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Autore: shaka    27/12/2007    3 recensioni
Una ragazza che si sente soffocare nel mondo di cristallo in cui vive...tra party e feste di beneficienza. Sophie decide di partire per andare da una zia in Germania, e in compagnia dell'adorata cugina Frida vivrà un week-end davvero unico.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prima di iniziare valgono i soliti DESCLAIMERS: I Tokio Hotel non sono di mia proprietà. Gli altri personaggi invece sono frutto della mia testolina, spero di averli resi interessanti…
Inoltre ciò che è narrato in questa storia è frutto della mia fantasia. Ogni riferimento a fatti realmente avvenuti, o a persone realmente esistenti è puramente casuale (Tokio Hotel esclusi, visto che loro si sa che esistono ^_^).

Buona lettura dell'ultimo capitolo (per maggiori informazioni vi rimando alla nota in fondo al capitolo. LEGGETELA PER FAVORE!!)

RITORNO IN GABBIA?

Aeroporto Halle - Lipsia

La strada per l’aeroporto non mi era sembrata così veloce all’andata…forse perché il catorcio di Frida andava più lentamente, o forse perché Tom mi stava abbracciando stretto…
“Il volo 137 per Heathrow è dato in check-in al banco 17, è di là.” Disse la zia che facendoci poi strada verso il banco.
Grazie al cielo non c’erano paparazzi. Quando lo feci notare a Cristopher mi spiegò che, molto spesso, erano proprio le star a chiamarli per avere un po’ di pubblicità, ma non era il loro caso.
Il mio bagaglio era sufficientemente piccolo per stare con me sull’aereo, e il momento tanto temuto era ormai arrivato.
“Aspetta Sophie!!” ci voltammo verso la fonte di quell’urlo, e scorgemmo arrivare di corsa gli ultimi due elementi del gruppo: Georg e Gustav.
“Pensavamo di non riuscire a salutarti!” disse il bassista abbracciandomi.

“Grazie per essere venuti ragazzi! A proposito Gustav, guarda che a Colonia verrà a vedervi una mia amica. Fai il bravo, ok?” dissi abbracciando anche il biondino.
“Scusa, in che senso devo fare il bravo?” mi chiese interdetto “bhe…tu fai il bravo e basta. Prometti!” risposi io puntandogli contro un dito indice davvero minaccioso.
“Va bene!” disse lui portandosi la mano alla testa, in una sorta di saluto militare.
Sorrisi e lo abbracciai nuovamente, scoccandogli un sonoro bacio sulla guancia che mi fece guadagnare un’occhiataccia da parte di Tom, e che fece arrossire il dolce batterista.

“Ora tocca a me!!” disse Georg facendosi avanti, fregandosene altamente dei borbottii del chitarrista.
“Ciao Georg, a presto!” gli dissi.
“Fa buon viaggio Sophie. Sono stato felice di conoscerti.” Avvicinandosi per darmi un bacio sussurrò “Tom è un sole da quando ti ha conosciuta; è più sopportabile e, secondo me, suona anche meglio”.
Sorrisi allontanandomi, e gli dissi “ora tocca a te tenerlo allegro, ci conto. A presto Georg!”

Dopo i due ragazzi fu la volta di Bill che, sfidando il gemello, mi prese per mano e mi allontanò un po’ dal gruppo, poi mi parlò col cuore, toccandomi profondamente.
“Sai una cosa? Tu sei stata un toccasana per noi: mi hai permesso di incontrare Frida e Cris ha conosciuto tua zia. Da quando sei venuta in Germania hai portato aria nuova nelle nostre vite, e Tom…non lo vedevo così felice da tanto di quel tempo. Non so cosa tu gli abbia detto o fatto, ma ora sta davvero bene. Per questo, a prescindere da quello che ci riserverà il futuro, voglio ringraziarti, piccola Sophie.”
Avevo le lacrime agli occhi. Gli gettai le braccia al collo e, cercando di mantenere un tono di voce saldo, gli dissi “Abbi cura di loro. Hai un gran cuore Bill; tutti ti adorano, e non mi è difficile capire perché. E’ stato bello conoscerti, e so che farai la cosa giusta con Frida. In bocca al lupo per la band: vi meritate tutto il successo possibile Bill, davvero!”
Avevo avuto pochi giorni per conoscere quei ragazzi, ma mi erano entrati nel cuore in un attimo: Tom aveva ottenuto un posto particolare, ma mi ero affezionata anche al resto della band.

