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Autore: monalisasmile    22/05/2013    0 recensioni
Il viola è conosciuto come il colore dello spirito. Rappresenta il valore medio tra terra e cielo, tra passione ed intelligenza, tra amore e razionalità. È il colore della volontà di essere diversi, della metamorfosi. È una forza legata alla vitalità del rosso e all'intimo accoglimento dell'azzurro. Ma è anche il colore degli occhi di una ragazza che entrerà a far parte della vita dei digi-prescelti.
La narrazione comincia in toni leggeri: leggerete di nuovi incontri, di battibecchi e amori adolescenziali, di amicizie e piccoli dispiaceri, emozioni che condizioneranno le giornate e si porranno al centro delle loro vite. Almeno inizialmente.
Perché come nella vita spesso accade, arriverà il momento in cui i personaggi verranno posti di fronte a problemi maggiori e difficili decisioni. D’improvviso tutto parrà sfuggirgli tra le dita. Gli eventi si faranno incalzanti e spesso imprevedibili. Più volte si sentiranno impotenti di fronte a una realtà indecifrabile e troppo crudele per essere affrontata.
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 21

 

-      YAMATO! Che Diavolo hai combinato?! –

Lui si sedette su una sedia libera accanto al letto di un esterrefatto Koushiro, ignorando deliberatamente le proteste di Taichi per la striscia di sangue raggrumato che gli delineava la tempia. Masahiro restò in piedi accanto a lui, come una silenziosa guardia del corpo.

-      Ti devo parlare, Koushiro. –

 

L’uomo si era inizialmente offerto di accompagnarlo all’ospedale perché il giovane fosse visitato, caricando la moto malandata nel container e aiutando il biondo a issarsi nel posto passeggeri accanto al suo. Aveva sbirciato incuriosito il ragazzo, ma non aveva posto ulteriori domande riguardo il motivo della sua bravata: dubitava che avrebbe avuto ulteriori chiarimenti, per il momento.

Tra i due era calato un pesante silenzio, finché Masahiro non l’aveva interrotto cambiando argomento.

-      Non voglio sembrarti ficcanaso, Yamato… - aveva esordito, senza guardarlo – Ma hai idea di quello che sta accadendo in questa città? –

Gli lanciò un’occhiata fugace: la sua espressione si era fatta nuovamente meditabonda. Dunque il ragazzo sapeva qualcosa.

-      Sembra di stare in una città fantasma. – proseguì imperterrito il camionista, ma in tono pacato – Dove sono finiti tutti gli abitanti? –

-      Dormono. –

La risposta concisa lo fece voltare ad occhi sgranati.

-      Tutti?! –

-      Quasi… - sembrò parlare più a se stesso Yamato, quasi stesse ragionando ad alta voce – Coloro che da quel momento non si sono coricati devono essere ancora svegli… -

-      Che vuoi dire, ragazzo? Quale momento? –

-      Non lo so. – si lasciò andare sullo schienale, frustrato – Non ne sono sicuro. Ma credo che prima, quando ho perso i sensi, stavo per fare la loro stessa fine. –

-      Ammetto che tutto ciò non mi è molto chiaro. –

Yamato si voltò a guardarlo, provando un briciolo di compassione per quell’uomo semplice che si trovava catapultato in una situazione a lui del tutto aliena. Ripensò a tutte le volte che i digimon avevano fatto la loro comparsa in quel mondo, scombussolando l’esistenza di centinaia di persone. Persone ignare di quanto stava accadendo intorno a loro, del pericolo che correvano, di chi li minacciasse e perché. Eppure quello era il loro mondo e quelle che venivano scombussolate erano le loro vite.

Riportò il suo sguardo su Masahiro, che guidava silenzioso e concentrato per le strade buie di Tokyo. Si era levato il giubbotto imbottito, rivelando le braccia forti e muscolose che non avevano faticato troppo a issare la moto nel camion. Anche da seduto superava Yamato di un paio di decine di centimetri, eppure il giovane non avvertiva la sua gigantesca mole come una minaccia. Forse perché l’aveva aiutato, forse perché non aveva fatto ulteriori domande sull’accaduto, il giovane si sentiva a suo agio con lui. Spiò i lineamenti marcati ma non rozzi del suo volto, soffermandosi sugli occhi azzurri, trasparenti come due pozze d’acqua cristallina. Si soffermò su quelle iridi e sull’espressione seria del loro sguardo. E seppe di potersi fidare di lui.

-      Masahiro… Vorresti sapere cosa sta accadendo? –

 

Il camionista si voltò a guardarlo, colpito dall’espressione grave e lo sguardo penetrante del giovane. Era estremamente serio e l’uomo annuì.

-      Sicuro? Ti avverto: potrebbe essere molto pericoloso avere a che fare con tutto ciò. – indicò la città buia e silenziosa con un gesto stanco della mano – E una volta che vi sarai entrato non so cosa potrebbe capitarti, di sicuro la tua vita non sarebbe più la stessa. –

Masahiro sembrò pensarci un attimo, lo sguardo perso sull’asfalto che scorreva di fronte a sé. Poi parlò, la voce ridotta a un sussurro, ma carica di energia.

-      Io non ho famiglia, Yamato. Mi sono presentato senza il mio cognome perché non ho mai conosciuto i miei genitori. Sono orfano da quando avevo quattro anni. Non ho ricordi più remoti. –

Fece una pausa.

