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Autore: Feel Good Inc    25/12/2007    6 recensioni
"Io voglio poter amare di nuovo... Voglio riprovare ciò che ho rischiato di perdere... Voglio volare ancora, voglio vivere... Perché me lo ha detto lei..."
[ Basata sull'omonima canzone di Lucio Battisti ]
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Li Shaoran, Sakura Kinomoto, Tomoyo Daidouji, Touya/Toy | Coppie: Shaoran/Sakura, Shaoran/Tomoyo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Io vorrei… Non vorrei… Ma se vuoi…

È sbagliato ignorare i propri sentimenti. Capita che, se non sfrutti un’occasione, questa non si ripresenta mai più. Capita che allora perdi tutto. Capita che perdi una persona, senza averle prima detto che per te era importante. Ma allora non ti devi abbattere, non devi cedere alla disperazione: pensa che per lei hai imparato ad amare, e prova a farlo di nuovo; perché l’amore è l’unica cosa che non muore mai…

 

 

 

Io vorrei… Non vorrei… Ma se vuoi…

 

 

 

«Ecco, io scendo qui.» Lei mi picchiettò sulla spalla. «Sul serio, posso continuare a piedi.»

«No, dai, ti porto a casa.»

«Non preoccuparti. Me la caverò.»

Rallentai finché la ruota anteriore lanciò un sibilo soffocato, mentre la moto frenava sull’asfalto. La ragazza dietro di me scese e si fermò sul marciapiede, togliendosi il casco e ravviando una cascata di capelli mossi e scuri. Me lo porse.

«Grazie del passaggio.»

«Non c’è di che.» Ripresi il casco senza guardarla negli occhi, ancora non ci riuscivo. «Ci vediamo domani.»

Con la coda dell’occhio mi parve di vederla annuire.

Feci per girare la moto, ma lei parlò di nuovo.

«Fino a quando resti?»

Ci pensai su un attimo. «Ho un aereo tra tre giorni.» Pausa. Ora le davo le spalle. «Sempre se ci arrivo vivo.»

Sentii le sue braccia che mi circondavano. Premette il viso sulla mia nuca.

«Lo so che è dura. Fa male anche a me.» Mi strinse forte, più forte. «Vedrai che ce la faremo.»

«No.»

Lei sospirò e mi lasciò andare. Rimase alle mie spalle, senza portarsi davanti ai miei occhi.

«Senti, se hai bisogno di parlare…»

«No. Ho bisogno solo di dimenticare. Scusami, non è che non voglia parlarne con te, ma…»

«Te lo chiedevo solo… perché io ne avrei bisogno.»

Mi voltai a guardarla. Le lacrime le solcavano le guance, cadendo dai grandi occhi blu da bambola di porcellana. Le stesse lacrime che minacciavano di cadere dai miei. Implacabile prova del dolore. Inutile sfogo della rabbia.

«Ne ho tanto bisogno.» Lei si asciugò il viso, cambiò tono, si sforzò di sorridere. «Scusa, mi sto comportando come una stupida.»

«Sono io lo stupido…»

Cadde il silenzio. Restammo a guardare il marciapiede per un tempo infinito. Il tramonto stendeva lunghi raggi rossi e dorati sulla strada, sui nostri sguardi spenti. Si stava facendo tardi.

«Ciao, Li.»

«Ciao, Tomoyo.»

 

 

Dove vai quando poi resti sola?

Il ricordo, come sai, non consola

 

 

La moto correva veloce. Volevo lasciarmi tutto alle spalle, tutto, non volevo più vedere, non volevo più sentire, non volevo più soffrire. E sapevo che era impossibile, e che così stavo ancora più male.