Tornammo dagli altri e Cris, stringendomi la mano, disse solo “Tranquilla, qui ci penso io a tenere tutto sotto controllo. Abbi cura di te, Sophie.” Lo ringraziai con un semplice sorriso: dopotutto avevamo già avuto modo di parlare noi due.

Frida e la zia mi abbracciarono in sincrono. Erano entrambe sull’orlo di un colossale pianto; la prima a parlare fu la zia “Sono stata così felice di rivederti piccola mia. Non voglio promesse, ma spero che tornerai presto a trovarmi, perché con te qui le giornate sono state davvero magnifiche! Porta i miei saluti a Rose-Mary e a Paul, e dai questa lettera a tuo padre, per favore.” Disse porgendomi una busta bianca indirizzata a Sir Paul Grosvenor, poi concluse “se tua madre fa storie chiamami: casa mia sarà sempre aperta per te.” La ringraziai e mi asciugai gli occhi col dorso della mano…tutte quelle dimostrazioni di affetto stavano mettendo a dura prova il mio autocontrollo.
“Io non ti dico nulla, sai perché?” esordì poi Frida prendendomi le mani.
“Non lo so, ma tanto stai per dirmelo, no?” la schernii io.
“Contaci!! Non ti dico nulla perché pretendo che tu mi scriva almeno una mail ogni settimana e sappi che, se non ti farai sentire, prenderò il primo aereo per Londra e verrò a tirarti le orecchie!!”
Sorrisi nel sentire quelle parole: tipico dello stile di Frida...niente sviolinate, ma colpi secchi e precisi.
“Prometto che scriverò Frida: sono stata felicissima di averti ritrovato e NON ti voglio perdere. E vale anche per te: se non risponderai alle mie mail prenderò il primo aereo per Lipsia!” le risposi.
Dopo un abbraccio collettivo salutai mia zia e mia cugina.
Restava solo lui da salutare.
Fortunatamente Cristopher ebbe l’ottima idea di suggerire a tutti di andare al bar a prendere qualcosa.

Tom mi condusse verso delle poltroncine e si sedette, facendomi segno di accomodarmi sulle sue ginocchia. Obbedii e, in un attimo, sentii un nodo serrarmi la gola: non avrei potuto trattenere troppo le lacrime…
“Stiamo solo così, abbracciati, finché non chiameranno il tuo volo. Tutto quello che dovevamo dirci ce lo siamo già confessato. Ora voglio solo guardarti, per ricordarmi il tuo volto, e abbracciarti, per imprimere nella mia memoria il tuo corpo e il tuo profumo.”
Con una mano accarezzai il suo splendido volto, poggiai l’altra sul suo petto, e gli sussurrai “Dimenticarti sarebbe un delitto Tom. Il volto del nobile Von Hessler non lo potrò mai scordare!”
“Ti amo, Angelo”
“Ti amo ache io, Tom”
Ci abbracciammo stretti, e lasciai che il suo profumo mi entrasse dentro. Cercai di memorizzare quell’ultimo contatto perché sapevo che quel ragazzo mi sarebbe mancato come l’aria, o forse di più.

