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Autore: Lilith in Capricorn    01/06/2013    1 recensioni
Il giovane chitarrista rock Andy Syte è appena morto, all'età di 27 anni.
Ma non è di lui che questa storia parla, non esattamente: la sua dipartita è soltanto la prima tessera di domino che cade, colpendo indirettamente tutte le altre, in una spirale di illusioni, disillusioni, "epifanie" e riflessioni, raccontate da un coro di 5 voci, completamente diverse, ognuna con un suo diverso stile narrativo, ognuna vittima di un differente tipo di illusione.
Prima classificata al contest "Con una citazione migliora tutto!" di Niananima, con la citazione di Baricco: "Deve essere una specie di hobby: collezionare illusioni di cui non essere all'altezza."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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In questo capitolo, sono felice di presentarvi il personaggio di Jana che, per certi versi, mi somiglia abbastanza, per il resto è quasi il mio opposto.
Ringrazio tutti i lettori che seguono questa storia e vi rimando all'appuntamento con il prossimo capitolo (l'ultimo).
Buona lettura :-)!



LA FILOSOFIA DI RUSSIA

 

04-Jana Esposito (la libertà)

Non so come mi sia saltato in testa di mettermi a scrivere un diario: la trovo una cosa stupida, in realtà.
Le uniche persone che scrivono diari, al giorno d’oggi, sono solo le sciocche adolescenti in piena crisi ormonale da pubertà e qualche pseudo scrittrice in erba, specialmente quelle che pubblicano poesie – o almeno quelle che oggi spacciano per poesie.
 
Non mi è mai piaciuto molto scrivere – sebbene i professori di lettere abbiano sempre lodato molto i miei temi – soprattutto odio scrivere a penna: la trovo un’operazione faticosa, lenta e inefficace.
La mia mente viaggia ad una velocità troppo elevata perché la mano riesca a starle dietro e, oltretutto, non ho una grafia molto comprensibile, per cui l’atto di scrivere, a me, risulta molto difficile.
 
Ecco, proprio mentre sto scrivendo, la mia mente è già volata oltre e sto pensando a lui.
Chissà, magari è proprio a causa sua se stamattina, quando sono entrata in quella cartolibreria solo per comprare una penna, alla fine, ne sono uscita fuori con un quadernino grigio topo.
Lo so, non è un colore molto bello, ma credo sia quello che mi rispecchi meglio: è il riflesso fumoso della mia anima.
 
*****
 
So che bisognerebbe indicare la data, all’inizio, ogni volta che si scrive in un diario – qualcuno scrive addirittura l’ora! – ma a me non va.
Forse, perché non considero queste pagine come un diario: diciamo che sono solo un mezzo per estirpare dalla mia testa qualche pensiero.
 
Non ho mai avuto molti amici – per non dire nessuno – e non ho mai sentito il bisogno di sfogarmi o di confidarmi con qualcuno: sono sempre stata piuttosto brava a custodire dentro di me ogni cosa e a dissimulare qualunque turbamento.
Non vedo che scopo abbiano le confidenze e le confessioni, non ci vedo nessuna utilità pratica nel raccontare i fatti miei a qualcuno, sono sempre bastata a me stessa.
 
Eppure, quando l’altro giorno ho visto questo piccolo quaderno dalle pagine bianche – senza quadretti né righe – abbandonato con noncuranza tra le penne – in uno scaffale che, evidentemente, non era nemmeno il suo – qualcosa mi ha spinto a comprarlo.
Una necessità, un istinto, un dovere … non so neanche io bene cosa.
Ultimamente, non so più niente: la mia vita mi sembra così incerta, sfocata, sottosopra, senza senso.
L’unica costante certa è il profondo desiderio di solitudine e, soprattutto, libertà che sento in ogni momento.
 
*****
 
Spesso, mi chiedo dove stia il problema: se in me o nella società.
Perché non è possibile che, in ogni momento, io mi senta sempre come un pesce fuor d’acqua.
Io la gente non la capisco, mi sembra così assurda, così artificiale, così distante: e se sono solo io a pensarlo, forse, il problema è in me.
Tutti sembrano sapere tutto: cosa vogliono, cosa è importante, cosa bisogna fare, quello che è buono, quello che non lo è, quello che è vero, quello che no …
 
Da dove gli vengono tutte quelle certezze?
Come fanno a sapere in che modo bisogna vivere?
Perché tutti sembrano incastrarsi così bene nel mondo, mentre io, invece, mi sento come un ingranaggio corroso dal malfunzionamento, dall’aritmia?
 
