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Autore: Shinkocchi_    26/06/2013    3 recensioni
«Scusa, ma…io proprio non mi ricordo di te. Mi dispiace.»
Tic tac. Tic tac.
«...capisco.» il ragazzo trattenne il respiro, poi chinó il capo, stringendo febbrilmente la stoffa dei pantaloni fra le dita fino a far sbiancare le nocche. Lo infastidiva il riverbero biancastro della luce nella stanza spoglia. C'era solo qualche fiore sul comodino.
«Peró ti ringrazio...sei venuto a trovarmi e— non so neanche il tuo nome.»
Sussultó alle parole dell'altro, poi gli rivolse lo sguardo, costringendosi a stiracchiare un sorriso quasi gentile.
Tic tac. Tic tac.
L'orologio continuava a scandire il tempo come nulla fosse, eppure a lui in vero pareva di essere sprofondato in un incubo.
«Minamisawa Atsushi.» rispose solo, la voce gli tremó «Molto piacere.»

[AtsuMasa]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kariya Masaki, Minamisawa Atsushi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alla gemeh, che spero non mi ammazzerà per tutte le citazioni presenti in una fic AtsuMasa angst di siffatte pagine.
Alla cacchina mia, che nel suo amorevole ruolo di scassaballe –dedita all’angst, sì evviva- mi ha dato modo di finirla.

 

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«Scusa, ma…io proprio non mi ricordo di te. Mi dispiace.»
Tic tac. Tic tac.
«...capisco.» il ragazzo trattenne il respiro, poi chinó il capo, stringendo febbrilmente la stoffa dei pantaloni fra le dita fino a far sbiancare le nocche. Lo infastidiva il riverbero biancastro della luce nella stanza spoglia. C'era solo qualche fiore sul comodino.
«Peró ti ringrazio...sei venuto a trovarmi e— non so neanche il tuo nome.»
Sussultó alle parole dell'altro, poi gli rivolse lo sguardo, costringendosi a stiracchiare un sorriso quasi gentile.
Tic tac. Tic tac.
L'orologio continuava a scandire il tempo come nulla fosse, eppure a lui in vero pareva di essere sprofondato in un incubo.
«Minamisawa Atsushi.» rispose solo, la voce gli tremó «Molto piacere.»
 
 


『Something that i forgot to tell you』

 
 
«Minamisawa-san! Minamisawa-saaan!» dischiuse gli occhi a fatica, frastornato. Luce. Fastidio. Gli richiuse di botto, poi socchiuse di nuovo, portandosi il dorso della mano sul viso per ripararsi dai raggi del sole che filtravano dalle imposte lasciate socchiuse -mai che si ricordasse di chiuderle, una volta tanto-, inquadrando una figura familiare che se ne stava china su di lui, poggiata al letto con un’espressione curiosa in volto «È tardi, non dovresti alzarti?» 
Sbuffó, lasciandosi sprofondare a peso morto sul materasso «Ancora cinque minuti...» biascicò con voce impastata dal sonno, evitando di guardare il viso così vicino dell'altro.
«Peró il lavoro—»
«Non me ne puó fregar di meno, del lavoro...» lo interruppe e soffocó un mugugno infastidito nella fodera del cuscino, arrabattandosi fra le coperte «Quindi lasciami in pac— CAZZO FAI!?» sbottó, voltandosi di scatto verso l'altro, che l'aveva afferrato per i piedi e aveva preso a tirarlo.
«N-Non puoi— GNH— fare tardi! Vuoi perdere il posto?! Diamine, tirati giù!»
«Ho detto di no e—...cos'è questa puzza?» domandó ad un tratto, perplesso, mollando le sponde del letto a cui si era aggrappato. Lo vide avvampare. Pausa «Oh. La colazione...» sospiró, tirando a caso a colpo sicuro, perfettamente conscio che non ci voleva certo un genio ad indovinare il misfatto, un po' perchè le espressioni dell'altro erano come un libro aperto per lui, un po' perchè davvero non conosceva nessuno di più negato ai fornelli «D'accordo, d'accordo, mi alzo!» si voltó, agitando le mani e sedendosi.
Il ragazzo accanto a lui distolse lo sguardo, in imbarazzo, puntando il viso insistentemente a terra, senza far cenno a volersene andare «Dovrei cambiarmi.» se ne uscì ad un tratto Atsushi «Ti dispiace...?»
«N-NO!» lo precedette, balzando sull'attenti, agitando le mani «A-Affatto, vado...a finire e— sì, vado.» blateró in maniera sconnessa, gettandosi a capofitto fuori dalla stanza, sbattendo malamente la porta.
Proprio non riuscì a trattenersi dal sorridere l'altro, guardandolo andare in panne per una situazione in cui si era cacciato da solo, e ridacchió sotto i baffi, lasciandosi cadere sul materasso con un sospiro.
Minamisawa Atsushi e Kariya Masaki si conoscevano davvero da all'incirca sei anni, e da quasi altrettanto tempo stavano assieme. 
Atsushi aveva coabitato con Masaki per lungo tempo, così tanto che gli pareva un eternità. In qualche modo contorto e stupido, in effetti, era come se si conoscessero da sempre ed era scontato che per sempre insieme sarebbero rimasti.
Eppure il concetto di "per sempre" non era mai da considerarsi tale.
E così era trascorso solo un mese da quando era cominciata la convivenza tra Minamisawa e Kariya.
 

