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Autore: Thiana    09/06/2013    1 recensioni
Su pochi versi di Hurricane, la strana e divergente vita di Natalie. Quando era solo Natalie, e non Natalie Prior, la mamma e moglie. Quando era solo Natalie: la figlia e l'amica e, perché no?, la fidanzata.
"Il giorno in cui la tua vita cambia, non sai che sarà proprio quello, il giorno."
La fazione prima del sangue. E l'amore?
Scritta per il contest "Cantami, o autore" indetto sul forum di EFP. PRIMO POSTO.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Faction before blood, and what about love?

Autore: Thiana (Thiana. sul forum)
Beta-reading: No.
Rating: Verde.
Personaggi: Natalie (futura Prior), Axel (OC)
Generi: Angst, Sentimentale, Drammatico.

NdA: Natalie prima di essere una Prior era una Divergente, sappiamo. La Roth ci ha detto poco, ma spero di non averla fatta diventare OOC.
Le frasi con l'asterisco sono ovviamente non mie.
Esito del contest: PRIMO POSTO!
Link del contest: 
http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10506796&p=1






Il giorno in cui la tua vita cambia, non sai che sarà proprio quello, il giorno.
 

I need a heart beat, a heart beat…

 
Quella mattina, quando sua madre l’aveva svegliata avvertendola che avrebbe perso il treno, Natalie si era alzata con un sorriso sulle labbra. Era certa che il test attitudinale le avrebbe detto quello che aveva sempre saputo: lei era un’intrepida.
Una maglietta che le lasciava scoperte le braccia magre e muscolose, un paio di pantaloni neri e stivali di pelle erano la sua divisa.
Arrivò di corsa alle rotaie e, senza fermarsi, saltò sulle spalle di Jake. «Di’ la verità, testone. Volevi lasciarmi e dire a tutti che me l’ero fatta sotto, eh?» Gli passò dispettosamente una mano tra i capelli ricci, spettinandolo. Jake era il miglior amico che potesse avere.
Lui rise, e a lei parve il suono più bello del mondo.
Beh, quasi. Il suono più bello che avesse mai sentito era la voce di Axel. Axel che la prendeva in giro, Axel  che le urlava che aver scelto gli Intrepidi era stata la miglior scelta di sempre, Axel che le sussurrava di amarla…
Scese dalle spalle dell’amico non appena sentì il fischio del treno in arrivo. «A chi sale primo?» Chiese lui, mostrando il vuoto tra due denti che si era procurato facendo a pugni con un vecchio iniziato Candido che aveva il brutto vizio di continuare a dire sempre quello che pensava.
«Vuoi mangiare la polvere, stamattina?» Rispose beffarda un attimo prima di iniziare a saltellare appena sul posto, per prepararsi alla corsa.
E in quel momento esatto, il succo di tutta la sua vita: il battito che rallenta, anziché accelerare; il cuore che batte lentamente ma è forte come un pugno nello sterno.
Solo pochi secondi che le infiammano le vene e le danno il via. Spinge sulla punta del piede, iniziando a correre.
Un passo, un affondo. Un altro passo, un altro affondo. E ancora, ancora. Poi un salto.
Ricadde con entrambi i piedi sulla superficie liscia del treno, voltandosi subito verso l’amico. Jake, come al solito, alzò gli occhi al cielo alla sua espressione imbronciata, saliti nello stesso momento. Difficile, ma non impossibile.
 
 
Natalie non aveva mai creduto alle coincidenze. Erano solo presagi, quelli.
Quando aveva visto il tre stampato in nero sulla porta in cui era stata fatta entrare, aveva sorriso. Il suo numero preferito.
Una stanza piena di specchi, dove si era guardata, in attesa.
A quanti capitava di dover fare il test attitudinale nella stanza con il proprio numero preferito? Sicuramente pochi. E lei era tra quelli.
Le avrebbe dovuto portar fortuna, si ripeté ancora e ancora, mentre sentiva il sudore freddo ghiacciarle la schiena.
Aveva sbagliato qualcosa? Aveva preso il coltello ma quando le era caduto di mano non aveva esitato a buttarsi in mezzo per salvare la bambina. E quando quell’uomo le aveva fatto quella domanda, nonostante avesse il dubbio di conoscere l’uomo del giornale, aveva mentito ed era corsa via, pronta alla fuga ma anche all’attacco. Aveva sentito il coltello di nuovo tra le dita, e questa volta non se lo sarebbe fatto scappare come con il cane, ne era certa. Poi tutto era finito e l’Abnegante che l’aveva sottoposta al test l’aveva guardata con gli occhi sgranati.
Mentre correva verso il treno, le tornavano in mente le parole della donna. “Test fallito. Abnegante. Erudita. Intrepida. Divergente.
 