Mi venne da pensare a Tomoyo. Chissà come faceva, lei, a fare finta di niente, ad andare avanti. A pensarci, quel giorno era stata la prima volta che l’avevo vista piangere. Si era sempre sforzata, aveva sempre lottato. Chissà dove andava, cosa faceva, quando era sola e il ricordo si ripresentava alla sua mente, bussando forte, violento, facendole male. Chissà se gli apriva la porta, lo riaccoglieva, con l’inutile speranza di trovarci un conforto, mentre invece lui non poteva consolarla; il ricordo non conosce comprensione, non ti lascia via di scampo e ogni volta fa più male della precedente, come una lama surriscaldata a poco a poco, piantata dritta nell’anima, senza pietà…

Chissà se invece fuggiva come me…

Era passata una settimana da quando avevo ricevuto la telefonata. Era passata una settimana da quando il mio mondo era caduto, si era frantumato in mille piccole schegge appuntite che mi avevano ferito ovunque, nel corpo, nella mente, nel cuore. Era passata una settimana e ancora quella domanda non aveva risposta.

Perché? Perché tu?

 

 

Quando lei se ne andò, per esempio

Trasformai la mia casa in un tempio

 

 

Una sola settimana e la mia vita non aveva più senso.

Una settimana aveva cancellato tutto quello che tu avevi costruito in tanti anni.

Perché eri tu il mio mondo.

Perché tu?

Questo mondo non aveva più senso, questo sole non aveva più senso, questo cielo, queste stelle, questo posto… Io non avevo più senso.

Tu te n’eri andata.

Non avevano senso le lacrime, non avevano senso le urla, le notti insonni, i giorni cupi… Però quelli c’erano.

Tu non c’eri più.

Una telefonata, qualche parola, e avevo perso tutto. Ero caduto in un abisso di disperazione, di collera, di silenzio. Quel silenzio che tu avevi cancellato, che avevi trasformato in parole, in sentimento, in amicizia, in amore.

Tu mi avevi insegnato cos’è l’amore. E ora io ero qui, di nuovo incapace di amare, senza di te.

Ero tornato qui, nei luoghi che avevo vissuto con te, e rivivevo ogni attimo, ogni parola, ogni sguardo. Faceva malissimo. Ma avrebbe fatto più male restare lontano e fingere che non mi toccasse più.

Il tuo ricordo faceva male, ma non potevo, non volevo mandarlo via.

 

 

E da allora solo occhi e non farnetico più

 

 

Eri silenzio e parole. Eri occhi e cuore. Eri vita e dolore. Eri tutto.

Mi ricordo ogni istante come se l’avessi appena vissuto. Eri arrivata così, con la tua amicizia, la tua dolcezza, e come una canzone ti eri fatta strada nel mio cuore, là dove nessuno era mai arrivato prima. E sei stata la cosa più bella che abbia avuto nella mia vita. Mi avevi colpito, mi avevi trasformato. Avevi saputo capirmi, aprirmi, e tante volte mi avevi fatto anche sentire stupido. Inadeguato.

Un solo tuo sguardo e incespicavo, arrossivo, farneticavo. La notte, lontano dal mondo, ridevo di me stesso, mi dicevo che era impossibile ridursi così per una ragazza. Però tu non eri una ragazza. Tu eri tu.

Ora non potevo che rimpiangere quei momenti, quelle occasioni sfumate, in cui avrei potuto parlarti e mi ero limitato a farfugliare. Forse, se tu avessi saputo, ora sarebbe diverso. Forse sarei con te, a farneticare e arrossire e incespicare. Forse saresti qui.

O forse il destino avrebbe comunque deciso diversamente.

Ma non te l’ho mai detto, non ho mai ammesso quello che avevi scatenato dentro di me. Avevo preferito fuggire da me stesso, tornare a casa mia, oltre l’oceano, troppo lontano da te. E così adesso ti avevo persa per sempre. Ero là, su quella maledetta moto che non poteva portarmi dove avrei voluto, e non avevo più niente, non avevo impaccio, non avevo rossore, avevo solo occhi, occhi spenti. Occhi vuoti ma pieni di te.

 

 

A guarirmi chi fu?

Ho paura a dirti che sei tu

 

 

Se non ci fosse stata Tomoyo, probabilmente mi sarei ucciso.