-      Vivo la mia vita senza pensare al domani, guido questo camion in giro per il Giappone e questo mi è sempre bastato. Ho visto posti meravigliosi, conosciuto persone incredibili…ma questo – accennò brevemente al paesaggio tenebroso – supera qualsiasi cosa. –

Si voltò verso il biondo e sorrise, rivelando un dente dorato, che sfavillò nella penombra.

-      Ho idea che ci scapperebbe una bella avventura e non voglio lasciarmela sfuggire! E poi…- gli ammiccò, col sorriso da squalo – mi sembri un tipo in gamba, Yamato. Anche se forse non del tutto a posto… - fece roteare l’indice accanto alla tempia.

Il biondo scoppiò a ridere.

-      E non ti preoccupa doverti affidare a un ragazzo svalvolato? –

-      Francamente – rispose l’altro con fare serissimo – mi preoccupa di più non poterlo tenere sott’occhio. –

La risata di entrambi squarciò il silenzio lugubre della città.

-      Un’ultima cosa, ragazzo. –

-      Dimmi, Masahiro. – si voltò a guardarlo il biondo, interpretando il suo tono improvvisamente serio come il preludio per una nuova battuta.

-      Riguardo il tuo fantastico volo dalla moto… - aggrottò la fronte l’uomo – Hai fatto una cosa davvero stupida. Non farlo più. –

-      D-d’accordo… -

Ma nella sua mente risuonò l’eco di un altro rimprovero: la voce era diversa, ma le parole uguali.

 

Yamato aveva appena terminato di raccontare a Koushiro quanto gli era accaduto, tra lo sgomento generale. Solo Masahiro era rimasto impassibile.

Il rosso non l’aveva interrotto, ascoltandolo a tratti sorpreso, a tratti rabbuiato.

-      Fammi capire bene – intervenne quando l’amico ebbe smesso di parlare – credi di esserti trovato nello stesso stato degli altri cittadini per… -

-      Un quarto d’ora circa. –

-      Un quarto d’ora… - ragionò ad alta vice Koushiro, meditabondo – E poi di essere riuscito a svegliarti da solo? –

Yamato incassò il colpo, senza che nulla trapelasse sul suo volto. Non distolse lo sguardo: Koushiro era sempre stato sveglio, sapeva che si sarebbe accorto che il racconto fosse incompleto. Ma non aveva intenzione di raccontare loro della visione di Rumiko che aveva avuto. Prima avrebbe dovuto darsi delle risposte…da solo.

Perciò ritorse la domanda contro lo stesso rosso.

-      E tu, Koushiro, come hai fatto a svegliarti? –

Sapeva la risposta, ma l’occhiata fugace che l’amico lanciò a Mimi gliene dette la conferma. Sorrise scaltro davanti all’imbarazzo del giovane: era sempre stato un libro aperto.

-      Ma quello che più mi incuriosisce è – si rivolse alla ragazza – come Mimi ci sia riuscita. –

-      C-che vuoi dire? – balbettò lei, perplessa.

-      Ce l’hai fatta da sola o hai avuto una sorta di “aiutino”? –

-      Non capisco cosa tu voglia dire… - corrugò la fronte.

 

Ed era vero.

Mimi non riusciva a capire dove volesse andare a parare Yamato. Lei non aveva sentito né visto nulla di strano. Per la prima volta da tanto tempo era stata avvolta in un sogno senza sogni, si era potuta lasciare andare a un piacevole torpore, in cui niente e nessuno poteva disturbarla.

Ad un tratto, semplicemente, si era risvegliata. Perché si ostinavano a chiedere spiegazioni a lei, quando c’era una sfilza di medici che avrebbero potuto dar loro delle spiegazioni scientifiche in merito?

-      Mimi… - le si rivolse Koushiro, in tono decisamente più gentile e comprensivo del biondo – Yamato voleva sapere se anche tu, come noi, hai avuta una sorta di… - sospirò, come sconfitto – visione. –

Lo sguardo della ragazza s’addolcì e afferrò una delle mani del rosso tra le sue, senza vergogna. Vide l’imbarazzo dipingersi sul volto del giovane, ma questo anziché indispettirla la intenerì ulteriormente. Il suo Koushiro, che sempre si preoccupava per lei…per un attimo si chiese quale visione potesse averlo svegliato, se veramente il motivo era stato quello. Ma immediatamente la risposta le fu chiara: probabilmente quel pensiero era l’ennesima prova della sua vanità, tuttavia aveva la netta impressione di sapere chi l’avesse riportato alla realtà.

Sorrise di gioia e fu tentata di gettargli le braccia al collo, invece si limitò a bisbigliare:

-      Sono felice di averti riportato indietro. -

In risposta la presa sulla sua mano si rafforzò leggermente. Lo vide sorridere, poi l’espressione della castana tornò seria e si rivolse nuovamente a Yamato.

-      In ogni caso posso assicurarti che non ho visto né sentito assolutamente nulla. Semplicemente, a un certo punto mi sono risvegliata. –

Poteva comprendere il risentimento del ragazzo nei suoi confronti, ma non era disposta a farsi maltrattare in eterno.

Yamato annuì e si rivolse all’uomo che aveva portato con sé in ospedale.

-      Tu che ne pensi? –

I presenti rimasero un attimo sorpresi dalla familiarità che sembrava avere con quello sconosciuto, persino il padre del ragazzo restò un attimo interdetto: Yamato non era tipo da chiedere aiuto.

