridoio. 
»

Italia e Germania, quindi, si avviarono verso la cucina.

«Come sta Benito? »

«Indaffarato » disse Italia con tono spiccio. «Questa faccenda della “campagna” ci sta consumando. Lui e la sua mitomania mi faranno uscire pazza. »

«Ma almeno il negozio sta andando bene? »

«Oh, Etiopia è un vero affare, stando a quanto dice lui » sospirò pesantemente, appoggiando la teglia con lo strudel sul ripiano in marmo accanto ai fornelli. Diede un’occhiata veloce alla padella, nella quale sfrigolava del sugo. Germania si teneva ben lontana dagli arnesi culinari, preoccupata per i suoi abiti.
Italia sollevò lo sguardo e, notata la sua mise, spalancò la bocca in un’espressione sbalordita.

«Germania! »

La donna aggrottò la fronte e si studiò, facendo spallucce. «Sono pantaloni, Italia, solo pantaloni aderenti. Dovresti modernizzarti un po’, sai? Tendi all’obsoleto. »

«Non fingerò di non essermi offesa. »

Germania ridacchiò.

«Ti trovo bene, sai? »  fece Italia dopo un po’.

«Lo so, mi donano molto... »

«No, non intendo quello. Solo... beh, l’ultima volta che ti ho vista avevi un’aria sciupata. »

«Che ti aspettavi? Dopo tutto quello che è successo con Versailles... »  lasciò cadere la frase.

Seguì un silenzio imbarazzato. Nessuna delle due ebbe il coraggio di sollevare lo sguardo.

Solo dopo qualche minuto, Italia riuscì a schiarirsi la gola, tossicchiando.

«Versailles è... Gli avvocati sono dei veri figli di puttana. »

Sorpresa che l’amica avesse deciso di non cambiare argomento, Germania annuì con foga, corrugando le labbra in una smorfia poco attraente.

«Ha esagerato. Con lui non posso prendermela, ma la storia non finisce qua. »

Allarmata, l’altra si affrettò a rabbonirla: «No, no, perché dovresti? Cioè, non dico che ha fatto bene a toglierti le gemelle, ma... »

«Certo che ha fatto bene! »la interruppe una voce alle loro spalle.

Italia e Germania si girarono in sincrono.

Appoggiata allo stipite della porta, le braccia sottili incrociate al petto, stava Francia.
Minuta e graziosa, il viso delicato ed i capelli in un ordinato caschetto scuro, sorrideva alle altre due con aria di superiorità.

«D’altronde »  continuò, con una voce da bambina viziata  «Alsazia e Lorena sono figlie mie. »

Germania serrò i pugni e sbiancò dalla rabbia. «Che ci fai qui, lurida sgualdrina? »

Francia scrollò le spalle ed inclinò la testa. «Ci vivo anche io nel quartiere, no? E poi, Germania, non prendertela. Neanche le trattavi bene, le gemelle... »

«Le ho cresciute come una madre, Francia. »

«Loro sono di un altro parere. »

Germania aprì la bocca per ribattere, ma fu interrotta da Italia, che le carezzò il braccio.

«Non belligeranza, ragazze. Bene, i ravioli sono pronti. Quanti piatti devo portare di là, Francia? »

«Siamo tre: io, la grassona, quella scema di Polonia. Ah, no, probabilmente a Russia dovrai portare due porzioni, quindi quattro. »

Italia alzò gli occhi al cielo. «Poi ti domandi perché la gente ti detesta. »

«La gente mi invidia soltanto »ribatté con sufficienza. 

Germania scoppiò in una risata sarcastica.

«Ne ho abbastanza di queste stupidaggini. Sei buona solo ad aprire le gambe, tu »  disse, uscendo dalla cucina.

Francia ridacchiò soddisfatta.
Italia si schiaffeggiò la fronte con la mano, scuotendo la testa.

«Prevedo guai. »

Francia sbuffò.

«Russia chiede se hai acquavite. Pare che il tuo limoncello le sia rimasto attaccato al palato. Bah, un giorno saprò perché frequento persone così volgari. »

«Le porterò del vino. Senti, Francia, ma gli altri che devo portare? Non mangiano? »

«Tè, biscotti e strudel. Al tipo strano puoi portare degli scarafaggi arrosto. »

«Esci dalla mia cucina. »
 
 
 
 


Il salotto della villa era spazioso ed accogliente, addobbato però con un gusto tendente al pacchiano ed al barocco. Due divani bordeaux erano posti uno di fronte all’altro, al centro della stanza, affiancati da poltrone dai braccioli a ricciolo e sedie dagli schienali intarsiati egregiamente. Nel mezzo, stava un basso e largo tavolino da caffè, sul quale erano appoggiate le varie pietanze.

