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Autore: CathLan    05/06/2013    3 recensioni
Merlin Emrys, nato nel Giacimento, ha impresso sulla pelle un nome. Il nome della sua Anima gemella. Quando a diciassette anni diventerà il Tributo del Distretto 12 e dovrà affrontare agli Hunger Games Arthur Pendragon, Tributo del Distretto 1 nonché sua Anima gemella, tutto si trasformerà in una lotta non solo contro gli altri Tributi, ma anche contro il tempo e il destino.
“[…] non bastava perché una volta rimasti in tre c’era da prendere una decisione. Scegliere chi amasse di più chi, chi meritasse di più di sopravvivere nel dolore e nel rimorso. Chi meritasse di più d’andare avanti nonostante tutto. E vivere altri cinquant’anni con l’impressione di averne vissuti solo diciassette. No, di aver vissuto solo qualche giorno.”
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Gwen/Lancillotto, Merlino/Artù
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessuna stagione
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Gridare amore dal centro del mondo


 
Titolo: Gridare amore dal centro del mondo
Prompt: Soulbond
What a fuck is Soulbond? Le Soulbond sono delle AU in cui ogni persona ha un’Anima gemella e nasce con il suo nome impresso su una parte del corpo, di solito sul polso o sul petto all’altezza del cuore.
Naturalmente il mondo è pieno di omonimi, per questo solo quando le due Anime gemelle si incontrano o si sfiorano possono capire di aver appena trovato la metà mancante della propria mela.
Questa cosa qui l’ho trovata nella fan fiction “Hello, I love you” del fandom di Batman dell’autrice Doralice e ho deciso di provarci a mia volta u.ù Spero di non aver fatto una boiata.
Fandom: Merlin
Rating: arancione scuro (?)
Genere: angst, sentimentale, introspettivo
Pairing: Merlin Emrys, Arthur Pendragon
Avvertimenti: crossover!HungerGames, contenuti forti, AU
Ambientazione: ambientata negli Hunger Games, la trama segue più o meno le vicende di Katniss e Peeta, con qualche minima variazione
Beta: FINNtastic (come sempre, la mia donnah)
Note: one shot completamente nonsense. Io dovrei studiare per l’imminente maturità continuare le mie cavolo di long e invece sono qui a pubblicare queste cose che boh, sono allibita. Spero che quest’idea piaccia a voi tanto quanto è piaciuta a me e niente #lol
Un grazie a chi vorrà lasciare una recensione, un bacio!

P.s. a chi interessa sto portando avanti una long su Merlin ambientata nel futuro (anno 2012/2013), naturalmente Merthur. Il titolo è Still into you e la potete trovare qui.
 
 

Io morivo e resuscitavo ogni giorno.
La notte prima di dormire pregavo di non svegliarmi il giorno successivo.
Almeno di non svegliarmi in un mondo senza lui.

 


Merlin Emrys.
In quel momento, mentre il Giacimento si faceva improvvisamente zitto, aveva potuto sentire distintamente tutti i suoi organi lasciare le loro postazioni e precipitare giù, fino a sotto le suole degli stivali consunti. L’aveva udito, il rumore sordo delle sue interiora che si schiacciavano contro l’asfalto e colavano tra le crepe di quel Distretto malconcio. Non aveva abbassato la testa per costatare se davvero il suo intestino stesse strisciando sulla strada soltanto perché non ci teneva a rimettere l’anima in prima tv.

Nessuno si sarebbe offerto volontario per lui, non era importante e non aveva qualcuno in famiglia che potesse prendere il suo posto. In ogni caso lui non l’avrebbe voluto. Era uno che sapeva accettare il proprio futuro, l’aveva sempre fatto.

Effie Trinket, la donna che una volta l’anno arrivava nel Distretto 12 a leggere i nomi della mietitura, sorrise e lo guardò dritto negli occhi. E allora Merlin dovette farsi forza e avanzare.
Mosse un piede davanti all’altro e salì i gradini. Accanto a lui Ginevra, una compagna di scuola che aveva notato per la sua pelle abbronzata così poco consona nel Distretto 12, stava trattenendo a stento le lacrime.