Lo sconosciuto parve pensarci un attimo, scrutando Mimi con aria meditabonda. La ragazza si sentì arrossire d’imbarazzo, sotto quello sguardo di ghiaccio che pareva volerle scavare dentro, e si voltò indispettita.

Infine l’uomo ruppe il silenzio in cui era rimasto avvolto fino a quel momento.

-      Se la tua amica ha dovuto convivere con quella creatura per molto tempo, può darsi che ora sia immune dal suo potere… - abbassò lo sguardo sul biondo, che lo ascoltava attentamente – D’altronde è ciò che il corpo umano tende a fare anche nei confronti delle malattie, o no? Quando l’organismo viene attaccato dai virus, il sistema immunitario tenta di sviluppare una “cura” con cui passare al contrattacco, anche se magari ciò richiede un po’ di tempo… -

-      Stai cercando di insinuare che sono infetta da qualche morbo ripugnante?! – sibilò Mimi, disgustata.

Koushiro intervenne a sostegno dell’uomo, con grande disappunto di Mimi.

-      Effettivamente non è una teoria da escludere… - ragionò, accarezzandosi il mento, per poi rivolgersi alla castana – Mimi, pensaci, nell’appartamento dei Kitamura tu sei riuscita a liberarti dalla morsa di quell’essere. –

-      Perché c’eri tu, Koushiro… -

-      Sì – annuì lui, afferrandole entrambi le mani – Forse non ci saresti riuscita senza un aiuto dall’esterno, ma io non sono stato che un imput, la “cura” era già dentro di te, l’avevi sviluppata tu stessa, col tempo… -

-      Ma non sono riuscita a liberarmi di quel mostro finché non è stato lui ad andarsene! – protestò lei – E cura o non cura, mi ha comunque usata a proprio piacimento! –

Il pensiero di quanto aveva fatto la invase nuovamente e la ragazza rabbrividì, questa volta inorridita da se stessa.

-      Mimi… - le accarezzò una guancia il rosso, gentile – Si era impossessato di te, quella creatura viveva dentro di te. Tutto il suo potere era concentrato nel tuo corpo, lo stesso potere che ora, distribuito in uno spazio molto più vasto, ha fatto addormentare un’intera città! –

-      In altre parole? – piagnucolò lei: non era mai stata una scheggia nelle conclusioni.

-      In altre parole – Koushiro addolcì ulteriormente il tono di voce – tu ora dovresti essere immune al sonno anomalo in cui sta costringendo gli altri abitanti della città, poiché la sua intensità è nulla in confronto a quella che hai dovuto sopportare nell’ultimo anno. –

Lei annuì e si accoccolò accanto al ragazzo, rassicurata: Koushiro aveva sempre una spiegazione per tutto.

 

Fu Yamato a infrangere il silenzio.

-      Dunque – riprese con voce decisa – siamo tutti d’accordo che sia stato quel digimon a far addormentare tutta la città? –

-      Direi di sì… - si grattò il capo Taichi.

-      E siamo tutti d’accordo che nessuno di noi dovrà farsi prendere dal sonno finché non avremo trovato una soluzione a questa situazione? – sondò con lo sguardo i presenti.

Tutti annuirono, scuri in volto.

Per un attimo Yamato si soffermò su suo padre e sul signor Kitamura: parevano entrambi davvero stanchi. Il padre di Rumiko, in particolare, sembrava che non desiderasse altro che lasciarsi andare a un sonno eterno, sfinito e sconfortato dagli ultimi eventi. Eppure era ancora là, in piedi accanto al signor Ishida, con un debole sfavillio di speranza degli occhi.

Fino a poche ore fa Yamato non avrebbe retto il peso di quello sguardo, ma ora lo ricambiò: forse per la visione che l’aveva risvegliato, forse per la botta alla testa, adesso anche lui voleva credere che Rumiko sarebbe tornata.

-      Yamato… -

Fu la voce di Mei a riportarlo alla realtà. Si voltò a guardare la biondina titubante, gli occhi rossi e gonfi di pianto. Lo sguardo del prescelto si addolcì leggermente, di fronte al dolore della ragazza per la scomparsa di Rumiko. Lasciò che il suo sguardo si soffermasse anche su Daisuke, seduto in un angolo poco distante, scuro in volto e con le guance rigate di lacrime che non si era curato di cancellare.

-      Dimmi, Mei. –

-      C-credi che riusciremo a riportare il giorno? I-io comincio ad avere paura di tutto questo buio… -

Yamato si diede mentalmente dell’idiota. Si era scordato di un altro aspetto fondamentale: il sole. Lo sconforto si rimpadronì dei presenti e il silenzio calò pesante. Se anche fossero riusciti a svegliare gli abitanti della città, se anche fossero riusciti a scovare il digimon artefice di tutto ciò e a sconfiggerlo, chi garantiva che il sole sarebbe sorto nuovamente?

Infine fu Taichi a interromperlo.

-      Bene, abbiamo due problemi cui pensare: come svegliare gli abitanti e come far sorgere nuovamente il sole. – sentenziò – Direi che non abbiamo tempo da perdere! – concluse ammiccando.

A tutti fu chiaro, ancora una volta, come mai era sempre stato lui il “capo” del gruppo. E si misero all’opera.

