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Autore: TheStoryteller    21/06/2013    3 recensioni
Dieci anni dopo il suo arrivo a Volterra con l'intento di salvare Edward, Bella ha perso ogni memoria del proprio passato e, vampira, è divenuta parte della Guardia dei Volturi. Offuscata da una coltre di menzogne si appresta ad usare i suoi talenti per regalare ai suoi Signori la vittoria di una guerra della quale non conosce davvero le trame, che la condurrà verso i propri ricordi e alla scoperta di una verità antica che sconvolgerà l'intera Corte di Volterra.
"Fuoco ardente che divampa e divora le membra duttili.
Si ciba di sospiri spenti.
Porta con sé ricordi di dolori e gioie, di risa e pianti.
Due occhi amorevoli mi osservano e poi scompaiono nei meandri del sonno eterno.
Chi sei?
La domanda si dissolve nel buio tormentato di una notte senza ritorno"
Genere: Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Demetri, Edward Cullen, Isabella Swan, Volturi | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
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Questo secondo capitolo costituisce un intermezzo. 
Ci troviamo cinque anni più tardi l'arrivo di Bella a Volterra, avuto luogo in New Moon.
Già dal prossimo capitolo, invece, la narrazione seguirà il suo naturale corso a partire dal decimo anno successivo tale accadimento. 
A breve, tutto sarà più chiaro... Promesso!! ;)
A presto,
Thestoryteller
 
 
 
