È sbagliato ignorare i
propri sentimenti. Capita che, se non sfrutti un’occasione, questa non si
ripresenta mai più. Capita che allora perdi tutto. Capita che perdi una
persona, senza averle prima detto che per te era importante. Ma allora non ti
devi abbattere, non devi cedere alla disperazione: pensa che per lei hai
imparato ad amare, e prova a farlo di nuovo; perché l’amore è l’unica cosa che
non muore mai…
Io vorrei… Non vorrei… Ma
se vuoi…
«Ecco,
io scendo qui.» Lei mi picchiettò sulla spalla. «Sul serio, posso continuare a
piedi.»
«No,
dai, ti porto a casa.»
«Non
preoccuparti. Me la caverò.»
Rallentai
finché la ruota anteriore lanciò un sibilo soffocato, mentre la moto frenava
sull’asfalto. La ragazza dietro di me scese e si fermò sul marciapiede,
togliendosi il casco e ravviando una cascata di capelli mossi e scuri. Me lo porse.
«Grazie
del passaggio.»
«Non
c’è di che.» Ripresi il casco senza guardarla negli occhi, ancora non ci
riuscivo. «Ci vediamo domani.»
Con
la coda dell’occhio mi parve di vederla annuire.
Feci
per girare la moto, ma lei parlò di nuovo.
«Fino
a quando resti?»
Ci
pensai su un attimo. «Ho un aereo tra tre giorni.» Pausa. Ora le davo le spalle.
«Sempre se ci arrivo vivo.»
Sentii
le sue braccia che mi circondavano. Premette il viso sulla mia nuca.
«Lo
so che è dura. Fa male anche a me.» Mi strinse forte, più forte. «Vedrai che ce
la faremo.»
«No.»
Lei
sospirò e mi lasciò andare. Rimase alle mie spalle, senza portarsi davanti ai
miei occhi.
«Senti,
se hai bisogno di parlare…»
«No.
Ho bisogno solo di dimenticare. Scusami, non è che non voglia parlarne con te,
ma…»
«Te
lo chiedevo solo… perché io ne avrei bisogno.»
Mi
voltai a guardarla. Le lacrime le solcavano le guance, cadendo dai grandi occhi
blu da bambola di porcellana. Le stesse lacrime che minacciavano di cadere dai
miei. Implacabile prova del dolore. Inutile sfogo della rabbia.
«Ne
ho tanto bisogno.» Lei si asciugò il viso, cambiò tono, si sforzò di sorridere.
«Scusa, mi sto comportando come una stupida.»
«Sono
io lo stupido…»
Cadde
il silenzio. Restammo a guardare il marciapiede per un tempo infinito. Il
tramonto stendeva lunghi raggi rossi e dorati sulla strada, sui nostri sguardi
spenti. Si stava facendo tardi.
«Ciao,
Li.»
«Ciao,
Tomoyo.»
Dove vai quando poi resti
sola?
Il ricordo, come sai, non
consola
La
moto correva veloce. Volevo lasciarmi tutto alle spalle, tutto, non volevo più
vedere, non volevo più sentire, non volevo più soffrire. E sapevo che era impossibile,
e che così stavo ancora più male.
Mi
venne da pensare a Tomoyo. Chissà come faceva, lei, a fare finta di niente, ad
andare avanti. A pensarci, quel giorno era stata la prima volta che l’avevo
vista piangere. Si era sempre sforzata, aveva sempre lottato. Chissà dove andava,
cosa faceva, quando era sola e il ricordo si ripresentava alla sua mente,
bussando forte, violento, facendole male. Chissà se gli apriva la porta, lo
riaccoglieva, con l’inutile speranza di trovarci un conforto, mentre invece lui
non poteva consolarla; il ricordo non conosce comprensione, non ti lascia via
di scampo e ogni volta fa più male della precedente, come una lama
surriscaldata a poco a poco, piantata dritta nell’anima, senza pietà…
Chissà
se invece fuggiva come me…
Era
passata una settimana da quando avevo ricevuto la telefonata. Era passata una
settimana da quando il mio mondo era caduto, si era frantumato in mille piccole
schegge appuntite che mi avevano ferito ovunque, nel corpo, nella mente, nel
cuore. Era passata una settimana e ancora quella domanda non aveva risposta.