Il discorso del sindaco arrivò alle orecchie grandi di Merlin come un vociare indistinto e niente più. A conclusione del monotono Trattato del Tradimento lui e Gwen si strinsero la mano. Sulle note dell’inno di Panem i volti del pubblico non erano altro che facce sollevate e lievemente dispiaciute. Sua madre non la guardò, si soffermò un solo istante sugli occhi glaciali di Gaius, il vincitore dei cinquantesimi Hunger Games e quindi loro mentore. Poi decise che faceva troppo male e si fissò le mani callose, le unghie sporche per il lavoro nelle miniere. Sul polso un nome, un destino che non si sarebbe mai realizzato.

«Felici Hunger Games! E possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!»

   §§§


Sinceramente, quando al Centro di Addestramento aveva incontrato gli altri Tributi, non ci aveva fatto molto caso ai nomi dei partecipanti. Voleva tenersi il più possibile lontano da quelle persone. Loro avrebbero provato in tutti i modi a togliergli la vita e lui avrebbe tentato con non poca fatica a sopravvivere. A prescindere sarebbe stato un rapporto impossibile, tanto valeva stare per i fatti propri e cercare di trovare qualcosa in cui esercitarsi.

Era comunque impossibile non notare quanto fossero colossali e muscolosi gli altri ragazzi in confronto al suo fisico longilineo e mingherlino. Probabilmente Merlin era più debole anche delle ragazze dei Distretti 1, 2 e 4.
D’altronde i Tributi Favoriti si addestravano dall’infanzia per partecipare agli Hunger Games. Loro erano quelli che si offrivano volontari e puntavano alla vittoria, non tanto per il cibo e i soldi che avrebbero portato nel loro Distretto, quanto per la gloria.

Gwen era preoccupata quanto lui e affiancò Merlin ad ogni postazione. Prima cercarono di imparare ad usare i coltelli, poi a fare dei nodi, successivamente a mimetizzarsi. Inutile dire che si scoprirono ad essere incapaci in tutto. Non erano come i Favoriti, abituati ad ogni tipo di arma dall’età di sette anni, per loro era veramente complicato. Ginevra era la cameriera del dottore del Giacimento e Merlin un semplice minatore. Lei sapeva obbedire, lui scavare e scalare.

Per i tre giorni successivi le cose andarono nel medesimo modo. Riuscirono a mala pena a memorizzare qualche tecnica di sopravvivenza e a lanciare decentemente dei coltelli, ma non avevano sinceramente sperato in niente di meglio. Loro si definivano soddisfatti, ma Gaius, il loro mentore, non era convinto affatto. Ci teneva particolarmente che trovassero un qualcosa in cui eccellere, in modo che potessero raggiungere un buon punteggio con le sessioni private.

Alla prova con gli Strateghi Merlin non trovò niente di meglio che legarsi ad una corda, arrampicarsi al buio e lanciare coltelli con la speranza che si conficcassero nelle sagome sparpagliate per la palestra. Grazie al suo intuito e alla velocità con il quale riusciva a far girare i neuroni e quindi a calcolare distanze e traiettorie, in qualche modo, riuscì a centrarne tre su cinque, non tutti al cuore come aveva sperato, ma anche alla testa. Finse di averlo fatto apposta e dopo aver salutato con un leggero inchino gli Strateghi abbandonò la palestra. Sapeva benissimo di non aver fatto nulla di speciale, ma di sicuro era meglio di niente.

Il voto finale, comunque, non aveva voluto saperlo. Aveva scelto di non sapere quello di nessuno. Era meglio rimanere nell’ignoranza e sperare. Sperare di non essere andato male come pensava, sperare di non essere né tra gli ultimi, né tra i primi. Sperare che per gli altri Tributi lui fosse semplicemente un ombra di poco conto, sprovvisto di brutalità e ingegno. Una specie di inetto da non temere e cacciare.