-      Ah, Matt, riguardo il tuo incidente in moto –Taichi gli posò una mano sulla spalla, guardandolo dritto negli occhi con fare improvvisamente serio – Hai fatto una cosa davvero stupida. Non farlo più. –

Yamato lo guardò ad occhi sgranati, poi scosse il capo e si defilò.

 

Fecero una buona provvista di caffé, bibite energetiche e quant’altro poteva tenerli svegli. Camminando per i corridoi dell’ospedale avevano potuto verificare la loro ipotesi: tutti coloro che si addormentavano non potevano più esser svegliati. I medici rimasti in piedi si unirono alla loro causa, poiché giunti alla medesima conclusione, senza tuttavia individuarne una ragione plausibile. L’allarme venne lanciato nella città, risuonando come un eco squillante tra le pareti buie e silenziose degli edifici. Tutti coloro che ancora non erano caduti nel sonno profondo vennero invitati ad unirsi ai superstiti presso l’ospedale, avvertendo contemporaneamente del pericolo che l’assopimento comportava.

L’ospedale divenne il quartier generale dei superstiti, in totale alcune centinaia, tra uomini, donne e bambini, tutti terrorizzati e preoccupati per la sorte dei loro cari.

Vennero mandati diversi S.O.S. alle città vicine, ma nessuno parve giungere a destinazione: Tokyo era completamente isolata. Uscire dalla metropoli era impossibile: una spessa coltre di nubi aveva oscurato totalmente il cielo e un muro di nebbia aveva circondato la città. Coloro che avevano tentato di oltrepassarla erano sempre tornati indietro, raccontando di terrificanti visioni che uscivano dalla foschia e facevano rizzare i capelli.

Dopo tre giorni la situazione era ancora stazionaria: nessuno si era svegliato, nessuno era riuscito a fuggire dalla città e lo sconforto dilagava per i corridoi dell’ospedale. Una ventina di persone aveva ceduto al sonno, andando ad infoltire le fila dei Dormienti. Così erano stati chiamati i cittadini placidamente sdraiati nei loro letti, apparentemente privi di vita, gelidi e immobili come statue, non fosse stato per il lento alzarsi e abbassarsi del petto.

Al quarto giorno, un nuovo problema si presentò agli Svegli: la convivenza. L’ansia e la stanchezza presto si trasformarono in irrequietezza, che li faceva litigare gli uni con gli altri, sfociando in certi casi anche in azioni violente. Alcuni poliziotti tentavano di sedare i conflitti, i medici si adoperavano per curare i feriti, ma a tutti era chiaro che quella situazione non sarebbe stata sopportabile ancora a lungo.

Koushiro aveva aperto un portale su Digiworld, prendendo atto di una cosa sconcertante: i digimon dei prescelti addormentati erano avvolti in un sonno profondo, da cui era stato impossibile svegliarli. Meravigliato, aveva chiesto spiegazioni a Tentomon.

-      Evidentemente – gli spiegò il digimon dalle sembianze di scarabeo – quello che è stato gettato sui concittadini non è un semplice sonno. –

-      Che vuoi dire? – aveva corrugato la fronte il ragazzo, seduto sul bordo del letto d’ospedale, circondato dagli amici prescelti, i rispettivi digimon, Masahiro e i padri di Yamato e Rumiko.

-      Tra un prescelto e il suo digimon non vi è solo un legame di amicizia, Koushiro… c’è molto, molto di più… - parve in difficoltà il coleottero – Non è facile spiegarlo, per noi è una cosa naturale, non abbiamo bisogno di dargli una spiegazione perché lo capiamo istintivamente. Ma credo voi lo chiamereste legame spirituale o qualcosa del genere. –

Koushiro annuì: effettivamente c’erano sempre stati diversi punti oscuri e incomprensibili a proposito del legame che li univa.

-      Immagino sia stato questo legame spirituale a far sì che voi vi digievolveste solo in nostra presenza… -

-      Esattamente! – gioì Tentomon, fiero del suo amico: Koushiro era sempre stato sveglio.

-      Per questo erano le nostre emozioni a permettervi di digievolvere, suppongo… -

Il coleottero annuì.

-      E le digipietre e tutto quell’armamentario? –

Fu Yamato a rispondergli, dal fondo della stanza.

-      Erano delle chiavi, dei catalizzatori delle nostre emozioni. Probabilmente anche delle “prove” per testare le nostre capacità. –

Koushiro lo guardò un attimo confuso.

-      Detta così sembra che qualcuno volesse metterci alla prova, mettendoci degli ostacoli sul percorso apposta per… -

-      Per renderci più forti. – concluse il biondo, spassionato.

-      Ma a che scopo? –

Yamato sollevò le spalle.

-      Io questo non lo so. Ma qualcun altro forse sì. –

-      Chi? – gli si accostò Gabumon, interessato dall’intuizione che doveva aver avuto il suo prescelto.

-      Gennai. –

 

Il volto senza tempo si materializzò di fronte a loro e sorrise attraverso lo schermo del pc di Koushiro. Stranamente, quel gesto solitamente sereno e rassicurante, era velato di amarezza.

-      Salve, ragazzi. –

-      Salve, Gennai. – gli rispose Koushiro, un poco imbarazzato – Ehm, Yamato aveva urgenza di parlarti. Ha delle domande da porti… -

L’uomo col codino annuì, per nulla sorpreso.