***

 
Ottenere quel posto all'università era stato davvero un colpo di fortuna. Certo, causa ne era senza alcun dubbio anche una media di tutto rispetto e dei risultati impressionanti in tutte le materie, ma in effetti Atsushi era ancora molto giovane con i suoi soli ventisei anni appena compiuti, quindi non avrebbe potuto lamentarsi in alcun caso.
Ma se c'era uno che stava sempre a lamentarsi, in fondo, beh quello era proprio lui, che non poteva davvero fare a meno di far annegare nel patetico anche le meno peggio fra le situazioni. Giusto per noia, nella maggior parte dei casi. Ah, che idiota.
Giró le chiavi nella toppa, facendole tintinnare le une contro le altre «Sono a casa.» annunció senza troppa enfasi, poggió il cappotto nell'ingresso, sfilandosi le scarpe e mettendosi un comodo paio di ciabatte «Kariya, ci sei?» chiese, andando in salotto, trovandolo accovacciato sul divano, seduto con le braccia a stringere forte le ginocchia, lo sguardo puntato sullo schermo della televisione, quasi rapito.
«Davvero mi piaceva...questa roba?» chiese il ragazzo ad un tratto, senza distogliere lo sguardo da quei piccoli omini che correvano dietro a una palla, calciandola e passandosela.
«Sì, giocavi in una squadra quando eri alle medie. Eri piuttosto bravo. Una volta abbiamo anche giocato l'uno contro l'altro, sai?» 
«Oh. Sembra divertente in effetti, il calcio.» chinó appena il capo di lato, perso nei suoi pensieri «Chissà se quello mi ricordo ancora come si fa.» chiese e Atsushi serró le labbra.
«È andato tutto bene oggi pomeriggio?»
«Uh? Sì, non preoccuparti e— ah, hanno chiamato Hiroto-san e Midorikawa-san!» replicó entusiasta, gli occhi che brillavano «Hanno detto che forse verranno a trovarci la prossima settimana!»
«Oh, davvero? Sembra una cosa bella...» l'altro annuì con forza.
«A proposito, volevano parlare anche con te. Hanno detto di richiamare appena possibile.»
Atsushi si zittì, fece un cenno vago e andó in camera.
Compose il numero, portandosi la cornetta all'orecchio e restando in ascolto «Pronto?» fece poi una voce dall'altra parte.
«Sono io.» sentì Hiroto trattenere appena il fiato «Come va? Masaki ha detto che verrete a trovarci a breve.»
«Lavoro permettendo, sì. È da un po' che non veniamo in fondo.»
«Ah. Ne sarà felice...in effetti gli mancate.»
Silenzio. Si bloccarono entrambi e non rimase altro che il fastidioso eco della cornetta in sottofondo «Come sta?»
«Bene. Perlomeno se la cava.»
«Mi fa piacere.»
Silenzio, un altra volta. Questa volta più dilaniante del precedente.
«...forse dovremmo rassegnarci al fatto che le cose restino così.»
Ah. Così. Nello stesso modo in cui sono ora. Come se non fosse mai accaduto nulla...
«Rassegnarsi. Già. In fondo a te piace prendere sempre la via più semplice, no?» la voce di Hiroto rimbombó come un tonfo sordo nella cornetta e Minamisawa sussultó, il respiro gli si bloccó nel petto «Credi davvero vada bene così? Scappare non riporterà le cose indietro, non farà cambiare nul—»
«Neanche restare se è per questo!» Atsushi si bloccó, sussultando, sentendo dall'altra parte della cornetta l'altro zittirsi di botto alle sue parole, e si sentì all'improvviso del tutto svuotato.
«Ma restare non è forse il minimo che puoi fare nei confronti della persona che ami?»
Un vuoto fastidioso, lancinante e dilaniante. 
Prima che potesse rispondere, Atsushi sentì la linea cadere.