Guardarsi allo specchio e riconoscersi a stento lo spaventò. Aveva preso peso, cibandosi notevolmente e allenandosi ogni giorno con pesi e coltelli. Il suo volto era più definito, i suoi occhi blu meno stanchi, le sue spalle ossute decisamente larghe e il suo stomaco pieno e appagato.
Il completo grigio che indossava e che ricordava un po’ il fumo e la cenere lo fasciava in modo quasi perfetto, facendolo sembrare affascinante e adulto. Non si era mai visto in quel modo e la cosa non gli dispiacque. Avrebbe potuto abituarsi a quell’eleganza.

L’intervista con Caesar lo preoccupava fino ad un certo punto, non era mai stato un suo problema parlare ed esprimersi. Lo faceva con piacere e senza difficoltà. La parte più complicata sarebbe stata quella dell’aprirsi, di mostrare al mondo intero un Merlin pronto per gli Hunger Games e quindi pronto alla morte. E lui non lo era affatto, non si poteva essere pronti alla morte. Certo, si può credere di esserlo, ma nell’esatto momento in cui capisci di essere spacciato e la tua intera esistenza ti scorre davanti comprendi di aver paura, di non voler andartene. Che alla fine la tua vita non era tutto quello squallore che ti era sempre sembrato.

Il secondo Tributo, dopo Morgana Pendragon,  a presentarsi a Ceasar e quindi al pubblico era un ragazzo biondo, dagli zigomi affilati e dagli occhi celesti di cui Merlin si perse il nome. Naturalmente, essendo del Distretto 1, la sua muscolatura era marcata e il suo fare altezzoso e borioso. Ad avvolgere tutto quel ben di Dio, un completo semitrasparente che lasciava alla fantasia poco e niente.

Ceasar, l’intervistatore dai capelli azzurro polvere, partì facendogli subito una domanda sull’Anima gemella. Il pubblico scoppiò come un petardo, le ragazze presero a lanciare gridolini e Merlin perse completamente la voglia di stare a sentire le interviste. Certo, nulla da ridire, quel ragazzo era uno dei più belli di quell’edizione e  probabilmente anche il Favorito dei Favoriti, ma così era veramente esagerato. Era una cosa privata quella.

«Arthur Pendragon, non tenerci sulle spine come ha fatto tua sorella. L’hai già trovata la tua Anima gemella?» riprovò Ceasar, sbattendo le ciglia lunghe attaccate alle palpebre azzurre.
Quando il ragazzo sorrise mostrando una sfilza di denti bianchi e perfetti la platea esplose di nuovo, ma questa volta Merlin non sentì alcun suono.

Arthur Pendragon.

Quel nome gli stava facendo riprovare quella sensazione assurda dentro. Lo svuotamento completo del tronco. Anche questa volta non cercò il suo intestino sul pavimento, ma con mano tremante arricciò un po’ la manica e lesse il nome che era impresso sopra al polso come una cicatrice sottile. La scrittura era la sua, anche se quando era apparso quel segno lui non era ancora uscito da sua madre.

Appena più sotto dell’attaccatura tra mano e avambraccio c’era il nome della sua Anima gemella. Sfiorò il segno con i polpastrelli e con la mente sussurrò ogni lettera più e più volte finché non si decise che sì, quell’Arthur poteva essere il suo destino, la sua metà mancante.
Non si era sbagliato. Quel nome che era nato con lui coincideva proprio con quello del tributo del Distretto 1. Arthur Pendragon.

Ma no, qualche volta era capitato che le Anime gemelle non coincidessero. Che un uomo avesse impresso addosso il nome di una donna che a sua volta aveva cicatrizzato sul torace il nome di un altro. C’erano stati pochi casi, ma a volte capita e a quel punto non resta altro che affiancarsi ad altre Anime gemelle spezzate -come quelle la cui metà mancante è morta-, che non potranno mai donare il loro intero essere, ma solo una parte.

Sinceramente Merlin non sapeva cosa fosse meglio: se aver finalmente trovato la sua Anima gemella negli Hunger Games e quindi che fosse costretto a separarsene o se essere una di quelle Anime gemelle spezzate che non hanno alcuna possibilità di vivere il proprio amore.