-      Lo immaginavo. –

Il rosso ruotò il portatile verso il ragazzo, che aveva preso posto su una sedia, serio in volto.

-      Ciao, Yamato. - lo salutò gentilmente Gennai.

-      Ciao. –

La voce del biondo era impregnata di una cortesia tagliente e a Koushiro si accapponò la pelle: nessuno di loro si era mai rivolto in quel modo a Gennai. Ma era anche vero che Yamato era famoso per il suo buon senso: se aveva deciso di comportarsi a quel modo doveva esserci una buona ragione.

-      Koushiro mi ha detto che hai qualcosa da chiedermi. –

-      Effettivamente sì, ho diverse domande da porti. Hai tempo? – chiese in tono velatamente ironico.

-      Ho tutto il tempo che ti serve. –

-      Innanzitutto: sapevi che oggi avresti dovuto sostenere questa conversazione con me? –

La domanda lasciò esterrefatti i presenti: stava forse scherzando?

Ma il sorriso che si dipinse sul volto di Gennai era soddisfatto.

-      Non sapevo con precisione quando ne avrei avuto il piacere, ma sì, l’avevo previsto. –

-      Quanto di tutto ciò – fece un gesto con la mano per indicare quanto lo circondava – avevi previsto? –

-      Beh ammetto che quel taglio sulla tua fronte non rientrava nella mia visione. Complimenti per la caduta, Yamato. –

Gli altri prescelti sgranarono gli occhi: sembrava quasi che l’uomo col codino lo stesse punzecchiando.

Il biondo annuì, senza dare a vedere di voler cogliere la provocazione.

-      Una cosa davvero stupida in effetti. – disse con non-calanche, appoggiandosi allo schienale della sedia – Ma diciamo che ne è valsa la pena: se non altro ho potuto assistere a qualcosa di…bellissimo. –

Gennai rise.

-      Immagino, avrai visto intere costellazioni dopo quella botta! –

Yamato si raddrizzò, puntando lo sguardo sullo schermo del pc. L’altro smise di ridere, mentre il biondo pareva sondarne l’espressione.

-      Dunque tu non sai tutto…o forse semplicemente non l’hai previsto… -

Dall’espressione perplessa dell’uomo era evidente che non aveva afferrato a cosa si riferisse il ragazzo.

Stava per chiedergli spiegazioni, ma il giovane non gli dette tempo di investigare: voleva tenere per sé tutto ciò che quell’uomo non era riuscito a carpire.

-      In ogni caso non hai risposto alla mia domanda: quanto avevi previsto di questa situazione? –

-      Spiegati meglio. – il sorriso di Gennai era tornato apparentemente gentile, ma a tutti parve evidente che il suo tono era provocatorio.

-      Va bene, partiamo dal principio. – si riappoggiò allo schienale Yamato. – Voglio porti una domanda che è stata fatta a me, qualche tempo fa, ma che sono sicuro meritasse una risposta più esauriente da parte tua. – fece una pausa e il suo sguardo si fece di ghiaccio – Dov’eravamo un anno fa, mentre quel digimon imperversava su New York e Rumiko era costretta a combattere da sola contro di lui? –

-      Y-Yamato… - s’intromise Mimi, seppure riluttante – è colpa mia, mi trovavo lì e avrei dovuto avvisarvi… -

-      Tu non avresti mai potuto avvisarci, Mimi. – la interruppe lui, secco ma gentile – Eri già sotto il controllo di quella creatura. Doveva sapere che eri una di noi e averti tenuto d’occhio fin dall’inizio. – lasciò che la sua bocca si piegasse in un sorriso tirato – D’altronde siamo piuttosto famosi, siamo i primi ad esser entrati in contatto con Digiworld, persino Rumiko sapeva della nostra esistenza. –

Pronunciare il suo nome era ogni volta una pugnalata al cuore: rivedeva la sua espressione rabbiosa eppure ferita, risentiva la sua voce carica d’accusa e odio. Ma si costrinse a stringere i denti e voltarsi di nuovo verso Gennai, in attesa al di là dello schermo.

-      Non riesco a credere che tu fossi all’oscuro di quanto stesse accadendo a New York, probabilmente sapevi anche dello stato in cui si trovava Mimi. – sentenziò con ritrovata sicurezza – Dunque è facile per me supporre che tu avessi previsto anche gli eventi di pochi giorni fa e le ripercussioni che avrebbero avuto sulla città e tutti noi. –

Fece una pausa in cui nessuno osò quasi respirare, sconvolti dalle implicazioni delle sue parole.

-      Tu, Gennai – sibilò Yamato, avvicinando il volto allo schermo – avevi previsto cosa sarebbe capitato a Rumiko, a Mimi e alle persone che stavano loro vicine in quel momento. Avevi previsto che per far tornare alla vita il cavallo nero quel digimon l’avrebbe uccisa e non hai fatto nulla per evitarlo! L’hai lasciata morire e hai permesso che su questa città cadesse il sonno eterno! –

 

Silenzio. Nessuno osò neppure muoversi, temendo di spezzare quel fragile equilibrio. E nessuno osò incrociare lo sguardo di Yamato, rigido sulla sedia, le mani strette attorno ai braccioli della sedia fino a far sbiancare le nocche, la mascella contratta, gli occhi ridotti a due fessure. Ogni centimetro del suo corpo incuteva timore: nessuno l’aveva mai visto tanto furioso.