Perché?
Perché tu?
Quando lei se ne andò, per
esempio
Trasformai la mia casa in
un tempio
Una
sola settimana e la mia vita non aveva più senso.
Una
settimana aveva cancellato tutto quello che tu avevi costruito in tanti anni.
Perché
eri tu il mio mondo.
Perché
tu?
Questo
mondo non aveva più senso, questo sole non aveva più senso, questo cielo,
queste stelle, questo posto… Io non avevo più senso.
Tu
te n’eri andata.
Non
avevano senso le lacrime, non avevano senso le urla, le notti insonni, i giorni
cupi… Però quelli c’erano.
Tu
non c’eri più.
Una
telefonata, qualche parola, e avevo perso tutto. Ero caduto in un abisso di
disperazione, di collera, di silenzio. Quel silenzio che tu avevi cancellato,
che avevi trasformato in parole, in sentimento, in amicizia, in amore.
Tu
mi avevi insegnato cos’è l’amore. E ora io ero qui, di nuovo incapace di amare,
senza di te.
Ero
tornato qui, nei luoghi che avevo vissuto con te, e rivivevo ogni attimo, ogni
parola, ogni sguardo. Faceva malissimo. Ma avrebbe fatto più male restare
lontano e fingere che non mi toccasse più.
Il
tuo ricordo faceva male, ma non potevo, non volevo mandarlo via.
E da allora solo occhi e
non farnetico più
Eri
silenzio e parole. Eri occhi e cuore. Eri vita e dolore. Eri tutto.
Mi
ricordo ogni istante come se l’avessi appena vissuto. Eri arrivata così, con la
tua amicizia, la tua dolcezza, e come una canzone ti eri fatta strada nel mio
cuore, là dove nessuno era mai arrivato prima. E sei stata la cosa più bella
che abbia avuto nella mia vita. Mi avevi colpito, mi avevi trasformato. Avevi
saputo capirmi, aprirmi, e tante volte mi avevi fatto anche sentire stupido.
Inadeguato.
Un
solo tuo sguardo e incespicavo, arrossivo, farneticavo. La notte, lontano dal
mondo, ridevo di me stesso, mi dicevo che era impossibile ridursi così per una
ragazza. Però tu non eri una ragazza. Tu eri tu.
Ora
non potevo che rimpiangere quei momenti, quelle occasioni sfumate, in cui avrei
potuto parlarti e mi ero limitato a farfugliare. Forse, se tu avessi saputo,
ora sarebbe diverso. Forse sarei con te, a farneticare e arrossire e
incespicare. Forse saresti qui.
O
forse il destino avrebbe comunque deciso diversamente.
Ma
non te l’ho mai detto, non ho mai ammesso quello che avevi scatenato dentro di
me. Avevo preferito fuggire da me stesso, tornare a casa mia, oltre l’oceano,
troppo lontano da te. E così adesso ti avevo persa per sempre. Ero là, su quella
maledetta moto che non poteva portarmi dove avrei voluto, e non avevo più
niente, non avevo impaccio, non avevo rossore, avevo solo occhi, occhi spenti.
Occhi vuoti ma pieni di te.
A guarirmi chi fu?
Ho paura a dirti che sei tu
Se
non ci fosse stata Tomoyo, probabilmente mi sarei ucciso.
Era
stata meravigliosa. E continuava ad esserlo. Quando ero tornato, non appena
avevo messo piede fuori dall’aereo, lei mi era venuta incontro, senza lacrime,
senza espressione, mi aveva abbracciato, aveva risposto alle mie domande, aveva
condiviso il mio dolore, aveva ascoltato i miei rimpianti. Da ormai tre giorni
mi era sempre accanto.
