Capitolo
21
-
YAMATO!
Che Diavolo hai combinato?! –
Lui si sedette
su una sedia libera
accanto al letto di un esterrefatto Koushiro, ignorando deliberatamente
le
proteste di Taichi per la striscia di sangue raggrumato che gli
delineava la
tempia. Masahiro restò in piedi accanto a lui, come una
silenziosa guardia del
corpo.
-
Ti
devo parlare, Koushiro. –
L’uomo
si era inizialmente offerto di
accompagnarlo all’ospedale perché il giovane fosse
visitato, caricando la moto
malandata nel container e aiutando il biondo a issarsi nel posto
passeggeri
accanto al suo. Aveva sbirciato incuriosito il ragazzo, ma non aveva
posto
ulteriori domande riguardo il motivo della sua bravata: dubitava che
avrebbe
avuto ulteriori chiarimenti, per il momento.
Tra i due era
calato un pesante
silenzio, finché Masahiro non l’aveva interrotto
cambiando argomento.
-
Non
voglio sembrarti ficcanaso, Yamato… - aveva esordito, senza
guardarlo – Ma hai
idea di quello che sta accadendo in questa città? –
Gli
lanciò un’occhiata fugace: la sua
espressione si era fatta nuovamente meditabonda. Dunque il ragazzo
sapeva
qualcosa.
-
Sembra
di stare in una città fantasma. –
proseguì imperterrito il camionista, ma in
tono pacato – Dove sono finiti tutti gli abitanti? –
-
Dormono.
–
La risposta
concisa lo fece voltare
ad occhi sgranati.
-
Tutti?! –
-
Quasi…
- sembrò parlare più a se stesso Yamato, quasi
stesse ragionando ad alta voce –
Coloro che da quel momento non si sono coricati devono essere ancora
svegli… -
-
Che
vuoi dire, ragazzo? Quale momento? –
-
Non
lo so. – si lasciò andare sullo schienale,
frustrato – Non ne sono sicuro. Ma
credo che prima, quando ho perso i sensi, stavo per fare la loro stessa
fine. –
-
Ammetto
che tutto ciò non mi è molto chiaro. –
Yamato si
voltò a guardarlo, provando
un briciolo di compassione per quell’uomo semplice che si
trovava catapultato
in una situazione a lui del tutto aliena. Ripensò a tutte le
volte che i
digimon avevano fatto la loro comparsa in quel mondo, scombussolando
l’esistenza
di centinaia di persone. Persone ignare di quanto stava accadendo
intorno a
loro, del pericolo che correvano, di chi li minacciasse e
perché. Eppure quello
era il loro mondo e quelle che
venivano scombussolate erano le loro vite.
Riportò
il suo sguardo su Masahiro,
che guidava silenzioso e concentrato per le strade buie di Tokyo. Si
era levato
il giubbotto imbottito, rivelando le braccia forti e muscolose che non
avevano
faticato troppo a issare la moto nel camion. Anche da seduto superava
Yamato di
un paio di decine di centimetri, eppure il giovane non avvertiva la sua
gigantesca mole come una minaccia. Forse perché
l’aveva aiutato, forse perché
non aveva fatto ulteriori domande sull’accaduto, il giovane
si sentiva a suo
agio con lui. Spiò i lineamenti marcati ma non rozzi del suo
volto, soffermandosi
sugli occhi azzurri, trasparenti come due pozze d’acqua
cristallina. Si
soffermò su quelle iridi e sull’espressione seria
del loro sguardo. E seppe di
potersi fidare di lui.
-
Masahiro…
Vorresti sapere cosa sta accadendo? –
Il camionista si
voltò a guardarlo,
colpito dall’espressione grave e lo sguardo penetrante del
giovane. Era
estremamente serio e l’uomo annuì.
-
Sicuro?
Ti avverto: potrebbe essere molto pericoloso avere a che fare con tutto
ciò. –
indicò la città buia e silenziosa con un gesto
stanco della mano – E una volta
che vi sarai entrato non so cosa potrebbe capitarti, di sicuro la tua
vita non
sarebbe più la stessa. –
Masahiro
sembrò pensarci un attimo,
lo sguardo perso sull’asfalto che scorreva di fronte a
sé. Poi parlò, la voce
ridotta a un sussurro, ma carica di energia.
-
Io
non ho famiglia, Yamato. Mi sono presentato senza il mio cognome
perché non ho
mai conosciuto i miei genitori. Sono orfano da quando avevo quattro
anni. Non
ho ricordi più remoti. –
Fece una pausa.
-
Vivo
la mia vita senza pensare al domani, guido questo camion in giro per il
Giappone e questo mi è sempre bastato. Ho visto posti
meravigliosi, conosciuto
persone incredibili…ma questo
–
accennò brevemente al paesaggio tenebroso – supera
qualsiasi cosa. –
Si
voltò verso il biondo e sorrise,
rivelando un dente dorato, che sfavillò nella penombra.
-
Ho
idea che ci scapperebbe una bella avventura e non voglio lasciarmela
sfuggire!
E poi…- gli ammiccò, col sorriso da squalo
– mi sembri un tipo in gamba,
Yamato. Anche se forse non del tutto a posto… - fece roteare
l’indice accanto
alla tempia.
Il biondo
scoppiò a ridere.
-
E
non ti preoccupa doverti affidare a un ragazzo svalvolato? –
-
Francamente
– rispose l’altro con fare serissimo – mi
preoccupa di più non poterlo tenere
sott’occhio. –
La risata di
entrambi squarciò il
silenzio lugubre della città.