«L’ho trovata» rispose il biondo dopo un tempo che parve infinito. Il tono leggermente nervoso, il viso inscrutabile.
«Vi siete incontrati?» incalzò Ceasar.
«Sì».
«Quindi ora lei ti sta aspettando al tuo Distretto?»
Le iridi celesti di Arthur sfiorarono per un’ istante il punto dove gli altri Tributi aspettavano il loro turno. Alla fine parlò. «Non.. non proprio».
«Oh, non ti preoccupare. Le Anime gemelle si aspettano sempre. So io cosa puoi fare. Vincere e tornare a casa.[i] A quel punto non potrete far altro che vivere insieme il resto della vostra vita».
«Non credo che funzionerà».
Ceasar era sconcertato. Il pubblico in delirio. «E perché?»
«Perché la mia Anima gemella è qui con me».

Il resto delle interviste e perfino la sua Merlin le visse come spettatore e non come protagonista. Si era acceso come una scintilla e cercare di mantenere la calma e fare mente locale sulle notizie e gli avvenimenti sarebbe stato inutile. Si sentiva annebbiato e confuso, il cuore gli batteva ferocemente e lo stomaco gli tremolava.
Quando due Anime gemelle si trovano c’è poco da fare, diventa tutto un furore.
Ciò che riuscì a inserire nel cervello, poco prima di entrare nell’Arena fu il consiglio sintetico ed essenziale che Gaius impartì a lui e a Ginevra: “cercate di rimanere vivi”.

  §§§


Sessanta secondi dopo il suono del gong Merlin l’aveva intravisto con la coda dell’occhio lanciargli un’occhiata raggelante e poi partire in picchiata verso la Cornucopia. Certo, era un Favorito, era normale si tuffasse a recuperare zaini, armi e provviste.
Per non essere da meno Merlin lo seguì correndo a più non posso. Non si aspettava niente di niente, ma voleva almeno uno zaino. Non gli importava cosa ci trovasse dentro, ne voleva uno. Tipo quello verde e bianco sul lato destro.

Ci mise all’incirca meno di settanta secondi. Allungò una mano e riuscì a stento a ritirare in fretta il braccio prima che un coltello gli tranciasse via due dita. Lo zaino ancora lì, a qualche centimetri dai suoi piedi. La ragazza del Distretto 1 sembrava avere tutte le intenzioni di sfracassargli il cranio solo per aver provato a sottrargli i viveri. Era già pronta a sparargli addosso qualche altra arma affilata quando un fiotto di sangue gli spuntò dalle labbra socchiuse, macchiandogli la maglietta. Morgana cadde riversa ancor prima che Merlin potesse comprendere cosa fosse accaduto.
«Prendilo e seguimi!» gridò Gwen, indicandogli la sacca.
Tirò fuori il coltellaccio dalla gola della ragazza e prese a correre verso la foresta senza aspettare una risposta. Tra le mani teneva l’arma macchiata di liquido cremisi e uno zaino. Rosso e nero. Sembrava pieno e molto pesante.

Merlin la rincorse senza pensarci davvero. Si fermarono qualche minuto, ora?, dopo e scelsero un nascondiglio di fortuna tra le piante. Per scaricare tutta l’adrenalina che avevano accumulato ci volle un po’ di tempo e mentre se ne stavano lì a riposare e a ingollare l’acqua che avevano recuperato al fiume i primi colpi di cannone li avvisarono dei caduti. Erano sei. Merlin quasi non si accorse di aver chiuso gli occhi con il cuore in fiamme per la paura che tra i Tributi morti ci fosse anche Arthur.
«Ricordati che Arthur è un Favorito» mormorò Ginevra a bassa voce, passandogli uno dei due zaini.
Il fatto che lei sembrasse aver già capito tutto lo lasciò con l’amaro in bocca. Parlare di quell’argomento così apertamente non sapeva ancora bene se potesse rivelarsi un bene o un male.