È tutto così … troppo veloce, troppo fuori tempo, rispetto ai ritmi della natura.
Abbiamo reso ogni cosa schiava dell’uomo: perché non ci alziamo più quando si alza il sole e non ci corichiamo con esso?
Perché coltiviamo le piante in modo da avere in inverno frutti che si trovano solo in estate e viceversa?
Perché consumiamo la Terra più rapidamente di quanto essa non si rigeneri?
Perché vogliamo stravolgere così a fondo i ritmi naturali, i miei ritmi, quelli lenti e ciclici?
 
Non so perché, ma sento che il mio corpo non riesce a tollerare l’ambiente e i ritmi artificiali, ma solo quelli originali e naturali.
Ma io non sono un animale, sono una persona e per questo non ho scelta, posso seguire solo la via che la mia specie ha tracciato per me.
Non posso fare a meno di sentirmi completamente in gabbia – in un modo che gli altri nemmeno possono concepire o immaginare.
 
Ci ho provato, qualche volta, a parlarne con qualcuno, a spiegare come mi sento: nessuno ha capito, anzi, qualcuno mi ha persino riso in faccia, qualcun altro, la maggior parte, mi ha consigliato di parlare con la psicologa della scuola, visto che tanto è un servizio gratuito che ci viene offerto.
Fanculo gli strizzacervelli! Le loro teorie, le loro poltroncine e le loro inutili terapie se le infilino dove dico io!
 
*****
 
Oggi il professor Kelly, dopo l’interrogazione, mi ha chiesto di rimanere in classe cinque minuti per parlarmi.
Lì per lì ho pensato che, forse, avevo fatto qualcosa di male – anche se non riuscivo a capire cosa – o che anche questo nuovo prof, come tutti gli altri, volesse farmi perdere tempo parlando del mio silenzio, della mia solitudine e del mio rifiuto di inserirmi in un contesto scolastico e sociale.
 
Lo hanno fatto tutti, i primi tempi, quando ancora non mi conoscevano bene: poi, un giorno, una professoressa mi ha dato della “disadattata” e, anche se sapevo che non aveva intenzione di offendermi, io mi sono offesa eccome e sono saltata su tutte le furie, urlando tanto forte da attirare l’attenzione del preside che stava passando lì vicino, in corridoio.
Disadattata a chi?! Semmai, siete voi, tutti voi, i disadattati e nemmeno ve ne rendete conto!
 
Comunque, dopo quell’episodio mi hanno sempre lasciato in pace, perché avevano finalmente capito che non c’è niente da fare, con me.
Naturalmente, ogni volta che un prof nuovo si presenta e, non conoscendomi, si mette a fare il buon samaritano, devo ripetere tutta l’operazione daccapo, anche se, comunque, non si è mai più verificato un episodio come quello.
 
Pensavo che anche Kelly, come tutti gli altri, si fosse messo in testa di “correggermi” o “aiutarmi”, in qualche modo.
Invece, non mi ha fatto nessuna domanda sulla mia vita e nemmeno ha accennato a qualche problema o alla proposta di una psicologa o roba simile.
Ha parlato, solo parlato, come si fa con una persona qualunque, con un amico.
Mi ha parlato e, anche se non ero tenuta a rispondere, l’ho fatto lo stesso: sembrava quasi che parlassimo la stessa lingua, che seguissimo un ritmo simile.
Sembrava quasi capirmi.
 
*****
 
Non era la prima volta che mettevo gli occhi sul prof Kelly: è un tipo strano, con l’aria da artista distratto – anche se lui, con l’arte, non c’entra proprio niente.
Come me, sembra stare su un mondo a parte, sganciato dalle regole e dai ritmi artificiali.
Eppure, a differenza mia, lui sembra capirlo il mondo umano.
Non solo, riesce anche ad infiltrarsi piuttosto bene, in mezzo alla folla, risultando solo vagamente eccentrico e peculiare, non un pazzo disadattato come me.
Forse, perché lui è un adulto e da un uomo della sua età ci si aspetta che sia completamente uniformato e inserito, anche se conserva ancora qualcosa della sua personalità adolescenziale.
 
Chissà com’era, quando aveva la mia età?
Chissà se anche lui si è sentito solo e fuori posto?
O magari, chissà, anche allora aveva l’abilità di fingersi “normale”, anche se sinceramente non saprei dare una definizione appropriata del normale: che vuol dire “normale”?
Chi è che stabilisce cosa è normale e cosa non lo è? La società, certo: ma la società è formata da tante – forse troppe – persone.
Da dove parte l’idea? Chi è che davvero detta le regole – non le leggi, le regole?
 