-
Un’ultima
cosa, ragazzo. –
-
Dimmi,
Masahiro. – si voltò a guardarlo il biondo,
interpretando il suo tono
improvvisamente serio come il preludio per una nuova battuta.
-
Riguardo
il tuo fantastico volo dalla moto… - aggrottò la
fronte l’uomo – Hai fatto una
cosa davvero stupida. Non farlo più. –
-
D-d’accordo…
-
Ma nella sua
mente risuonò l’eco di
un altro rimprovero: la voce era diversa, ma le parole uguali.
Yamato aveva
appena terminato di
raccontare a Koushiro quanto gli era accaduto, tra lo sgomento
generale. Solo
Masahiro era rimasto impassibile.
Il rosso non
l’aveva interrotto,
ascoltandolo a tratti sorpreso, a tratti rabbuiato.
-
Fammi
capire bene – intervenne quando l’amico ebbe smesso
di parlare – credi di
esserti trovato nello stesso stato degli altri cittadini
per… -
-
Un
quarto d’ora circa. –
-
Un
quarto d’ora… - ragionò ad alta vice
Koushiro, meditabondo – E poi di essere
riuscito a svegliarti da solo?
–
Yamato
incassò il colpo, senza che
nulla trapelasse sul suo volto. Non distolse lo sguardo: Koushiro era
sempre
stato sveglio, sapeva che si sarebbe accorto che il racconto fosse
incompleto.
Ma non aveva intenzione di raccontare loro della visione di Rumiko che
aveva
avuto. Prima avrebbe dovuto darsi delle risposte…da solo.
Perciò
ritorse la domanda contro lo
stesso rosso.
-
E
tu, Koushiro,
come hai fatto a svegliarti? –
Sapeva la
risposta, ma l’occhiata
fugace che l’amico lanciò a Mimi gliene dette la
conferma. Sorrise scaltro
davanti all’imbarazzo del giovane: era sempre stato un libro
aperto.
-
Ma
quello che più mi incuriosisce è – si
rivolse alla ragazza – come Mimi
ci sia riuscita. –
-
C-che
vuoi dire? – balbettò lei, perplessa.
-
Ce
l’hai fatta da sola o hai avuto una sorta di
“aiutino”? –
-
Non
capisco cosa tu voglia dire… - corrugò la fronte.
Ed era vero.
Mimi non
riusciva a capire dove
volesse andare a parare Yamato. Lei non aveva sentito né
visto nulla di strano.
Per la prima volta da tanto tempo era stata avvolta in un sogno senza
sogni, si
era potuta lasciare andare a un piacevole torpore, in cui niente e
nessuno
poteva disturbarla.
Ad un tratto,
semplicemente, si era
risvegliata. Perché si ostinavano a chiedere spiegazioni a lei, quando c’era una sfilza di
medici che avrebbero potuto dar
loro delle spiegazioni scientifiche in merito?
-
Mimi…
- le si rivolse Koushiro, in tono decisamente più gentile e
comprensivo del
biondo – Yamato voleva sapere se anche tu, come noi, hai
avuta una sorta di… -
sospirò, come sconfitto – visione. –
Lo sguardo della
ragazza s’addolcì e
afferrò una delle mani del rosso tra le sue, senza vergogna.
Vide l’imbarazzo
dipingersi sul volto del giovane, ma questo anziché
indispettirla la intenerì
ulteriormente. Il suo Koushiro, che sempre si preoccupava per
lei…per un attimo
si chiese quale visione potesse averlo svegliato, se veramente il
motivo era
stato quello. Ma immediatamente la risposta le fu chiara: probabilmente
quel
pensiero era l’ennesima prova della sua vanità,
tuttavia aveva la netta
impressione di sapere chi l’avesse riportato alla
realtà.
Sorrise di gioia
e fu tentata di
gettargli le braccia al collo, invece si limitò a
bisbigliare:
-
Sono
felice di averti riportato indietro. -
In risposta la
presa sulla sua mano
si rafforzò leggermente. Lo vide sorridere, poi
l’espressione della castana
tornò seria e si rivolse nuovamente a Yamato.
-
In
ogni caso posso assicurarti che non ho visto né sentito
assolutamente nulla.
Semplicemente, a un certo punto mi sono risvegliata. –
Poteva
comprendere il risentimento
del ragazzo nei suoi confronti, ma non era disposta a farsi maltrattare
in
eterno.
Yamato
annuì e si rivolse all’uomo
che aveva portato con sé in ospedale.
-
Tu
che ne pensi? –
I presenti
rimasero un attimo
sorpresi dalla familiarità che sembrava avere con quello
sconosciuto, persino
il padre del ragazzo restò un attimo interdetto: Yamato non
era tipo da
chiedere aiuto.
Lo sconosciuto
parve pensarci un
attimo, scrutando Mimi con aria meditabonda. La ragazza si
sentì arrossire
d’imbarazzo, sotto quello sguardo di ghiaccio che pareva
volerle scavare
dentro, e si voltò indispettita.
Infine
l’uomo ruppe il silenzio in
cui era rimasto avvolto fino a quel momento.
-
Se
la tua amica ha dovuto convivere con quella creatura per molto tempo,
può darsi
che ora sia immune dal suo potere… - abbassò lo
sguardo sul biondo, che lo
ascoltava attentamente – D’altronde è
ciò che il corpo umano tende a fare anche
nei confronti delle malattie, o no? Quando l’organismo viene
attaccato dai
virus, il sistema immunitario tenta di sviluppare una
“cura” con cui passare al
contrattacco, anche se magari ciò richiede un po’
di tempo… -
-
Stai
cercando di insinuare che sono infetta da qualche morbo
ripugnante?! – sibilò Mimi, disgustata.