Avevano del cibo, due bottiglie, un paio di occhiali a visione notturna, qualche arma (due coltelli e una fionda), una giacca e due sacchi a pelo. Per essere gli Sfavoriti del Distretto 12 potevano ritenersi molto soddisfatti del traguardo che avevano raggiunto.
«Alla fine Gaius ha fatto un buon lavoro» sussurrò Merlin, rannicchiandosi nel suo sacco a pelo. La notte era gelida e dannazione, tutti quei rumori lo facevano sobbalzare ogni tre per due. Non se l’era immaginata così l’Arena. Ma una foresta era sicuramente meglio di un deserto o dei ghiacciai.
Gwen sospirò. «Direi di sì».
«Tu l’avevi trovata la tua Anima gemella?»
«Lancillotto».
Dunque l’aveva lasciato a casa. Se fosse riuscita a vincere avrebbe potuto tornare da lui. «Mi dispiace» fu tutto ciò che gli venne in mente di dire. Gwen non rispose nulla, chiuse gli occhi e pianse in silenzio.

Merlin si svegliò di botto, dovevano essere sì e no le quattro di mattina. Qualche centinaio di metri più in là dei mormorii sinistri l’avevano destato dal sonno leggero che l’aveva colto solo qualche mezz’ora prima.
«Gwen» bisbigliò. «Non siamo soli».
La ragazza spalancò gli occhi e si drizzò. Nel pugno il coltello ancora leggermente sporco. «I Favoriti?»
«Forse».
Nel modo più silenzioso che poterono rificcarono tutto all’interno degli zaini e si appiattirono contro i tronchi, coprendosi col fogliame dei cespugli.
Quando i Tributi passarono, senza vederli o sentirli, Merlin vide distintamente Arthur al loro seguito.

In qualche modo aveva creduto che il loro legame potesse avere la forza di fare alleare un Tributo del Distretto 12 a uno del Distretto 1, ma evidentemente si era sbagliato. Forse il legame tra le Anime non era poi così tanto forte, oppure Arthur aveva un altro nome impresso addosso. Un altro Tributo presente nell’Arena.
Era una cosa piuttosto triste. Riuscì quasi a percepire il dolore di Gwen nel riconoscere la perdita. Nello sforzo di accettarla.
Merlin Emrys l’Anima spezzata. Suonava bene?


§§§


Nei due giorni successivi i Tributi morti erano aumentati a dodici, ovvero la metà.
Quel numero sconvolgente faceva paura e sicuramente allettava il pubblico a scoprire quale dei Tributi rimasti potesse essere l’Anima gemella di Arthur Pendragon.
In un certo senso pure Merlin era curioso, non era ancora sicuro al centodieci percento di essere lui.
Se così fosse stato il Favorito avrebbe almeno sentito il bisogno di toccarlo una sola volta, no? Di parlarci o almeno sorridergli, insomma. 
Più si andava avanti più Merlin si convinceva del fatto che la sua era un’idea troppo favolistica e romanzesca del legame tra Anime. E chiedere conferme ad una Gwen sempre più depressa e deteriorata dalla mancanza del suo vero amore  non gli sembrava affatto una buona idea.

Rimanere nel dubbio, comunque, lo stava esaurendo.
Spostarsi, procurarsi dell’acqua e rimanere sempre all’erta non bastava a tenergli la mente lontana dal Favorito. Era un pensiero fisso ed essendo tale lo mandava in confusione e lo faceva inciampare troppo spesso. Continuando di quel passo sarebbe morto sfracellandosi la testa contro ad una radice e non di certo accoltellato da un Tributo.
Sinceramente non sapeva quale delle due morti avrebbe preferito.

«Merlin!» lo chiamò Gwen.
Nel momento in cui si voltò e si accorse di essere stato preso di mira era già troppo tardi. Nell’Arena è sempre questione di secondi. «Tu corri!» gridò alla ragazza e quella lo fece. A deciderlo era stato un patto di qualche ora prima. Rimanere in vita a qualunque costo. Naturalmente Merlin quel patto non l’avrebbe mai rispettato, ma Ginevra era una donna e nel Giacimento aveva la sua Anima ad attenderla. Non l’avrebbe di certo biasimata.