Esiste forse una sorta di coscienza comune?
O forse, invece, è solo la voce della maggioranza?
Oppure, magari, c’è un gruppetto di persone molto ricche e influenti che, senza che noi ce ne rendiamo conto, con metodi e mezzi subdoli e difficili da identificare, stabilisce qual è la direzione del momento e il ritmo da seguire?
E noi tutti ad andargli appresso, come un enorme gregge di pecore senza cervello, che non capiscono un tubo?
Ok, forse quest’ultima ipotesi è un po’ surreale e complottista, ma credo che siano domande da porsi, comunque.
 
*****
 
Non amo molto parlare e alla gente, comunque, non piacciono i miei discorsi e le mie opinioni e talvolta neanche mi ascoltano, ma con Aaron è diverso.
Anche se sono ancora molto restia a raccontare di me e delle mie idee, lui è speciale: in qualche modo, riesce sempre a spingermi a rispondergli e a parlargli, senza che neanche debba insistere.
Non so, è una cosa molto “fluida” e naturale: non ci sono forzature, non percepisco imbarazzi e non ho paura che lui non mi capisca o che mi trovi strana.
 
Non sta lì a giudicarmi – o almeno a me non sembra – anzi, più che altro, sembra attratto da me – fisicamente, non saprei, ma in senso platonico sicuramente.
A lui piace ascoltarmi e a me piace lasciarmi ascoltare e, a mia volta, sentirlo parlare: non è banale, non è noioso, non è egocentrico o saccente.
Forse, è solo un po’ ingenuo e “romantico”, nel senso ottocentesco del termine.
 
Fondamentalmente, credo che Aaron sia un idealista e una specie di “dottor sottile”.
Probabilmente, ha anche un suo personale codice etico e morale che, talvolta, fa un po’ a pugni con quello comune.
È per questo, forse, che non è ancora riuscito a sganciarsi completamente dal mondo, ad uscire dalla gabbia: ha la chiave della serratura, ma, per qualche motivo che non capisco, non la usa.
 
Fossi in lui, sarei già scappata da un pezzo con ogni mezzo: non vedo l’ora che Andy mi porti finalmente via con sé.
Ma starei con lui per poco, giusto il tempo di imparare a camminare con le mie gambe, avendo comunque un piccolo appoggio in lui, in caso di necessità.
Poi, andrei via: New York – come tutte le grandi città – non fa per me.
Me ne andrei in un posto isolato – freddo o caldo, non importa: mi comprerei una casa con un terreno che coltiverei e vivrei solo di quello.
Niente elettricità, niente televisione, niente telefono, nulla di nulla: solo la natura con i suoi ritmi lenti e ciclici e qualche libro a tenermi quel poco di compagnia che mi basta.
 
*****
 
La presenza di Aaron si fa di giorno in giorno più palpabile e importante, nelle mie giornate: ormai, è l’unica persona con cui parlo e mi sento sempre più vicina a lui, anche se, forse, in questo modo, gli sto facendo del male in molteplici modi.
Il primo – e meno importante – è il fattore morale: quanto è giusto che un uomo della sua età e con la sua posizione istituzionale si avvicini tanto ad una come me, un’alunna, una sua studentessa, una ragazzina, in fin dei conti?
 
A me, figurarsi, non importa poi molto e non credo che anche a lui interessi, anche se dovrebbe: chi rischia, in questa storia, è lui, non di certo io.
Un professore non può essere amico di un suo alunno, esattamente come un paziente non può avere come amico il suo medico curante.
Non so, io ho sempre pensato che sia una regola stupida: come puoi impedirti di affezionarti ad una persona, se quella persona ti piace?
Non è una cosa che si può controllare, ma le cose stanno così, purtroppo per lui.
 
Non voglio fargli del male, non voglio metterlo nei guai, ma non riesco ad allontanarlo e poi neanche voglio farlo davvero: è l’unica persona con cui io sia mai riuscita a stabilire un buon contatto.
Dovrei volergli bene, per questo, dovrei proteggerlo, da me e da sé stesso: eppure, non lo faccio.
 
E il problema non è solo di tipo legale – come ho già detto, quello è il male minore, secondo me: ho paura dello sguardo di Aaron.
Quello che leggo nei suoi occhi, nei suoi gesti, nelle sue parole … non mi piace: è pericoloso, è sbagliato e lo è per lui.
 