Koushiro
intervenne a sostegno
dell’uomo, con grande disappunto di Mimi.
-
Effettivamente
non è una teoria da escludere… -
ragionò, accarezzandosi il mento, per poi
rivolgersi alla castana – Mimi, pensaci,
nell’appartamento dei Kitamura tu sei
riuscita a liberarti dalla morsa di quell’essere. –
-
Perché
c’eri tu, Koushiro… -
-
Sì
– annuì lui, afferrandole entrambi le mani
– Forse non ci saresti riuscita
senza un aiuto dall’esterno, ma io non sono stato che un
imput, la “cura” era
già dentro di te, l’avevi sviluppata tu stessa,
col tempo… -
-
Ma
non sono riuscita a liberarmi di quel mostro finché non
è stato lui ad
andarsene! – protestò lei – E
cura o non cura, mi ha comunque usata a proprio piacimento! –
Il pensiero di
quanto aveva fatto la
invase nuovamente e la ragazza rabbrividì, questa volta
inorridita da se
stessa.
-
Mimi…
- le accarezzò una guancia il rosso, gentile – Si
era impossessato di te,
quella creatura viveva dentro di
te.
Tutto il suo potere era concentrato nel tuo corpo, lo stesso potere che
ora,
distribuito in uno spazio molto più vasto, ha fatto
addormentare un’intera
città! –
-
In
altre parole? – piagnucolò lei: non era mai stata
una scheggia nelle
conclusioni.
-
In
altre parole – Koushiro addolcì ulteriormente il
tono di voce – tu ora dovresti
essere immune al sonno anomalo in cui sta costringendo gli altri
abitanti della
città, poiché la sua intensità
è nulla
in confronto a quella che hai dovuto sopportare nell’ultimo
anno. –
Lei
annuì e si accoccolò accanto al
ragazzo, rassicurata: Koushiro aveva sempre una spiegazione per tutto.
Fu Yamato a
infrangere il silenzio.
-
Dunque
– riprese con voce decisa – siamo tutti
d’accordo che sia stato quel digimon a far
addormentare tutta la città? –
-
Direi
di sì… - si grattò il capo Taichi.
-
E
siamo tutti d’accordo che nessuno di noi dovrà
farsi prendere dal sonno finché
non avremo trovato una soluzione a questa situazione? –
sondò con lo sguardo i
presenti.
Tutti annuirono,
scuri in volto.
Per un attimo
Yamato si soffermò su
suo padre e sul signor Kitamura: parevano entrambi davvero stanchi. Il
padre di
Rumiko, in particolare, sembrava che non desiderasse altro che
lasciarsi andare
a un sonno eterno, sfinito e sconfortato dagli ultimi eventi. Eppure
era ancora
là, in piedi accanto al signor Ishida, con un debole
sfavillio di speranza
degli occhi.
Fino a poche ore
fa Yamato non
avrebbe retto il peso di quello sguardo, ma ora lo ricambiò:
forse per la
visione che l’aveva risvegliato, forse per la botta alla
testa, adesso anche
lui voleva credere che Rumiko sarebbe tornata.
-
Yamato…
-
Fu la voce di
Mei a riportarlo alla
realtà. Si voltò a guardare la biondina
titubante, gli occhi rossi e gonfi di
pianto. Lo sguardo del prescelto si addolcì leggermente, di
fronte al dolore
della ragazza per la scomparsa di Rumiko. Lasciò che il suo
sguardo si
soffermasse anche su Daisuke, seduto in un angolo poco distante, scuro
in volto
e con le guance rigate di lacrime che non si era curato di cancellare.
-
Dimmi,
Mei. –
-
C-credi
che riusciremo a riportare il giorno? I-io comincio ad avere paura di
tutto
questo buio… -
Yamato si diede
mentalmente
dell’idiota. Si era scordato di un altro aspetto
fondamentale: il sole. Lo
sconforto si rimpadronì dei presenti e il silenzio
calò pesante. Se anche
fossero riusciti a svegliare gli abitanti della città, se
anche fossero
riusciti a scovare il digimon artefice di tutto ciò e a
sconfiggerlo, chi
garantiva che il sole sarebbe sorto nuovamente?
Infine fu Taichi
a interromperlo.
-
Bene,
abbiamo due problemi cui pensare: come svegliare gli abitanti e come
far
sorgere nuovamente il sole. – sentenziò
– Direi che non abbiamo tempo da perdere!
– concluse ammiccando.
A tutti fu
chiaro, ancora una volta,
come mai era sempre stato lui il “capo” del gruppo.
E si misero all’opera.
-
Ah,
Matt, riguardo il tuo incidente in moto –Taichi gli
posò una mano sulla spalla,
guardandolo dritto negli occhi con fare improvvisamente serio
– Hai fatto una
cosa davvero stupida. Non farlo più. –
Yamato lo
guardò ad occhi sgranati,
poi scosse il capo e si defilò.
Fecero una buona
provvista di caffé,
bibite energetiche e quant’altro poteva tenerli svegli.
Camminando per i
corridoi dell’ospedale avevano potuto verificare la loro
ipotesi: tutti coloro
che si addormentavano non potevano più esser svegliati. I
medici rimasti in
piedi si unirono alla loro causa, poiché giunti alla
medesima conclusione,
senza tuttavia individuarne una ragione plausibile. L’allarme
venne lanciato
nella città, risuonando come un eco squillante tra le pareti
buie e silenziose
degli edifici. Tutti coloro che ancora non erano caduti nel sonno
profondo
vennero invitati ad unirsi ai superstiti presso l’ospedale,
avvertendo
contemporaneamente del pericolo che l’assopimento comportava.
