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Autore: Leana    24/06/2013    5 recensioni
Se esistono i vampiri e i licantropi, perché non possono esistere anche le streghe?
Una delle prime regole per poter usare i propri poteri era quella di essere concentrate. Lasciarsi travolgere dalla rabbia, o dalla paura, non portava mai a niente.
In quel caso, il mio sesto senso mi diceva di stare in allerta, come se nelle vicinanze si trovasse un pericolo.
E fu allora che lo vidi.

Momentaneamente in sospeso
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Twilight
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P    A    N    I    C
S  T  A  T  I  O  N
 
 

 – CAPITOLO 1 –





Trasferirmi a Forks era tutt’altro che previsto, ma non mi potevo lamentare.
 
Avendoci trascorso un mese di ogni estate della mia vita, sapevo bene che tipo di posto fosse. Tranquillo, perennemente nuvoloso, e soprattutto piccolo.
 
A Phoenix nonostante la vicinanza con mia madre, non mi ero mai trovata bene, e ogni anno attendevo con ansia le vacanze estive per poter andare a trovare mio padre.
 
 A Forks la gente era diversa: ognuno si faceva gli affari suoi, e quando non era così sapevi già da chi metterti in guardia.
 
A detta di mio padre, il mio arrivo aveva destato qualche chiacchiera – come poteva essere altrimenti? – ma nessuno aveva avuto la sfacciataggine di chiedere il motivo del mio trasferimento.
 
Ad accogliermi nella mia nuova casa, furono Charlie e la pioggia.
 
“Se hai bisogno di qualcosa, ti ho lasciato il numero del mio ufficio sul frigo. Mi dispiace dovermene andare proprio il primo giorno, ma hanno bisogno di me” mi spiegò mio padre una volta dentro casa.
 
“Non preoccuparti, me la caverò” gli risposi trascinando il mio borsone per le scale.
 
“Bella, potresti non uscire per oggi? E’ pericoloso con questa pioggia e-”
 
“Tranquillo, avevo altri programmi”
 
“Bene. Allora ti lascio alle tue cose” disse con tono insicuro.
 
Io e mio padre, in quanto a carattere, eravamo uguali.
Difficilmente davamo aperta dimostrazione dei nostri sentimenti, ma entrambi sapevamo quanto ci volessimo bene.
 
A entrambi ci piaceva rimanere per conto nostro, e andando a vivere insieme, sapevamo già che nessuno dei due avrebbe invaso lo spazio dell’altro.
 
“Va bene” gli risposi.
 
Quasi come se avessi abitato da tutta la vita in quella casa, mi diressi con passo sicuro verso la mia stanza.
 
Notai delle piccole differenze rispetto all’ultima volta in cui ci avevo dormito.
Un vecchio computer era stato aggiunto sulla scrivania accanto alla finestra, e una libreria mezza vuota dava mostra di sé lì accanto.
 
Il letto era ricoperto da un piumone beige dall’aria costosa che non avevo mai visto prima, e adesso sembrava che potessi disporre anche di un comodino.
 
Nonostante la stanza fosse piuttosto piccola e non disponesse di tutti i comfort, la sentivo già mia.
 
Appoggiai il borsone sul letto, e tirai fuori le ultime cose che avevo portato con me.
 
Charlie aveva insistito per occuparsi del trasloco vero e proprio, e ormai tutto era già nella mia stanza.
 
Sistemai l’armadio come ero abituata, in modo che al mattino quando prendevo le prime cose che mi capitavano, non indossassi i calzini di colore diverso.
 
Una volta terminato decisi di scendere in cucina, dove trovai il biglietto di cui mi aveva parlato mio padre.
 
Lanciando un’occhiata all’orologio sulla parete, mi resi conto che erano solo le prime ore del pomeriggio, ma avevo una fame terribile.
 
Mi preparai un panino con quello che trovai, notando che la dispensa aveva un disperato bisogno di essere riempita.
 
Mi ripromisi che non appena avessi trovato un po’ di tempo, ci avrei pensato io.
 
Andai a mangiare in salotto, davanti alla tv che sintonizzai su un Tg locale, l’unica cosa che mi spingesse ad accenderla.
 
Dopo le prime due notizie, però, la mia mente era già da un’altra parte.
 