Su un divano sedevano Germania – le gambe unite ed un gomito puntellato sulla coscia, la mano a reggere una forchetta da dessert – accanto a Polonia e Russia.

Polonia aveva l’aspetto di un topo tremante. Bassa e malaticcia, i capelli spenti ed il volto scavato. Germania le si teneva distante il più possibile, schiacciandosi contro il bracciolo ed evitando qualunque contatto.

Alla sinistra di Polonia stava Russia, ingombrante e spaventosa, la faccia che sembrava un plenilunio, le spalle mascoline e le braccia come due blocchi di marmo.

Su una poltroncina dai cuscini in velluto sedeva Gran Bretagna, nel suo completo elegante, sorseggiando lentamente il tè che Italia le aveva preparato – e sul quale non aveva fatto alcun commento, ma la sua espressione faceva intendere che continuava a berlo solo per cortesia. Gran Bretagna era ormai anziana. I corti capelli argentei, che soleva nascondere sotto cappellini sofisticati, le si arricciavano sulle tempie. La pelle era accartocciata e ripiegata su se stessa, ma il suo sguardo brillava ancora del vigore di una Regina.

Accanto alla finestra sull’altro lato della stanza, intenta a leggere un romanzo, sedeva Austria, totalmente estraniata dalla situazione. Non si preoccupava di alcunché, tanto la sorella le avrebbe riferito le novità più interessanti una volta a casa.

«Germania, dimmi »  iniziò Francia, elegantemente seduta sull’altro divano, al fianco di Italia «non ho ancora capito bene com’è finita la storia con quel giovanotto che frequentavi, Weimar. »

Italia gemette, ma Germania le rivolse un sorriso rassicurante, come a volerle dimostrare di essere perfettamente padrona della propria rabbia.

«Non era abbastanza deciso »

«Mentre Adolf lo è troppo »  fu il commento di Gran Bretagna.

«Capisco cosa intende »  disse Germania «ma è lui quello giusto. Diventerò la sua signora. »

Russia scattò: «Non avrai davvero intenzione di sposarlo! »

Germania si limitò a sorridere ed abbassare il capo, tacendo diplomaticamente.
Russia, dal canto suo, sembrava fuori di sé, le guance gonfiate e paonazze che rischiavano di esplodere. Quando parlò, lo fece ostentando una calma che non aveva.  «Germania, io non mi fido di Hitler, sappilo. »

« Tuo fratello la pensa diversamente. Te l’ha detto che pochi giorni fa si sono messi d’accordo, lui e Adolf. Se non condividevi la sua scelta… »

« Stalin avrà i suoi oscuri motivi, ma io non voglio quell’uomo orrendo a gestire le faccende del quartiere. Nessuno lo vuole. »

Calò un denso silenzio.
A farlo dissolvere ci pensò Gran Bretagna.

« Come mai Spagna non è venuta? »

Italia le rivolse un’occhiata riconoscente. « Ha detto che ha alcune faccende da sbrigare. Suo padre la terrà rinchiusa, la poverina. Sappiamo tutti com’è fatto Franco, avrà paura che lungo la strada qualcuno la abbordi. Devo aver fatto male a dirle che sarebbe venuto anche Giappone. »

Interpellato, Giappone sollevò il mento, irrigidendosi ancor di più nell’attenti.
Piccolo e massiccio, non aveva mosso un muscolo da quando era lì, rimanendo in piedi dietro uno dei divani, ad osservare ed ascoltare senza che nessuno si curasse di lui.

Francia lo guardò inarcando il sopracciglio: « Guarda che puoi rilassarti. »
Giappone la ignorò e Francia scosse la testa, divertita.

« Per quanto sgradevole ed egoista, Franco è un uomo assennato » continuò Gran Bretagna, come se l’argomento non fosse mai stato abbandonato. « Penso che abbia in qualche modo previsto l’evolversi della faccenda. »

« Quale faccenda? » domandò Russia, con tono sospetto.