Anche
quando ero tornato in quella casa…
E
mi faceva paura che lei mi fosse così vicina. Avevo paura perché lei era
diventata la mia migliore amica. Paura di soffrire di nuovo. Paura di voler
davvero bene a qualcuno. Paura di non esserne più in grado.
Era
esattamente così che mi sentivo, quando tu eri arrivata sulla mia strada e avevi
cancellato, a poco a poco, quella paura.
E
ora tu non c’eri più. E la paura faceva più paura di prima.
Ora noi siamo già più
vicini
Inchiodai
di colpo, ero arrivato, proprio lì dove non volevo tornare.
Ero
tornato in questa casa enorme, immensa, dove vivevo quando c’era lei. Non c’era
più nessuno qui, non c’era più il fidato maggiordomo, non c’era nemmeno
Meiling. Lei era già tornata in Cina, dalla sua famiglia. Aveva detto che era
troppo per lei, che non poteva sopportare di restare a Tokyo un secondo di più.
L’aveva
detto proprio alla persona sbagliata.
Entrai
in giardino portandomi dietro la moto. Non sopportavo di tornare qui, in questo
spazio così grande e così vuoto, ancora più vuoto, perché ora non c’eri più tu
nella mia vita…
All’improvviso
vidi una sagoma indistinta seduta
davanti alla soglia di casa.
Come
aveva fatto ad arrivare qui prima di me?
Mi
guardò e sorrise debolmente. Credo che lo dissi ad alta voce perché mi diede
subito una spiegazione.
«Scusami,
ma volevo rivederti… Non posso stare sola adesso…»
Mi
sedetti accanto a lei, in silenzio.
Tomoyo
c’era sempre. C’era sempre stata, anche quando credevo di essere solo. Era
stata l’unica cui avessi confidato di essere innamorato di te. O meglio, l’aveva
capito da sola, ma non aveva mai giudicato, non aveva dato consigli, si era
limitata a capirmi, a guardare da fuori, a sostenermi e a starmi accanto.
È
sempre stata così simile a te. Forte come eri tu, dolce come eri tu, pronta
come te ad offrire la sua amicizia. Come te, era riuscita ad avvicinarsi a me,
me che sono sempre stato così ripiegato in me stesso, me che non cercavo
contatti col mondo, non prima di conoscere voi due, di conoscere un’amicizia
vera e profonda. E l’amore.
Di
colpo mi resi conto di quanto ci eravamo avvicinati, in quegli ultimi tre
giorni, molto più che in quegli anni passati insieme…
Mi
posò la testa sulla spalla, lentamente, quasi involontariamente. Non mi
sottrassi al contatto. Anch’io volevo starle vicino.
E
mentre le circondavo le spalle con il braccio ebbi di nuovo quella sensazione,
quella paura di restare solo.
Tomoyo
c’era. C’era allora, c’era prima. Ma ciò non mi impediva di temere quella sua
presenza, perché non potevo fare a meno di pensare che tutto passa, nella vita,
tutto, e forse anche lei, la mia migliore amica, l’unica che mi fosse rimasta,
un giorno non ci sarebbe stata, e io non avrei potuto fare niente,
semplicemente avrei di nuovo messo il mio cuore in pericolo di perdere
qualcuno…
Tu
mi hai insegnato che i sentimenti sono più forti di qualsiasi cosa, anche della
distanza.
Ma
ora che te n’eri andata, ora che mi sentivo così vuoto e inutile, ne avevo di
nuovo paura.
Io vorrei… Non vorrei… Ma
se vuoi…
«Li…
Sei mio amico, vero?»
La
sua domanda mi sorprese. Continuai a guardare lontano, poi però mi resi conto
che per rispondere ad una domanda del genere bisogna guardarsi negli occhi.
«Sì.»
«Quindi
ci sarai sempre… per me…»
Ebbi
un sussulto a queste parole. Sembrava quasi che potesse leggermi nel pensiero.
Spostò
le mani sul mio petto, si aggrappò alla felpa, nascose il viso ai miei occhi.
