The Champion’s
feelings
L’adrenalina le
scorreva nel corpo, infiammando ogni singola cellula del suo essere di un
emozione così profonda da non poter essere descritta. Le luci al neon inondavano
l’arena dei combattimenti di una luce così intensa da abbagliare, ma lei
riusciva comunque a reggere lo sguardo dell’avversario, che le s’ergeva maestoso
dinanzi; ella non aveva alcuna paura, anche se sentiva la sua gola farsi più
secca a ogni minuto che passava, “Tutta colpa dell’emozione, mantieni la calma.”
Continuava a ripetersi, cercando di frenare i battiti convulsi del suo
cuore.
Il suo sogno era a
un passo, poteva toccarlo.
Il Campione della
Lega di Hoenn si trovava davanti a lei.
E le stava parlando, con una voce
dolce e profonda, sembrava quasi di galleggiare sulle nuvole, udendola:
“Benvenuta alla Lega di Hoenn. Io sono il Campione, sei stata brava ad arrivare
fino a qui, lo devo ammettere. Era da tempo che non mi capitava una sfida degna
di questo nome.” Parlò quello, scrutandola con occhi brillanti, tali da sembrare
cieli stellati. Finalmente, le luci scesero, e la giovane potè ammirare a suo
piacimento l’avversario, non trattenendo però un moto di sorpresa: fino a quel
momento, era riuscita a distinguere solo la sagoma del Campione, e ora poteva
distinguerne anche i lineamenti, lineamenti molto particolari. Era un bel
ragazzo, dai corti capelli neri spettinati. Non poteva avere più di 18 anni, e
già questo particolare incuteva non poco timore: doveva essere un vero e proprio
genio se, a 18 anni, era Campione della Lega, probabilmente il più giovane tra i
Campioni. La ragazza aveva sentito dire che quel giovanotto era in carica da
quasi quattro anni, quindi lo era diventato quando aveva pressoché la sua età!
Era veramente stupefacente! “Mmm, secondo il profilo della tua Scheda, il tuo
nome è Asuka Michiyo, sbaglio?”
interloquì il moro, studiando attentamente la sua Scheda Allenatore. “Si, il mio
nome è Asuka.” Rispose tranquilla. “Dal tuo accento marcato e leggermente nasale
intuisco che non sei di qui. Da dove vieni?” le domandò, gentilmente; “No,
infatti. Sono giunta qui dopo quattro anni di viaggio, ma sono originaria di una
regione molto lontana da Hoenn; difatti, sono nata e cresciuta a Kanto.”. Udite
quelle parole, il viso del giovane uomo si bloccò, incredulo: “Come hai detto?
Puoi ripetere?” chiese, con un filo di voce. Asuka lo fissò interrogativa: “Sono
nata e cresciuta a Kanto, poi, all’età di 11 anni sono partita, ho attraversato
la regione, ho viaggiato per Johto e infine sono arrivata qui a Hoenn. Perché?
C’è qualche problema?” Spiegò con calma ma dal suo viso trasparì una profonda
inquietudine; “No, non preoccuparti. Senti, posso chiederti di mostrarmi il tuo
pokèdex? C’è una cosa che vorrei verificare…” la tranquillizzò il Campione,
visibilmente emozionato, non era un comportamento normale, valutò la sfidante,
porgendogli il suo piccolo palmare. Quando Asuka, incredula, glielo porse, il
Campione non seppe trattenere le lacrime, tra le mani, serrava il piccolo
palmare rosso, simile a un libretto. Aprendolo, schiacciò alcuni tasti, e fu
accolto da una voce meccanica che non udiva, ormai, da molti anni: “Io sono
Dexter, un pokèdex programmato dal professor Ookido per l’allenatrice Asuka
Michiyo, allo scopo di fornirle informazioni circa la cattura e l’allevamento
dei pokèmon.”. Sentito ciò, il Campione chinò il capo, Asuka avrebbe giurato, se
glielo avessero chiesto, che stava sorridendo: “Ne è passato di tempo, caro il
mio pokèdex…” sospirò, chiudendo gli occhi, mentre una lacrimuccia fuggiva dai
suoi occhi; Asuka, con aria interrogativa, titubante, si avvicinò: “Ehi, tutto a
posto?” domandò con una punta di apprensione. Il giovane uomo alzò il capo,
sorridendo: “Si, tutto a posto. È solo che mai avrei immaginato di incontrare
una allenatrice proveniente dalla mia regione d’origine. Esattamente, dove sei
nata?” le richiese. “Io sono di Masara Town, una piccola città a sud. E lei?”