Gran Bretagna sorseggiò un po’ di tè, sapendo che la risposta non l’avrebbe data lei.
Germania, infatti, aveva raddrizzato la schiena e voltato lentamente la testa verso Polonia – che tentava inutilmente di scomparire fra le pieghe del divano.

« Cara Polonia » iniziò, con voce suadente « perché non approfittiamo di questa bella riunione di quartiere per parlare un po’ del tuo giardino? »

Polonia sbiancò. « Ma… Germania, ne abbiamo già parlato anche con Adolf… Io- »

« Sì, ma a me serve quel passaggio. Non posso entrare nella tua proprietà ogni volta che devo raggiungere la dependance, non trovi? La tua villa Danzica non ci perderà né in bellezza né in valore. Quindi- »

« Germania, ti prego… » fu la debole supplica di Italia.

« Guarda che è Versailles che gliel’ha restituito. Per usucapione quel corridoio è suo. » intervenne Francia.

« Lo uso anche io. »

« Non è questo che lo rende una tua proprietà. Smettila di appoggiare quel folle di Hitler. Te lo potrai pure sposare, ma non devi essere la sua schiavetta » il tono di Francia si fece più duro.

Germania fu subito sulla difensiva. « L’idea è di Adolf quanto mia. Che c’è di male nel desiderare una casa più grande? »

« Limitati al desiderio, dunque. Devi lasciare Polonia in pace. »

« Germania ha ragione » intervenne Russia e Polonia si girò di scatto a guardarla, spalancando gli occhi. « Anche io voglio ampliare la mia proprietà. »

Russia e Germania si scambiarono un’occhiata d’intesa, mentre Italia si accasciava sullo schienale del divano e Gran Bretagna sospirava fiaccamente. Giappone non reagì in alcun modo, ma sembrò d’un tratto molto più interessato alla conversazione.

Francia era indignata.
Spostava lo sguardo da Germania a Russia, rivolgendosi quindi a Polonia, schiacciata fra le due: « Non temere: io ti darò man forte, qualsiasi cosa dovesse succedere. »

Polonia bisbigliò un ringraziamento, abbassando la testa.
Austria, dal suo angolo riservato, sollevò lo sguardo dalle pagine e spostò la sua attenzione sulla conversazione, ben attenta, comunque, a non restarne invischiata.

Germania si rivolse a Francia con astio: « Non t’impicciare, tu. Lascia che combatta da sola le sue battaglie. »

« Affatto. Non me ne starò a guardare te che distruggi il mio quartiere, accecata dai progetti insensati di quell’uomo che ti sei scelta. »

« Vuoi giocartela in campo aperto, allora? Bene, ma sappi che ti aspetta un’amara sconfitta. Io sono nel giusto. »

Gran Bretagna si alzò in piedi con uno scatto innaturale, vista la sua età.

« Germania, se hai intenzione di attaccar briga mi sta bene, ma ricorda che non avrai nessuno sul fronte accanto a te. »

Anche Germania si levò in piedi, ergendosi in tutta la sua statura.

« E sia! Ma tu, Gran Bretagna, non dimenticare che Italia è dalla mia parte ed ho Austria con me. Quando l’avrò vinta, vi mostrerò clemenza. »

Italia, tirata in causa, intervenne prontamente. « Io? No, no, io proprio non posso occuparmi di niente, al momento. Non è il caso. Dovrei chiedere a Benito, poi… »

« Tuo marito non abbandonerebbe mai Adolf. E tu non abbandoneresti mai me. Siamo strette da un legame d’acciaio, ricordi? » disse Germania, senza spostare lo sguardo dal volto rugoso di Gran Bretagna.

Italia deglutì, cercando una scappatoia.

« Non lo so, Germania. Senti, non ti posso promettere nulla. Magari Benito non vuole. E poi ho i lavori di ristrutturazione del piano di sopra a cui badare. Insomma, non è proprio il momento adatto… »

Germania la guardò, stringendo le palpebre, ma Italia evitò il suo sguardo.

« Allora sarò da sola. Meglio così, in cima non c’è posto per tutti »

Afferrò la borsa dal divano e fece un cenno ad Austria, che la seguì verso l’uscita.
Prima di lasciare la stanza, Germania si voltò indietro in modo teatrale, lanciando ad ognuno un’occhiata gelida.  

« Ci vediamo domani, Polonia. »

 



   
 
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