«Non
lasciarmi anche tu… Ti prego… Non lasciarmi sola…»
E
quella paura ad un tratto tremolò, si fece più inconsistente, perché si era
appena scontrata con una paura simile a lei e non sapeva bene come comportarsi.
Continuare ad esistere? O morire insieme all’altra? Perché forse due paure
vicine possono annullarsi a vicenda, possono dar vita a un timido coraggio
condiviso.
«Non
andartene di nuovo, Li. Non partire più… Mi sento così sola adesso…»
La
strinsi forte.
Vorrei restare, Tomoyo,
davvero lo vorrei tanto. Vorrei condividere quello che ho dentro con te, perché
so che insieme potremmo venirne fuori. So quanto conti un’amica vera. So quanto
conti tu per me. Ma al tempo stesso voglio solo andare via, lasciarmi una vita
alle spalle, anche se so che farà male lo stesso…
Lei
iniziò a singhiozzare. Il suo dolore mi penetrò dentro, era il mio stesso
dolore.
E
all’improvviso capii che stava succedendo di nuovo.
Come può uno scoglio
arginare il mare?
Anche se non voglio, torno
già a volare
Lo
vedi cosa mi hai fatto, Sakura?
Dovunque
tu sia, spero che tu capisca, anche se ormai è tardi.
Mi
hai insegnato ad amare, e ora sento che questo è più importante, e che è
impossibile rinunciarci, impossibile, come una mano che fermi l’aria, come uno
scoglio che fermi le onde, perché i sentimenti non li puoi fermare mai. Per
questo sentivo di non poter restare solo, e di non poter lasciare sola lei, la
mia migliore amica che soffriva per te, come me.
Sei
stata tu a insegnarmelo. Tu mi hai fatto capire la bellezza di un volo, il
calore di un abbraccio, la forza di un’emozione.
Le distese azzurre e le
verdi terre
Le discese ardite e le
risalite
Su nel cielo aperto e poi giù
il deserto
E poi ancora in alto con un
grande salto
E
così adesso sentivo forte lei, Tomoyo, e mi perdevo in un abbraccio nuovo e
ricordavo nitidamente tutto ciò che avevo visto con te.
Mari,
cieli, prati, discese, salite, alto, basso, su, giù, pieno, vuoto, tu, io…
Tutto
in un’emozione.
E
la paura stava per andare via.
«Se
vuoi che resti, non ti lascio…»
Dove vai quando poi resti
sola?
Senza ali, tu lo sai, non
si vola
Tomoyo
si distaccò da me, sorrise tra le lacrime, mi prese le mani e abbassò lo
sguardo.
«Sai
cosa faccio quando sono sola?»
Scossi
la testa.
«Penso.
Penso molto a lei, sai, ma anche a me stessa. A quello che ho provato quando la
sentivo vicina. Non ho avuto nessun’altra amica come Sakura. Lei… Lei era
magica. In tutti i sensi.» Il suo sorriso era ancora triste, ma si fece più
ampio. «Il fatto è che tutte quelle sensazioni le provavo con lei. Ora è come
se mi sentissi incapace di provarle di nuovo… Come se mi avessero strappato le
ali…» Mi guardò con aria colpevole. «Pensi anche tu che sia sbagliato sentirsi
così?»
Sospirai.
Era incredibile come fossimo diventati simili, come fossimo inesorabilmente,
terribilmente vicini…
«Sì…
Però mi ci sento lo stesso.»
Io quel dì mi trovai, per
esempio
Quasi sperso in quel letto
così ampio
Calò
di nuovo il silenzio. I pensieri e i ricordi volavano da me a lei, da lei a me.
Ripensavo
a quando ero tornato a casa tua. Era strano pensare che fossero passati solo
tre giorni. Mi sembrava una vita. Una vita senza di te.