Rispose la giovane, strabuzzando gli occhi: era sul punto di scoprire la verità
sull’ignoto Campione della Lega, un personaggio misterioso, di cui nessuno
sapeva nulla e la cui origine era sconosciuta perfino ai suoi colleghi
Superquattro. Il moro restò in silenzio per qualche istante, poi il suo viso si
distese in un ampio sorriso: “Ok. Allora vediamo di presentarci meglio, sono
stato proprio maleducato a non farlo prima, ne convieni? Il mio nome è Satoshi
Katsumoto, e sono nativo di Masara Town,
proprio come te”. Si presentò semplicemente, con un profondo inchino. Asuka
Michiyo non credeva alle proprie orecchie. “Io sono Asuka, piacere..” disse, non
con una punta di emozione nella voce, “No, dai, diamoci del tu. In fondo, siamo
o non siamo compaesani?” sorrise Satoshi, porgendole la mano per stringerla.
L’avversaria gliela serrò forte. “Bene, ora che ci siamo conosciuti meglio, che
ne dici di parlare un po’ e di sospendere la sfida? È da tempo che non parlo con
una persona di Kanto, e confesso di sentire un po’ di nostalgia. Vieni con me.”
La invitò, cedendole elegantemente il braccio. I due uscirono dalla
sala.
“Allora, dimmi un
po’. Come è la situazione a Masara?”
I due allenatori
erano uno di fronte all’altro, seduti a un tavolo con due tazze di tè fumante
davanti agli occhi; Satoshi aveva fatto accomodare la sua ospite nella saletta
riservata ai Campioni, e aveva preparato personalmente la calda bevanda per
entrambi. Nel breve periodo in cui il moro l’aveva lasciata sola, Asuka aveva
avuto tutto il tempo di guardarsi attorno: sulle pareti, di un caldo e
confortante color cremisi, v’erano appese innumerevoli cornici, ognuna di un
colore diverso che andava dal mogano all’ebano, passando per il color rame;
dietro i vetri, numerosi volti ammiccavano sorridenti, ma i loro volti
esprimevano malinconia e nostalgia. Tanta nostalgia. Una in particolare la
colpì: raffigurava due ragazzi, molto giovani, circa 12 anni, un ragazzo e una
ragazza vestiti con abiti tradizionali. Il ragazzo le era molto familiare, un
moretto dai capelli corti, così come la giovane; tra le braccia, entrambi
tenevano un pokèmon, un Pikachu il maschio e un Togepi la femmina. Erano
entrambi su una terrazza in legno, in lontananza si vedeva il mare illuminato
dalle fiaccole, ed era notte: quell’immagine l’aveva già vista! Che avesse un
legame con quella giovane? Un'altra fotografia mostrava un paesaggio campano,
sempre quei due ragazzi presenti, questa volta teneramente abbracciati,
attorniati da molte altre persone, alcune delle quali le ricordavano qualcosa..
“Si, ma cosa?” continuava a domandarsi Asuka, passando le dita su quei volti,
protetti dal vetro che, gelosamente, quasi fossero tesori, li custodiva, a
memoria imperitura.
“Vedo che hai
fatto la conoscenza con il mio passato.”, la voce del Campione la fece
sobbalzare; si voltò di scatto, giusto in tempo per schivare una piccola saetta
gialla che le balzò addosso a tutta velocità. Spaventata, ella si ritrasse,
maledicendosi poi per i suoi timori infondati: era solo un Pikachu! “Un momento…
Non c’era un Pikachu in quella foto?” le balzò in mente; il piccolo pokèmon
elettrico dalle sembianze di topo si arrampicò sulla spalla del suo allenatore,
e si raggomitolò sul suo capo, sorridendole amabilmente; i due si risedettero:
“Ti starai sicuramente domandando chi siano le persone nelle fotografie, vero?”
la prevenne Satoshi, prima ancora che ella aprisse bocca. La bruna annuì; “è la
mia famiglia. Sono le persone a cui tengo di più.” Spiegò quello. “E la
ragazza?” chiese prontamente.