*****
 
Oggi, Aaron ha tirato fuori proprio il discorso che temevo avrebbe tirato fuori, prima o poi: abbiamo parlato di quello in cui credo e, chissà come, siamo finiti a parlare dell’amore.
Amore: ho sempre odiato questa parola, è così bistrattata, così usurpata del suo significato, così fraintesa, così mistificata.
 
La gente non lo sa, ma è la parola utopistica per eccellenza: amore, a-mors, senza-morte.
Senza morte … che stronzata: che vuol dire?
Tutto muore, tutto passa, tutto finisce: la gente parla di amore, senza neanche sapere di cosa sta parlando e come lo sta dicendo.
 
Proprio come ho detto ad Aaron, l’amore – inteso con il suo vero significato – probabilmente non esiste: quasi tutte le relazioni – oggi più che mai – prima o poi finiscono e se l’amore – per definizione – è qualcosa che non muore mai, che non finisce mai, allora non è amore quello che si vede in giro.
Cos’è, allora? E che ne so: forse solo egoistico bisogno di affetto, incapacità di bastare a sé stessi, debolezza, banale infatuazione, puro e labile desiderio, interesse, stupidità, assuefazione … ma amore non di certo.
 
Mi ha guardato in modo strano: sembrava compatirmi e la cosa mi ha infastidito.
Io ho compatito lui, invece: se a 35 anni non ha ancora capito niente e continua ad illudersi e a credere ad una favola, allora sta proprio messo male.
Non gliel’ho detto, però: non mi piace farlo soffrire e lui sembrava già tanto deluso e intristito.
Sarò anche realista e un po’ nichilista, ma non sono cinica, né insensibile: sono solo una ragazzina, in fondo, e sono più spaventata e fragile di quanto non traspaia.
 
*****
 
Oggi, sfogliando il libro di letteratura spagnola, mi è capitata sottomano una poesia di Lorca: “Gacela de la muerte oscura” – Gazzella della morte oscura.
Dio, si può quasi svenire, davanti a tanta bellezza, se si riesce a capirla, a percepirla.
Ancora mi risuona in mente quella strofa in particolare, la terza, quella centrale:
 
 
Quiero dormir un rato,
Un rato, un minuto, un siglo;
Pero que todos sepan que no he muerto;
Que haya un establo de oro en mis labios;
Que soy un pequeño amigo del viento Oeste;
Que soy la sombra inmensa de mis lágrimas.

 
 

Voglio dormire un momento,
Un momento, un minuto, un secolo;
Ma che tutti sappiano che non sono morto;
Che c’è una stella d’oro tra le mie labbra;
Che sono un piccolo amico del vento Occidentale;
Che sono l’ombra immensa delle mie lacrime.

 
 
Penso che sarebbe bello: dormire, dormire per sempre, scomparire, ma far sapere al mondo intero che non sono morta, che sono ancora qui, ma che non sono con loro, non più.
Chissà, magari non è nemmeno questo quello che il poeta voleva dire, ma chi se ne frega: io ci vedo questo, quello che pensano gli altri non mi importa, compreso quello che pensava lui, mentre la scriveva.
 
Ritengo che l’opera sia sempre più “alta” dell’uomo e che lo scrittore stesso, il più delle volte, non sappia effettivamente quanto ha detto e quanto ha lasciato al mondo.
Guarda Petrarca: era convinto che il “Secretum” fosse il suo capolavoro e che il “Canzoniere” fosse un’opera “bassa” e di scarso rilievo.
 
*****
 
Ho parlato ad Aaron della poesia di Lorca: non la conosceva, ma la cosa non mi ha sorpreso.
Gliel’ho ripetuta a memoria e poi lui è stato zitto a lungo, con gli occhi vacui e distanti.
Mi ha sempre incuriosito quello sguardo: non capisco mai se stia riflettendo o se semplicemente stia ricordando qualcosa che gli è capitata molto tempo fa.
Sembra totalmente raccolto in sé stesso, tanto che potrei anche andarmene con nonchalance dalla stanza e lui non se ne accorgerebbe neanche.
 
Di solito, invece, per quanto possa essere distratto e sovrappensiero, è sempre molto attento a tutto quello che gli accade intorno.
Ho subito notato che con lui è praticamente impossibile copiare o suggerire – non che io ci abbia mai provato, non ne ho bisogno, ma qualche mio compagno di classe è stato beccato.
Anche quando sembra che si stia facendo i fatti suoi o che sia concentrato nel fare qualcosa, in realtà, è sempre vigile e attento.
Per questo, probabilmente, quando cammina con lo sguardo per aria non inciampa mai, non va mai a sbattere e non pesta mai una merda di cane.
 