Poi Gennai sorrise. Ma non vi era né gioia né malizia in quel gesto, nessuna traccia della precedente provocazione. Solo cordoglio, amarezza e, sentimento comune agli umani ma fino ad allora ritenuto sconosciuto sul suo volto, insicurezza.

-      Devo confessare che non avevo previsto tutto ciò… - si oscurò lievemente in volto.

-      Spiegati. – ruggì in un sibilo Yamato.

L’uomo col codino sospirò. Aveva previsto che sarebbe arrivato un momento per le spiegazioni e che vi sarebbero stati rancori e dispiaceri. Ma ciò nonostante non era facile trovare le parole adatte a quel momento. La verità era che la situazione gli era sfuggita di mano.

-      Per quanto riguarda ciò che accadde l’anno scorso a New York devo darti una delusione, Yamato: non ne ero pienamente cosciente. – fece una pausa – White Foxmon non ha sempre fatto avanti e indietro da questo mondo a Digiworld, quindi ho sempre avuto una certa difficoltà a tenermi aggiornato sui suoi spostamenti e le vicende che viveva. Per non parlare di Rumiko: al contrario di voi, lei non ha mai lasciato la sua città per lunghi periodi e l’incontro col suo digimon è avvenuto nel Mondo Reale. –

-      M-ma com’è possibile? – balbettò un esterrefatto Koushiro: nemmeno i digimon più potenti che avevano incontrato erano stati in grado di creare un varco tra i due mondi, non senza mille sforzi. Che vi fosse riuscito un digimon di livello intermedio aveva assolutamente dell’incredibile.

-      White Foxmon appartiene a una categoria molto ristretta di digimon, quelli di tipo ultraterreno. Sono creature dai poteri imprevedibili, oscuri a tutti fuorché a loro e i loro prescelti. Nessun digimon normale, per quanto potente, riuscirebbe a passare da una dimensione all’altra da solo. Ma White Foxmon l’ha fatto, giungendo in questo mondo, al solo scopo di congiungersi con la sua prescelta. Non è stata guidata da nessuno, semplicemente sapeva che l’avrebbe trovata. E una volta incontratesi, non si sono più lasciate. Tra di loro è subito nato un rapporto molto stretto, più profondo di qualunque altro abbia mai visto… - lanciò uno sguardo intenerito ai ragazzi che lo guardavano – Nemmeno in voi ho mai riscontrato qualcosa di simile, devo ammetterlo. –

-      È per questo che l’hai lasciata in balia di quel mostro? Perché volevi testare quanto fosse straordinario quel legame?! –

Evidentemente Yamato non si era fatto incantare troppo facilmente.

-      Ammetto che in un primo momento non mi ero accorto di quanto stesse accadendo, proprio perché avevo minor controllo su quella coppia. Immagino che Alptraumon, così si chiama quel digimon, sia sbarcato nel Mondo Reale sfruttando qualche varco rimasto aperto e abbia preparato con cura il suo “palcoscenico”. – lanciò un’occhiata significativa verso Mimi – Voleva esser sicuro che nessuno avrebbe interferito col suo piano, sebbene io ignori tutt’oggi cos’avesse in mente di preciso. – corrugò la fronte.

-      Che vuoi dire? – lo interrogò Koushiro.

-      Continuo ad avere troppe poche informazioni per poter formulare delle valide ipotesi. L’unica somiglianza tra le due situazioni è la barriera che isola la città dal resto del mondo, ma per il resto i due attacchi non hanno apparenti punti in comune. – ragionò ad alta voce l’uomo – A New York si concentrò su un attacco diretto, per lo più allo scopo di diffondere il terrore tra la popolazione, presumo… Sembrava una situazione “normale” e non troppo difficile da gestire, per questo all’inizio ho lasciato che gli eventi facessero il loro corso. – ammise Gennai, visibilmente imbarazzato e contrito, ma nei suoi occhi vibrava una luce d’entusiasmo – Erano secoli che non vedevo una coppia come quella di Rumiko e White Foxmon. Avrei voluto ammirarle in azione, voi non avete idea di quanto fossero meravigliose… - ma si bloccò, rabbuiandosi.

-      Non lo furono abbastanza, Gennai? – la voce di Yamato fendette l’aria, velenosa.

-      Eccome, Yamato… Furono splendide… - sospirò – Ma qualcosa andò storto. Fu un incidente, nemmeno io mi ero reso conto del pericolo della situazione: tutta quella potenza sprigionata nei sotterranei della città…non vi era spazio per far disperdere una tale mole di energia e, prima che incontrasse il cielo aperto, s’imbatté negli impianti della metropolitana. L’esplosione fu davvero terribile… -

Yamato vide nel suo sguardo il turbamento e il dolore di molti volti intervistati che avevano popolato i telegiornali di un anno fa, per diverse settimane. Per la prima volta cercò d’immaginarsi quell’inferno di fiamme e urla intrappolate a decine di metri sotto terra, vicine eppure troppo lontane dalla salvezza. E Rumiko, che fuggiva a cavallo del suo digimon-volpe, sconvolta, impotente, non meno devastata della città sotto di lei.

Rabbrividì e tacque.

Fu Gennai a infrangere nuovamente quel silenzio carico di cordoglio.

-      Ma Alptraumon non fu sconfitto. Inizialmente eravamo convinti che fosse rimasto coinvolto nell’esplosione e che fosse stato polverizzato. Tuttavia non avevamo fatto i conti con la sua natura incorporea… -

Attese di aver tutti gli sguardi su di sé, poi proseguì.