Era stata meravigliosa. E continuava ad esserlo. Quando ero tornato, non appena avevo messo piede fuori dall’aereo, lei mi era venuta incontro, senza lacrime, senza espressione, mi aveva abbracciato, aveva risposto alle mie domande, aveva condiviso il mio dolore, aveva ascoltato i miei rimpianti. Da ormai tre giorni mi era sempre accanto.

Anche quando ero tornato in quella casa…

E mi faceva paura che lei mi fosse così vicina. Avevo paura perché lei era diventata la mia migliore amica. Paura di soffrire di nuovo. Paura di voler davvero bene a qualcuno. Paura di non esserne più in grado.

Era esattamente così che mi sentivo, quando tu eri arrivata sulla mia strada e avevi cancellato, a poco a poco, quella paura.

E ora tu non c’eri più. E la paura faceva più paura di prima.

 

 

Ora noi siamo già più vicini

 

 

Inchiodai di colpo, ero arrivato, proprio lì dove non volevo tornare.

Ero tornato in questa casa enorme, immensa, dove vivevo quando c’era lei. Non c’era più nessuno qui, non c’era più il fidato maggiordomo, non c’era nemmeno Meiling. Lei era già tornata in Cina, dalla sua famiglia. Aveva detto che era troppo per lei, che non poteva sopportare di restare a Tokyo un secondo di più.

L’aveva detto proprio alla persona sbagliata.

Entrai in giardino portandomi dietro la moto. Non sopportavo di tornare qui, in questo spazio così grande e così vuoto, ancora più vuoto, perché ora non c’eri più tu nella mia vita…

All’improvviso vidi una  sagoma indistinta seduta davanti alla soglia di casa.

Come aveva fatto ad arrivare qui prima di me?

Mi guardò e sorrise debolmente. Credo che lo dissi ad alta voce perché mi diede subito una spiegazione.

«Scusami, ma volevo rivederti… Non posso stare sola adesso…»

Mi sedetti accanto a lei, in silenzio.

Tomoyo c’era sempre. C’era sempre stata, anche quando credevo di essere solo. Era stata l’unica cui avessi confidato di essere innamorato di te. O meglio, l’aveva capito da sola, ma non aveva mai giudicato, non aveva dato consigli, si era limitata a capirmi, a guardare da fuori, a sostenermi e a starmi accanto.

È sempre stata così simile a te. Forte come eri tu, dolce come eri tu, pronta come te ad offrire la sua amicizia. Come te, era riuscita ad avvicinarsi a me, me che sono sempre stato così ripiegato in me stesso, me che non cercavo contatti col mondo, non prima di conoscere voi due, di conoscere un’amicizia vera e profonda. E l’amore.

Di colpo mi resi conto di quanto ci eravamo avvicinati, in quegli ultimi tre giorni, molto più che in quegli anni passati insieme…

Mi posò la testa sulla spalla, lentamente, quasi involontariamente. Non mi sottrassi al contatto. Anch’io volevo starle vicino.

E mentre le circondavo le spalle con il braccio ebbi di nuovo quella sensazione, quella paura di restare solo.

Tomoyo c’era. C’era allora, c’era prima. Ma ciò non mi impediva di temere quella sua presenza, perché non potevo fare a meno di pensare che tutto passa, nella vita, tutto, e forse anche lei, la mia migliore amica, l’unica che mi fosse rimasta, un giorno non ci sarebbe stata, e io non avrei potuto fare niente, semplicemente avrei di nuovo messo il mio cuore in pericolo di perdere qualcuno…

Tu mi hai insegnato che i sentimenti sono più forti di qualsiasi cosa, anche della distanza.

Ma ora che te n’eri andata, ora che mi sentivo così vuoto e inutile, ne avevo di nuovo paura.

 

 

Io vorrei… Non vorrei… Ma se vuoi…

 

 

«Li… Sei mio amico, vero?»

La sua domanda mi sorprese. Continuai a guardare lontano, poi però mi resi conto che per rispondere ad una domanda del genere bisogna guardarsi negli occhi.