Certe volte, quasi non mi sembra umano.
Ma poi, puntualmente, non appena apre bocca mi rendo conto di quanto invece lo sia eccome.
Probabilmente, è la persona più vera e umana che conosca e forse è per questo che mi piace così tanto: spesso, sembra essere al di sopra della gente comune – per quanto io abbia sempre odiato questa espressione senza senso.
 
In realtà, non penso che lui sia effettivamente al di sopra di nessuno, dico solo che lo sembra, qualche volta.
Il più delle volte, invece, sembra proprio quello che è: una persona; forse, un po’ più profonda e originale di molte altre, con un punto di vista differente e non scontato, ma comunque una persona, con i suoi pregi, ma anche i suoi difetti.
Chissà, poi qualche volta, probabilmente, sono io che vedo più di quello che dovrei vedere.
 
Comunque, dopo un lungo silenzio mi ha consigliato di leggere i poeti maledetti e decadentisti francesi, perché di certo mi sarebbero piaciuti.
Io gli ho risposto che avevo cominciato a leggerli l’anno scorso, quando avevo trovato sul libro di letteratura una traduzione de “L’albatros” di Baudelaire.
Gli ho detto anche che, oltre a lui, mi è piaciuto molto Rimbaud, che ritengo sia stato molto sottovalutato e frainteso e che, anche oggi, non l’abbiamo ancora compreso a fondo e, forse, non ci riusciremo mai.
 
A quel punto, lui ha annuito leggermente e – fatico ancora a crederci – ha detto che secondo lui somiglio molto a Rimbaud.
Che?! Ma come puoi fare un’affermazione del genere, scusa? Che l’hai conosciuto, per caso? Ti sei pure fatto autografare “Une saison en Enfer”?
Gliel’ho detto e lui, per niente offeso, ci ha riso su e poi mi ha consigliato un paio di autori americani, tra cui Masters.
La letteratura propriamente inglese, secondo lui, non fa per me.
 
*****
 
Da un po’ di tempo, ho smesso di andare a letto con i ragazzi.
Non so perché – sia perché lo faccio, sia perché ho smesso.
Quasi tutti considererebbero riprovevole la mia condotta, qualcuno anche degradante, molti mi affibbierebbero nomignoli poco eleganti e tutt’altro che elogiativi, se solo fossi un personaggio un po’ più in vista: nessuno sembra accorgersi che esisto, finché non gli serve qualcosa o non ci finisco a letto.
 
Comunque, io non mi sento disgustata da me stessa, né ci vedo nulla di male, in quello che faccio: non considero il sesso qualcosa di strettamente legato alla sfera emotiva, anzi.
Per me non è altro che un divertimento, un bel modo per rilassare i nervi, per stabilire un contatto e per stare un po’ con qualcuno senza doverci parlare.
Anche se poi, alla fine, rimango sola.
 
Ma non faccio del male a nessuno, giusto? Anzi, tutto il contrario.
Forse, è per questo che nessuno di quelli che sanno mi ha mai trattata male o insultata.
Forse, è perché un po’ mi capiscono, ma più probabilmente è perché non gliene frega niente.
Uno dei segreti, comunque, è mantenere sempre il controllo: non sono loro che decidono come, quando, dove e con chi, ma sono solo io a condurre il gioco.
E se loro, per caso, ne hanno voglia, ma a me non va, che se ne cerchino un’altra, non sono la loro puttana, voglio che questo sia chiaro: io sono superiore a loro, io sono quella che comanda, io sono quella che decide quando e come si gioca e chi partecipa.
 
Non scelgo ragazzi a caso: solo quelli che so essere psicologicamente più deboli di me e che posso controllare facilmente e mettere in soggezione.
Quando voglio, posso avere un incredibile ascendente sulle persone e ottenere da loro quasi ogni cosa: tutto sta nello scegliere le persone giuste.
 
Ultimamente, però, il sesso mi disgusta un po’ e mi infastidisce.
Non so cosa c’è che non va: so solo che non ne ho più voglia, perché quando lo faccio non provo più quella familiare e inebriante sensazione di potere e di libertà, ma solo nausea e prigione.
Cosa sia a farmi stare tanto male, però, non lo so.
 