Mi chiesi se anche al liceo di Forks ci fosse qualcuno come me.
 
A Phoenix sapevo di un paio di ragazze, ma probabilmente loro non avevano mai saputo di me, e ormai era troppo tardi.
 
A quel punto, dubitavo di poter incontrare un’altra strega nel piccolo liceo di Forks.
 
Non eravamo così comuni perché era un dono che si trasmetteva di madre in figlia, e c’erano tanti elementi decisivi.
 
Per esempio, per una ragione ancora sconosciuta, non sempre la prima figlia femmina riceveva questo dono.
 
Essendo così pochi, ci veniva insegnato a non fidarci di nessuno, nemmeno dei nostri familiari.
 
Mia madre mi ripeteva spesso che quando si erano conosciuti, Charlie aveva intuito che ci fosse qualcosa di diverso in lei, ma fortunatamente non aveva mia fatto troppo domande, ed era riuscita a mantenere il suo segreto.
 
Per un’adolescente, era pesante non poter parlare liberamente con qualcuno che non fosse tua madre di tutta questa faccenda.
 
E se aggiungiamo che mi era stato espressamente vietato di utilizzare i miei poteri se non in caso di assoluta necessità, la faccenda prendeva un’altra piega.
 
Ormai ero matura abbastanza da sapere che c’era un motivo valido se erano state stabilite delle regole precise, ma qualche volta sentivo come il bisogno di chiudere gli occhi, e di fare la prima magia che mi venisse in mente solo per il gusto di farlo.
 
Involontariamente risi, pensando al caos che si sarebbe scatenato in quel caso.
 
Ero proprio curiosa di sapere che tipi fossero gli studenti di Forks.

 



 
Il giorno dopo mi sveglia prima che lo facesse la sveglia, e mi rilassai sotto una lunga doccia calda.
 
Essendo piuttosto freddolosa, indossai qualcosa di pesante.
Non c’era bisogno delle mie capacità da chiaroveggente per sapere che avrebbe piovuto e fatto freddo per tutto il girono.
 
“Buongiorno, papà”
 
“Buongiorno, Bells. Pronta per il primo giorno di scuola?”
 
Avendo già la bocca piena dei miei biscotti preferiti, risposi con una scrollata di testa.
 
“Vedrai che ti troverai benissimo. Conosco quasi tutti i ragazzi della tua età, e sono figli di gente per bene”
 
“Non ho problemi a crederci” risposi con un sorriso.
 
“Fammi fare bella figura, mi raccomando” continuò Charlie alzandosi.
 
Lo osservai riporre la sua tazza nel lavandino, e poi voltarsi verso di me.
 
“So che non deve essere facile abbandonare tutto e trasferirsi in una nuova città, ma fai un piccolo sforzo. Sei intelligente, e scommetto che non farai difficoltà a fare subito amicizia”
 
“Penso anch’io” risposi dopo qualche secondo.
 
Era insolito che Charlie mi facesse un certo tipo di discorso, e ne ero rimasta colpita.
 
Contai mentalmente quanto tempo fosse passato dalla mia ultima visita, e valutai cosa potesse essere successo nel frattempo.
 
“Ci vediamo a cena, Bells” mi salutò mio padre riportandomi alla realtà.
 
“Certo. Buona giornata”
 
“Anche a te” rispose mio madre dal corridoio.
 
Mentre afferravo il cartone del latte, sentii la porta sbattere.
Visti i modi poco delicati, non avrei mai voluto essere in uno dei criminali a cui mio padre dava la caccia.
 
Con un sospiro, bevvi buona parte del latte che mi ero versata, ma decisi di rinunciarci quando notai l’orario.
 
Corsi di sopra per prendere il mio zaino, e mi diedi un’ultima ricontrollata ai capelli prima di uscire.
 
Qualche mese prima, Charlie mi aveva detto di poter recuperare un’auto tutta per me, ma ancora non ne avevo visto traccia.
 
Mi sembrava maleducato insistere, visto che l’avrebbe pagata lui, così al momento mi ero rassegnata a dover prendere l’autobus.
 
Forse, considerato lo stato della strada dopo un’intera notte di pioggia, era meglio così.
 
Avvolsi una sciarpa che mi aveva regalato mia madre intorno al collo, e mi incamminai verso la fermata che potevo già scorgere a qualche metro di distanza.
 