 
 
Era tornata prima di tutti. Nessuno sotto i sedici anni era a casa, nessuno sopra quell’età era così interessato a lei per notarla.
Solo sua madre. Sua madre che la trovò seduta sul letto, con gli occhi sgranati e le mani che stringevano una maglietta.
«Natalie, che succede? Stai bene?» Sua madre era sempre stata una donna forte e tenace. Una donna di polso. Con lei, però, era sempre stata dolce. Così… materna.
«E’ successo qualcosa a scuola? Durante il test attitud-» Un solo fremito della figlia la fece tacere. Aveva sentito qualcosa, quell’anno.
Test inconcludente.
 Essendo una capo-fazione, aveva accesso a informazioni private. Una ragazza, forse, il cui test sembrava fallito.
Divergente”. Quella parola l’aveva terrorizzata per tanto tempo. Era pericolosa. Soprattutto se fosse arrivata alle orecchie delle persone sbagliate.
«Non devi dirlo a nessuno, Natalie. Nessuno. Neanche tuo padre.» Nonostante il tremito alle mani, afferrò saldamente quelle della figlia, guardandola negli occhi.
«Lo sapremo solo io e te. E io ti proteggerò, ma tu devi andartene da qui.» Per quanto difficile, disse una delle poche cose che una madre non vorrebbe mai dire. «Alla cerimonia della scelta dovrai andartene.»
Natalie le strinse le mani convulsivamente. Dove era finita tutta la sua famosa tenacia? Le era bastata una parola per lasciar cadere tutti i muri.
I muri, però, le erano caduti sopra, lasciandola a terra, implorante.
«Questa è la mia casa. La mia famiglia! Te, papà, Axel, Jake…» S’interruppe a causa di un gemito strozzato. Aveva pianto poche volte in tutta la sua vita.
Sua madre si alzò, voltando la testa. «Devi andartene, Natalie. O sarai in pericolo. E con te, tutti quelli che ami.»
Possibile che quello nella voce di sua madre fosse pianto? Possibile che sua madre piangesse? Seguì il profilo delle sue spalle, fasciate in una maglietta nera, uscire dalla stanza.
Avrebbe dovuto essere facile.
Essere un’intrepida. Vivere felice con Axel. Continuare a divertirsi  e sfidarsi con Jake. Ereditare il lavoro di sua madre. Mantenere la tradizione dei passatempi con suo padre.
Avrebbe dovuto essere facile, eppure non lo era.
 
 
Correva, Natalie. Correva per lasciarsi alle spalle quella decisione. Correva così veloce che sperava poter lasciarsi alle spalle anche le decisioni che doveva prendere. Correva così da poter superare il futuro, e lasciarselo alle spalle.
Correva via da tutti.
Correva via, ma correva da lui.
Quando lo raggiunse, non esitò un attimo a lanciarsi tra le sue braccia, senza neanche tentare di nascondere le lacrime o i singhiozzi.
Aveva promesso a sua madre che non lo avrebbe detto a nessuno. Ma lui non era ‘nessuno’. Lui era il ragazzo che amava. Era Axel.
Glielo spiegò con un flusso così rapido e incostante di parole che lo vide quasi confuso. Era confuso, ma non stupido. Impallidì, affrettandosi a stringere la ragazza tra le sue braccia.
«Scapperemo. Verrò con te.»
«E vivere da Esclusi? Preferirei morire.» La verità era che non voleva privare Axel di tutto quello che aveva e che avrebbe potuto avere. Si era classificato terzo durante l’iniziazione e lavorava tra le fazioni, avendo più libertà di quanta molti sognassero.
«Devo andarmene, Axel.»
«Così mi uccidi.» L’accusò lui, sull’orlo di una crisi isterica. O sull’orlo delle lacrime, forse. Natalie non lo sapeva bene. «Dimmi, uccideresti per salvarti la vita?»* Chiese lui, circondandole il viso con le mani. Lui l’avrebbe fatto, per salvare la sua Natalie.
Annuì senza pensarci. Avrebbe ucciso, se avesse significato salvarsi. Ma non Axel. Non lui. E non suo padre, o sua madre, o Jake.
 