Satoshi rimase un
istante in silenzio, mordendosi le labbra, poi sorrise malinconico: “E’ la
ragazza che amo.”.
Disarmante,
dolce.. Le parole di Katsumoto colpirono profondamente la ragazza. “Il suo nome
è Kasumi Yawa, ed è la Capopalestra di Hanada City. Da molto tempo non la vedo, e
ormai penso che si sia dimenticata di me… Ma io, non la dimenticherò mai. Ti
mostro una cosa. Vedi quell’uomo coi capelli grigi?” le chiese, alzandosi in
piedi. Asuka annuì, incapace di parlare dall’emozione, “Lui è il professor
Ookido, dovresti conoscerlo! E la donna accanto a lui, è mia madre, Hanako.”. Tutti quei nomi.. Ecco perché quei volti le erano
così familiari! Li aveva visti ogni giorno, e voleva un gran bene a quelle
persone! La signora Hanako preparava sempre degli ottimi biscotti, e il
Professore le aveva insegnato i primi rudimenti della cattura dei pokèmon. “Li
conosco tutti, mi hanno insegnato tanto. Eri tu allora il ragazzo di cui
Shigeru-sempai sente la mancanza, così come Kenji-sempai. Mi sono sempre
domandata chi fosse. Posso dire una cosa? Riguarda quella ragazza, Kasumi,
giusto?” interloquì, un po’ titubante. Satoshi inarcò un sopracciglio ma la
ascoltò: “Quella ragazza è venuta più volte a Masara, sempre accompagnata da un
altro ragazzo, e spesso si facevano accompagnare da Shigeru-sempai e
Kenji-sempai in brevi gite. Però sono sicura che non ti ha dimenticato, perché
una volta ho visto la medesima foto di voi due sulla terrazza poggiata accanto
al suo zaino, dopo una di quelle strane gite, mentre aiutavo la signora Hanako a
preparare una torta per la festa di paese. Sai, all’inizio ne rimasi colpita, ma
poi non ci diedi più molto peso.. Pensai che fosse un oggetto inutile, e che lo
volesse buttare via… Ora capisco cosa significava per
lei.”.
I due compaesani si zittirono, rimuginando per alcuni minuti;
Satoshi in particolare meditava sulle parole della sua nuova amica, che fosse
veramente così? Che Kasumi gli volesse davvero bene? Le sue labbra
s’incresparono di un dolcissimo sorriso, dopotutto perché non provare? In
alternativa, sarebbe ritornato ad Hoenn e non ci avrebbe pensato più. E poi, la
gioia di rivedere gli amici che aveva lasciato
“Asuka, prendi lo zaino, si parte.” Disse quello, prendendo da un
angolo un bagaglio verde smeraldo, e agganciandosi alcune pokèball alla cintura. Da un attaccapanni lì
vicino, accanto alla porta, prese un cappellino bianco e rosso, quel cappello
che lo aveva accompagnato a lungo nei suoi viaggi e che non avrebbe mai
abbandonato, e prese il piccolo topo elettrico sulle spalle; “Possiamo andare.”
pronunciò. La ragazzina lo guardò con espressione confusa: “Ma dove andiamo?”,
“A casa.”, replicò Sato con un sorriso.
Il
viaggio verso Johto fu lungo ma tranquillo, senza ritardi di sorta; raggiunsero
Kogane
City, in treno, dopo circa 4 ore di viaggio, e una volta lì attesero con
impazienza che giungesse il treno supersonico che li avrebbe condotti in pochi
minuti a Saffron City. Mentre la ragazza era
tranquilla e serena, il giovane che l’accompagnava era teso e spaventato, come
avrebbero reagito i suoi vecchi amici nel rivederlo? In fondo, era parecchio
tempo che era partito da solo, lasciando la famiglia e il suo paese. Per quello
che ne sapevano, lui poteva essere morto. “Su, sta calmo. Sono sicura che andrà
tutto bene.” gli parlò Asuka, mentre aspettavano il mezzo. Quando arrivò, i due,
mostrato il biglietto al controllore, salirono e si accomodarono accanto alle
porte. Durante quel breve viaggio, il piccolo topo elettrico fu molto agitato,
molto probabilmente per la vicinanza con la loro terra natale, e non rimase un
istante fermo. Finalmente, frenando placidamente, il treno arrivò a Saffron. Era
molto cambiata da quando Sato l’aveva visitata, era più moderna, più allegra.