L’ospedale
divenne il quartier
generale dei superstiti, in totale alcune centinaia, tra uomini, donne
e
bambini, tutti terrorizzati e preoccupati per la sorte dei loro cari.
Vennero mandati
diversi S.O.S. alle
città vicine, ma nessuno parve giungere a destinazione:
Tokyo era completamente
isolata. Uscire dalla metropoli era impossibile: una spessa coltre di
nubi
aveva oscurato totalmente il cielo e un muro di nebbia aveva circondato
la
città. Coloro che avevano tentato di oltrepassarla erano
sempre tornati
indietro, raccontando di terrificanti visioni che uscivano dalla
foschia e
facevano rizzare i capelli.
Dopo tre giorni
la situazione era
ancora stazionaria: nessuno si era svegliato, nessuno era riuscito a
fuggire
dalla città e lo sconforto dilagava per i corridoi
dell’ospedale. Una ventina
di persone aveva ceduto al sonno, andando ad infoltire le fila dei
Dormienti.
Così erano stati chiamati i cittadini placidamente sdraiati
nei loro letti,
apparentemente privi di vita, gelidi e immobili come statue, non fosse
stato
per il lento alzarsi e abbassarsi del petto.
Al quarto
giorno, un nuovo problema
si presentò agli Svegli: la convivenza. L’ansia e
la stanchezza presto si
trasformarono in irrequietezza, che li faceva litigare gli uni con gli
altri,
sfociando in certi casi anche in azioni violente. Alcuni poliziotti
tentavano
di sedare i conflitti, i medici si adoperavano per curare i feriti, ma
a tutti
era chiaro che quella situazione non sarebbe stata sopportabile ancora
a lungo.
Koushiro aveva
aperto un portale su
Digiworld, prendendo atto di una cosa sconcertante: i digimon dei
prescelti
addormentati erano avvolti in un sonno profondo, da cui era stato
impossibile svegliarli.
Meravigliato, aveva chiesto spiegazioni a Tentomon.
-
Evidentemente
– gli spiegò il digimon dalle sembianze di
scarabeo – quello che è stato
gettato sui concittadini non è un semplice sonno. –
-
Che
vuoi dire? – aveva corrugato la fronte il ragazzo, seduto sul
bordo del letto
d’ospedale, circondato dagli amici prescelti, i rispettivi
digimon, Masahiro e
i padri di Yamato e Rumiko.
-
Tra
un prescelto e il suo digimon non vi è solo un legame di
amicizia, Koushiro…
c’è molto, molto di più… -
parve in difficoltà il coleottero – Non
è facile
spiegarlo, per noi è una cosa naturale,
non abbiamo bisogno di dargli una spiegazione perché lo
capiamo istintivamente. Ma credo
voi lo
chiamereste legame spirituale o
qualcosa del genere. –
Koushiro
annuì: effettivamente
c’erano sempre stati diversi punti oscuri e incomprensibili a
proposito del
legame che li univa.
-
Immagino
sia stato questo legame spirituale a far sì che voi vi
digievolveste solo in
nostra presenza… -
-
Esattamente!
– gioì Tentomon, fiero del suo amico: Koushiro era
sempre stato sveglio.
-
Per
questo erano le nostre emozioni a permettervi di digievolvere,
suppongo… -
Il coleottero
annuì.
-
E
le digipietre e tutto quell’armamentario? –
Fu Yamato a
rispondergli, dal fondo
della stanza.
-
Erano
delle chiavi, dei catalizzatori delle nostre emozioni. Probabilmente
anche
delle “prove” per testare le nostre
capacità. –
Koushiro lo
guardò un attimo confuso.
-
Detta
così sembra che qualcuno volesse metterci alla prova,
mettendoci degli ostacoli
sul percorso apposta per… -
-
Per
renderci più forti. – concluse il biondo,
spassionato.
-
Ma
a che scopo? –
Yamato
sollevò le spalle.
-
Io
questo non lo so. Ma qualcun altro forse sì. –
-
Chi?
– gli si accostò Gabumon, interessato
dall’intuizione che doveva aver avuto il
suo prescelto.
-
Gennai.
–
Il volto senza
tempo si materializzò
di fronte a loro e sorrise attraverso lo schermo del pc di Koushiro.
Stranamente, quel gesto solitamente sereno e rassicurante, era velato
di
amarezza.
-
Salve,
ragazzi. –
-
Salve,
Gennai. – gli rispose Koushiro, un poco imbarazzato
– Ehm, Yamato aveva urgenza
di parlarti. Ha delle domande da porti… -
L’uomo
col codino annuì, per nulla
sorpreso.
-
Lo
immaginavo. –
Il rosso
ruotò il portatile verso il
ragazzo, che aveva preso posto su una sedia, serio in volto.
-
Ciao,
Yamato. - lo salutò gentilmente Gennai.
-
Ciao.
–
La voce del
biondo era impregnata di
una cortesia tagliente e a Koushiro si accapponò la pelle:
nessuno di loro si
era mai rivolto in quel modo a Gennai. Ma era anche vero che Yamato era
famoso
per il suo buon senso: se aveva deciso di comportarsi a quel modo
doveva
esserci una buona ragione.