Lì sotto, nella sua fazione, non sapeva mai che ore erano. Era certa però di essere abbracciata ad Axel da mesi, anni, secoli.
L’aveva abbracciato così forte e così a lungo che aveva sentito le braccia intorpidirsi, poi era passata ai baci. Aveva baciato il ragazzo, le sue labbra, come se volesse risucchiargli tutta la sua essenza, e portarla con sé.
«Non importa quante volte muoio, non dimenticherò mai.»* Aveva bisbigliato nel cuore della notte, certa che lui dormisse. Le lacrime l’avevano sfinita. Sarebbe morta tutte le mattine, ricordando la scelta che aveva fatto. Aveva posato ancora le labbra sulla spalla nuda del ragazzo, cercando di imprimersi il suo sapore sulle labbra. Lo studiò con la punta delle dita, come aveva fatto tante notti. Il naso fino e dritto, le sopracciglia folte sugli occhi infossati. Le labbra fine e scolpite, ma morbide. Lasciò che il palmo di fermasse sul suo petto, sul suo cuore.
Solo pochi battiti, si era detta. Solo pochi battiti e poi sarebbe andata. Pochi battiti e avrebbe lasciato il suo cuore in quella stanza, in quel letto, in quel momento.
Ok, sto scappando dalla luce, scappando dal giorno verso la notte.”* Cercò a tentoni la sua maglietta, i pantaloni e le scarpe. Le lacrime, ancora una volta, avevano fatto capolino dai suoi occhi rigandole le guance.
Era così ingiusta la vita. Ti abituava alla felicità, alla libertà e all’adrenalina e poi ti toglieva tutto. In un attimo.
E lei avrebbe dovuto lasciarsi alle spalle tutto questo: la luce che le bruciava gli occhi quando aspettava il treno, allungando il collo con l’illusione di sentir meglio l’arrivo del suo passaggio per la scuola; il sole che sembrava portare Axel con i suoi sorrisi, o Jake con le sue sfide. Come avrebbe fatto, ad affrontare il buio tutta sola?
Si era chiusa la porta alle sue spalle silenziosamente, trattenendo persino i singhiozzi. Quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe visto Axel.
Il solo pensiero la fece accasciare a terra, solo pochi metri più in là, appena dietro l’angolo.
Si alzò e corse. Corse perché correre era tutto ciò che le sembrava giusto, in quel momento.
Corse fino a sentire l’odore della sua camera. Il sapore del bucato, i fiori che tutte le mattine suo padre le metteva sul comodino, il profumo che si spruzzava tutti i giorni: odori di casa, odori che le sarebbero mancati, odori che non avrebbe più sentito.
 

Crash, crash, burn let it all burn,
this hurricane’s chasing us all underground.

 
Non le interessava neanche di tutto il casino che stava facendo. Rovesciò la scrivania, vedendo solo una grande figura scura muoversi. Le lacrime le impedivano di vedere bene quello che aveva intorno, ma non le impedivano di distruggere tutto. C’era un uragano distruttore nel suo cuore, e lei si stava trasformando in quello. Lanciò una scatola contro il muro, lasciando che il contenuto volasse in aria. Biglietti di auguri, lettere da Axel, un bigliettino con la data del il giorno in cui –due anni prima- Axel era arrivato dai candidi ed era saltato per primo, fotografie.
Si inginocchiò per prenderne una. Era del suo ultimo compleanno. Lei, sua madre, suo padre, Axel e Jake: la sua famiglia. I sorrisi larghi e sinceri, una torta al cioccolato con sedici candeline, l’amore sincero. Sbatté gli occhi e cercò l’accendino che teneva nel comodino.
Il fuoco è purificatore, ma anche distruttore. Lasciò che la fiamma incenerisse quei volti sorridenti, lasciando solo cenere e puzza di bruciato.
Così come la sua vita: il test era stata la scintilla ed ora, la sua vita non era altro che cenere. Cenere che sarebbe stata dissolta alla prima folata di vento.
 