“Il volo 137 per Londra Heathrow è in partenza; i passeggeri sono pregati di recarsi al gate “A” per l’imbarco.”
“Odio le voci degli altoparlanti, e da oggi le odio anche di più!” disse Tom stringendomi le mani.
Ci staccamo, cercando di sorriderci, nonostante fosse così difficile.
Il resto della combriccola ci raggiunse e, insieme, mi scortarono verso il gate annunciato.
Oltrepassate le porte mi voltai, sollevando una mano in segno di saluto, e tutti si sbracciarono per rispondermi, tranne Tom che sollevò appena la mano, per poi portarsela al cuore.
Gli risposi allo stesso modo, posando poi un lieve bacio sulla fedina che portavo al dito medio.
L’avventura tedesca era finita; ora sarebbe cominciata quella inglese.
Avevo avuto bisogno di coraggio; Tom, Frida, la zia, e tutti gli altri me l’avevano dato.
Ora potevo tornare a vivere la mia vita da protagonista, finalmente.

Hotel Excelsior Ernst - Colonia

“Questa è per te Tom.”
“Grazie Cris” disse il rasta, prendendo la custodia che il manager gli porgeva; poi però, realizzando che qualcosa non andava, disse “ma non è una delle mie…”
“Lo so, ma resta il fatto che ora lo sia diventata.” Fu l’enigmatica risposta del manager.
Tom si ritirò nella sua stanza, e aprì la custodia.
“Wow…una Stratocaster! Ma io questa l’ho già vista da qualche parte…” disse il chitarrista, parlando praticamente da solo.
Poi ebbe un’illuminazione ed esclamò “nell’ufficio della zia di Sophie!”.
Solo a quel punto notò il biglietto, e decise di aprirlo. Le parole che erano scritte lo lasciarono senza fiato.

“Ormai io sarò già in volo Tom, ma voglio che tu abbia qualcosa di mio che ti ricordi questi giorni.
Questa chitarra è importante perché è stata testimone della nostra giornata più bella, e spero che possa ispirarti tante canzoni magnifiche.
Buona fortuna, Tom Kaulitz; ora salta, e segui il tuo sogno.

Con immenso amore,
il tuo Angelo

P.S. Ti sei accorto che ti manca una maglietta? Te l’ho rubata io la prima notte che abbiamo passato insieme, al Gohliser Schloss di Lipsia. Scusa, ma non ho resistito.”

Quando entò nella stanza per dargli la buonanotte Bill lo trovò sul letto, addormentato e ancora vestito.
Stringeva la lettera come se volesse mantenere ancora un contatto con il sogno vissuto in quei giorni.
Suo fratello doveva aver pianto, notò Bill, intristendosi all’idea. Lo coprì con una trapunta ed uscì: l’indomani avrebbero provato senza di lui.

Aeroporto di Heathrow - Londra

“Mi senti?”
“Si, ma dove diavolo sei, Sophie?”
“Sto prendendo la navetta; tra poco sarò lì!” dissi chiudendo la comunicazione con Liz. Le avevo chiesto di venirmi a prendere anche se i miei avevano scoperto che non ero andata a sciare. Avrei anche potuto smetterla con la mia sceneggiata e farmi venire a prendere da mio padre ma, per prima cosa non avevo voglia di parlare con loro, e poi desideravo rivedere Liz e recuperare un po’ del tempo perso.
La navetta coprì il tragitto dall’ aereo all’ aeroporto in pochi minuti e, appena misi il naso fuori dalle porte, scorsi la mia migliore amica, intenta a scrutare la folla.
Quando mi individuò gridò “Sophie!!” e corse ad abbracciarmi.
Le gettai le braccia al collo, abbandonando il trolley, e le dissi “Liz! Quanto mi sei mancata!”
Era solo una settimana che non la vedevo ma, data la natura glaciale dei nostri ultimi rapporti, sembravano secoli.
“Cibo!” la implorai e lei, ridendo, annuì e mi fece strada verso la sua auto.