-
Koushiro
mi ha detto che hai qualcosa da chiedermi. –
-
Effettivamente
sì, ho diverse domande da porti. Hai tempo? –
chiese in tono velatamente
ironico.
-
Ho
tutto il tempo che ti serve. –
-
Innanzitutto:
sapevi che oggi avresti dovuto sostenere questa conversazione con me?
–
La domanda
lasciò esterrefatti i
presenti: stava forse scherzando?
Ma il sorriso
che si dipinse sul
volto di Gennai era soddisfatto.
-
Non
sapevo con precisione quando ne avrei avuto il piacere, ma
sì, l’avevo
previsto. –
-
Quanto
di tutto
ciò – fece un gesto con la
mano per indicare quanto lo circondava – avevi previsto?
–
-
Beh
ammetto che quel taglio sulla tua fronte non rientrava nella mia
visione.
Complimenti per la caduta, Yamato. –
Gli altri
prescelti sgranarono gli
occhi: sembrava quasi che l’uomo col codino lo stesse
punzecchiando.
Il biondo
annuì, senza dare a vedere
di voler cogliere la provocazione.
-
Una
cosa davvero stupida in effetti. – disse con non-calanche,
appoggiandosi allo
schienale della sedia – Ma diciamo che ne è valsa
la pena: se non altro ho
potuto assistere a qualcosa di…bellissimo. –
Gennai rise.
-
Immagino,
avrai visto intere costellazioni dopo quella botta! –
Yamato si
raddrizzò, puntando lo
sguardo sullo schermo del pc. L’altro smise di ridere, mentre
il biondo pareva
sondarne l’espressione.
-
Dunque
tu non sai tutto…o forse
semplicemente non l’hai previsto…
-
Dall’espressione
perplessa dell’uomo
era evidente che non aveva afferrato a cosa si riferisse il ragazzo.
Stava per
chiedergli spiegazioni, ma
il giovane non gli dette tempo di investigare: voleva tenere per
sé tutto ciò
che quell’uomo non era riuscito a carpire.
-
In
ogni caso non hai risposto alla mia domanda: quanto
avevi previsto di questa situazione? –
-
Spiegati
meglio. – il sorriso di Gennai era tornato apparentemente
gentile, ma a tutti
parve evidente che il suo tono era provocatorio.
-
Va
bene, partiamo dal principio. – si riappoggiò allo
schienale Yamato. – Voglio
porti una domanda che è stata fatta a me, qualche tempo fa,
ma che sono sicuro
meritasse una risposta più esauriente da parte tua.
– fece una pausa e il suo
sguardo si fece di ghiaccio – Dov’eravamo un anno
fa, mentre quel digimon
imperversava su New York e Rumiko era costretta a combattere da sola contro di lui? –
-
Y-Yamato…
- s’intromise Mimi, seppure riluttante –
è colpa mia, mi trovavo lì e avrei
dovuto avvisarvi… -
-
Tu
non avresti mai potuto avvisarci, Mimi. – la interruppe lui,
secco ma gentile –
Eri già sotto il controllo di quella creatura. Doveva sapere
che eri una di noi
e averti tenuto d’occhio fin dall’inizio.
– lasciò che la sua bocca si piegasse
in un sorriso tirato – D’altronde siamo piuttosto famosi, siamo i primi ad esser entrati in
contatto con Digiworld,
persino Rumiko sapeva della nostra esistenza. –
Pronunciare il
suo nome era ogni
volta una pugnalata al cuore: rivedeva la sua espressione rabbiosa
eppure
ferita, risentiva la sua voce carica d’accusa e odio. Ma si
costrinse a
stringere i denti e voltarsi di nuovo verso Gennai, in attesa al di
là dello
schermo.
-
Non
riesco a credere che tu fossi all’oscuro di quanto stesse
accadendo a New York,
probabilmente sapevi anche dello stato in cui si trovava Mimi.
– sentenziò con
ritrovata sicurezza – Dunque è facile per me
supporre che tu avessi previsto
anche gli eventi di pochi giorni fa e le ripercussioni che avrebbero
avuto
sulla città e tutti noi. –
Fece una pausa
in cui nessuno osò
quasi respirare, sconvolti dalle implicazioni delle sue parole.
-
Tu,
Gennai – sibilò Yamato, avvicinando il volto allo
schermo – avevi previsto cosa
sarebbe capitato a Rumiko,
a Mimi e alle persone che stavano loro vicine in quel momento. Avevi previsto che per far tornare alla vita
il
cavallo nero quel digimon l’avrebbe uccisa
e non hai fatto nulla per evitarlo!
L’hai lasciata morire e hai permesso che su questa
città cadesse il sonno
eterno! –
Silenzio.
Nessuno osò neppure
muoversi, temendo di spezzare quel fragile equilibrio. E nessuno
osò incrociare
lo sguardo di Yamato, rigido sulla sedia, le mani strette attorno ai
braccioli
della sedia fino a far sbiancare le nocche, la mascella contratta, gli
occhi
ridotti a due fessure. Ogni centimetro del suo corpo incuteva timore:
nessuno
l’aveva mai visto tanto furioso.
Poi Gennai
sorrise. Ma non vi era né
gioia né malizia in quel gesto, nessuna traccia della
precedente provocazione.
Solo cordoglio, amarezza e, sentimento comune agli umani ma fino ad
allora
ritenuto sconosciuto sul suo volto, insicurezza.
-
Devo
confessare che non avevo previsto tutto
ciò… - si oscurò lievemente in volto.
-
Spiegati.
–
ruggì in un sibilo Yamato.