*****
 
Dicono che se Dante, Petrarca o Leopardi avessero avuto le loro Beatrice, Laura e Silvia, probabilmente, non avrebbero cercato di amarle attraverso la letteratura, ma lo avrebbero fatto soltanto concretamente e fisicamente, senza scrivere neanche una poesia.
Credo che chi lo ha detto abbia ragione, perché ho smesso di scrivere di Aaron, da quando abbiamo iniziato a farlo, dopo quel pomeriggio di pioggia.
 
Sia chiaro: non sto dicendo di essere innamorata di lui – nevicherà nel Sahara, prima che una cosa del genere accada.
Dico solo che da quel giorno non ho più scritto di lui, anche se non so perché.
Probabilmente, è perché c’è qualcosa che penso e che vorrei dire, ma che non riesco a dire.
Non sono mai stata più confusa e disgustata da me stessa in vita mia.
 
Non amo Aaron, questo è vero, ma gli voglio bene, so che gli voglio bene: e allora perché continuo ad essere così egoista?
Perché non lo allontano, come farei con chiunque altro?
Di solito, quando mi rendo conto che un ragazzo ha passato un po’ troppo tempo a scopare con me, tanto da iniziare ad affezionarsi, lo mando via. Per il mio bene, ma, soprattutto, per il suo.
Secondo questa logica, con Aaron non avrei dovuto nemmeno iniziare.
 
Sento che, in qualche modo, prima o poi finirò per distruggerlo: magari, riusciremmo a portare avanti questa pseudo relazione clandestina per anni, senza mai farci scoprire, ma, un giorno, sono sicura che finirei per farlo impazzire.
E chissà che non stia già impazzendo, perché non riesco più ad ignorare i suoi occhi, il suo sguardo, ogni volta che mi osserva.
È così … innamorato: nessuno mi aveva mai rivolto uno sguardo del genere, ma so distinguere un’occhiata di desiderio da una innamorata.
 
Sentivo, sapevo, che si sarebbe affezionato troppo a me: siamo così affini, così simili e lui ci crede tanto nell’amore, ci crede davvero e, un po’, lo invidio, perché se ci credessi anch’io sarebbe tutto più facile.
Col senno di poi, mi chiedo come sia iniziato tutto: sono stata io a cominciare e non so neanche perché.
Cosa speravo di ottenere?
La libertà, forse, per quanto illogico e irrazionale possa sembrare.
 
Quel pomeriggio pioveva e lui, nel frattempo, correggeva dei compiti.
E io lo guardavo e poi, chissà perché, ho pensato che, forse, farlo con lui mi avrebbe regalato la sensazione di uscire dalla gabbia, se anche solo parlargli era liberatorio e appagante.
È un ragionamento sillogistico e un po’ campato in aria, lo so, eppure è stato proprio come me lo aspettavo: libertà quasi totale.
 
Quasi: una catena, una piccola, leggera catena la sentivo e mi stringeva il collo, legandomi a lui, senza soffocarmi e senza far male.
Un legame senza dolore, senza sbarre, senza gabbie, piacevole.
L’abbiamo fatto, è stato meraviglioso, speciale, ma poi, come da copione, ho levato le tende in totale silenzio e distacco, come sempre.
E non avrei dovuto farlo.
E sento che sarà proprio questo ad ucciderlo, goccia dopo goccia, una lenta, straziante disillusione: perché, comunque, ancora credo – o voglio credere? – di non amarlo.
 
*****
 
Andy è morto.
Vorrei che ci fosse un modo più delicato e discreto, meno brutale, per dirlo, ma non è possibile: la morte non ha nulla di delicato e discreto e, comunque avvenga, è sempre brutale e quella di mio fratello lo è stata particolarmente: gli hanno sparato, mi hanno detto, è stato un suo fan, mi ha informata il telegiornale, se lo meritava, ha cinicamente aggiunto mia madre.
 
Mia madre … non ho mai parlato di lei, in questo diario che diario non è, suppongo perché non ci sia nulla da dire: lei è, semplicemente, la persona più sciocca e illusa a questo mondo, molto più di Aaron – che comunque non è affatto stupido, soltanto un po’ debole e solo e credo sia per questo che ha bisogno di illudersi.
 