“Carino questo posto, come l’hai scovato?” chiesi mentre entravo nel locale scelto da Liz.
“Giravo per Londra e mi hanno dato il volantino dell’inaugurazione; ci sono venuta e l’ho adorato da subito.” Rispose lei togliendosi sciarpa e cappotto e dandoli alla cameriera.
Era un ristorante piccolo e senza troppe pretese, in zona Piccadilly; non doveva essere semplice da trovare perché era nascosto in uno degli innumerevoli vicoletti che circondavano la piazza.
L’arredamento era essenziale: mensole con alti sgabelli correvano lungo tre delle quattro pareti; al centro della sala, invece, c’erano tavolini normali con sedie in ferro battuto. Il bancone, che occupava un’intera parete, era pieno di spillatori di birre nazionali ed estere.
“Certo che è un peccato che i tuoi non usino più la casa di Londra…” disse Liz poggiandosi il tovagliolo sulle ginocchia.
Annuii e aggiunsi “Si, ma sai…mamma dice che 17 stanze sono troppe da tenere in ordine. Come se se ne occupasse lei! E così stiamo a Little Chalfont durante la settimana, mentre nei week-end siamo a Chester, o a Westminster, dallo zio.”
Notai una luce negli occhi della mia amica che non mi fece presagire nulla di buono, e così le dissi “Ok, cosa stai macchinando, Liz?” aprì bocca e, prima che tentasse di negare, la bloccai “Non fare finta di niente perché ti conosco troppo bene e so che hai in mente qualcosa; quindi, Miss Harris, sputa il rospo immediatamente.”
Liz alzò le mani in segno di resa e disse “Ok, ma la storia è lunghina…”
“Abbiamo tutto il pranzo” osservai, richiamando l’attenzione della cameriera per ordinare il pranzo.
Appena se ne andò la ragazza Liz comincò a raccontare “Allora ci sono due cose che tu non sai: una riguarda me, l’altra Allen. Partiamo da mio fratello: si è fidanzato!”
“Oddio! Che bello! Così i miei e i tuoi la smetteranno di stressarci” commentai io.
Lei scosse la testa e proseguì “il problema è che il suo nome è Mark”
“Il nome di chi?” chiesi interdetta, e la risposta mi disorientò del tutto.
“Del fidanzato di Allen!”
Sbarrai gli occhi e le domandai “quindi vuoi dirmi che Allen ha fatto outing, ed ha confessato ai tuoi di essere gay? Cosa gli hanno fatto?”
Lei sorrise e mi rispose sarcastica “Fortunatamente a casa non abbiamo sale delle torture, percui papà si è limitato a diseredarlo; ha anche tentato di cacciarlo di casa, ma mamma gliel’ha proibito. Così ora dorme da noi e mangia in cucina con le cameriere; per il resto del tempo è fuori casa.”
“Assurdo! Però dopotutto sappiamo in che ambiente viviamo, no? Si può peccare, a patto che si mantenga la facciata; scommetto che ora vorranno farci sposare per evitare scandali e malelingue, no?” Liz annuì. In quanto ad ipocrisia in certi ambienti si rasentavano davvero i limiti della decenza…rischiavo di essere l’agnello immolato alla causa “teniamo pulita la facciata pubblica di Allen Harris” “Se lo possono scordare!” esclamai duramente.
