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Autore: Myrcella Lannister    25/06/2013    6 recensioni
Quando Daenerys Targaryen, nata dalla tempesta e madre dei Draghi, riprende ciò che è sempre stato suo di diritto e sale sul trono di spade, ai vecchi regnanti che hanno perso il loro gioco non resta che rimettersi alle decisione della nuova sovrana. Ma nulla è come potrebbe sembrare perché la strada verso il potere è irta di pericoli e colma di inganni e sottigliezze.
Dal primo capitolo “The Warrior”.
Jaime fu destato da quel sogno ad occhi aperti dal pianto sommesso del bambino dinanzi a lui. Tommen, il suo figlio più piccolo. Aveva soltanto otto anni. Ed era con lui nelle celle della Fortezza Rossa. Umide, buie e invivibili. Un bambino spaventato. Un leoncino infreddolito e stanco, affamato e disilluso.
Genere: Dark, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Daenerys Targaryen, Jaime Lannister, Myrcella Baratheon, Robb Stark, Tommen Baratheon
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Tematiche delicate
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The Warrior

 

          Di fronte all'aversario si erge il Guerriero, 

e dovunque noi andiamo lui ci sorveglia.

Con la spada e lo scudo, con la lancia e l'arco,

e tutti i bambini lui protegge.

 

Jaime Lannister aveva sempre desiderato divenire un guerriero. Era una delle sue più grandi aspirazioni, la più importante dopo quella di poter rendere fiera e far sentire amata la sua adorata gemella. Sin da quando era soltanto un infante, aveva giurato a se stesso che sarebbe stato investito come cavaliere dal re in persona. Proprio come suo padre. Lord Tywin gli aveva insegnato a combattere con la spada, a tirare con l’arco e a cavalcare tra i floridi campi nei pressi di Castel Granito, la fortezza secolare della loro famiglia. Aveva imparato velocemente, Jaime, spronato dai suoi sogni e dai sorrisi sinceri della sua Cersei. Nulla gli risultava più facile di maneggiare la sua fedele spada. Ma la sua spada di bambino, quella di legno di noce, quella che aveva usato per i primi due anni di addestramento, non gli era più confacente. Non era per lui. Jaime desiderava qualcosa di meglio. Qualcosa di più prezioso. Una spada che soltanto il Lord Protettore dell’Ovest possedeva e aveva il diritto di brandire in battaglia. La spada di un uomo.

Entrare nelle stanze di suo padre era un’impresa degna del più abile e silenzioso tra gli individui. Cersei gli aveva sempre ripetuto, da quando Jaime le aveva rivelato cos’aveva in mente, che non bisognava mai mettere piede nelle camere private dei loro genitori. Tywin non aveva mai ricevuto nessuno da quando sua moglie, la sua amata Joanna, era morta di parto. Se l’avesse trovato a frugare tra le sue carte e i suoi oggetti personali, sicuramente avrebbe ricevuto una punizione esemplare. Nessuno avrebbe potuto salvarlo dall’ammonizione e lo sguardo gelido di suo padre. I suoi occhi verdi erano qualcosa di assolutamente spaventoso per Jaime, sebbene evitasse di chinare il capo quando lo trafiggevano con indifferenza quasi disumana. Doveva essere coraggioso. Era l’erede di Castel Granito. Era un Lannister. Un leone. E un leone non si lasciava abbattere da nessuno. Era questo ciò che si aspettavano lui. Invincibile, coraggioso e ligio al dovere. Non avrebbe dovuto desiderare di brandire la spada di suo padre prima del tempo. Ma Jaime ne aveva bisogno. Doveva brandire l’erede di Ruggito di Luce. Almeno per una volta. Una sola volta prima di tornare a usare le solite daghe costruite dal fabbro del castello. Quando ebbe acquisito a piene mani il coraggio per l’impresa, era l’alba, un’alba timida e rosata che illuminava di una luce soffusa le stanze del castello. Suo padre stava conversando con suo fratello Kevan nella Sala esterna. Lo sapeva. Aveva scorto il cavallo dello zio e l’aveva riconosciuto subito. Sperava solo fosse un discorso lungo e laborioso.

Jaime aveva undici anni quando brandì per la prima volta la spada di Tywin. Fu una sensazione meravigliosa. Appagante. Semplicemente indescrivibile. Era come sentirsi padroni del mondo intero. Nel palmo destro vi era l’elsa maestosa e decorata da un prezioso rubino rosso sangue e la lama candida era pesante. Era una spada da uomo. Da re. Jaime si era sentito così felice e così soddisfatto di sé solo tra le braccia della sua amata Cersei.

La portò dinanzi ai suoi occhi verdi e brillanti brandendola e sferrando due leggeri fendenti che fecero sibilare l’aria circostante. Era perfetta per lui.

Per la seconda volta si sentì un vero uomo. Si sentì invincibile. Potente e fiero come un leone. Sorrise e l’immagine si riflesse distintamente nel ferro della daga. Nessuno specchio avrebbe potuto restituirgli un riflesso più fedele di quello che scorse nella spada di Tywin.