“Seguimi, c’è un pullman che porta direttamente a Tokiwa City. Poi da lì la strada per Masara
è breve.” Spiegò l’allenatrice, prendendolo per una manica e conducendolo a viva
forza verso un piccolo banchetto poco lontano, dove un pullman attendeva il
segnale della partenza, “Ehi, aspetta!!! Fermati!!! Non correre così!!”. Alcuni
minuti dopo, erano già in viaggio; “Kanto è molto cambiata in questi anni, mi
piace!” affermò deciso il Campione, tenendo il suo Pikachu in braccio, mentre
traversavano a bordo del mezzo boschi e praterie, “Già, ma Masara è sempre la
stessa, non è mai cambiata, fidati. È sicuramente come te la ricordi.”.
Un ora dopo, filavano attraverso il piccolo bosco che separava
Tokiwa da Masara; Sato era tremendamente esagitato, e correva dietro al suo
pokèmon come un centometrista, suscitando le risate della sua compagna di
viaggio: “Se corri così non arriverai mai a casa, morirai prima per mancanza di
ossigeno.” Rise. Ma a Sato non importava, era felice. Felice di essere sempre lo
stesso di un tempo. Felice di ritornare a casa.
Felice.
Due ore
dopo aver lasciato la grande città, i due cominciarono ad intravedere i tetti
delle prime case di Masara,
illuminati dalle ultime luci del tramonto. I due rimasero senza fiato nel vedere
il disco solare, enorme, calare a poco a poco dietro i monti, e sparire in breve
alla vista. I nostri due eroi, dall’alto del colle che dominava il paese,
rimasero incantatati di fronte a tanta bellezza, come due naufraghi alla deriva
che vedono, in lontananza, la sagoma della terra natia. “Guarda, Pikachu, siamo
a casa.” Sospirò, felice come non mai, il Campione, carezzando la testolina del
suo compagno di sempre, del suo migliore amico, che diede in un gridolino di
approvazione. Lo sguardo del moro si spostò rapido su Asuka, “che temperamento
focoso!” Si ritrovò a pensare quello, con un risolino, “proprio come la mia
Kasumi.” Ammise, preparandosi psicologicamente a ciò che avrebbe dovuto
affrontare, chissà quanto era cambiata in quegli anni, quanto s’era fatta
carina!! A quel pensiero arrossì vistosamente, tant’è che dovette nascondere il
viso sotto il cappello, e trattenere a stento una serie di risolini convulsi.
Era ormai sera, e la città, illuminatasi di centinaia e centinaia di lampade,
sembrava in festa: “Me n’ero dimenticata!! La festa di paese!!” esclamò
l’allenatrice battendosi una mano sulla fronte, “è vero! La fanno sempre in
questo periodo! Beh, meglio così, almeno non dobbiamo andare a cercare tutti in
giro per le case, no?” disse ottimisticamente Satoshi, cominciando a correre giù
dalla collina, seguito da Pikachu; Asuka scossa la testa e gli andò dietro.