“E’ quello che ha detto anche Allen: non vuole che tu ti sacrifichi per una questione di subdola ipocrisia. Io lo appoggio in pieno: deve essere libero di fare ciò che vuole alla luce del sole. Non siamo più nel medioevo, ed è ora che i nostri genitori se ne rendano conto.”
L’outing di Allen mi aveva davvero sorpresa, ma non abbastanza da farmi scordare che c’era anche una novità che riguardava Liz; così le chiesi di spiegarmi di cosa si trattasse.
Il suo voltò si illuminò e cominciò a spiegarmi “Sai che non ho mai amato studiare, no? Ebbene, qualche mese fa ho mandato in giro dei curricula cercando impiego come P.R.e addetto stampa, anche se in realtà mi sarei accontentata di tutto. Ho fatto migliaia di colloqui e, alla fine, mi hanno presa in prova da Vogue U.K.. Dopo un mese circa di lavoro, come aiuto addetto stampa, sono stata chiamata dai capi e…mi hanno offerto un posto fisso a tempo indeterminato. Per ora lo sapete solo tu ed Allen, e non ho ancora dato risposta ai capi..”
“E cosa diavolo aspetti a farlo, Liz?” esclamai allegra.
“A casa la situazione è complicata, e non vorrei mettere ko i miei con una notizia simile.”rispose lei sconsolata.
“La casa di Londra!” dissi io, battendomi una mano sulla fronte, come folgorata da un’improvvisa rivelazione “volevi sapere se potevate andarci tu ed Allen, giusto?” annuì col capo, e io continuai “sai una cosa, Liz? Credo che i miei abbiano bisogno di capire chi comanda, e lo stesso vale per i tuoi. Portami a casa; i nostri problemi sono finiti!”
Lei sgranò gli occhi “Alt! Chi sei tu? Dov’è la timida e rispettosa Sophie? E soprattutto…da dove arriva quella fedina?” mi domandò, con fare malizioso.
Le sorrisi, felice di essermi scrollata di dosso la facciata di brava e rispettosa ragazza, e di aver finalmente reagito “Io sono Sophie! L’altra l’ho lasciata in Germania, credo di averla abbandonata su un camper. La fedina è un po’ tipo l’anello di Guerre Stellari. La mia Forza; me l’ha data un angelo.” E cominciai a cantare una delle canzoni che mi avevano accompagnato in aereo, dove avevo portato il lettore mp3 di Frida “Wenn Nichts mehr geht, wird´ Ich ein Engel sein – für Dich allein, und dir in jeder dunklen Nacht erschein´,und dann fliegen Wir weit weg von hier, Wir werden uns nie mehr verlier´n…”
“e canti anche! Mio Dio che cosa incredibile. Che canzone è scusa?” chiese Liz sbalordita.
“Tokio Hotel, un gruppo tedesco che ho conosciuto. Scommetto che vuoi saperne di più, vero?”
risposi ammiccante; sapevo che la curiosità di Liz era illimitata e cosi, una volta in auto, cominciai a raccontarle delle mie vacanze a Lipsia, o meglio, a Otterwisch.