Sì, Jaime sapeva che sarebbe divenuto un cavaliere. Ne era certo. Proprio com’era certo che il suo ruggito avrebbe fatto tremare la terra e tutti gli uomini che avessero osato contrastarlo.

 

Jaime fu destato da quel sogno ad occhi aperti dal pianto sommesso del bambino dinanzi a lui. Tommen, il suo figlio più piccolo. Aveva soltanto otto anni. Ed era con lui nelle celle della Fortezza Rossa. Umide, buie e invivibili. Un bambino spaventato. Un leoncino infreddolito e stanco, affamato e disilluso.

Quando Daenerys Targaryen aveva conquistato Approdo del Re, cavalcando Dracarys, il più grande tra i tre draghi, le sorti dei vecchi regnanti non erano state le più rosee. I Lannister erano stati imprigionati nelle celle della Fortezza. Tutti quelli presenti nella capitale giacevano da due giorni senza acqua né cibo. Jaime aveva tentato di domandare alla guardia di far bere il suo bambino, almeno lui, ma gli aveva riso in viso e aveva ribadito che le regole della prigione erano chiare e valevano per tutti.

« Smettila di piangere, Tommen,» quasi strillò Joffrey lanciando, per quanto gli era possibile data la stanchezza e il buio che regnava sovrano nella prigione, un’occhiata stizzita verso il fratello. Tommen smise per un attimo, portandosi le ginocchia al petto che, come quello di un colibrì, si alzava a intervalli troppo ravvicinati. Aveva paura. Ed era solo un cucciolo. E a Cersei sembrava non importare nulla di quel piccolo principe dal cuore dolce e i modi sensibili.

« Vieni qui,» sussurrò gentilmente Jaime aprendo di poco le braccia, non ricordandosi del moncherino che gli faceva terribilmente male. Se avesse fatto infezione, allora sarebbe stato davvero costretto a farsi tagliare il braccio. Tommen alzò lo sguardo smeraldino verso di lui e notò che suo padre gli stava sorridendo quasi speranzoso che accettasse la sua offerta. Tommen ricambiò, un po’ più felice, e si gettò tra le braccia di Jaime facendosi cullare da lui.

Piangeva perché non poteva far altro. Perché avrebbe tanto desiderato che sua madre si accorgesse di lui. Che sua madre volesse bene a lui proprio quanto ne voleva a Joffrey. Ma sua madre non aveva mai fatto nulla per attutire e smussare la distanza che vi era tra lui e suo fratello maggiore, l’erede al trono. Soltanto sua sorella riteneva che lui fosse più importante di Joffrey. Più importante di chiunque altro al mondo. Gli mancava Myrcella, ma era felice che fosse andata in sposa al più piccolo del Martell. Almeno lei era al sicuro. Tommen non si sarebbe mai perdonato se a sua sorella fosse accaduto qualcosa di brutto. Avrebbe dovuto ringraziare lo zio Tyrion, ma se solo schiudeva le labbra ormai secche e inaridite, di colpo si ricordava che non toccava acqua da circa due giorni e mezzo.

La battaglia contro la ragazza Targaryen era durata poco, le due ore centrali della notte, ed era stata disastrosa per loro. La sconfitta era stata palese e schiacciante. E Joffrey aveva dovuto arrendersi. Joffrey avrebbe preferito distruggere la capitale piuttosto che darla a Daenerys e renderla la vincitrice della guerra dei Cinque Re, ma Tyrion l’aveva bloccato esclamando che l’avrebbe gettato lui stesso da una torre se non avesse smesso di ragliare come un asino. Aveva molte ragioni per ringraziare suo zio. Davvero.

« Fate silenzio. Tutti. Nelle celle non si parla,» tuonò una guardia che vagava tra i prigionieri. Oltre ai Lannister vi erano anche alcuni alfieri di suo padre, i membri del Concilio Ristretto e altri sostenitori del vecchio reame che si erano schierati con Tywin. Jaime cullò Tommen tra le braccia, sperando che si addormentasse e non sentisse più i morsi della fame e della sete. Il bambino si strinse a lui con una forza degna di un combattente e Jaime percepì un moto d’orgoglio e di amore attraversagli il petto arrivando al cuore. Tommen era il figlio che gli somigliava di più. Sebbene fosse il meno amato dagli altri poiché era il più piccolo. Quasi nessuno si era curato delle sue sorti e Jaime doveva ammettere che era stato un bene. Se fosse divenuto matto come Joffrey, che era stato oltremodo viziato, Jaime non l’avrebbe potuto sopportare. Guardandosi intorno notò che Cersei, la sua amata, la madre dei suoi figli, la donna che non poteva essere spezzata da nulla, sedeva con le spalle poggiate contro il muro freddo di fronte a lui, algida e imperturbabile, mentre carezzava distrattamente la mano del suo figlio maggiore. Aveva lo sguardo rivolto nel nulla, in un punto indistinto tra Jaime e Tywin che sedevano vicini.

