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Autore: bastille    25/05/2013    8 recensioni
[Questa fan fiction partecipa al contest “Let’s go have some craic” di Caffelatte e Bloody Alice] 
Raggiunge la superficie e New York piange.
Piange per Edgar che dovrebbe richiamare e non lo fa.
Piange per mamma che urla per il suo rossetto rosso consumato.
Piange per il ragazzo dagli occhi color verde acqua che ha i capelli biondi, forse morbidi, e forse l’ha vista, stavolta.
Piange per Rika che inciampa e fatica a rialzarsi.
New York piange e Rika ha paura dei lampi.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edgar Valtinas, Mark Kruger, Suzette/Rika
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: chwyldro
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Prompt: metropolitana
Pairing: Rika Urabe/Mark Kruger – [Accenni alla Rika Urabe/Edgar Valtinas]
Parole: 2464 -secondo Word- senza contare le note.
Note: ci tengo solo a precisare che in questa ff Rika non è mai stata innamorata di Ichinose e lo conosce solo perché sa che è amico di Mark, stop.
Lei infatti vive a New York e ha una specie di relazione a distanza con Edgar. -odioprofondo*coff*
Ho scelto la Rika/Mark perché, secondo me, stanno bene insieme: intendo dire che sono complementari e che, in un certo senso, a causa dei loro caratteri così diversi, appunto, si potrebbero completare a vicenda. -scusate, io e le spiegazioni non andiamo molto d’accordo .u.-
Il punto è che sono una crack che io amo da morire e che, tutto sommato, si regge in piedi e ha un suo perché.
Ringrazio Bloody Alice e Caffelatte per avermi dato la possibilità di partecipare e auguro buona fortuna a tutti <3
Detto questo, spero solo di aver scritto qualcosa che sia degno di partecipare ad un contest.

 


 
 
 
 
 

 

 subway lines.

 .:I’ve fallen for your eyes, but they don’t know me yet.
 

 
 
 
 