La lama gli si conficcò nel braccio causandogli un rigurgito acido nello stomaco. Il dolore fu così acceso ed intollerabile che fu costretto a piegarsi su se stesso. Perse il contatto con il mondo e quando riuscì a rialzare il capo non fu in grado di vedere nulla se non un’ombra. Una sagoma sfocata sempre più vicina e preoccupante.
Dopodiché il buio e qualche rumore troppo lontano. Non era in grado di gridare per farsi sentire. 

«Merlin resta con me, okay?» e ancora, «Merlin, mi senti? Merlin!»

Le Anime gemelle non si tradiscono, non ne hanno la possibilità. Non si fanno del male e non si provocano dolore a vicenda, perché in qualche modo le emozioni e le sensazioni sono collegate. La sofferenza è reciproca, così come il piacere.
Dopo il primo tocco -qualche volta è necessario un bacio- si diventa automaticamente un’unica Anima divisa in due corpi. Se l’altra parte di te che hai conosciuto muore, anche qualcosa dentro di te viene cancellato per sempre.

Merlin spalancò la bocca in cerca d’aria. I polmoni battevano frenetici contro le costole, l’aria graffiava nelle narici e nella trachea. Faceva male ovunque, bruciava come fuoco.
«Merlin, mi senti?»
Arthur, chinato su di lui non fece che peggiorare la situazione. A tutto quel trambusto si aggiunse anche la tachicardia. «Mi fa male» ansò Merlin, ritrovando finalmente la capacità di deglutire.
«Almeno riesci a parlare» replicò il Favorito. Era serio e la preoccupazione scomparve dal suo bel viso.

Merlin, a quanto gli disse Arthur al suo risveglio, era stato colpito dal Tributo del Distretto 4, Mordred. Lui, non riuscendo a lasciarlo lì, l’aveva preso e portato via. L’aveva curato per due giorni con dell’erba medica senza ricevere grandi risultati, finché finalmente, dopo un altro giorno, era arrivato un paracadute con una medicina portentosa. Era stato Gaius. La ferita in solo qualche ora si era quasi sgonfiata del tutto e l’infezione era scomparsa. La febbre era scesa drasticamente. E poi si era svegliato.

«Perché non sei riuscito a lasciarmi lì?» domandò Merlin accasciato contro alle rocce.
Arthur era riuscito a trasportarlo fino ad una sporgenza rocciosa nascosta dai cespugli. Era un buon riparo, anche se poco funzionale.
«Non lo so» rispose il Favorito. «So solo che non potevo».
«Quanti Tributi mancano?»
«Sei».
Merlin aveva paura a porre quella domanda, ma doveva. «La ragazza del mio Distretto?»
«Mi dispiace».
Dentro Merlin qualcosa si spezzò e in qualche modo, dall’espressione del biondo, si ruppe anche dentro Arthur.
Avrebbe dovuto piangere, ma le lacrime non uscirono. Era quello il potere degli Hunger Games? Il disinteresse per la vita altrui? L’egoismo e la brutalità dell’umanità?

Seduti uno a venti centimetri dall’altro si cercavano con lo sguardo, terrorizzati all’idea di allontanarsi o avvicinarsi. Avrebbero dovuto preoccuparsi di trovare un riparo per la notte, una sistemazione, ma era difficile pensare ad altro in quel momento. Il loro mondo erano loro due. Non c’era morte, paura o tormento.

«Io ho il tuo nome» si decise a parlare Arthur. Nelle sue iridi un oceano di emozioni e sensazioni. Gioia, felicità, eccitazione e desiderio erano solo alcune, le più forti. Merlin dal suo canto era sconvolto alla stessa maniera.
«Io il tuo» rispose, sfiorandosi il polso con le dita.
Al Favorito il gesto non passò inosservato e gli si avvicinò, spazzando quell’illusoria distanza che li aveva tenuti lontani per le prime due ore. «Posso vedere?»

Era una cosa molto personale, il segno. Non si faceva vedere a nessuno, se non all’Anima gemella. Il fatto che Arthur gli avesse fatto una domanda simile l’aveva fatto avvampare. Si era preparato a quel momento per anni, per poi rimanere deluso innumerevoli volte ed ora, negli Hunger Games, aveva la possibilità di far sfiorare la cicatrice al possessore del nome. Sembrava un sogno.