Santana, 1 Maggio 2011
Edward
 
Steso su un manto soffice di erba incolta, godevo del silenzio dei boschi, nascosto all’ombra di un ciliegio in fiore. Il vento spirava leggero, creando un movimento ondulatorio tra i rami folti degli alberi, permettendo a qualche solitario raggio di sole di raggiungermi il viso. Nell’aria aleggiava una fragranza mista di fiori e muschio, inebriata dalla fusione con un vago sentore di vaniglia che, debole ma inconfondibile, era sprigionato dalla pelle di colei che sonnecchiava tra le mie braccia.
Erano alcuni minuti che Bella non parlava nonostante fosse perfettamente sveglia. Lo percepivo dal suo respiro, troppo leggero per combinarsi ad un sonno profondo, e dal suo occasionale muoversi alla ricerca di un migliore appoggio sul mio petto. Il calore delle sue guance arrossate bruciava sulla mia pelle gelida, intiepidendola sino a condurla alle soglie stesse dell’umanità.
“Per quanto tempo ancora intendi privarmi della tua compagnia?” le chiesi. Nonostante fossero passati appena pochi minuti dall’ultima volta che i nostri occhi si erano incrociati, percepii affannoso il desiderio di vedere il suo viso. Gli occhi bruni dal taglio gentile, la pelle così pallida da apparire esangue a fianco delle guance rosate e quelle labbra… tentazione irresistibile per ogni uomo: morbide, rosse come il peccato più vitale, lasciate schiuse apposta per me.
Feci scivolare la mano sul suo fianco, scavalcando la mia camicia e raggiungendo la pelle nuda della schiena. Percepii il suo sorriso crescere sulla mia pelle.
“Scusa” sussurrò piano. “Pensavo volessi rilassarti un po’…” 
“Mai”. Le diedi un bacio sulla fronte. “Non voglio sprecare neanche un minuto del nostro tempo…”
Si issò sulle braccia e mi guardò con espressione serena.
Era di una bellezza divina.
I boccoli le scendevano scomposti sulle spalle, perdendosi in pozze castane sul candore della camicia. La spalla destra era lasciata scoperta quasi fino al gomito, primo assaggio della bellezza che il lino trasparente riusciva appena a velare. I seni piccoli e sodi erano fin troppo facili da intravedere attraverso la stoffa, così come i fianchi stretti e flessuosi. Le gambe nude erano piegate sull’erba fresca...
“Vieni qui” le dissi, tirandola a me. Era inconcepibile quando intensamente desiderassi averla vicina ogni momento, come se un solo respiro speso senza di lei fosse una perdita imperdonabile, incommensurabile.
Assecondando i miei desideri si mise a cavalcioni sulle mie gambe. “Solo un ultimo bacio…” mi sussurrò all’orecchio.
“Mmm… Non faccio promesse”. Sorrisi sghembo, come sapevo piacerle, intanto che le slacciavo i bottoni della camicia, liberandola dall’unica copertura al suo corpo. Un piccolo ansito le sfuggì dalla bocca quando con le dita percorsi i tratti dei suoi seni. Lo soffocai mesto con la pressione delle mie labbra sulle sue…
Una forte sensazione di vertigine mi colse improvvisamente, annebbiandomi la vista e facendo sfumare la realtà che avevo intorno. I suoni armonici della radura mutarono nelle note selvagge di una giungla vitale e popolosa di animali selvatici, la calura piacevole dal sole primaverile fu sostituita dal caldo umido di una foresta pluviale.
Quando lo stordimento si affievolì in un malessere appena sopportabile, riuscii a riaprire gli occhi, registrando la figura aiutante e scura di una donna sudamericana davanti a me.
Zafrina mi sosteneva per le spalle e mi scrutava con sguardo grave. “Come ti senti?”
Ci volle qualche secondo per ricordare dove mi trovassi e le circostanze che mi avevano condotto nel Nord del Brasile ad invocare l’aiuto dell’unica vampira al mondo che avesse la capacità di restituirmi, sebbene in forma d’illusione, ciò che avevo perduto. In un secondo dieci anni di sofferenze mi ricaddero addosso con un macigno troppo pesante da portare.
Bella…
Lei non esisteva più.
Un’ondata di rabbia, feroce, viscerale, mi assalì, inducendomi a scagliarmi verso l’amazzone che avevo di fronte. “Fallo ancora!” le urlai con tutta la furia che avevo in corpo.
La spinta portentosa che le avevo inflitto la fece atterrare sul tronco robusto di un albero tropicale, producendo un tonfo assordante. Zafrina si rialzò senza sforzo, mantenendo un’espressione tetra ed evidentemente preoccupata. “Non posso” chiarì, senza intenzione di contrattaccare. “Edward, devi calmarti…”
In una frazione di secondo le fui addosso. Con il gomito piantato alla base della gola e un ginocchio piantato sullo sterno, la immobilizzai a terra, senza ottenere ancora alcuna reazione. “Fallo ancora” minacciai ad un soffio dal suo viso.
“Non posso” ripeté.
La guardai con rabbia, con quel rancore che più il tempo passava più diveniva difficile da controllare. Aumentai la pressione sul collo, disperato. Avrei anche potuto ucciderla…
“Edward, smettila!” sentii gridare.
Qualcuno mi arrivò alle spalle, bloccandomi le braccia con una presa ferrea. “Basta, adesso!”
Mi divincolai, usando tutta la forza di cui disponevo, ma il mio avversario non indietreggiò di un passo. Quando mi resi conto che non sarei mai riuscito ad avere la meglio, smisi semplicemente di lottare, rilassando il corpo e allentando i nervi, ancora frastornati.
Soltanto allora Jasper mollò la presa, giusto il tempo necessario per sferrarmi un pugno ben assestato in pieno volto. Caddi a terra, di schiena, sul manto umido della foresta. Non ero riuscito a carpire dalla sua mente l’idea di compiere quella mossa… Il mio dono si stavano dissolvendo, giorno dopo giorno, portando con sé le mie capacità cognitive, compromesse dalla manipolazione mentale che Zafrina stava operando da mesi sotto mia espressa preghiera.
Rimasi dov’ero, troppo debole per muovermi.
Un lieve fruscio mi informò che Zafrina si era rimessa in piedi, fortunatamente illesa. “Mi dispiace, Edward. Mi dispiace davvero” sussurrò ai miei pensieri. Si scambiò un breve sguardo con Jasper prima di sparire nella foresta, lasciandoci soli.
Un lungo silenzio impegnò i successivi minuti.
Un’infinità di pensieri affollarono la mente di mio fratello, senza che nessuno riuscisse a prendere il sopravvento. Era preoccupato, afflitto, sconfitto… La convinzione di riuscire a guarirmi, in qualche modo, si stava dissolvendo velocemente dopo tre anni trascorsi lontano da Forks, dalla famiglia, da Alice. Stava cominciando a convincersi di aver sbagliato tutto.
“È tempo che torni a casa, Jazz…” suggerii con sincera indifferenza. “Nessuno può fare più niente per me”
Lui, come al solito, ignorò il mio consiglio e condusse altrove la conversazione. “Lei è preoccupata” mi informò. “Insiste per raggiungerci”
Quell’informazione non era nuova. Erano giorni che Jasper cercava il momento adatto per introdurla, ma nonostante ne fossi cosciente fu ugualmente in grado di provocarmi un’inarrestabile ondata di rabbia, profonda e devastante. Strinsi i pugni quanto più forte ero capace, lacerandomi la pelle e lasciando che il liquido nero che mi impregnava le vene cadesse a terra in una pozza di petrolio. “Sarebbe una mossa davvero stupida”
Jasper osservò la mia collera, senza stupirsene. “Edward, stai commettendo un errore…”
“Un errore?” ringhiai. “Per colpa dei suoi giochetti ho perso tutto. Tutto”
“Sei suo fratello. Cosa ti aspettavi? Che ti lasciasse morire?”
“Avrebbe dovuto”
“Che differenza può fare? È solo questione di tempo, ormai. Non ti nutri da mesi, continui a sottoporti a continui lavaggi del cervello… Edward, il dono di Zafrina è un’arma. La tua mente non riuscirà a sostenere un simile stress ancora a lungo. Ti spegnerai senza neanche la possibilità di dirle addio”
“Non mi importa”
Jasper sospirò. “Bella non avrebbe voluto questo
Fu soltanto un pensiero inconsapevole, sfuggito alla sua mente, ma mi colpì con la forza di una coltellata sul cuore. Feci appello a tutte le mie energie e, con un scatto veloce, mi rimisi in piedi e gli arrivai davanti, issandolo per il colletto. “Cosa vuoi saperne tu di cosa avrebbe voluto?”
Jasper sostenne il mio sguardo, con perfetta calma.
Tentai di colpirlo, ma riuscì a divincolarsi con facilità e con una spinta mi rigettò a terra. Mi rialzai, ma non ebbi fortuna. Jasper mi lasciò avvicinare quel tanto che bastava a colpirmi ancora e ancora. “Hai disonorato il suo sacrificio in ogni modo che ti è stato possibile”
Impiegai le poche forze che mi rimanevano per un ultimo, inutile attacco, prima di arrendermi. “Ha ragione” ammisi a me stesso, e la collera mutò velocemente in disperazione. Con il volto nascosto nel fango e nessuna determinazione a muovermi, lasciai che Jasper mi aiutasse a rimettermi in piedi. Mi passò un bracciò dietro la schiena, tenendomi in equilibrio. “Tu che cosa avresti fatto?” sussurrai appena, senza il coraggio di guardare mio fratello in volto.
Non ebbe neanche bisogno di soppesare la mia domanda. “Mi sarei vendicato”.
 