L’uomo
col codino sospirò. Aveva
previsto che sarebbe arrivato un momento per le spiegazioni e che vi
sarebbero
stati rancori e dispiaceri. Ma ciò nonostante non era facile
trovare le parole
adatte a quel momento. La verità era che la situazione gli
era sfuggita di
mano.
-
Per
quanto riguarda ciò che accadde l’anno scorso a
New York devo darti una
delusione, Yamato: non ne ero pienamente cosciente. – fece
una pausa – White
Foxmon non ha sempre fatto avanti e indietro da questo mondo a
Digiworld,
quindi ho sempre avuto una certa difficoltà a tenermi
aggiornato sui suoi
spostamenti e le vicende che viveva. Per non parlare di Rumiko: al
contrario di
voi, lei non ha mai lasciato la sua città per lunghi periodi
e l’incontro col
suo digimon è avvenuto nel Mondo Reale. –
-
M-ma
com’è possibile? – balbettò
un esterrefatto Koushiro: nemmeno i digimon più
potenti che avevano incontrato erano stati in grado di creare un varco
tra i
due mondi, non senza mille sforzi. Che vi fosse riuscito un digimon di
livello
intermedio aveva assolutamente dell’incredibile.
-
White
Foxmon appartiene a una categoria molto ristretta di digimon, quelli di
tipo
ultraterreno. Sono creature dai poteri imprevedibili, oscuri a tutti
fuorché a
loro e i loro prescelti. Nessun digimon normale, per quanto potente,
riuscirebbe a passare da una dimensione all’altra da solo. Ma White Foxmon l’ha
fatto, giungendo in questo mondo, al
solo scopo di congiungersi con la sua prescelta. Non è stata
guidata da
nessuno, semplicemente sapeva che
l’avrebbe trovata. E una volta incontratesi, non si sono
più lasciate. Tra di
loro è subito nato un rapporto molto stretto, più
profondo di qualunque altro
abbia mai visto… - lanciò uno sguardo intenerito
ai ragazzi che lo guardavano –
Nemmeno in voi ho mai riscontrato qualcosa di simile, devo ammetterlo.
–
-
È
per questo che l’hai lasciata in balia di quel mostro?
Perché volevi testare
quanto fosse straordinario quel
legame?! –
Evidentemente
Yamato non si era fatto
incantare troppo facilmente.
-
Ammetto
che in un primo momento non mi ero accorto di quanto stesse accadendo,
proprio
perché avevo minor controllo su quella coppia. Immagino che
Alptraumon, così si
chiama quel digimon, sia sbarcato nel Mondo Reale sfruttando qualche
varco
rimasto aperto e abbia preparato con cura il suo
“palcoscenico”. – lanciò
un’occhiata significativa verso Mimi – Voleva esser
sicuro che nessuno avrebbe
interferito col suo
piano, sebbene io ignori tutt’oggi cos’avesse in
mente di preciso. – corrugò la
fronte.
-
Che
vuoi dire? – lo interrogò Koushiro.
-
Continuo
ad avere troppe poche informazioni per poter formulare delle valide
ipotesi. L’unica
somiglianza tra le due situazioni è la barriera che isola la
città dal resto
del mondo, ma per il resto i due attacchi non hanno apparenti punti in
comune.
– ragionò ad alta voce l’uomo
– A New York si concentrò su un attacco diretto,
per lo più allo scopo di diffondere il terrore tra la
popolazione, presumo…
Sembrava una situazione “normale” e non troppo
difficile da gestire, per questo
all’inizio ho lasciato che gli eventi facessero il loro
corso. – ammise Gennai,
visibilmente imbarazzato e contrito, ma nei suoi occhi vibrava una luce
d’entusiasmo – Erano secoli che non vedevo una
coppia come quella di Rumiko e
White Foxmon. Avrei voluto ammirarle in azione, voi non avete idea di
quanto
fossero meravigliose… - ma si bloccò,
rabbuiandosi.
-
Non
lo furono abbastanza, Gennai?
– la
voce di Yamato fendette l’aria, velenosa.
-
Eccome,
Yamato… Furono splendide…
- sospirò –
Ma qualcosa andò storto. Fu un incidente, nemmeno io mi ero
reso conto del
pericolo della situazione: tutta quella potenza sprigionata nei
sotterranei
della città…non vi era spazio per far disperdere
una tale mole di energia e,
prima che incontrasse il cielo aperto, s’imbatté
negli impianti della
metropolitana. L’esplosione fu davvero terribile…
-
Yamato vide nel
suo sguardo il
turbamento e il dolore di molti volti intervistati che avevano popolato
i
telegiornali di un anno fa, per diverse settimane. Per la prima volta
cercò
d’immaginarsi quell’inferno di fiamme e urla
intrappolate a decine di metri
sotto terra, vicine eppure troppo lontane dalla salvezza. E Rumiko, che
fuggiva
a cavallo del suo digimon-volpe, sconvolta, impotente, non meno
devastata della
città sotto di lei.
Rabbrividì
e tacque.
Fu Gennai a
infrangere nuovamente
quel silenzio carico di cordoglio.
-
Ma
Alptraumon non fu sconfitto. Inizialmente eravamo convinti che fosse
rimasto
coinvolto nell’esplosione e che fosse stato polverizzato.
Tuttavia non avevamo
fatto i conti con la sua natura incorporea… -
Attese di aver
tutti gli sguardi su
di sé, poi proseguì.