«Certo». Merlin allungò il braccio sinistro verso di lui e aspettò col fiato sospeso.
I polpastrelli callosi e bollenti del Favorito passarono prima sulle vene e poi salirono in una carezza leggera fino al segno. Lì si fermarono e lo tracciarono svariate volte, prima delicatamente e poi sempre più forte.

Merlin non aveva immaginato che si potesse provare una cosa così forte nel momento in cui due Anime gemelle si incontrano e sfiorano il segno dell’altro.
Era come essere immerso in litri di acqua ghiacciata e poi gettati in una cascata di lava. Il cuore prese a battere con una cadenza diversa, lo sentì mutare il ritmo e sincronizzarsi con quello di Arthur che a sua volta trattenne il respiro e strizzò le palpebre. Le ciglia bionde accartocciate ai lati, le labbra carnose socchiuse, le gote arrossate. Era bellissimo ed era suo. Ma per quanto?
Quanto sarebbe passato prima che venissero strappati a quell’idillio?

«Avrei voluto incontrarti in un altro modo» sussurrò Arthur, baciandolo laddove il sangue scorreva selvaggio.
Il segno pizzicò e poi si schiarì, divenendo quasi bianco. «Il tuo?»
Il Favorito sospirò con una luce particolare negli occhi e si indicò il torace, esattamente all’altezza del cuore. «Ce l’ho dal mio primo anno di vita».
Merlin non poté fare a meno che posare il palmo in quel punto, sentendo l’intero braccio andare a fuoco. Non faceva male, era una bella sensazione. «Hai diciotto anni?»
«Sì».
Merlin sorrise e si chinò a baciare il suo cuore. Rimase con le labbra posate in quel punto per un lungo momento, inspirando il profumo di sudore e natura che aveva addosso il Favorito. «Io diciassette».

Passare a quello a veri e propri baci era stato un salto nel vuoto fin troppo facile da compiere.
E mentre le loro bocche si univano in scambi di saliva, sentimenti e umori, i colpi di cannone non facevano altro che rendere più reale la fine di quel magico sogno che prendeva man mano le parvenze di un incubo bellissimo.
Il tempo sgocciolava rapido scandito da botti assordanti, volti nel cielo e hovercraft sempre più vicini.
Stringersi più forte, baciarsi per ore e mordere i segni l’uno dell’altro non serviva a nulla se non a far percepire la disperazione che risiedeva dietro ad ogni singolo gesto.

Il destino gli era tiranno e così anche il tempo. Potevano solo prendere tutto ciò che avevano come veniva e farselo bastare. Anche se era troppo poco.
Dirsi ti amo fu quasi più semplice che toccarsi e ansimare di nascosto, al di fuori della portata delle telecamere. Loro si amavano dall’esatto momento in cui l’uno era entrato a far parte del mondo dell’altro, ovvero diciassette anni prima. Sussurrarselo nelle orecchie, scriverselo addosso con le unghie e imprimerselo dentro con i baci non bastava.

Non bastava perché una volta rimasti in tre c’era da prendere una decisione. Scegliere chi amasse di più chi, chi meritasse di più di sopravvivere nel dolore e nel rimorso. Chi meritasse di più d’andare avanti nonostante tutto. E vivere altri cinquant’anni con l’impressione di averne vissuti solo diciassette. No, di aver vissuto solo qualche giorno.  

§§§


Il ragazzo del Distretto 4 è una furia, questo era l’unico pensiero che era riuscito a elaborare Merlin mentre quello affondava lame nel vuoto e sferzava l’aria con movimenti fluidi e fortunatamente resi imprecisi dalla cecità all’occhio destro. Uno dei pochi colpi di Arthur andati a segno prima che l’altro riuscisse a farlo crollare.

Arthur steso a terra coperto di sangue era una distrazione lancinante che non gli permetteva di pensare lucidamente. Ogni volta che gli lanciava un’occhiata gli sembrava di vedere sempre più rosso e sempre meno verde. Tutt’intorno c’era un tramonto pronto ad inghiottire ogni cosa. E Merlin si stava trasformando in un’ombra.