L’intero paese era illuminato da decine e decine di lampade di carta di riso, e
ovunque si vedevano persone in abiti tradizionali, donne in colorati
Homongi, a braccetto di uomini con i tradizionali
kimono scuri, bambini e bambine con piccoli Homongi colorati di tinte che
andavano dal rosso al dorato, spesso con decorazioni raffiguranti fenici e
simili; giovani ragazze dagli splendidi Furisode
decorati con draghi e arabeschi, perlopiù color argento. C’era un clima di
allegria e il tradizionale corteo, accompagnato dal suono forte e solenne dei
daiko in mogano e acero, contrapposto a quello dolce che chiudeva il corteo dei
koto in ebano, suonati da un orchestra formata da sole ragazze. Una voce fece
sobbalzare i due ragazzi: “Siete forestieri? Non sapete che oggi è festa in
paese e si deve indossare l’abito tradizionale?”; i due si voltarono , e
incrociarono lo sguardo di un vecchio sacerdote, dalla caratteristica veste
bianco latte e dalla fascia rossa in vita: “Venite con me, non potete
partecipare alla cerimonia senza un kimono.” Disse, conducendo i due giovani,
alquanto confusi, verso un vicino tempio. Pochi minuti dopo, i due ragazzi
uscivano dall’edificio, indossando entrambi uno splendido kimono tradizionale,
Asuka lo aveva color cobalto con decorazioni di arabeschi color oro, mentre
Satoshi un comodissimo kimono nero, come i suoi capelli, con una fascia d’oro in
vita, entrambi avevano una piccola borsetta dove tenevano le loro pokèball. Ora
erano pronti per partecipare alla cerimonia; improvvisamente, il ragazzo
intravide una folta capigliatura rossiccia danzare tra la folla, seguendo la
processione a ritmo di musica, e il suo cuore andò a mille, cominciando a
battere all’impazzata, era lei! Ne era certo! Con uno scatto, corse in avanti,
seguito dalla compagna e cercò di farsi strada tra le persone, facendo
attenzione a non calpestare i piedi a qualcuno, non voleva perderla di vista;
poi, finalmente, si fermò e prese a parlare con un ragazzo molto alto, dal
kimono verde e argento, con corti capelli scuri. Qui, il cuore di Sato si fermò
per lunghissimi secondi, non era possibile, che la sua Kasumi fosse fidanzata?
Si fermò anche lui, stringendo i pugni. “Ehi, ma quello è Takeshi-san!!! È un
grande amico di Kenji-sempai, non pensavo fosse qui anche lui!” esclamò Asuka,
giunta in quel momento e vista la scena; Sato strabuzzò gli occhi, “Takeshi???
Kami, non lo riconoscevo!” esclamò il Campione, al colmo della gioia, Kasumi e
Takeshi erano sempre stati buoni amici, ma non si sarebbero mai messi insieme,
di questo il moro ne era sicuro. Però…
“Che aspettiamo?
Perché non andiamo?” esclamò Asuka, distogliendo il ragazzo dai suoi pensieri;
“No.” Disse solo, prima di voltarsi e correre, in direzione opposta rispetto
alla ragazza. Asuka era sconvolta, perché si era comportato così? Con tutto il
fiato che aveva in gola, prese a urlare il nome del Campione: “SATOSHI!!!!!!!
SATOSHI!!!!!”.
Il moro correva
via lontano, seguito da Pikachu, non se la sentiva di parlare con loro. Non dopo
quello che aveva fatto… Se n’era andato via, per rincorrere un sogno, uno
stupido sogno, che diritto aveva di ripiombare in quel modo nelle loro vite?
Nessuno. Giunto in cima alla collina da cui erano arrivati in paese poche ore
prima, il giovanotto dai capelli scuri si sedette sul prato, tenendo Pikachu tra
le braccia, “Sarò anche il Campione, ma come amico valgo meno che zero…”
constatò, con una punta di rammarico. Immerso com’era nei suoi pensieri, il
bruno non si accorse di un lontano scalpiccio di piedi che si avvicinava. Dopo
pochi minuti, un urlo penetrante gli trapanò le orecchie, spaventandolo non
poco; fece appena in tempo a voltarsi che dal bosco sbucò un ragazzo, vestito
con un kimono violetto, inseguito da un enorme Rhyorn; il ragazzino incespicò e
cadde pesantemente a terra, non c’era tempo da perdere! Istintivamente, Sato si
parò a sua difesa, estraendo una sferà pokè dalla cintura: “Articuno,
aiutaci!!”. Dalla sfera uscì un bellissimo uccello dal piumaggio azzurro, che
diede in un grido, e colpì violentemente il pokèmon attaccante con letali
cristalli di ghiaccio, mettendolo in breve fuori combattimento. Subito, il
Campione si accertò delle condizioni dell’altro ragazzo, tremante e spaventato
dietro di lui: “Ehi, tutto a posto?” si preoccupò, aiutandolo ad alzarsi, “Si,
grazie… Mi hai salvato…” mormorò, ancora sotto shock; Sato decise che non era il
caso di lasciarlo lì da solo, così richiamò il suo bellissimo pokèmon: “Vieni,
ti riaccompagno in paese, non puoi rimanere qui.” Affermò premuroso. L’altro
annuì, così cominciarono a scendere. Una decina di minuti dopo, erano di nuovo
nella piazza: “Dove vuoi che ti accompagni?” gli chiese, aiutandolo a camminare,
“Lo vedi l’angolo del piazzale? Ho appuntamento con degli amici lì. Se vuoi puoi
unirti a noi. A proposito, non ti ho mai visto, non sei di Masara vero?” lo
invitò, “Diciamo di no.” Ribattè il “salvatore”. Pochi istanti dopo, una voce
maschile chiamò il ragazzo: “Ehi Shig, dove eri finito?? È da un po’ che ti
stiamo aspettando!!”.