-
Alptraumon
ha caratteristiche molto simili ai digimon-incubo ed è
costituito da due
elementi distinti: Sandmannmon, altrimenti detto il Fante della Sabbia,
e
Angstmon. Il primo è probabilmente l’artefice del
sonno che ha contagiato tutti
gli abitanti della città, colui che si era impadronito di
Mimi. Di solito
approfitta del torpore delle sue vittime per controllarne le menti,
portando
loro incubi e facendoli agire come meglio preferisce. –
Koushiro
annuì.
-
Tentomon
ha accennato al fatto che quello in cui sono imprigionati i cittadini
non è
semplicemente un sonno profondo, altrimenti non si spiegherebbe come
mai anche
i digimon di Takeru, Kari e gli altri sono nelle stesse condizioni.
–
-
Giusta
intuizione. – sorrise in approvazione al coleottero
– Normalmente Sandmannmon
non si spinge tanto oltre, non con un’intera
città, poiché costringere al Sonno
il subconscio di una creatura richiede una quantità di
energia non
indifferente… -
-
E
allora come ci riesce con l’intera
Tokyo?! – si mise in mezzo Mei – Persino le piante
e gli animali sembrano
essere entrati in questa specie di favola della Bella Addormentata nel
Bosco! –
Gennai sorrise
alla biondina.
-
Lascia
che finisca di parlare, piccola Mei… - le disse gentilmente
– Dopo potrai farmi
tutte le domande che tanto ti assillano. –
La ragazzina
arrossì violentemente.
-
S-sai
il m-mio nome… - balbettò, eccitata e al contempo
vergognosa per la figuraccia
appena fatta.
-
Come
ha brillantemente intuito Yamato, avevo previsto diverse
cose… - le fece
l’occhiolino.
Poi
tornò a rivolgersi a Koushiro.
-
La
risposta alla domanda di Mei, in ogni caso, non mi è ancora
chiara. – ammise
con riluttanza – È evidente che deve avere una
fonte di energie non
indifferente, ma non saprei dire cosa possa essere tanto potente
da… -
-
Quindi
dovremmo solo trovarla e distruggerla, dico bene? –
saltò su Daisuke,
illuminato dalla prospettiva di aver finalmente trovato qualcosa con
cui
tenersi occupato.
-
Certo,
Daisuke – intervenne Taichi, sorridendogli solare, il tono
decisamente ironico
– dobbiamo solo trovare
questa
misteriosa fonte inestinguibile di energia e
distruggerla…possibilmente senza
rimetterci le penne, dato che siamo pochi, disorientati e soprattutto
stanchissimi…un gioco da ragazzi! –
Il moretto
arrossì e tacque,
riprendendo posto accanto a Mei.
-
Io
ti adoro, Dai, lo sai… - gli sussurrò lei
– ma non ti pare di fare un po’
troppe figuracce? –
Daisuke
sospirò sconfortato e un
risolino sfuggì ai presenti.
Solo Yamato
rimase impassibile.
-
E
Angstmon? –
Gennai
riportò la sua attenzione sul
biondo.
-
È
una creatura oscura che penso si nutra del terrore che semina tra le
sue
vittime… - spiegò l’uomo col codino,
stringendosi nelle spalle – Ma non so
dirvi molto altro su di lui. –
-
Come
mai? Credevo che tu sapessi praticamente tutto dei digimon,
Gennai… -
Non
c’era accusa nel tono di
Koushiro, solo molta perplessità: aveva sempre visto Gennai
come una sorta di
enciclopedia digitale.
-
Lo
credevo anch’io, Koushiro. – aggrottò la
fronte l’uomo, segno che la cosa non
piaceva nemmeno a lui – Ma Angstmon è diverso
dagli altri digimon… Non ne avevo
mai nemmeno sentito parlare prima dell’attacco a New
York… -
-
Forse
sarebbe il caso tu t’informassi un po’ meglio, non
credi? –
La voce di
Yamato fu ancora una volta
velenosa.
-
Yamato…
- sospirò Gennai – So cosa provi… -
-
L’avevi
previsto, non è vero?!
–
-
Yamato,
calmati. – intervenne Taichi, posandogli una mano sulla
spalla – Gennai credeva
che Alptraumon fosse morto… -
-
“In
un primo momento” – citò le
parole dell’uomo col codino – Ma dubito
fortemente che per un anno intero non si sia accorto di nulla.
In fondo l’ha detto lui stesso che gli è sempre
stato
difficile controllare Rumiko e il suo digimon per via dello scarso
legame che
avevano con Digiworld…ma Mimi
poteva
sorvegliarla alla perfezione! E dubito che non potesse accorgersi della
presenza di un digimon dentro di
lei.
E se Sandmannmon si era impadronito del suo corpo, non doveva esser
troppo
difficile intuire dove si trovasse Angstmon. –
-
Ma poteva
trovarsi nel corpo di qualunque
abitante di New York che si
trovasse nelle vicinanze al momento dell’esplosione!
– protestò Taichi.
-
Sveglia, Tai,
usa i neuroni! – balzò
su dalla sedia Yamato per fronteggiarlo – Credi che Mimi sia
stata posseduta da
quel digimon per caso?! Tra tutta
la
gente che si trovava nei paraggi in quel momento perché
avrebbe dovuto finire
proprio nel suo corpo?! Niente
accade
per caso, Tai, tutto
qua è frutto di premeditazioni! –
-
Ma che stai
dicendo? – fece un passo
avanti Sora, sconvolta dalla furia del biondo ma decisa a non lasciare
il
prescelto del Coraggio da solo a fronteggiarlo – Stai
sragionando, Yamato… -
-
Ma davvero?!