E io, allora? Non sono forse un’illusa anch’io?
Che cos’è la libertà, in fondo?
Perché la desidero tanto e posso davvero ottenerla?
Esiste davvero, almeno lei?
Non lo so, non me lo sono mai domandato, a dir la verità, ma dopo quello che è successo ad Andy ho cominciato a farmi qualche domanda …
 
*****
 
Andy meritava un funerale migliore, con molta più gente e molta meno tristezza: a lui sarebbe piaciuto vedere tanta gente che rideva, avrebbe preferito una festa ad una cerimonia – come fanno in certi Paesi – ma non aveva mai fatto un testamento in cui lo richiedesse.
Aveva solo 27 anni, d’altronde: come si può concepire di morire, a quell’età?
 
In chiesa, c’era pure Aaron.
Abbiamo solo parlato, ovviamente, e lui sembrava più depresso di me: non era per via di Andy, naturalmente, non lo conosceva mica.
Era preoccupato e dispiaciuto per me, glielo si leggeva negli occhi.
Avrei voluto dirgli di farsi i cazzi suoi, di lasciarmi in pace e di non preoccuparsi, perché sono abbastanza forte da superarla da sola.
Ma non l’ho fatto: una parte di me, anche troppo grande e importante, era contenta, felice che lui si preoccupasse per me.
 
Credo di non essermi mai sentita più sola, sconfitta, invisibile, disillusa e in gabbia di oggi.
Avevo su di me l’attenzione di tutto il paese, eppure non mi sono mai sentita più ignorata e incompresa.
Persino mia madre, quella con cui, in teoria, avrei dovuto spartire e condividere il dolore, mi sembrava incredibilmente distante e sconosciuta.
Solo lui, solo Aaron Kelly mi ha davvero vista e, per un momento, il primo nella mia vita, ho sentito il bisogno di un contatto profondo, di un sostegno, di una luce, di un po’ d’affetto.
 
Timothy Brown, il batterista, mi ha inviato una lettera, ma non ho il coraggio di aprirla, devo ancora metabolizzare quello che la morte di mio fratello mi ha insegnato.
Ho deciso, comunque, che la aprirò sulla casa sull’albero di Andy, il mio posto segreto.
L’ho anche detto ad Aaron, anche se non so perché: probabilmente, ho agito un po’ come quei criminali che, divorati dal senso di colpa, si lasciano sfuggire, più o meno consapevolmente, degli indizi cruciali per lasciarsi scoprire, poiché non hanno il coraggio di costituirsi, ma sentono comunque il bisogno di una punizione.
 
*****
 
Io e Andy abbiamo costruito questa casetta più di 10 anni fa: io ero piccola, quindi ha fatto quasi tutto lui.
Comunque, ha un significato molto profondo, per me, questo luogo.
Ad Aaron non l’ho mai detto e, come al solito, non so perché: Andy, qui, mi ha salvato la vita.
Stavamo ultimando la costruzione del tetto ed io ero salita su a portare dei chiodi, mi pare, non ricordo bene.
 
Comunque, la scaletta ancora non l’avevamo costruita e usavamo una banale corda con dei nodi, per salire e per scendere.
Non era facile spostarsi lungo quell’affare, soprattutto se si avevano le mani occupate: ero tutta concentrata nello sforzo di mettere le mani e i piedi al posto giusto, cercando di non far cadere nulla, perciò non mi ero resa conto che la corda, essendosi allentata un po’, si stava lentamente sciogliendo dal ramo a cui era stata assicurata.
 
Andy se n’era accorto appena in tempo: mi aveva gridato di tornare giù, ma ormai ero troppo in alto e la corda si era già allentata del tutto e così ero caduta giù.
Allora, lui aveva fatto uno scatto ad una velocità pazzesca e mi aveva presa al volo appena in tempo, rompendosi un braccio e incrinandosi due costole.
Se non mi avesse raggiunta in tempo, sicuramente sarei morta, perché era pieno di piccole rocce, là sotto.
Non credo che lo ringrazierò mai abbastanza.
 
Dopo quell’episodio, per convincermi a sconfiggere la mia nuova paura dell’altezza, non solo disse che, da quel momento in poi, quello sarebbe stato il nostro posto segreto, ma aggiunse che mi avrebbe regalato la casetta sull’albero, incidendo il mio nome nel legno: JANA’S HOUSE, una delle poche cazzate che sapeva dire o scrivere in inglese.
 
*****
 
Ho letto la lettera di Timothy: non mi ha detto nulla che non sapessi già da me, eppure, a vedermelo scritto e sbattuto in faccia in quel modo, ho pianto.
Ho pianto per mio fratello, per Timothy, per mia madre, per Aaron, per me e per tutti noi esseri umani che, per qualche ragione o per diverse ragioni illogiche e controproducenti, continuiamo ad illuderci, pur sapendo a quali conseguenze andiamo in contro.
 