 
«Amnesia retrograda?»
Un sussurro soffocato risuonó per il corridoio dell'ospedale, tra quel candido quasi innaturale che permeava ogni cosa. Splendeva tutto quasi in un bianco etereo in quella luce chiara e fastidiosa del mattino. Bianco come i muri, i pavimenti, le porte, i camici, le lenzuola candide dei lettini di primo soccorso. Era tutto orribilmente bianco.
 
Bianco. Come il soffitto di casa, la prima cosa che i suoi occhi incrociavano ogni mattina quando si svegliava, sentendo Masaki assopito contro la sua spalla.
Bianco. Come la federa del cuscino di Masaki, quella che lui stesso si era preoccupato di lavare e stirare considerando la poca manualità -e propensione a combinare danni- dell'altro.
Bianco e ancora bianco. Null'altro che bianco su bianco.
Bianco come il foglio bianco che ora Masaki era diventato.
Masaki. Masaki. Masaki. Masaki.
Sei singole piccole lettere ammassate di cui ora non era rimasta che l'ombra.
«È un tipo di amnesia che comporta la perdita di memoria degli eventi precedenti rispetto alla causa dell'amnesia stessa.» pausa «Purtroppo il trauma cerebrale dovuto all'incidente è stato più forte del previsto...pur fermando l'emorragia non siamo riusciti a far nulla a riguardo.»
«Ma non potete provare a—»
«Non abbiamo il permesso per poter lavorare sulla zona dell'encefalo. Sarebbe troppo rischioso e le possibilità di perdere il paziente troppo alte. Mi dispiace.»
Avrebbe voluto essere in qualunque posto meno che lí, Atsushi. Sarebbe andato bene ovunque, sul serio, persino a lui che non faceva altro che lamentarsi, solo -davvero- non voleva ascoltare più una sola singola parola. Non ascoltare nulla. Sentire nulla. Sono sprofondare. E sparire. Sarebbe stato così bello. Si sarebbe risparmiato tutto questo. Tanto c'erano Hiroto e Midorikawa. Loro bastavano e avanzavano per tutto e in effetti, Minamisawa stesso non riusciva a capire se quello fosse solo un incubo oppure la realizzazione di uno dei peggiori di essi. Già. Allora perchè lui era ancora lì?
«Possiamo vederlo?» la domanda del rosso lo riportó alla realtà e sussultó, a capo chino.
Non volle ascoltare la risposta, cercó di impedirselo ad ogni modo.
«...venite con me.»
Eppure proprio non riuscì ad evitare di muovere le gambe a quelle parole.


