Una luminosa mattina di inizio luglio. L’aria è calda, e le foglie degli alberi si muovono appena nella tiepida brezza. Scendiamo lungo la strada serpeggiante, senza parlare. Il mio cuore è pesante, e nonostante il cielo sereno mi pare che un oscuro presagio incomba su di noi. Giunti davanti al Cancello, troviamo nostro padre e alcune guardie della Cittadella, nella loro uniforme nera e argento. Un addio regale per mio fratello, che parte per un viaggio lungo e pericoloso.
Scendiamo da cavallo, e Boromir va ad inchinarsi di fronte al Sovrintendente di Gondor. Denethor gli rivolge qualche parola, a voce bassa; poi, in modo che tutti possano udire: “Vai, figlio mio, con la mia benedizione”.
Boromir torna verso di me, e con un sorriso: “Addio, Faramir. Veglia su Minas Tirith mentre io sarò lontano”; e aggiunge più piano: “E su nostro padre”.
“Non temere, Boromir, lo farò. Ma tu sai bene che sarei partito al posto tuo, se…”
“Lo so. Ma nostro padre ha affidato a me questo incarico; e inoltre tu sei necessario qui. Le difese dell’Ithilien sono nelle tue mani, ora”.
Ci abbracciamo. Poi Boromir, guardandomi, dice: “Cos’è quella faccia, fratello mio? Non temere, troverò Imladris, e allora sapremo il significato dei sogni che ti tormentano”. “Non è questo che mi preoccupa”, rispondo, “sono inquieto, e ho un cattivo presentimento… Sii prudente!”
Boromir, ridendo, monta in sella. “Arrivederci fratellino!”
“Addio”. E mentre si allontana al galoppo non posso fare a meno di chiedermi se mai lo rivedrò ancora.