Futuro
AFURO POVNon è
possibile, se ne è andata.
La
bellissima ragazza albina è scappata.
Non la
rivedrò più e non avrò più
le mie spiegazioni.
Corro. Corro
come non ho mai corso in vita mia.
Torno a
casa.
E dopo tanto
tempo piango.
Piango fino
a non avere più neanche la forza per continuare.
Il mio
è un
pianto liberatorio.
Gli Alieni,
la bimba morta nelle cantine della Zeus, la ragazza che in questo
ultimo
periodo mi ha tenuto sveglio la notte, con i suoi occhi di ghiaccio e i
capelli
color latte.
Troppa
tensione, troppi pensieri.
Devo
distrarmi.
Digito in
fretta il numero di mia madre che in questo momento non
c’è.
Non
risponde.
Bene.
Vuol dire
che partirò senza dirle nulla.
Forse
è meglio
così.
Prendo il
borsone da calcio e comincio ad infilarci dentro cose come vestiti,
libri e due
bottiglie d’acqua.
Poi mi
cambio e mi metto dei vestiti puliti: un paio di jeans chiari e una
T-shirt blu
scuro.
Prendo la
borsa e scendo velocemente le scale.
Mi fermo in
cucina e prendo uno di quei post it che la mamma usa per segnare la
lista della
spesa e ci scarabocchio sopra, con la mia scrittura illeggibile:
“Mamma, me ne
vado. Non arrabbiarti, sarò al sicuro. Tornerò il
prima possibile. Ti voglio
tanto bene, salutami papà. Ciao.”
Prendo la
giacca, m’infilo le scarpe e mi metto a correre.
Corro
dritto.
Poi svolto
prima a destra e poi due volte a sinistra, corro dritto e svolto
nuovamente.
Corro,
svolto e corro di nuovo.
Continuo
così per un bel po’ di tempo.
Ormai non so
neanche più dove sono.
Il cielo
è
buio.
Smetto di
correre e trovo un bar.
Ci entro e
prendo qualcosa da bere con dei soldi presi da casa.
Una coca
cola e un panino.
Il locale
è
praticamente vuoto quando esco.
Non so cosa
fare, perché me ne sono andato? E ora dove vado?
La periferia
è buia.
Le strade
sono piene di drogati, prostitute e senza tetto.
Mando un
messaggio a mia madre con scritto che sto bene e di non chiamarmi, che
l’avrei
chiamata io appena fosse possibile.
È
l’una ed
io continuo a camminare.
Non so dove
andare.
Curvo per
un’altra volta.
Ormai sono
stanchissimo.
Poi svolto
un altro angolo.
Non faccio
in tempo a rendermi conto di quello che sta accadendo, sento
improvvisamente un
colpo fortissimo che spezza il silenzio della notte.
Un rombo
fortissimo.
Dei ragazzi
più o meno della mia età, uno a terra e uno
lì vicino, tenuto fermo da un uomo
che sembra un gigante pelato.
Mi avvicino
lentamente, cercando di non farmi scoprire dall’uomo preso in
una fitta
conversazione violenta con il ragazzo.
<<
Dimmelo, ragazzo. Dov’è? Dove
siete?>> gli urla in faccia.
Il ragazzo
nonostante sia sbattuto da tutte le parti rimane in silenzio.
Intanto io
mi avvicino lentamente al ragazzo steso per terra.
Ha i capelli
di un blu intenso, legati in una lunga coda. Gli occhi sono chiusi e ha
una
smorfia di dolore dipinta sul viso pallido.
La camicia
bianca è sporca di terra e sangue.
Appena me ne
accorgo caccio un urlo.
L’uomo
si
accorge di me, lascia andare il ragazzo e mi prende per le braccia.
Divincolandomi
cado.
Pesto la
testa e sento qualcosa di caldo bagnarmi le tempie.
Poi diventa
tutto sbiadito, l’uomo corre via e poi qualcuno spegne la
luce.
ARIANNE POV
Sono ormai
passate quasi cinque ore da quando abbiamo lasciato l’ex
riformatorio.
Finalmente,
dopo una lunga salita raggiungiamo la nostra meta: la vecchia villa
della
signora Bianchi, la
sua vecchia
residenza estiva.
Scendo dal
veicolo e entro.
Aspetto che
tutti siano scesi dal pullmino e che mi raggiungano.
Sil è
l’ultima
come al solito, cammina a passo lento e molleggiato, come a suo solito.
Da quando
sono spariti Miku, Andrew e Mirko tutti sono spaventati, tristi.
Ognuno di
noi ha un solo borsone, con tutto quello che possedeva al riformatorio.
Ci dividiamo
le stanze ed io finisco in camera con Sil, fortunatamente.
La nostra
camera è l’attico, così saliamo tre
rampe di scale e apriamo la porta della
nostra nuova stanza.
È
ampia e
impolverata, con le pareti ricoperte con della carta da parati rossa
con dei
disegni a volute dorate. I mobili sono antichi e scuri e
l’unica finestra
faceva entrare quegli ultimi raggi di luce del sole al tramonto.
Non ci sono
letti, solo una culla da bambina e una moltitudine di cianfrusaglie
varie.
Probabilmente
la soffitta era usata come ripostiglio.
<<
Dobbiamo cominciare a darci da fare >> mi dice Silver ad
un certo punto.
<<
Sì,
hai ragione, ma muoviamoci perché sono stanchissima
>> rispondo io
prendendo uno scatolone tutto legato con il nastro adesivo.
Ridendo e
scherzando, dopo quasi tre ore, riusciamo a mettere tutto in ordine.
È
tardi
ormai e quando abbiamo finalmente finito, ci buttiamo per terra, Silver
sul
tappeto persiano ed io sul futon che
abbiamo trovato tra le varie scatole ammassate qui.
<<
Hai
mai pensato a cosa avresti fatto se fossimo ragazze normali? Se non
fossimo
qui? >> chiedo io ad un tratto, poco dopo aver spento la
candela che
illuminava la stanza.
<<
Non
so, a me piaceva cantare, suonare… se non fossi
così mi sarebbe piaciuto andare
ogni tanto in spiaggia, in un qualche bowling magari con i miei
compagni di
scuola. Avere una famiglia… >>
Mi risponde,
inaspettatamente.
Famiglia,
una cosa viva nei ricordi di tutti quelli come me e così
lontano, nel futuro
così incerto.
Rimaniamo un
po’ in silenzio e poi finalmente, mi addormento.