Era
orribile l’atmosfera che si respirava in quella casa. Come se il sole non
potesse più rischiararla. E tu eri questo, eri un sole che illuminava qualunque
cosa incontrasse. Anche me, che allora vivevo di buio. Io e Tomoyo avevamo
esitato prima di entrare.
«Non
ce la faccio…»
Tomoyo
mi aveva guardato seria. Senza lacrime.
«Devi
farcela, Li. Devi superarlo. E anch’io…»
Dentro
casa avevamo trovato tuo padre, distrutto. C’erano anche Toy e Yuki. Non avevo
provato il solito fastidio quando li avevo visti. Né astio per l’uno, né
gelosia per l’altro. Loro che hanno sempre avuto ciò che io desideravo di più,
il tuo amore, amore di sorella e di innamorata… Loro, ora, non potevano più
muovere in me alcuna emozione. Non senza di te.
Tomoyo
aveva abbracciato tuo padre e io mi ero tenuto in disparte. Mi sentivo un
estraneo. Io non ero uno di famiglia. Non avevo una vera famiglia. Per questo
non avevo mai amato… prima di te.
Però
ero entrato nella tua camera.
Ero
rimasto sulla porta per un minuto o una vita, poi ero crollato in ginocchio sul
tappeto, avevo affondato il viso nel tuo letto, così freddo, così
inesorabilmente vuoto, e mi ero sentito completamente perduto. Mi ero sentito
inesistente.
Stalattiti sul soffitto i
miei giorni con lei
Io la morte abbracciai
Ero
rimasto così, in una camera che sentivo gelida come una grotta, una caverna
buia non più colpita dal sole, a ricordare, ricordi anch’essi gelati e pungenti
come ghiaccio. Anch’io sentivo il freddo della morte, Sakura.
Poi
qualcuno era entrato alle mie spalle a aveva parlato.
«Voglio
che tu abbia una cosa.»
Non
avevo reagito, così Toy aveva attraversato la stanza, mi aveva sollevato quasi
di peso e mi aveva portato davanti alla finestra.
«Vedi
quella laggiù? Sarebbe stato il suo regalo… la settimana prossima… per i suoi
diciotto anni.»
Era
una moto nuova fiammante, di un colore blu oltremare.
«So
quanto foste legati. E voglio che la prenda tu.»
Lo
avevo fissato. Non ci eravamo mai piaciuti. Non che mi importasse molto, ma gli
avevo fatto lo stesso quella domanda.
«Perché?»
«Perché
l’amavi.»
Ho paura a dirti che per te
mi svegliai
«A
cosa pensi?»
Tomoyo
mi riportò al presente, alla soglia in penombra di una villa vuota e troppo
grande.
Mi
alzai e andai vicino alla moto, sfiorandola appena, con la punta delle dita.
«Al
fatto che non posso tenerla…»
«Perché?
Toy ha voluto che l’avessi tu…»
«Tomoyo…
Non posso avere questa moto. Non posso avere nessuna moto… sapendo che è stata
proprio una di queste a portarla via… una stupidissima motocicletta… uno
stupidissimo incidente… che me l’ha strappata…»
Lei
mi raggiunse. Anche se avevo serrato gli occhi, potevo sentire il suo respiro.
Mise una mano sulla mia, ma non disse nulla.
«Li…
Si è fatto tardi. Dovrei essere a casa.»
«No.
Resta qui.»
Le
afferrai la mano, la tirai a me e l’abbracciai. Lei ricambiò, ma capii di
averla sorpresa con quel gesto inaspettato.
Anch’io
ero sorpreso da me stesso.
Ma
mi stavo finalmente rendendo conto di quanto lei fosse importante… E non avevo
idea di come ringraziarla di questo.
Oramai fra di noi solo un
passo
Stava
scendendo la sera.
Quando
Tomoyo si distaccò da me, il suo viso era rischiarato dalla luce delle stelle.
Restò davanti a me, vicinissima.
All’improvviso
quella vicinanza mi mise a disagio e cercai di ritrarmi, ma lei mi trattenne.
I
suoi occhi blu erano fissi nei miei.