Ho pensato a tutti loro, ma più di tutti ho pensato a me e ho finalmente realizzato che non sarò mai libera come desidero.
Come ha detto Timothy, bastano pochi istanti e pochi millimetri a toglierti tutto: finché sei vivo, non puoi essere libero, finché sei umano, non puoi non seguire le regole e i ritmi artificiali della tua specie.
Anche quando sperimenti la libertà più pura e totale, è solo questione di un momento e, comunque, finché respiri una minuscola catena c’è sempre, se solo le hai permesso anche una sola volta di agganciarsi a te.
 
Per tutta la vita, ho provato costantemente la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato, ma non ho mai capito se l’errore, il tarlo, fosse in me o nel mondo stesso.
Ancora adesso me lo chiedo e non so rispondere, forse perché il tarlo in realtà sta in entrambi, è ovunque, in ogni cosa, in ogni tempo, in ogni individuo.
A rileggere queste parole, sembra quasi di sentir delirare un pazzo, eppure non sono vaneggiamenti senza senso, hanno una logica ben precisa.
 
Ho sempre avuto molti dubbi e molte domande: oggi ne ho fugato qualcuno e ho avuto molte risposte, eppure sento che non è abbastanza, che quello che adesso so ancora non mi basta per capire il mondo e per imparare a viverci.
Anche se ho capito com’è che vanno le cose, come funzionano la società e la vita, questo non cambia il fatto che io non riesco ad adattarmi, anzi, ora che so che la mia unica speranza di evasione era fittizia, non so proprio più cosa fare e dove andare.
 
È una sensazione estremamente disarmante e assolutamente paralizzante, tanto che non riesco più nemmeno a muovere un dito, perché non posso evitare di indagare sul senso del mio gesto, sul suo scopo, sui suoi effetti, su dove mi porterà, anche se si tratta solo di una banale contrazione di muscoli che sposterà una parte di me di soli pochi centimetri.
Mi sento così impotente, così inerte, così … alla fine.
Sì, penso di aver finito, oggi, finito tutto.
 
L’aria attorno alla casetta sull’albero è umida e pesante: questo perché c’è una grossa cascata che scroscia rumorosamente, a pochi metri da qui, durante tutto l’anno.
Ho sempre trovato il suo rumore costante e neutro come un rimedio rilassante e smorzante per le mie tensioni: quando mi sento sottosopra più del solito, vengo sempre qui e il suono dell’acqua che scorre e si schianta sempre allo stesso ritmo regolare ha il potere di calmarmi e farmi sentire in pace, come se la cascata potesse capirmi, come se io e lei comunicassimo nello stesso linguaggio e con lo stesso codice.
 
Sembra quasi parlarmi, a volte.
Anche adesso mi parla e mi dice che è il momento, che seguire l’acqua è l’unica via possibile, per me.
Forse, ha ragione, dovrei andare via, seguire il suo consiglio e finalmente sparire e dormire per sempre, sempre libera, sempre in pace.
Cosa vuoi che sia: una manciata di istanti di volo e poi l’oblio …
Mi tornano in mente i versi di Lorca, così melodiosi, così languidi, così distesi, così tragici, così insensati e contraddittori … come si fa a dormire per un secolo, senza morire?
 
Forse, si muore veramente solo quando gli altri ti considerano morto: si può essere defunti pur essendo ancora vivi, a volte, e io, in fondo, non sono già morta a metà?
Basterebbe solo un passo, un piccolo passo in più, pochissimi istanti, pochissimo spazio … mi chiedo solo cosa penserà Aaron, come si sentirà, quanto soffrirà …



Eh, capitolo lunghetto, lo so, ma non potevo fare altrimenti: Jana è un personaggio molto complesso, tanto che non credo di essere stata in grado di restituirlo completamente e correttamente. Avrei voluto avere un po' più di spazio per lei, ma, come ho già detto, i capitoli a mia disposizione erano solo 5 e non volevo che questo diventasse eccessivamente lungo (altrimenti sarebbe risultato più pesante di quello che già è XD).
Complimenti e grazie a tutti i masochisti che sono riusciti ad arrivare fino alla fine senza tagliarsi le vene per la noia e la depressione XD (perché mi rendo perfettamente conto che questa storia e questo capitolo in particolare lo sono, ma lo sono volutamente).



ULTIMO CAPITOLO: SABATO 8 GIUGNO!

   
 
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