Volterra, 1 Maggio 2011
Bella
 
Il buio più fitto mi circondava come un mantello di catene invisibili.
Cieca, correvo disperata nei meandri del sottosuolo, tentando di districarmi nel labirinto di pietra che era divenuto la mia prigione. Muri spessi e gelidi si ergevano ogni dove, bloccandomi la strada, costringendomi a tornare indietro.
Svoltai a destra, a sinistra. Andai avanti, senza direzione.
Mi ero perduta.
Fiammelle lontane riverberavano la loro tiepida luce in lontananza, avvertendomi dell’imminente arrivo dei miei carcerieri, dell’inutilità della mia fuga.
Il dolore lancinante alla testa peggiorava ogni passo, rendendomi malferma e traballante.
Avevo poco tempo.
Mi voltai. Una luce si faceva sempre più vicina e minacciosa.
Ero in trappola.
Tentai di accelerare il passo, ma inciampai.
Caddi in avanti, sulle ginocchia e le mani, senza percepire dolore.
Nemmeno un graffio scalfì la mia pelle.
Mi rialzai e corsi ancora, disperata, arrancando nelle tenebre.
Lontana, una triste cantilena scandiva i miei passi.
Mi sforzai di essere attenta, di individuare il punto da cui proveniva quella voce, ma l’eco era traditore.
Poteva provenire da dovunque.
Svoltai bruscamente e caddi ancora.
La membra cominciarono a bruciare, insopportabili.
Qualcuno mi aveva raggiunto.
Urlai, più forte che potevo, intanto che mani sconosciute mi afferravano, riconducendomi nella mia gabbia. 
   
 
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