Mi
sfiorò il viso con le dita, provocandomi uno strano brivido. Cosa stava
succedendo?
Io vorrei…
Tomoyo
si avvicinò ancora. Per un attimo rimasi interdetto, immobile, incredulo.
Non vorrei…
L’istante
successivo mi resi conto della situazione. E subito arretrai di nuovo, nella
mente l’immagine di te, troppo nitida da cancellare, troppo forte, troppo viva…
ma anche troppo lontana…
Ma se vuoi…
Fu
allora che sentii la tua voce…
Non
so se semplicemente la immaginai o se tu mi avessi parlato davvero, non credo
che potrò mai saperlo… Ma la riconobbi subito, e il mio cuore accelerò i
battiti.
“Vivi…”
Una
sola parola può significare molto…
Anche
questo l’avevo imparato da te…
Tomoyo
si era fermata, improvvisamente consapevole, come svegliatasi da un sogno. Mi
guardò, stupita di se stessa. Ma ora sapevo che no, non era un errore.
La
tua voce riempì il vuoto dentro di me, mentre mi riavvicinavo a Tomoyo. Lei
sorrise, sollevandosi in punta di piedi, finché nel buio potei sentire il suo
tocco leggero sulle labbra.
Come può uno scoglio
arginare il mare?
Anche se non voglio torno
già a volare
Fu
un bacio un po’ incerto: nessuno dei due sapeva cosa fosse successo, nessuno
dei due sapeva perché.
In
testa mi balenava la tua immagine, il tuo viso, i tuoi begli occhi verdi, il tuo
sorriso luminoso, il suono della tua voce. Di colpo ti sentivo vicina. Vicina e
felice. Felice di ciò che stava accadendo un mondo o un passo più in là, tra il
tuo migliore amico e la tua migliore amica.
A
poco a poco mi convincevo di non star sbagliando.
Tomoyo
allontanò lentamente il viso. I suoi occhi sembravano ancora più grandi e blu
nella penombra.
«Ma
che stiamo facendo, Li?»
Aveva
il respiro affannoso. Percepii, più che vederlo, che era arrossita.
«Tomoyo…»
Le sfiorai i capelli, il viso, le labbra. «Io voglio poter amare di nuovo…
Voglio riprovare ciò che ho rischiato di perdere… Voglio volare ancora, voglio
vivere… Perché me lo ha detto lei…»
Le distese azzurre e le
verdi terre
Le discese ardite e le
risalite
Su nel cielo aperto e poi
giù il deserto
E poi ancora in alto con un
grande salto
«Tu…
Tu pensi che questo la renderebbe felice?»
Sorrisi
in risposta al suo sussurro.
«Ma…
E tu?»
«Io…»
Le presi le mani. «Io vivrò…»
Mi
chinai su di lei, la strinsi forte mentre la baciavo di nuovo. Mentre volavo di
nuovo sul mondo.
Sono
passati quasi tre anni da quella notte. Non ho mai nemmeno pensato di stare con
Tomoyo solo per aver perso te.
Penso
ancora a te, è inevitabile. Molte volte. Ti ho amata e continuo ad amarti e ti
amerò sempre. Ma tu eri così, anche in vita, un raggio di luce che non potevo
afferrare, e che non poteva fermarsi ad amare solo me, perché amava tutto il
mondo. Non potevi appartenere a nessuno. Eri libera come l’aria. E sono certo
che lo sei ancora, anche se non potrò più vederti. Ma ho imparato che, anche se
tutto passa, il mondo va avanti.
Lo
vedi, Sakura? Amarti è stata la cosa più bella che mi sia mai capitata. Perché
così ho imparato molte cose.
Grazie
di avermi cambiato… Non ti dimenticherò mai…
È notte
fonda. È tardi per pensarti ancora.
Tomoyo
dorme al mio fianco. Sorride nel sonno. Sorrido anch’io mentre accarezzo il suo
ventre gonfio di una nuova vita.
Se
sarà una bambina, la chiameremo Sakura.