Grosvenor's Cottage - Little Chalfont

Avevo avvisato a casa del mio imminente arrivo e, quando l’auto si fermò davanti al cottage di Little Chalfont, mia madre era sulla porta, già sul piede di guerra.
“In bocca al lupo, Sophie!”
“Anche a te, Liz! Ci sentiamo più tardi per organizzare tutto.”
Scesi dall’auto, dopo aver salutato la mia amica, e mi avviai verso casa. Superai mia madre e mi infilai in salotto, salutando papà che era intento a leggere delle carte, ovviamente si trattava di lavoro…
Gli porsi la lettera di zia Lotte e lui la lesse, sorridendo ed annuendo. Quando giunse alla fine mi fece segno di sedermi sul divano, accanto a lui, e poi invitò mia madre a raggiungerci.
Eravamo seduti tutti e tre, davanti al camino, per la prima volta dopo…non ricordavo più nemmeno io quanto tempo.
“Credo che sia ora di parlare. Non voglio che nella mia famiglia ci siano persone infelici.” Disse papà, stringendomi impercettibilmente la mano.
“Grazie caro!” disse mia madre con tono arrabbiato: evidentemente non aveva capito cosa intendesse dire papà. Era convinta di essere lei l’infelice, e così diede il via alla sua invettiva “Sophie Catherine Grosvenor non ti permettere mai più di fare una cosa simile! Sei praticamente scappata di casa mentendoci. Esigo immediatamente delle scuse!”
“Scusate. Non avrei dovuto dirvi bugie.” Risposi, davvero rammaricata.
“Bene, ora vatti a cambiare che questa sera c’è una cena di gala per…”
“No” la interruppi. Ero calma e non avevo più paura, anche perché stringevo la fedina di Tom.
“Come scusa? Cosa vorresti dire signorina?” chiese lei esterrefatta.
“No vuol dire no, mamma. Vuol dire non verrò né a questo ricevimento, né a nessun’altra delle tue benefiche cazzate. Non voglio essere una lady nullafacente, e non sposerò Allen Harris. Voglio studiare e diventare un bravo Barrister e, se questo ti urta, non so cosa dirti. Fattene una ragione; io non sono come te. E tu…guardati: passi più tempo in giro per feste e cocktail che a casa con tuo marito. Dov’è la famiglia che mi portava a spasso, e con la quale passavo splendide domeniche davanti al camino? Dov’è finita?” Avevo cominciato a parlare con tono calmo e misurato, ma poi l’emozione mi aveva preso tanto che avevo concluso gridando e piangendo.
“Non ti permettere di parlarci così, sai? Sei solo una piccola…” cominciò a rispondere mia madre, ma fu prontamente interrotta da mio padre che, in silenzio fino a quell’istante, si era alzato in piedi e aveva cominciato a parlare “Adesso basta. Sophie ha ragione Rose-Mary: io sono sempre al lavoro perché ogni volta che ti chiedo di fare qualcosa hai già un impegno che non può essere rimandato. Stai obbligando tua figlia a fare quello che piace a te, ma ti sei mai chiesta cosa le interessi davvero?”
Mia madre era pietrificata, evidentemente non si aspettava una simile reazione da parte di papà.
“Grazie.” Mormorai rivolta a mio padre che, guardandomi, continuò a parlare con il suo solito tono calmo e rassicurante “ti chiedo scusa piccola: avrei dovuto capire prima che le cose non stavano andando bene, ho anche io la mia parte di colpa. Puoi perdonarmi?”
“Oh papà! Ma certo!” dissi gettadogli le braccia al collo, e abbracciandolo con affetto.
“A proposito,” disse poi lui, sciogliendo l’abbraccio, “tua zia Lotte dice che suoni la chitarra, e conta di spedire qui la collezione di Otto. Dice anche che manca una chitarra perché l’hai donata a qualcuno. Un giorno mi dirai chi è stato tanto bravo da meritarsi una simile rarità?”
“Bhe, per cominciare ti posso dire che è la stessa persona che mi ha dato il coraggio di fare ciò che ho fatto oggi.” Risposi io, arrossendo lievemente.
“Allora è stata un ottima scelta, piccolina” osservò lui, dandomi un buffetto sulla guancia.
“Papà?”
“Si, tesoro?”
“C’è un’altra cosa che vorrei chiederti.”
“Tutto quello che vuoi, Sophie.” Disse sedendosi, ed invitandomi a fare altrettanto.
Mia madre doveva essersi chiusa in camera, a lamentarsi per l’incomprensione che le avevamo dimostrato…
Presi fiato e strinsi la fedina, poi cominciai a parlare “visto che la casa di Londra è vuota, ed è inutilizzata, pensavo di trasferirmi lì con Liz ed Hallen, ed affittare il resto delle camere agli studenti. Pensi che…” non mi lasciò finire; sorridendo mi rispose “quella casa è di tua proprietà da quando hai cominciato l’università. Volevo che ti ci trasferissi, ma tua madre si è opposta. Mi sento così in colpa, Sophie!”.
Sorrisi a mio padre: gli ero infinitamente grata, e non potevo permettere che si addossasse colpe che non erano solo sue “Guarda che è anche colpa mia: avrei dovuto ricordarmi prima che fantastico padre tu fossi. Penso che ci saremmo risparmiati un po’ di problemi!”
“Forse, ma così non avresti mai conosciuto l’uomo della chitarra” disse lui curioso.
“Già…l’uomo della chitarra…e poi non avrei rivisto zia Lotte e quella pazza di Frida.” Risposi, sorridendo al ricordo della vacanza appena conclusa, e non riuscii a trattenere una furtiva lacrima.
“Dai, facciamo una passeggiata, così mi racconti di questo viaggio.” Una proposta così non la potevo proprio rifiutare: presi il braccio che mio padre mi porgeva e ci avviamo verso l’atrio.
Aver ritrovato mio padre era la cosa più bella che mi potesse capitare. Ero dispiaciuta per la reazione di mia madre, ma speravo anche che mio padre potesse, col tempo, farla ragionare e riaggiustare le cose.