 
Rika sale sulla metropolitana e non presta attenzione al borbottio scocciato della signora cicciottella, seduta davanti, o alle risatine delle sue compagne di scuola che la vedono e non la salutano. In testa ha ancora la voce della madre, che si confonde con quella di Adele nel suo Ipod; spera solo di incontrarlo, e forse la giornata andrà meglio.
Si porta una ciocca di capelli blu dietro le orecchie, per poi dare una veloce occhiata al gruppo di ragazzi seduti in fondo, sperando che nessuno noti che la pioggia le ha portato via quasi tutto il mascara.
La metropolitana inchioda con un cigolio che la voce di Adele copre e Rika non sente, mentre quest’ultima si aggrappa ancora di più al palo in ferro. Lo vede però; lo vede salire, dietro ad un uomo tozzo e con un’orribile cravatta a pois, lo vede farsi largo tra la gente, con quei capelli sbarazzini e le mani affondate nelle tasche dei pantaloni beige. E spera ogni volta che le sfiori la mano, o gliela stringa per salutarla.
Lui però, sorridendo, si dirige verso i suoi amici, la supera lentamente, e forse non la vede nemmeno, forse è l’ennesimo ostacolo che lo separa da loro.
Rika abbassa lo sguardo e improvvisamente trova interessante i lacci delle sue scarpe rosse, o il chewing gum attaccato al tacco della signora di fronte a lei.
Cerca di farsi invisibile, cosa un po’ impossibile con quei capelli azzurri che si ritrova, e il più piccola possibile per non dare fastidio all’uomo di fianco a lei, che barcolla ad ogni fermata.
Cambia canzone non appena sente che parte quella sbagliata, perché sa che per i lunghi viaggi ci vogliono canzoni adatte, e per quegli occhi verde acqua ci vuole l’ultima della playlist.
Si gira distrattamente e lo osserva: sta ridendo, probabilmente ad una battuta dell’amico biondo. Ed ora si ritrova ad immaginare la sua risata, che non ha mai sentito, e la immagina roca e profonda, un po’ come le buche in cui inciampa, per poi rialzarsi a fatica ma facendo finta che non sia successo nulla. Ma la sua, nonostante tutto, è pur sempre una risata composta e mai eccessiva, non come quella di Rika che, a detta di sua madre, la fa sembrare “una gallina strozzata”, troppo chiassosa ed irritante.
Pensa poi ad Edgar che dovrebbe richiamarla, ma non lo fa, e alle cicatrici invisibili che le lascia quel dannato telefono che dovrebbe suonare, ma non lo fa. E pensa ad Edgar, ma non capisce che lui non lo fa. Se solo guardasse il vetro del finestrino noterebbe che ha gli occhi lucidi, ma non piange, non ancora, e forse non lo farà neanche, perché Rika è così: piange per le cose stupide e mai per quelle giuste.
Sospira, stringendosi nella giacca che odia da morire perché le fa le spalle troppo larghe e non si intona per niente con il colore della sua carnagione, ma, nonostante questo, la indossa volentieri perché gliel’ha regalata Touko. E lei vuole bene a Touko, più di qualsiasi altra cosa al mondo, anche se non capisce nulla di moda.
Evita la ragazza con il cappellino nero e il signore anziano, che sembra trovarsi lì per sbaglio e che ha lo sguardo perso come il suo; scusandosi con il signore dalla cravatta a pois -assolutamente da buttare via-, per avergli dato una spallata, passa davanti al gruppetto di ragazzi che osserva ogni giorno da due anni, e lo fa a testa alta e senza degnarli di uno sguardo. Perché Rika non si mostra mai sbadata, non balbetta mai e non arrossisce mai, davanti ad un ragazzo: è lei a mettere in imbarazzo gli altri con la sua euforia e la sua parlantina fin troppo gioiosa.
Peccato che sbatte contro il braccio del ragazzo biondo, e non riesce a fare a meno di notare i suoi strani e orribili occhiali quando questo le sorride.
Ha un’aria simpatica, tutto sommato.
-Mi dispiace- mormora, facendo una smorfia, e non capisce la sua risposta perché ora Ed Sheeran canta troppo forte nel suo Ipod. Se abbassasse un po’ il volume si renderebbe conto che lui le ha detto: “Non importa.”
Lancia un’occhiata al ragazzo dagli occhi verde acqua e, sorpresa, nota che la sta guardando, e forse la vede anche. E pensa che forse i suoi capelli biondo cenere sono morbidi, e magari profumano di arancia.
Scuote lievemente la testa, come per risvegliarsi da una specie di trance, e si affretta ad uscire prima che la metro si chiuda di nuovo. E, una volta scesa, si sente più leggera.
Raggiunge la superficie e New York piange.
Piange per Edgar che dovrebbe richiamare e non lo fa.
Piange per mamma che urla per il suo rossetto rosso consumato.
Piange per il ragazzo dagli occhi color verde acqua che ha i capelli biondi, forse morbidi, e forse l’ha vista, stavolta.
Piange per Rika che inciampa e fatica a rialzarsi.
New York piange e Rika ha paura dei lampi.
Si fa largo tra la solita massa di persone che sembra la stiano per soffocare ogni volta, per raggiungere correndo la scuola.
La ragazza si passa una mano tra i capelli bagnati, mentre si sfila i Three Days Grace dalle orecchie, attenta a riporre con cura le cuffie intorno all’Ipod -anche se sa che si intrecceranno lo stesso-, e chiude l’anta dell’armadietto.
Lo sente arrivare, più che altro sente la voce dell’amico con quegli occhiali così fuori moda che le fanno prudere le mani, e non riesce a non voltarsi, per poi scoprire che la guarda anche lui. E le sta pure sorridendo, ma lei riesce solo a stiracchiare lievemente le labbra e se ne va, dandosi della fallita rammollita e sfigata.
E pensa che forse Edgar ha fatto bene a non richiamarla.
 
 
 
Si chiama Mark.
Gliel’ha detto la sua compagna al corso di chimica, quella grassottella con le lentiggini color carota e la passione per il viola e il giallo insieme. Orrore.
E Rika gliel’ha detto, l’ha fatto più di una volta, che quei colori insieme non vanno, ma lei continua a dire che non importa e che va bene, e allora la blu si offende perché cerca di aiutarla ad “essere carina quanto basta per acchiappare qualche ragazzo” ma lei rifiuta il suo aiuto, facendola sentire inutile.
Mark sale quando i Coldplay iniziano a cantare; ha le gote leggermente arrossate, forse ha corso.
Lei con la coda dell’occhio lo vede sedersi al solito posto, di fianco a Dylan, e inizia a mangiarsi le unghie quando sente il suo sguardo insistente sulla schiena, maldicendolo per averla indotta a quell’azione che le costerà cara, quasi tutta la sua paghetta.
Ichinose gli chiede se ha fatto i compiti di matematica e lui annuisce distrattamente, cercando di capire se i capelli di Rika siano naturali o tinti. E poi realizza che non gli importa più di tanto; sarebbe bella comunque.
Rika canticchia e non sa che Mark la sta guardando.
Scende e corre per le strade affollate della Grande Mela che ha i muri bagnati, ma non piange più.
Edgar non l’ha ancora richiamata, e lei corre.
Corre e corre, e forse un giorno si fermerà.
 