 
«Potevi anche dirmelo se avevi fame.» 
Un borbottio orgoglioso si fece sentire da oltre il divano, seguito da delle scuse mormorate a mezza voce.
«Non volevo disturbarti per una stupidaggine del genere...poi finisce sempre che ti scoccio. Non voglio debba sempre preoccupartene tu.»
Atsushi fece saltare le verdure sul fuoco, poi scosse la testa, sospirando con fare rassegnato «Ma almeno non avresti finito per rischiare di appiccare fuoco alla cucina. E poi io non ho problemi, mi piace cucinare, mi rilassa.»
Masaki rimase in silenzio e, nonostante fosse nascosto dietro il divano, il ragazzo riuscì senza problemi ad immaginare che fosse arrossito per la vergogna.
«Peró io ci tenevo a prepararti qualcosa da mangiare.» fece con tono sinceramente dispiaciuto, e il più grande non potè far a meno di sorridere dolcemente di fronte a quel suo modo di fare.
«Beh...se la metti in questo modo...» prese aria, reclinando il capo all'indietro «Vieni che ti insegno io.»
Silenzio. Lo vide tirarsi di scatto a sedere, sorpreso, fissandolo con espressione incredula «Eh?»
«Ti insegno io. A cucinare intendo. Così magari un giorno ti sdebiterai preparandomi la cena.» ridacchio agitando il mestolo.
L'altro non se lo fece ripetere due volte che balzó in piedi e lo raggiunse, ansioso, fermandosi a qualche centimetro dalla sua spalla «Allora...ci sei? Hai le mani pulite?» l'altro annuì convinto «Bene...allora...vediamo un po'.» prese fiato, riprese a maneggiare la padella come stava facendo prima «Ad esempio, io ora sto cucinando della pasta, vedi?»
Il giovane arricció le labbra, sporgendosi per vedere meglio «La pasta è un piatto italiano, vero?» 
«Mh. Quando ero piccolo spesso osservavo mamma cucinare...mi divertiva parecchio, poi è diventato un hobby, quindi mi sono spesso interessato alla cucina etnica. Quella italiana in particolare mi piace davvero molto.»
L'altro rimase ad ascoltarlo quasi rapito, incredibilmente interessato ad apprendere «E...questa pasta, come vogliamo farla?» chiese «Non ho mai mangiato cibo italiano, quindi non è che me ne intenda molto.»
«...capisco. Beh, prepariamo qualcosa di facile, come...uh—» dischiuse le labbra, poi si bloccó.
«Pomodoro e basilico?» lo interruppe l'altro, facendo un cenno alla padella in cui stava cuocendo il pomodoro «Esiste, vero?» domandó titubante a chiedere conferma.
Atsushi smise di respirare per un momento, poi annuì «Sì, vedo...che hai un po' di cultura generale...» balbettó, distolse lo sguardo, poi si sporse verso la mensola, cercando un pacco di pasta «Allora, non è difficile. Quando l'acqua bolle metti il sale e gli spaghetti. Intanto finiamo di preparare il sugo.»
«S-Sì!» saltó sull'attenti Masaki, e Atsushi non riuscì a fare a meno di ridere guardandolo destreggiarsi in maniera così impacciata con pentole e fornelli, cercando di dargli istruzioni.
«Gira quei pomodori, altrimenti si bruciano— e aggiungi dell'acqua o il sugo poi si secca!» lo rimproverò scherzosamente «E l'acqua nella pentola sta bollendo, dovresti buttare gli spaghe— aspetta, hai dimenticato il sale!» si portó una mano al viso, scuotendo il capo rassegnato, in preda a degli spasmi, quando il più giovane rischió di rovesciarsi l'acqua bollente sui piedi, scolando. Ah, cucinare non era certamente nelle sue corde...troppo distratto per riuscire a gestire tutto «Ma che combini?! Sei davvero un imbranato cronico, Masaki!» rise di gusto e il minore si bloccó, si irrigidì di colpo, voltandosi verso di lui, la padella a mezz'aria.
«...eh?» chiese, dopo un attimo di silenzio, e quando l'altro si accorse del perchè socchiuse le labbra per prendere fiato.
«Scusa...» distolse lo sguardo facendolo vagare per la stanza, a disagio «Non sono abituato a— chiamarti per cognome, ecco.» si grattó il capo con una risatina tesa, per smorzare l'atmosfera.
Il giovane dischiuse le labbra, il respiro leggermente pesante senza motivo «Se—» smise di respirare, serró le labbra, poi se le mordicchió nervosamente «Se...io non mi ricordo, questa cosa...ma se Minamisawa-san preferisce chiamarmi per nome, allora io— ne sono felice.» 
Il più grande restó immobile, lo sguardo perso nel suo. Occhi contro occhi, quegli occhi che tanto amava, rigirandosi fra le labbra quella semplice parola, quasi non fosse più abituato, quasi non sapesse più pronunciarla. Quelle sei lettere dal suono così piacevole alle sue orecchie che avevano sempre costituito negli ultimi anni il suo punto di riferimento, in qualsiasi senso. Per quanto non fosse altro che una crudele e meschina pugnalata allo stomaco, in una situazione del genere, non potè far a meno di sentire qualcosa scioglierglisi piacevolmente nel petto a pronunciarle.
«E poi mi piace come suona il mio nome se pronunciato dalla tua voce. Mi piace più che pronunciato da qualsiasi altra persona, Atsushi-san.» Minamisawa non rispose «T-Ti dispiace se...ti chiamo così?» balbettó incerto Kariya, le guance imporporate appena.
«...no. Affatto.»
Eppure aveva tutto un che di fottutamente masochista.
 