Grosvenor Road - Londra

“Londra!!” fu il grido di Allen appena oltrepassammo il cartello stradale che indicava il nostro arrivo nella capitale.
Era in ansia da quando gli avevo detto che potevamo trasferirci, e il giorno del trasloco temevo gli venisse un infarto.
Arrivammo davanti alla casa con due furgoni pieni di roba, e ansiosi di cominciare le nostre nuove vite londinesi.
Mio padre diresse i lavori per tutto il giorno, saltando anche il pranzo. Era l’unico ad averci dimostrato pieno appoggio: gli Harris si erano barricati in casa, tacciando i figli di averli disonorati; mentre mia madre non mi rivolgeva più la parola. Papà, che si era preso una settimana di vacanza per aiutarci, sosteneva che il motivo dell’ostinato silenzio di mamma fosse l’aver realizzato la dimensione del suo errore…non sapevo che cosa pensare.
A sera inoltrata avevamo finito di sistemare le cose più pesanti ed ingombranti; mancavano solo gli effetti personali e i piccoli suppellettili.
La casa era davvero enorme: 5 piani nel centro di Londra, in un caseggiato in mattoncini rossi. Era di proprietà della mia famiglia da secoli ed, in effetti, la strada portava il nome del titolo nobiliare attribuito alla mia famiglia.
Al piano terra si trovavano un’ enorme cucina con un’ampia penisola centrale; l’ingresso, nel cui centro troneggiava uno scalone di marmo, e che separava la cucina dal resto delle stanze; un salone, con tre divani angolari uniti per le spalliere: uno rivolto verso il camino, l’altro verso il televisore, e il terzo che guardava verso lo studio, un immenso locale ricoperto di librerie. I quattro piani superiori contavano 3 camere per ciascuno ed un totale di 16 bagni!
Seduti nella parte dell’isola centrale della cucina che fungeva da tavolo stavamo mangiando qualcosa ordinato dal cinese, mentre parlavamo dei nostri progetti.
“Davvero un bel colpo Elizabeth! Un posto a Vogue è davvero una cosa splendida, e dimostra che di talento ne hai parecchio” disse mio padre ad una sorridente Liz; poi si rivolse ad Allen e gli chiese “E invece i tuoi studi come procedono?”
“Bene! Se tutto va secondo i miei piani in un paio d’anni sarò architetto; ed essere a Londra mi carica così tanto che ho già mille progetti per la testa.” Rispose allegro Allen.
“Pensi che verrà a vivere qui anche il tuo ragazzo?” domandò poi mio padre, attirando i nostri sguardi sbigottiti, davanti ai quali si affrettò a precisare “non sono mica un retrogrado come gli altri! Allen è sempre stato un bravo ragazzo; gay o etero che differenza fa? L’importante è che continui ad essere la persona splendida che è, no?”
“Se non fossi già fidanzato le chiederei di uscire Lord Grosvenor!” commentò Allen facendoci ridere tutti quanti per una buona mezz’ora.
A fine cena ci spostammo in salone per programmare al meglio, e con l’aiuto di mio padre, la gestione degli affitti…
“Dunque tolte le nostre 3 camere ed una quarta, che è meglio tenere libera per le emergenze, ne restano 8. Tu papà che prezzo suggerisci?” chiesi io, scribacchiando i miei conti su un foglio.
“Secondo me ti conviene non pubblicizzare il prezzo; questa è una zona centralissima: a due passi da Hyde Park e sulle rive del Tamigi. Vedi che offerte ti fanno quelli che vengono qui, e considera come cifra minima 400£.” Consigliò lui senza pensarci troppo.
“Ne ho ancora di strada da fare per essere brava come te negli affari, eh?” osservai sorridendogli.
“Che vuoi farci, è una vita che lo faccio, e mi viene naturale. Ora però devo lasciarvi. Tua madre è a casa da sola, e non vorrei farla arrabbiare più di quanto non lo sia già!” disse mio padre alzandosi e salutando i miei due coinquilini.
Lo accompagnai alla porta e, abbracciandolo, gli sussurrai “Papà non sai quanto tu mi abbia reso felice ed orgogliosa oggi. Grazie di tutto!”
Lui mi posò un bacio sulla guancia e mi rispose semplicemente “Il lavoro di ogni genitore è rendere felici i propri figli, ricordatelo sempre, Sophie.”
Uscì e salì in macchina; prima di partire mi salutò ancora, ed io rimasi ad osservare la macchina sparire dietro l’angolo.
Rientrata in casa restai sulla porta tra il salone e l’ingresso, ad osservare i miei coinquilini litigare per il telecomando.
Scossi la testa e mi buttai tra di loro, sul divano, rubando l’ oggetto del desiderio di entrambi, e trovando un canale che ci mettesse d’accordo tutti.
Che avventure mi aspettavano!!!