«Sì.»

«Quindi ci sarai sempre… per me…»

Ebbi un sussulto a queste parole. Sembrava quasi che potesse leggermi nel pensiero.

Spostò le mani sul mio petto, si aggrappò alla felpa, nascose il viso ai miei occhi.

«Non lasciarmi anche tu… Ti prego… Non lasciarmi sola…»

E quella paura ad un tratto tremolò, si fece più inconsistente, perché si era appena scontrata con una paura simile a lei e non sapeva bene come comportarsi. Continuare ad esistere? O morire insieme all’altra? Perché forse due paure vicine possono annullarsi a vicenda, possono dar vita a un timido coraggio condiviso.

«Non andartene di nuovo, Li. Non partire più… Mi sento così sola adesso…»

La strinsi forte.

Vorrei restare, Tomoyo, davvero lo vorrei tanto. Vorrei condividere quello che ho dentro con te, perché so che insieme potremmo venirne fuori. So quanto conti un’amica vera. So quanto conti tu per me. Ma al tempo stesso voglio solo andare via, lasciarmi una vita alle spalle, anche se so che farà male lo stesso…

Lei iniziò a singhiozzare. Il suo dolore mi penetrò dentro, era il mio stesso dolore.

E all’improvviso capii che stava succedendo di nuovo.

 

 

Come può uno scoglio arginare il mare?

Anche se non voglio, torno già a volare

 

 

Lo vedi cosa mi hai fatto, Sakura?

Dovunque tu sia, spero che tu capisca, anche se ormai è tardi.

Mi hai insegnato ad amare, e ora sento che questo è più importante, e che è impossibile rinunciarci, impossibile, come una mano che fermi l’aria, come uno scoglio che fermi le onde, perché i sentimenti non li puoi fermare mai. Per questo sentivo di non poter restare solo, e di non poter lasciare sola lei, la mia migliore amica che soffriva per te, come me.

Sei stata tu a insegnarmelo. Tu mi hai fatto capire la bellezza di un volo, il calore di un abbraccio, la forza di un’emozione.

 

 

Le distese azzurre e le verdi terre

Le discese ardite e le risalite

Su nel cielo aperto e poi giù il deserto

E poi ancora in alto con un grande salto

 

 

E così adesso sentivo forte lei, Tomoyo, e mi perdevo in un abbraccio nuovo e ricordavo nitidamente tutto ciò che avevo visto con te.

Mari, cieli, prati, discese, salite, alto, basso, su, giù, pieno, vuoto, tu, io…

Tutto in un’emozione.

E la paura stava per andare via.

«Se vuoi che resti, non ti lascio…»

 

 

Dove vai quando poi resti sola?

Senza ali, tu lo sai, non si vola

 

 

Tomoyo si distaccò da me, sorrise tra le lacrime, mi prese le mani e abbassò lo sguardo.

«Sai cosa faccio quando sono sola?»

Scossi la testa.

«Penso. Penso molto a lei, sai, ma anche a me stessa. A quello che ho provato quando la sentivo vicina. Non ho avuto nessun’altra amica come Sakura. Lei… Lei era magica. In tutti i sensi.» Il suo sorriso era ancora triste, ma si fece più ampio. «Il fatto è che tutte quelle sensazioni le provavo con lei. Ora è come se mi sentissi incapace di provarle di nuovo… Come se mi avessero strappato le ali…» Mi guardò con aria colpevole. «Pensi anche tu che sia sbagliato sentirsi così?»

Sospirai. Era incredibile come fossimo diventati simili, come fossimo inesorabilmente, terribilmente vicini…

«Sì… Però mi ci sento lo stesso.»

 

 

Io quel dì mi trovai, per esempio

Quasi sperso in quel letto così ampio

 

 

Calò di nuovo il silenzio. I pensieri e i ricordi volavano da me a lei, da lei a me.

Ripensavo a quando ero tornato a casa tua. Era strano pensare che fossero passati solo tre giorni. Mi sembrava una vita. Una vita senza di te.