***

 
«Aaaahhh! La cucina di Midorikawa-San è davvero eccezionale! La adoro!» Masaki reclinó il capo, sospirando con aria soddisfatta sul sedile del treno, stiracchiandosi «Poi ogni volta che andiamo a trovarli mi prepara sempre i miei piatti preferiti!»
«Beh, lo sai quanto ci tenga, no?» chiese Atsushi e l'altro annuì sorridendo.
«Lui e Hiroto-san mi piacciono un sacco. Sono davvero delle brave persone, non pensi?» sorrise dolcemente, il mento poggiato alle braccia incrociate davanti al finestrino, lo sguardo rivolto al paesaggio, una serie interminabile di grattacieli e case che si susseguivano senza sosta davanti ai loro occhi nel buio della sera.
«Mh, è vero...anche se sono due tizi un po' particolari.» pausa, scosse il capo, cinico «Ma d'altronde penso di non sapere più da moltissimo tempo cosa sia la normalità.»
«Uh? E questa situazione ti piace?» chiese Kariya, rivolgendogli lo sguardo, e quello si ritrovó a sussultare.
«...relativamente.»
«Mh, capisco...peró, intendo, oltre che essere loro delle belle persone, non posso fare a meno di pensare che il loro sia davvero un bel rapporto. Insomma, il modo i cui si guardano e si sfiorano, il tono con cui si parlano...le ammiro.» ridacchio socchiudendo gli occhi, mesto, mentre Minamisawa puntava lo sguardo sulla sua figura, trattenendo il fiato «Credo si debba essere davvero delle persone fortunate a trovare qualcuno da amare e che ti ami anche solo la metá di quanto si amano loro. O forse basta essere semplicemente anime gemelle.»
Galleria. Buio. Oscuritá completa. Il più grande trattenne il fiato, ancora una volta.
Rimasero in silenzio e Masaki sbadiglió, accoccolandosi con la guancia al braccio «Cerca di non addormentarti, fra qualche fermata scendiamo.»
«Aaaagli ordini!» ridacchio, poi si zittì quando il treno si fermó di fronte alla stazione. Ennesima fermata «Mi piacciono le stazioni...» se ne uscì ad un tratto «Sono dei posti fighi!»
«Mh? Tu trovi?»
«Ho anche visto un film l'altro giorno...parlava di un cane, che va a prendere ogni giorno il padrone alla stazione, come si chiamava...H-Haic— ah, no Hac—»
«Hachiko.»
«Sì, esatto! Mi è piaciuto un sacco! Dovremmo vederlo assieme una volta!»
«Ah...non penso sia il caso, sai?» rise amaramente, storcendo le sopracciglia.
Il ragazzo lo guardò, storcendo il naso «Non saprei in effetti, il perchè, peró mi piacciono...mi danno una strana idea di libertà che non saprei spiegare bene neppure io, ecco...come se fossero dei posti lontani dal resto del mondo.»
«Ha senso, in qualche modo. Anche se non credo che la stazione sia un luogo lontano, ma bensì solo quello in cui confluiscono le persone dopo svariate vicende e vicissitudini affrontate durante la vita. Sia un punto di passaggio, ecco.»
«Per andare avanti?» chiese, curioso tiratosi su con il viso.
«O tornare indietro.»
Kariya trattenne il fiato e Atsushi restó immobile, il mento poggiato al palmo della mano e lo sguardo assente «Penso che se volessi fuggire sul serio allora sì, il primo luogo in cui andrei sarebbe una stazione.» respiró con calma, lo sguardo fisso fuori dal finestrino «Non so se sia l'immagine della stazione, o i treni, il suono o semplicemente il fatto stesso di essere tale a renderla un luogo così propenso alla fuga...»
«Perchè fuggire e nascondersi non sono la stessa cosa, vero?» domandó Kariya, e l'altro non rispose, attento com'era ad ascoltare il suono metallico della carrozza fischiare sui binari.
 