-      Alptraumon ha caratteristiche molto simili ai digimon-incubo ed è costituito da due elementi distinti: Sandmannmon, altrimenti detto il Fante della Sabbia, e Angstmon. Il primo è probabilmente l’artefice del sonno che ha contagiato tutti gli abitanti della città, colui che si era impadronito di Mimi. Di solito approfitta del torpore delle sue vittime per controllarne le menti, portando loro incubi e facendoli agire come meglio preferisce. –

Koushiro annuì.

-      Tentomon ha accennato al fatto che quello in cui sono imprigionati i cittadini non è semplicemente un sonno profondo, altrimenti non si spiegherebbe come mai anche i digimon di Takeru, Kari e gli altri sono nelle stesse condizioni. –

-      Giusta intuizione. – sorrise in approvazione al coleottero – Normalmente Sandmannmon non si spinge tanto oltre, non con un’intera città, poiché costringere al Sonno il subconscio di una creatura richiede una quantità di energia non indifferente… -

-      E allora come ci riesce con l’intera Tokyo?! – si mise in mezzo Mei – Persino le piante e gli animali sembrano essere entrati in questa specie di favola della Bella Addormentata nel Bosco! –

Gennai sorrise alla biondina.

-      Lascia che finisca di parlare, piccola Mei… - le disse gentilmente – Dopo potrai farmi tutte le domande che tanto ti assillano. –

La ragazzina arrossì violentemente.

-      S-sai il m-mio nome… - balbettò, eccitata e al contempo vergognosa per la figuraccia appena fatta.

-      Come ha brillantemente intuito Yamato, avevo previsto diverse cose… - le fece l’occhiolino.

Poi tornò a rivolgersi a Koushiro.

-      La risposta alla domanda di Mei, in ogni caso, non mi è ancora chiara. – ammise con riluttanza – È evidente che deve avere una fonte di energie non indifferente, ma non saprei dire cosa possa essere tanto potente da… -

-      Quindi dovremmo solo trovarla e distruggerla, dico bene? – saltò su Daisuke, illuminato dalla prospettiva di aver finalmente trovato qualcosa con cui tenersi occupato.

-      Certo, Daisuke – intervenne Taichi, sorridendogli solare, il tono decisamente ironico – dobbiamo solo trovare questa misteriosa fonte inestinguibile di energia e distruggerla…possibilmente senza rimetterci le penne, dato che siamo pochi, disorientati e soprattutto stanchissimi…un gioco da ragazzi! –

Il moretto arrossì e tacque, riprendendo posto accanto a Mei.

-      Io ti adoro, Dai, lo sai… - gli sussurrò lei – ma non ti pare di fare un po’ troppe figuracce? –

Daisuke sospirò sconfortato e un risolino sfuggì ai presenti.

Solo Yamato rimase impassibile.

-      E Angstmon? –

Gennai riportò la sua attenzione sul biondo.

-      È una creatura oscura che penso si nutra del terrore che semina tra le sue vittime… - spiegò l’uomo col codino, stringendosi nelle spalle – Ma non so dirvi molto altro su di lui. –

-      Come mai? Credevo che tu sapessi praticamente tutto dei digimon, Gennai… -

Non c’era accusa nel tono di Koushiro, solo molta perplessità: aveva sempre visto Gennai come una sorta di enciclopedia digitale.

-      Lo credevo anch’io, Koushiro. – aggrottò la fronte l’uomo, segno che la cosa non piaceva nemmeno a lui – Ma Angstmon è diverso dagli altri digimon… Non ne avevo mai nemmeno sentito parlare prima dell’attacco a New York… -

-      Forse sarebbe il caso tu t’informassi un po’ meglio, non credi? –

La voce di Yamato fu ancora una volta velenosa.

-      Yamato… - sospirò Gennai – So cosa provi… -

-      L’avevi previsto, non è vero?! –

-      Yamato, calmati. – intervenne Taichi, posandogli una mano sulla spalla – Gennai credeva che Alptraumon fosse morto… -

-      In un primo momento” – citò le parole dell’uomo col codino – Ma dubito fortemente che per un anno intero non si sia accorto di nulla. In fondo l’ha detto lui stesso che gli è sempre stato difficile controllare Rumiko e il suo digimon per via dello scarso legame che avevano con Digiworld…ma Mimi poteva sorvegliarla alla perfezione! E dubito che non potesse accorgersi della presenza di un digimon dentro di lei. E se Sandmannmon si era impadronito del suo corpo, non doveva esser troppo difficile intuire dove si trovasse Angstmon. –

-      Ma poteva trovarsi nel corpo di qualunque abitante di New York che si trovasse nelle vicinanze al momento dell’esplosione! – protestò Taichi.

-      Sveglia, Tai, usa i neuroni! – balzò su dalla sedia Yamato per fronteggiarlo – Credi che Mimi sia stata posseduta da quel digimon per caso?! Tra tutta la gente che si trovava nei paraggi in quel momento perché avrebbe dovuto finire proprio nel suo corpo?! Niente accade per caso, Tai, tutto qua è frutto di premeditazioni! –

-      Ma che stai dicendo? – fece un passo avanti Sora, sconvolta dalla furia del biondo ma decisa a non lasciare il prescelto del Coraggio da solo a fronteggiarlo – Stai sragionando, Yamato… -

-      Ma davvero?! – si voltò verso il pc, come a voler sfidare l’uomo che lo guardava serio al di là dello schermo – Ti dico cosa penso io di tutto questo, Gennai. Io credo che tu sia stato onesto nel dire che non avevi previsto quell’esplosione, ma penso anche che tu abbia omesso a tutti noi molte cose. –

Chiuse un attimo gli occhi, riportando a galla i ricordi e lasciando che gli trafiggessero il cuore con tutta la loro tristezza.