 
 
Ed Sheeran sussurra e lei vede tutto appannarsi.
-Sei la ragazza più affascinante che io abbia mai avuto il piacere di incontrare- le dice Edgar, sorridendo appena -… ma non credo che tu sia adatta a me. Non fartene una colpa, succede.-
Succedono molte cose, già: succede che tu cada davanti a tutti, diventando rossa dall’imbarazzo, succede di indossare un vestito che non sta bene con le scarpe, o di dire cose fuori luogo… e ora Rika si segna alla “lista dei succede” anche il fatto di essere stata presa in giro per mesi e mesi da un perfetto idiota gentleman inglese.
Che poi, non ricorda neanche più cosa le piacesse davvero di Edgar: in fondo i suoi modi da damerino non le erano mai piaciuti granché e, anzi, a volte li trovava davvero imbarazzanti.
Però, nonostante tutto, piange. E non sa se piange per l’umiliazione subita, o per l’insufficienza in matematica. È per il compito, si dice.
Perché Rika è fatta così: è davvero convinta di riuscire ad ingannare se stessa, anche davanti l’evidenza.
È seduta su una panchina in periferia e fa buio, e trema per il freddo.
Lei piange ed Ed Sheeran ora urla.
Porta le ginocchia al petto, sapendo perfettamente che tra un po’ ci saranno i tuoni e lei ha paura.
Trema ancora di più quando vede un’ ombra sedersi vicino a lei, troppo vicino.
-Ciao- dice tranquillo. È un ragazzo, quello con quegli splendidi occhi verde acqua che le fanno venire un nodo allo stomaco e che lei, seppur amandoli, odia da morire perché la rendono così stupida ed impacciata, così poco… così poco Rika.
Lei non risponde, un po’ perché non riesce a parlare e un po’ perché, dopotutto, sa che presto la lascerà di nuovo sola. O almeno, ci spera.
-Ti chiami Rika, giusto?- chiede gentilmente, e lei percepisce un sorriso nell’oscurità.
La ragazza dai capelli azzurri annuisce lentamente, per poi trattenere un sorriso al pensiero di poter finalmente associare una voce a quel volto angelico. Una voce roca per l’esattezza, proprio come lei ha immaginato.
-Sei di poche parole, a quanto pare. Peccato, sembravi molto più spigliata ed estroversa…-
Eppure Mark sa che è una chiacchierona della peggior specie, una di quelle che, una volta iniziato un discorso, non si fermano più, così come sa che gesticola molto, troppo, e che ha un’enorme passione per la moda e tutto ciò che è rosa... ma non si spiega perché le ha chiesto il nome, facendo finta di non saperlo o non ricordarlo, quando ciò che avrebbe dovuto dire era ben altro.
-La sono, infatti. E lo stesso non si può dire di te: sei sempre così… calmo.- è un sussurro, quello di Rika, che ha bisogno di ribattere. E magari l’ha detto con un po’ troppa acidità, dato che il ragazzo ha abbassato il capo, ma quel “peccato” le ha dato fastidio. E poi, è vero, la sua tranquillità e la sua compostezza la innervosiscono un pochino, anche se potrebbe davvero passarci sopra per lui.
Ora però si è pentita, perché così non riesce più a vedere i suoi occhi.
-Io sono Mark- dice improvvisamente lui, interrompendo i suoi pensieri, e porgendole una mano che lei stringe con una certa riluttanza. E le sue guance si tingono leggermente di un rosa impercettibile, ma Rika sa che è lì ed è infastidita.
-Lo so.-
Si morde la lingua, perché sa che non avrebbe dovuto dirlo ma ormai è tardi.
-Lo sai?- chiede Mark, curioso.
-Io ti vedo.-
-In metro?-
-Ovunque. Mi innamoro di te quasi tutti i giorni, da due anni.- inizia Rika quello che sembra essere il solito discorso tra due ubriachi che il giorno dopo non ricorderanno nemmeno di essersi incontrati -Mia madre mi urla contro, il mio ragazzo mi evita, ma poi sali tu sulla metropolitana e mi ritrovo a pensare a quanto morbidi devono essere i tuoi capelli. E mi basta vederti la mattina entrare dopo il signore con la cravatta a pois, e tutto sembra andare bene. E forse la giornata migliorerà davvero. E non so perché te lo sto dicendo, perché mi sto rendendo ridicola, e questo non è da me, e mi fai innervosire perché mi fai sembrare impacciata e io n- si blocca, dopo un po’, perché finalmente si è resa davvero conto di quello che sta dicendo.
Mark la guarda come se venisse da un altro pianeta e conferma la teoria di Domon, che dice che le donne vengono da Marte. E poi scoppia a ridere, ma non è la sua solita risata composta, quella che lei ha immaginato per tutto il tempo, anzi. Il ragazzo è lì, vicino a lei, più vicino di prima, che si porta le mani sul ventre e scuote la testa.
E Rika ora vorrebbe solo sparire e pensa di non mettere mai più piede in metropolitana per i prossimi dieci, cento anni. Mille. Sempre.
Il biondo la fissa, sorridendo, e riesce a sentire il profumo di vaniglia dei suoi capelli.
-Beh, se l’avessi saputo prima ti avrei cercata.- ammette, arrossendo, anche se lei non può vederlo.
-Mmh- mormora lei, abbassando lo sguardo.
E prima che riesca a rendersene conto, Rika sente le labbra di Mark sulle sue. Dolci.
La menta delle caramelle che sua madre gli mette sempre nella tasca della giacca, prima che esca, e la fragola del lucidalabbra che le ha regalato Touko al suo compleanno, quando era infuriata perché sua madre non le aveva comprato i tacchi che voleva.
Un lampo squarcia il cielo scuro di New York, e Rika non ha più così tanta paura.
 