Schivare un colpo e spingere indietro Mordred serviva a ben poco quando quello aveva ancora la prontezza e l’audacia di rialzarsi e riprovare. Farsi affondare il coltello nella gamba e trovare finalmente uno squarcio nelle sue difese fu un piano doloroso da attuare, ma piuttosto efficace. Non avrebbe saputo pensare a niente di meglio. Non in quel momento.

La semplicità con la quale la lama sfondò la carne e si conficcò nel petto muscoloso del Tributo del Distretto 4 fu più raccapricciante dell’aver sentito poco prima la cartilagine del suo naso sfaldarsi sotto ad una gomitata.
Vederlo accasciarsi a terra e piangere, pregare e cercare di fermare il sangue con le mani bagnate non gli fece piacere, né si sentì ripagato per ciò che Mordred aveva fatto ad Arthur, ma non provò nemmeno compassione o senso di colpa alcuno.

Quelli erano gli Hunger Games e quello era l’unico finale previsto dal gioco.

Chinarsi al fianco di Arthur e sfiorarlo e baciarlo e scusarsi furono gesti talmente naturali e così carichi di dolore che trattenere le lacrime gli fu impossibile.

Arthur aveva scelto per lui quando si era lanciato contro Mordred, quando senza rifletterci si era fatto trapassare da un coltello. Aveva scelto chi valesse di più tra di loro e chi valesse di meno.
Merlin non sapeva bene quale parte fosse stata assegnata a lui.
Con Arthur agli sgoccioli di una vita troppo breve tra le braccia, poteva sentire solo un male atroce e soffocante avvolgerlo e schiacciarlo.
Sembrava quasi che la vita stesse abbandonando anche lui e non solo la sua Anima gemella.

«Quello in cui sono nato è il mondo in cui ci sei tu» tossì tra i singhiozzi Merlin. «Questo… questo significa che da quando sono al mondo, non c’è stato attimo in cui tu non ci sia stato».

«Io invece ho aspettato finché non sei nato tu. Ho aspettato da solo, in un mondo senza te»[ii], la voce di Arthur si affievolì fino a divenire un tutt'uno con il silenzio dell'Arena.
Quando chiuse gli occhi il tramonto inghiottì tutto ciò che rimaneva di entrambi.

 §§§


Non c’era vittoria, passione, futuro, emozione e gloria senza la sua Anima gemella al fianco.
Non esisteva niente, nulla aveva importanza e nessuno avrebbe saputo guarire la ferita di una perdita così grande.
Un’Anima spezzata è un’Anima squarciata dai lati frastagliati che non troverà più una metà combaciante.
La rivoluzione che Merlin Emrys portò avanti nel nome di ogni Anima spezzata dall’abominio degli Hunger Games portò dopo secoli di oppressione e dolore, un lungo periodo di pace e fratellanza.
Compiuto il volere del suo Re, del suo Sole e della sua Luna[iii], Merlin lo raggiunse senza rimpianti o sofferenza.

Perché non era il suo mondo quello, non senza di lui.





[i] “So io cosa puoi fare. Vincere e tornare a casa”: nel libro Hunger Games, quando Ceasar nell’intervista parla con Peeta usa esattamente queste parole. Ho voluto riproporle papali papali perché mi piacevano.
 
[ii]  Gli ultimi due pezzi di dialogo sono copiati dal libro “Gridare amore dal centro del mondo” nel quale i due protagonisti si scambiano queste battute. Le amo da morire e le trovo immensamente romantiche.
 
[iii]  “[..] suo Sole e della sua Luna”, più o meno preso da Game of Thrones. Khaleesi chiama il suo compagno “mio Sole e mie Stelle”.

La frase all'inizio è presa sempre dal libro Gridare amore dal centro del mondo, l'ho cambiata un po' in modo che riuscisse a stare bene con la trama della One shot.
L'originale: Io morivo e resuscitavo ogni giorno. La notte prima di dormire pregavo di non svegliarmi il giorno successivo. Almeno di non svegliarmi in un mondo senza Aki.
  
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