Con la coda dell’occhio notò che suo padre era immobile, con gli occhi chiari spalancati e diretti dinanzi a sé. L’avrebbe quasi dato per morto se non fosse stato per il respiro che gli faceva alzare ritmicamente il petto. Un vecchio leone il cui ruggito non s’era mai affievolito nel tempo. Tyrion, invece, poco distante da Cersei, aveva le mani strette in quelle della sua giovane e bella moglie che riposava stanca sulla sua spalla. I lunghi capelli rossi di Sansa, semisciolti e quasi scomposti, coprivano con dolcezza la giubba marroncina di Tyrion e suo fratello stava inspirando il loro dolce profumo con forza quasi disperata. Voleva salvarla. Era sua moglie.

Jaime sospirò per lo sconforto e Tommen sollevò lo sguardo uguale al suo. Jaime gli sorrise e posò un lieve bacio tra i suoi capelli color dell’oro. Se solo avesse avuto ancora la sua spada, se solo avesse avuto ancora la mano destra, se solo Joffrey non fosse stato così stupido, forse avrebbe potuto salvare i suoi figli, la sua Cersei, suo padre e suo fratello. Avrebbe dovuto prendere Tommen e andar via da Approdo del Re quando ne aveva avuto la possibilità. Come aveva sognato davvero di fare quando Brienne era tornata a Tarth dopo averlo riportato a casa. Sarebbero andati a Castel Granito e suo figlio sarebbe stato al sicuro. Forse anche Brienne gli avrebbe fatto compagnia. Avrebbe potuto proteggerlo e Brienne avrebbe potuto insegnarli a combattere con la destra, come lui non poteva più fare. Sarebbero stati felici. Jaime ne era certo. Però era rimasto. Perché amava Cersei e non poteva sopportare l’idea di non rivederla mai più. Era stato uno stupido. Tyrion gli aveva raccontato tutto. I suoi numerosi amanti, la brama di potere, la ferocia che aveva dimostrato di possedere contro chi osava contrastare lei e suo figlio, il completo disinteresse mostrato per Tommen e Jaime stesso. A Cersei importava solo del trono. E di Joffrey. Il tempo in cui loro due si erano amati davvero era finito. Jaime doveva accettarlo.

« Iniziano i processi,» esclamò una guardia poco lontana appena sopraggiunta dalle scale sovrastanti che conducevano ai piani superiori del palazzo reale. La sua voce era roca, bassa e quasi gutturale. Cavernosa. Come il resto di quella dannata prigione. Tommen sollevò lo sguardo e si sporse verso la fonte della voce sebbene non potesse vedere l’uomo che aveva pronunciato quelle parole. Un messaggio che lo fece deglutire a vuoto. Il momento della resa dei conti era oramai giunto e Tommen poteva percepire il suo cuore battere come mai aveva battuto prima di quel momento. E con il suo anche quello di suo padre. Jaime lo strinse più forte a sé come per proteggerlo, come se quelle guardie volessero portare suo figlio, il suo bambino, via da lui. Lontano dalle sue braccia che potevano accudirlo. Lontano dai suoi occhi che potessero guardarlo con orgoglio e sorridergli con affetto. Lontano dal suo cuore. Jaime Lannister aveva paura per la prima volta nella sua vita. Una paura irrazionale. Devastante. Terribile. Non per le sue sorti, ma per quelle di Tommen. Di Tyrion. Anche di suo padre e Cersei, « La regina è nella Sala del Trono,» aggiunse per comunicare la destinazione dei processati. Non erano trascorsi che due giorni da quando Daenerys Targaryen, Nata dalla Tempesta, Madre dei Draghi, aveva preso il potere e i servitori la chiamavano già regina e sembravano essere lieti del suo potere. Jaime non poteva poi biasimarli. Joffrey non era e non sarebbe mai divenuto un buon re.

« Chi dobbiamo far salire?» domandò l’altro uomo, quello che prima li aveva ripresi per aver parlato. Jaime lo sapeva. Sapeva bene chi avrebbe assaporato per primo la giustizia della nuova regina di Westeros. I vecchi regnanti. La sua famiglia. E anche loro lo sapevano. Lo sapeva Tyrion e strinse più forte la sua giovane moglie. Lo sapeva Cersei e afferrò la mano di suo figlio mentre guardava disperatamente suo padre, come per pregarlo di salvarli ancora una volta. Lo sapeva Tywin. Il vecchio leone di casa Lannister osservò i suoi figli, come per imprimersi per l’ultima volta le loro immagini nella mente prima della fine.  

Jaime Lannister aveva sempre desiderato essere un guerriero quand’era bambino. Non il Lord. Non il re. Il guerriero. Ma mentre stringeva il suo piccolo Tommen tra le braccia, si rese finalmente conto di chi desiderava davvero essere.

Jaime Lannister desidera soltanto poter essere padre.

« I Lannister.»

  
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