 
 
Ed Sheeran canta e Rika sorride alla signora anziana che guarda con amore il nipotino, mentre questo gioca con una macchinina rossa.
Si siede dietro alla ragazza con il cappellino nero, che non smette di armeggiare con il telefono, e pensa di ringraziare Edgar per non averla richiamata.
La metro si ferma e il suo cuore sussulta quando vede entrare Mark, che ha le gote arrossate anche oggi. E anche lui sorride alla donna grassottella che guarda il suo riflesso sul finestrino con orgoglio, sperando di non avere nulla fuori posto.
Si avvicina come ogni giorno, ma stavolta la guarda e la vede. E Rika sorride, continuando a ringraziare Edgar per non averla chiamata.
Mormora un “ciao” e le lascia un delicato bacio sulla fronte, ancora prima che la metro riparta.
I suoi capelli sbarazzini le solleticano le guance e il suo sorriso si allarga ancora di più, anche se non profumano di arancia come ha immaginato.
Lei profuma di vaniglia e lui di caffè amaro, perché non gli piace lo zucchero al mattino e Rika lo sa.
Sa che non ama indossare le scarpe bianche perché si sporcano facilmente, che non riesce a non ridere alle battute idiote del suo amico Dylan, che odia l’odore del fumo e quando i suoi amici lo prendono in giro perché sua madre lo chiama “bambino mio”. Sa che ama il calcio più di qualsiasi altra cosa al mondo e che ha paura dei clown da quando, per la festa dei suoi sette anni, suo papà ne aveva ingaggiato uno.
-Ciao- sussurra lei dolcemente.
Mark la prende per mano e la trascina dai suoi amici, che vedono e sanno.
Nessuno di loro dice nulla, non ce n’è bisogno: il loro amico è felice, e questo a loro basta.
Perché, nonostante tutto, è bello alzarsi prima la mattina, correre come furie verso la fermata della metro, e prendere sempre quella più affollata, solo per vederlo cercare la stessa ragazza dall’inconfondibile chioma azzurrina da due anni.
Nessuno dirà nulla, non ha importanza adesso.
 

  
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