A quelle parole,
l’allenatore si voltò, e vide un gruppo di ragazzi poggiati mollemente al
muretto, e c’era anche Asuka con loro!! “Guarda un po’ chi è tornato! Ti ricordi
della piccola Asuka, vero?” presentò lo stesso ragazzo dal kimono verde di
prima, “Certo! Ehi bimba! Battuto il Campione?” gli replicò l’interpellato
sorridendo, aiutandosi con la spalla di Sato per avvicinarsi. La bruna sorrise,
e indicò un punto accanto al violetto: “Non proprio, Shigeru-sempai, però lui è
accanto a te.” Disse, strizzando l’occhio al compagno di viaggio. Shigeru si
ritrasse come se si fosse scottato, voltandosi poi verso il suo salvatore, che
chinò il capo imbarazzato, “Asuka, ti uccido ora o preferisci morire più tardi?
Ti accordo ampia libertà di scelta!” esclamò Sato, rosso in volto;
improvvisamente, una piccola saetta colpì Il Campione alla schiena: “Ahia,
Pikachu!! Mi hai fatto male!!”
disse con enfasi, massaggiandosi il punto colpito e dolorante,
prendendolo poi in braccio, “scusa, ti ho lasciato su, mi dispiace piccolo.” Si
giustificò, voltandosi poi verso Asuka e i suoi amici, ormai era in ballo e
doveva ballare. Accennò un leggero inchino, traendo di tasca una piccola badge
color oro: “Piacere di conoscervi.” Si presentò, mostrando la badge. Tutti erano
allibiti: “C’era un nostro amico che era partito, molti anni fa, per sfidare la
Lega e il suo Campione, ma non è più tornato, l’ha mica incontrato?” intervenne
subito Shigeru, malinconico, sedendosi accanto a Kasumi, visibilmente rossa in
viso, non riusciva a reggere lo sguardo del misterioso nuovo arrivato, ma non
sapeva perché. C’era qualcosa in quello sguardo che la turbava non poco.
“Ma certo che l’ha
incontrato!”.
Le parole di Asuka
fecero sussultare i presenti, ma soprattutto Sato, “Certo che l’ha incontrato!”
ripeté, indicandolo poi “è lui!” disse, sorridendo sorniona a Satoshi.
Sul gruppo, calò
un silenzio gelido, mentre Sato, terrorizzato, non riusciva a guardare in volto
gli altri; pochi secondi dopo l’annuncio, sentì una mano sulla sua spalla:
“Campione, eh? Sono contento per te, razza di scemo!” lo abbracciò Shigeru.
Pochi istanti dopo, e Sato fu colpito a tradimento da un pugno sulla testa:
“RAZZA DI STUPIDO!! HAI IDEA DI QUANTO MI HAI FATTO PREOCCUPARE?? TI PENSAVAMO
MORTO!!!”, Kasumi ebbe uno slancio, spostò in malo modo Shig e abbracciò
convulsamente la vita del moro, “L’ho sempre detto, Satoshi Katsumoto è un
cretino!” ripetè Kasumi, piangendo. “Il cretino però ora è qui, e vivo e
vegeto.” Le sussurrò quello all’orecchio, stringendola più forte. Dietro di
loro, non vista, Asuka fece il segno di
vittoria.
BUON COMPLEANNO FEDINA!!!!
BY SHUN©