 
Nel bel mezzo della notte, bussò alla porta insistentemente. Se fosse stato un altro l’avrebbe cacciata, ma Jonathan le voleva troppo bene per mandarla via, o per fare domande.
Un tatuaggio. Un uccello.
Il panico nei suoi occhi aveva convinto Jonathan ad acconsentire dopo averle detto in modo burbero di preparare il caffè. «Non vuoi mica che lavori a quest’ora senza caffè.» L’aveva guardata di sottecchi, però, mentre preparava l’occorrente.
Le aveva fatto togliere la maglietta e aveva lasciato che piangesse silenziosamente, concentrandosi sul lavoro.
Il più bell’uccello che avesse mai tatuato. «Puoi dirmi almeno perché proprio un uccello?» Aveva domandato, prima che la porta si chiudesse alle spalle della ragazza.
Natalie non si era neanche voltata, abbassando la testa.
«Perché quando sei obbligata a prendere il volo, speri di essere un uccello e poter volare.»
 

 
Running away from the light.
Running away to save your life.

 

Aveva lisciato le lenzuola del letto almeno dieci volte. Aveva raccolto tutti i cocci e risistemato il tappeto. Aveva persino rimesso le foto rimanenti nella scatola, salutandole in silenzio.
La notte precedente avrebbe potuto essere stata tutta soltanto un brutto sogno. Il costane pizzicore sotto l’ascella, però, le ricordava che era vero.
La notte con Axel, la scelta, il tatuaggio.
Quello era il giorno in cui la sua vita sarebbe dovuta iniziare. Quello era il giorno in cui la sua vita finiva.
 
«Natalie Perkins!» Fece la strada che centinaia di sedicenni prima di lei avevano percorso. Alcuni decisi delle proprie scelte, alcuni insicuri, altri spaventati, ma quanti come lei? Quanti divergenti?
Prese con mano ferma il coltello, voltandosi a guardare sua madre e suo padre. Axel non aveva potuto assistere, ma aveva lasciato qualcosa per lui; Jake aveva già scelto lasciando sfrigolare il suo sangue sui carboni ardenti degli Intrepidi.
Sua madre le fece un piccolo cenno col capo, suo padre le sorrise. Suo padre che si lasciava sempre la barba lunga, che aveva gli occhi azzurri e gentili. Quel padre che le aveva insegnato a salire sui treni senza che fossero fermi e a curarsi le ferite. Lo stesso padre che le aveva accarezzato la testa, dicendole che, nonostante lei fosse troppo giovane, non avrebbe ucciso Axel per averla baciata.
Suo padre che credeva sarebbe rimasta negli Intrepidi. Quel padre a cui era tanto legata ma a cui avrebbe dovuto spezzare il cuore.
Incise più a fondo di quanto fosse necessario,  abbassando lo sguardo colpevole.
Tese il braccio e lasciò che il sangue scorresse sulle lisce pietre grigie degli Abneganti. Sarebbe stata costretta a mentire per il resto della sua vita, ma il coraggio, spesso, era altruismo.
Avrebbe lasciato la sua famiglia, i suoi amici, il suo amore. Non per coraggio ma per altruismo. Per saperli salvi.
Si voltò appena un attimo per vedere lo sguardo stupito, ma non arrabbiato, del padre e poi quello basito di Jake.
Impedì alle lacrime di appannarle la vista, lanciando un’occhiata di scuse all’amico.
 
In quello stesso momento, distante dal Centro e dalla Cerimonia, un biglietto giaceva nelle mani immobili di un ragazzo.
“Mi dispiace. Non dimenticarmi mai. Io morirò, ma non  dimenticherò.
Ti amo, Natalie.”
   
 
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