N.d.A.

Et voilà!
Ultimo capitolo…prima che qualcuno decida che sono una terribile strega vi avviso che ci saranno un prologo e…un’altra sorpresa che non posso ancora svelare.
Nel frattempo vi auguro uno SFAVILLANTE 2008!

Dovunque passerete questa notte assicuratevi di passarla con le persone che amate davvero: amici, fidanzati, famiglia, barattolo di Nutella, Bill/Tom/Georg/Gustav (magari qualcuna è così fortunata, no :-P) … solo così, qualsiasi cosa farete, sarà indimenticabile!
Vi do appuntamento ai primi dell’anno prossimo e, prima di lasciarvi:
1) Ringrazio TUTTI quelli che hanno letto e che hanno aggiunto “IMPARANDO A VOLARE” tra i preferiti…posso mendicare una recensione? Grazie!
2) Anticipo il titolo del PROLOGO “10 ANNI DOPO: NUOVE VITE”
3) Ringrazio chi ha recensito:

GodFather: spiacente di averti tenuto sulle spine…mi ucciderai per averla fatta partire? Sono contenta che questo Tom ti piaccia…diciamoci la verità: è quello che vorremmo tutte noi, un uomo dolce e passionale ma non troppo smielato da far venire il diabete…praticamente un uomo col cuore da donna…una chimera! Sophie è un personaggio a cui tengo molto: è una mia creazione in tutto e per tutto, ed è quello che vorrei essere. Se tutte noi fossimo così…il mondo sarebbe in mano nostra…(ho dei progetti anarchico-matriarcali per il dominio del mondo, lo ammetto! Sono rimasta un po’ al girl power delle Spice Girls anni ’90 :-P). Profondamente grata per le belle parole, soprattutto esaltata dal fatto che tu abbia trovato queste scene “tipo film”, ti ringrazio umilmente per aver seguito questa fic, spero di ritrovarti per il prologo! BUON 2008!
P.S. Spero ti sia arrivata la mia mail: farebbe piacere anche a me sentirti.

Frehieit489: purtroppo mi tocca finirla…spiace tanto anche a me: ho iniziato a scriverla a settembre; il concerto di Milano mi ha dato molti spunti, ed ora vorrei non doverla terminare, ma devo…ci sarà un prologo che, personalmente mi piace tanto. E’ un po’ lunghino, e potrei decidere di dividerlo in due parti, ma ho anche un’altra sorpresa che non svelo! Grazie per i complimenti; fa sempre piacere riceverne. Per la montatura di testa…ho già provveduto a fare stampare 1000 fotografie che autograferò e spedirò a chi ne farà richiesta, secondo te ho esagerato? :-D.
Davvero mille grazie per la costanza nelle recensioni; ti aspetto per il prologo! BUON 2008!!
P.S. Alla fine sono riuscita a lasciare la recensione su Zimmer, spero tu l’abbia letta, e spero ti possa essere untile: se vuoi chiedermi qualcosa usa pure “contatta” nella pagina del mio account! CIAO!!!

. : Carissima/o sconosciuta/o, sono felice di sapere che ci sarai anche tu al concerto di Torino! BUON 2008!!





  
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