Era orribile l’atmosfera che si respirava in quella casa. Come se il sole non potesse più rischiararla. E tu eri questo, eri un sole che illuminava qualunque cosa incontrasse. Anche me, che allora vivevo di buio. Io e Tomoyo avevamo esitato prima di entrare.

«Non ce la faccio…»

Tomoyo mi aveva guardato seria. Senza lacrime.

«Devi farcela, Li. Devi superarlo. E anch’io…»

Dentro casa avevamo trovato tuo padre, distrutto. C’erano anche Toy e Yuki. Non avevo provato il solito fastidio quando li avevo visti. Né astio per l’uno, né gelosia per l’altro. Loro che hanno sempre avuto ciò che io desideravo di più, il tuo amore, amore di sorella e di innamorata… Loro, ora, non potevano più muovere in me alcuna emozione. Non senza di te.

Tomoyo aveva abbracciato tuo padre e io mi ero tenuto in disparte. Mi sentivo un estraneo. Io non ero uno di famiglia. Non avevo una vera famiglia. Per questo non avevo mai amato… prima di te.

Però ero entrato nella tua camera.

Ero rimasto sulla porta per un minuto o una vita, poi ero crollato in ginocchio sul tappeto, avevo affondato il viso nel tuo letto, così freddo, così inesorabilmente vuoto, e mi ero sentito completamente perduto. Mi ero sentito inesistente.

 

 

Stalattiti sul soffitto i miei giorni con lei

Io la morte abbracciai

 

 

Ero rimasto così, in una camera che sentivo gelida come una grotta, una caverna buia non più colpita dal sole, a ricordare, ricordi anch’essi gelati e pungenti come ghiaccio. Anch’io sentivo il freddo della morte, Sakura.

Poi qualcuno era entrato alle mie spalle a aveva parlato.

«Voglio che tu abbia una cosa.»

Non avevo reagito, così Toy aveva attraversato la stanza, mi aveva sollevato quasi di peso e mi aveva portato davanti alla finestra.

«Vedi quella laggiù? Sarebbe stato il suo regalo… la settimana prossima… per i suoi diciotto anni.»

Era una moto nuova fiammante, di un colore blu oltremare.

«So quanto foste legati. E voglio che la prenda tu.»

Lo avevo fissato. Non ci eravamo mai piaciuti. Non che mi importasse molto, ma gli avevo fatto lo stesso quella domanda.

«Perché?»

«Perché l’amavi.»

 

 

Ho paura a dirti che per te mi svegliai

 

 

«A cosa pensi?»

Tomoyo mi riportò al presente, alla soglia in penombra di una villa vuota e troppo grande.

Mi alzai e andai vicino alla moto, sfiorandola appena, con la punta delle dita.

«Al fatto che non posso tenerla…»

«Perché? Toy ha voluto che l’avessi tu…»

«Tomoyo… Non posso avere questa moto. Non posso avere nessuna moto… sapendo che è stata proprio una di queste a portarla via… una stupidissima motocicletta… uno stupidissimo incidente… che me l’ha strappata…»

Lei mi raggiunse. Anche se avevo serrato gli occhi, potevo sentire il suo respiro. Mise una mano sulla mia, ma non disse nulla.

«Li… Si è fatto tardi. Dovrei essere a casa.»

«No. Resta qui.»

Le afferrai la mano, la tirai a me e l’abbracciai. Lei ricambiò, ma capii di averla sorpresa con quel gesto inaspettato.

Anch’io ero sorpreso da me stesso.

Ma mi stavo finalmente rendendo conto di quanto lei fosse importante… E non avevo idea di come ringraziarla di questo.

 

 

Oramai fra di noi solo un passo

 

 

Stava scendendo la sera.

Quando Tomoyo si distaccò da me, il suo viso era rischiarato dalla luce delle stelle. Restò davanti a me, vicinissima.

All’improvviso quella vicinanza mi mise a disagio e cercai di ritrarmi, ma lei mi trattenne.