-      Rumiko ci odiava per averla abbandonata a se stessa. Mi ha urlato in faccia che le era stato promesso il nostro aiuto. Ma non ne sapevamo nulla e lei non conosceva Mimi, dunque può esser stata solo una persona ad averle detto una cosa simile. – fece una breve pausa, lasciando che le sue parole penetrassero nelle menti di tutti – Hai mentito, Gennai. E l’hai fatto per il tuo egoismo, perché volevi spingerla al massimo delle sue forze, cosicché rivelasse quel potere tanto straordinario cui volevi assistere. –

Si avvicinò al pc di un passo.

-      E forse in un primo momento credevi effettivamente che Alptraumon fosse morto, ma, come ho già detto, poi devi esserti accorto di quel che era successo in realtà. Quel digimon deve aver approfittato di quel momento di confusione generale per scindersi in due entità distinte e nasconderle nel miglior nascondiglio possibile: il corpo di un digiprescelto. I dettagli ovviamente posso solo intuirli – sollevò le spalle con noncuranza – ma immagino che, essendo molto più abituati al contatto coi digimon e, forse, anche dotati di un’energia maggiore cui attingere nutrimento, i nostri organismi siano più adatti ad ospitare qualcosa di tanto estraneo agli altri esseri umani. Sandmannmon deve aver optato per quello di Mimi perché aveva già avuto modo di entrare in contatto con la sua mente, mentre Angstmon si è impossessato di Rumiko. –

Nessuno lo interruppe, Gennai si limitò ad annuire, l’espressione indecifrabile.

-      Ma una volta scoperto quanto accaduto, devi esserti trovato davanti a un problemino. – sorrise maligno il biondo – Immagino che non sia facile eliminare un mostro che ha pensato bene di mettersi al sicuro nel corpo di una ragazza. Tanto più se la ragazza in questione è speciale, anzi, una prescelta. Un’idea veramente brillante, quella di Alptraumon, non c’è che dire! –

-      Hai ragione, Yamato – intervenne Gennai – è stato davvero brillante, lo ammetto. Doveva aver intuito che me ne sarei accorto, ma avevo le mani legate… -

-      Certo, certo. – annuì il biondo con fare comprensivo – Meglio lasciare che le due parti si ricongiungessero e Alptraumon tornasse in vita. D’altronde ci avrebbe pensato ancora una volta Rumiko a sconfiggero, dandoti l’occasione di riammirare quel potere meraviglioso, questa volta assicurandoti che si trovassero all’aria aperta e che dessero fondo fino all’ultimo granello di energia per esser sicuri di polverizzarlo. – strinse i pugni, abbassando lo sguardo – Ma non avevi previsto quale sarebbe stato il mezzo per liberare Angstmon dalla sua copertura. Non ti è nemmeno passato di mente che Rumiko avrebbe dovuto pagare l’ennesimo prezzo di tutto ciò. Dopo il rimorso, il dolore, l’impotenza…per un anno ha sopportato da sola quanto accaduto a New York, senza potersi liberare di quel peso… Ma non era abbastanza per te… Dovevi spingerla ancora più al limite, per vedere quale fantasmagorico potere sarebbe stata in grado di tirar fuori questa volta… -

-      Yamato, sono davvero desolato per quanto accaduto e… - esitò un attimo, come se non trovasse le parole adatte – per il comportamento di Kitsunemon. So quanto nel vostro mondo sia importante l’usanza di sepoltura dei morti… Non ho idea di dove abbia portato il suo cadavere, ma appena le avrò localizzate farò in modo di riportarvelo. -

Silenzio. Yamato parve per un attimo perso nei suoi pensieri, poi voltò le spalle al computer, superando gli amici e afferrando la maniglia della porta.

-      Dimmi una cosa, Gennai – lanciò un’ultima occhiata allo schermo del pc – questa volta, come intendi sconfiggere Alptraumon? Sappi che non potrai contare sul mio aiuto, ho di meglio da fare che prender parte alle tue messe in scena. –

 

Taichi e Sora si guardarono un attimo sbigottiti. Poi la rossa si alzò per bisbigliargli all’orecchio:

-      È ancora sconvolto per la morte di Rumiko, vedrai che tornerà presto. –

Il ragazzo annuì e nessuno fece più parola dello strano comportamento del biondo.

 

“ Lo sapevo” gioì Yamato nei suoi pensieri “Gennai non ha previsto tutto e soprattutto non sa tutto.”

 

D’altronde il Destino degli Uomini è sempre stato in mano loro. Alcuni ammettono che siano degli estranei a guidarli, ma gli spiriti liberi e fieri non hanno mai permesso che fossero altri a plasmare il loro Avvenire. 

 

 

 

Continua…

 

 

 

N.d.a:

Ebbene sì, eccomi tornata per proseguire questa storia.

Buona lettura!

Monalisasmile

 

  
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