L’autobus arrivò puntuale, e quando salii occupai uno dei primi posti liberi.
Evitai di guardarmi alle spalle per non attirare l’attenzione, ma sembrava che i pochi studenti a bordo si fossero già accorti di me.
 
Con la coda dell’occhio vidi due ragazzi e una ragazza spostarsi nei posti più avanti.
 
Decisa a ignorarli, tirai fuori la mia agenda e scrissi a lettere maiuscole ‘SPESA’.
 
“Ehi, tu sei Isabella, giusto?” mi domandò uno dei ragazzi.
 
“Bella va bene” risposi.
 
“Mi hanno detto che sei di Phoenix” intervenne la ragazza.
 
La osservai per la prima volta, e subito mi saltarono all’occhio i capelli ricci che le circondavano il viso.
 
“Si…”
 
“Scommetto che Forks ti sembrerà un mortorio” riprese il primo ragazzo che aveva parlato.
 
“E’ decisamente più tranquilla” risposi con un sorriso.
 
“Oh, sono sempre il solito maleducato. Io sono Eric” disse il ragazzo.
 
“Io Jessica”
 
“Mike” finì il ragazzo che non aveva ancora parlato.
 
Annuii, sperando di ricordarmi i nomi di tutte le persone che avrei conosciuto durante la giornata.
 
Arrivammo a scuola, e subito Eric si fece avanti per farmi da guida all’intero dell’edificio.
 
Accettai solo per evitare di mettermi a girare come una trottola impazzita per i corridoi con il rischio di arrivare in ritardo alla prima lezione.
 
Scoprimmo solo in seguito che Jessica frequentava con me sia la lezione di trigonometria che di spagnolo.
 
Mi ero sempre definita una persona socievole, ma trovai in Jessica un gran chiacchierona.
 
Parlò a lungo di ogni argomento che le passava per la testa, e a un certo punto smisi di ascoltarla.
 
Mi limitai ad annuire ogni tanto, e lei non diede segno di essersi accorta di nulla.
 
Jessica mi ricordava molto una mia vecchia amica, e nonostante la parlantina, mi era stata simpatica sin da subito.
 
Per questo, accettai il suo invio a pranzo.
 
In sala mensa, mi condusse fino a uno dei tavoli centrali dal quale potevo vedere gli altri studenti, ma anche essere vista.
 
Con noi si sedettero Mike e Eric, e altri quattro ragazzi che sapevo per certo che non frequentassero le mie stesse lezioni.
 
Da come parlavano tra di loro, ebbi l’impressione che fossero amici da parecchio tempo, e per un momento mi sentii spaesata.
 
Guardai un paio di ragazze accomodarsi al nostro tavolo, e vedendole ridere, feci lo stesso.
 
Mi passai una mano sul collo, lasciando vagare lo sguardo alle spalle di Jessica.
All’improvviso, senza nessun apparente motivo, sentii un nodo allo stomaco, e una brutta sensazione mi invase.
 
Subito mi raddrizzai sulla sedia, fingendo noncuranza.
 
Avevo imparato a nascondere bene ogni tipo di sentimento, soprattutto quando si trattava dei miei poteri.
 
Ma quella sensazione non voleva andarsene, continuando a far battere sempre più veloce il mio cuore.
 
Senza farmi notare, feci un respiro profondo. Una delle prime regole per poter usare i propri poteri era quella di essere concentrate. Lasciarsi travolgere dalla rabbia, o dalla paura, non portava mai a niente.
 
In quel caso, il mio sesto senso mi diceva di stare in allerta, come se nelle vicinanze si trovasse un pericolo.
 
E fu allora che lo vidi.
 
 
 
 


Note dell’autrice:
Hola!
Sull’onda della mia migliore amica, anche io ho iniziato a dedicarmi a questa sezione :)
Ho avuto un lampo di genio, e ho iniziato a scrivere di getto, quindi se ci fosse qualche errore, non fatevi problemi a dirmelo.
Questa ff è ispirata, come avrete intuito dal titolo, dalla canzone dei Muse ‘Panic Station’ <3
Il prossimo aggiornamento, se tutto va bene, sarà verso giovedì-venerdì.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Leana <3
   
 
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