I suoi occhi blu erano fissi nei miei.

Mi sfiorò il viso con le dita, provocandomi uno strano brivido. Cosa stava succedendo?

 

 

Io vorrei…

 

 

Tomoyo si avvicinò ancora. Per un attimo rimasi interdetto, immobile, incredulo.

 

 

Non vorrei…

 

 

L’istante successivo mi resi conto della situazione. E subito arretrai di nuovo, nella mente l’immagine di te, troppo nitida da cancellare, troppo forte, troppo viva… ma anche troppo lontana…

 

 

Ma se vuoi…

 

 

Fu allora che sentii la tua voce…

Non so se semplicemente la immaginai o se tu mi avessi parlato davvero, non credo che potrò mai saperlo… Ma la riconobbi subito, e il mio cuore accelerò i battiti.

Vivi…

Una sola parola può significare molto…

Anche questo l’avevo imparato da te…

Tomoyo si era fermata, improvvisamente consapevole, come svegliatasi da un sogno. Mi guardò, stupita di se stessa. Ma ora sapevo che no, non era un errore.

La tua voce riempì il vuoto dentro di me, mentre mi riavvicinavo a Tomoyo. Lei sorrise, sollevandosi in punta di piedi, finché nel buio potei sentire il suo tocco leggero sulle labbra.

 

 

Come può uno scoglio arginare il mare?

Anche se non voglio torno già a volare

 

 

Fu un bacio un po’ incerto: nessuno dei due sapeva cosa fosse successo, nessuno dei due sapeva perché.

In testa mi balenava la tua immagine, il tuo viso, i tuoi begli occhi verdi, il tuo sorriso luminoso, il suono della tua voce. Di colpo ti sentivo vicina. Vicina e felice. Felice di ciò che stava accadendo un mondo o un passo più in là, tra il tuo migliore amico e la tua migliore amica.

A poco a poco mi convincevo di non star sbagliando.

Tomoyo allontanò lentamente il viso. I suoi occhi sembravano ancora più grandi e blu nella penombra.

«Ma che stiamo facendo, Li?»

Aveva il respiro affannoso. Percepii, più che vederlo, che era arrossita.

«Tomoyo…» Le sfiorai i capelli, il viso, le labbra. «Io voglio poter amare di nuovo… Voglio riprovare ciò che ho rischiato di perdere… Voglio volare ancora, voglio vivere… Perché me lo ha detto lei…»

 

 

Le distese azzurre e le verdi terre

Le discese ardite e le risalite

Su nel cielo aperto e poi giù il deserto

E poi ancora in alto con un grande salto

 

 

«Tu… Tu pensi che questo la renderebbe felice?»

Sorrisi in risposta al suo sussurro.

«Ma… E tu?»

«Io…» Le presi le mani. «Io vivrò…»

Mi chinai su di lei, la strinsi forte mentre la baciavo di nuovo. Mentre volavo di nuovo sul mondo.

Sono passati quasi tre anni da quella notte. Non ho mai nemmeno pensato di stare con Tomoyo solo per aver perso te.

Penso ancora a te, è inevitabile. Molte volte. Ti ho amata e continuo ad amarti e ti amerò sempre. Ma tu eri così, anche in vita, un raggio di luce che non potevo afferrare, e che non poteva fermarsi ad amare solo me, perché amava tutto il mondo. Non potevi appartenere a nessuno. Eri libera come l’aria. E sono certo che lo sei ancora, anche se non potrò più vederti. Ma ho imparato che, anche se tutto passa, il mondo va avanti.

Lo vedi, Sakura? Amarti è stata la cosa più bella che mi sia mai capitata. Perché così ho imparato molte cose.

Grazie di avermi cambiato… Non ti dimenticherò mai…

È notte fonda. È tardi per pensarti ancora.

Tomoyo dorme al mio fianco. Sorride nel sonno. Sorrido anch’io mentre accarezzo il suo ventre gonfio di una nuova vita.

Se sarà una bambina, la chiameremo Sakura.

   
 
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