– si voltò verso il pc,
come a voler sfidare l’uomo che lo guardava serio al di
là dello schermo – Ti
dico cosa penso io di tutto questo,
Gennai. Io credo che tu sia stato onesto nel dire che non avevi
previsto
quell’esplosione, ma penso anche che tu abbia omesso a tutti
noi molte cose. –
Chiuse un attimo
gli occhi,
riportando a galla i ricordi e lasciando che gli trafiggessero il cuore
con
tutta la loro tristezza.
-
Rumiko
ci odiava per averla abbandonata a
se
stessa. Mi ha urlato in faccia che
le
era stato promesso il nostro aiuto.
Ma non ne sapevamo nulla e lei non conosceva Mimi, dunque
può esser stata solo
una persona ad averle detto una cosa simile. – fece una breve
pausa, lasciando
che le sue parole penetrassero nelle menti di tutti – Hai mentito, Gennai. E l’hai fatto
per il tuo egoismo, perché volevi
spingerla al massimo delle sue forze, cosicché rivelasse
quel potere tanto
straordinario cui volevi assistere. –
Si
avvicinò al pc di un passo.
-
E
forse in un primo momento credevi effettivamente che Alptraumon fosse
morto,
ma, come ho già detto, poi devi esserti accorto di quel che
era successo in
realtà. Quel digimon deve aver approfittato di quel momento
di confusione
generale per scindersi in due entità distinte e nasconderle
nel miglior
nascondiglio possibile: il corpo di un digiprescelto. I dettagli
ovviamente
posso solo intuirli – sollevò le spalle con
noncuranza – ma immagino che,
essendo molto più abituati al contatto coi digimon e, forse,
anche dotati di
un’energia maggiore cui attingere nutrimento, i nostri
organismi siano più
adatti ad ospitare qualcosa di tanto estraneo agli altri esseri umani.
Sandmannmon
deve aver optato per quello di Mimi perché aveva
già avuto modo di entrare in
contatto con la sua mente, mentre Angstmon si è impossessato
di Rumiko. –
Nessuno lo
interruppe, Gennai si limitò
ad annuire, l’espressione indecifrabile.
-
Ma
una volta scoperto quanto accaduto, devi esserti trovato davanti a un problemino. – sorrise maligno
il biondo
– Immagino che non sia facile eliminare un mostro che ha
pensato bene di
mettersi al sicuro nel corpo di una ragazza. Tanto più se la
ragazza in
questione è speciale, anzi, una prescelta.
Un’idea veramente brillante, quella di Alptraumon, non
c’è che dire! –
-
Hai
ragione, Yamato – intervenne Gennai – è
stato davvero brillante, lo ammetto.
Doveva aver intuito che me ne sarei accorto, ma avevo le mani
legate… -
-
Certo,
certo. – annuì il biondo con fare comprensivo
– Meglio lasciare che le due
parti si ricongiungessero e Alptraumon tornasse in vita.
D’altronde ci avrebbe
pensato ancora una volta Rumiko a sconfiggero, dandoti
l’occasione di
riammirare quel potere meraviglioso,
questa volta assicurandoti che si trovassero all’aria aperta
e che dessero
fondo fino all’ultimo granello di energia per esser sicuri di
polverizzarlo. –
strinse i pugni, abbassando lo sguardo – Ma non
avevi previsto quale sarebbe stato il mezzo
per liberare Angstmon dalla sua copertura. Non ti è nemmeno
passato di mente
che Rumiko avrebbe dovuto pagare l’ennesimo prezzo di tutto
ciò. Dopo il
rimorso, il dolore, l’impotenza…per un anno ha
sopportato da sola quanto
accaduto a New York, senza potersi liberare di quel peso… Ma
non era abbastanza
per te… Dovevi spingerla
ancora più
al limite, per vedere quale fantasmagorico potere sarebbe stata in
grado di
tirar fuori questa volta… -
-
Yamato,
sono davvero desolato per quanto
accaduto e… - esitò un attimo, come se non
trovasse le parole adatte – per il
comportamento di Kitsunemon. So quanto nel vostro mondo sia importante
l’usanza
di sepoltura dei morti… Non ho idea di dove abbia portato il
suo cadavere, ma
appena le avrò localizzate farò in modo di
riportarvelo. -
Silenzio. Yamato
parve per un attimo
perso nei suoi pensieri, poi voltò le spalle al computer,
superando gli amici e
afferrando la maniglia della porta.
-
Dimmi
una cosa, Gennai – lanciò un’ultima
occhiata allo schermo del pc – questa
volta, come intendi sconfiggere Alptraumon? Sappi che non potrai
contare sul
mio aiuto, ho di meglio da fare che prender parte alle tue messe in
scena. –
Taichi e Sora si
guardarono un attimo
sbigottiti. Poi la rossa si alzò per bisbigliargli
all’orecchio:
-
È
ancora sconvolto per la morte di Rumiko, vedrai che tornerà
presto. –
Il ragazzo
annuì e nessuno fece più
parola dello strano comportamento del biondo.
“ Lo
sapevo” gioì Yamato nei suoi
pensieri “Gennai non ha previsto tutto
e soprattutto non sa tutto.”
D’altronde
il Destino degli Uomini è
sempre stato in mano loro. Alcuni ammettono che siano degli estranei a
guidarli, ma gli spiriti liberi e fieri non hanno mai permesso che
fossero
altri a plasmare il loro Avvenire.
Continua…
N.d.a:
Ebbene
sì, eccomi tornata per
proseguire questa storia.
Buona lettura!
Monalisasmile