***

 
Masaki cosa volesse fare della sua vita non se lo era ancora effettivamente chiesto davvero.
O per meglio dire, se lo era chiesto, decine e decine di volte, tutte le notti quando, nel buio e nel silenzio della stanza, lo sguardo fisso al soffitto, aveva avuto davvero il tempo il riflettere e pensare. Pensare e riflettere, capire. Quello che cercava di non trovare, invece, era il tempo di darsi una risposta. Ed era proprio per quello che, sempre in quelle stesse notti, quando arrivava quel fatidico momento, si voltava di lato, premendosi forte il cuscino sulla testa quasi fino a soffocare, strizzando gli occhi fino a far sparire ogni minima traccia della realtà che lo circondava, o perlomeno provandoci.
In effetti, c'erano tante cose a cui Masaki proprio non sapeva dare una risposta. Tante che non conosceva. Non ricordava.
Lui chi era, ad esempio? Kariya Masaki, ventiquattro anni, nato il 18 luglio, gruppo sanguigno, A+, nazionalità giapponese. Così gli avevano detto. Non era questo quello che gli interessava, quello che voleva sapere.
Lui, per gli altri, chi era?
Chi era Kariya Masaki per le persone attorno a lui? Cosa rappresentava? Che ruolo aveva nella vita di chi gli stava attorno?
Sapeva che aveva passato gran parte dell'infanzia in un orfanotrofio per il dissesto economico della sua famiglia, sapeva che Hiroto e Midorikawa erano stati per lungo tempo i suoi tutori, ma non era poi molto. Ad esempio, quel Minamisawa Atsushi che ormai da un paio di mesi lo ospitava in casa, chi era? 
Aveva detto di essere un amico di vecchia data, il suo coinquilino durante il suo soggiorno a Tokyo per frequentare l'università. Era quello che l'aveva accolto senza esitazione prendendosi cura di lui nonostante tutto, quello a cui poteva interpellarsi se aveva bisogno, che gli preparava i pranzi, evitandogli di morire di fame, rimproverandolo scherzosamente per poi picchiettargli il mestolo in fronte con aria serafica. A quel pensiero Kariya si ritrovó a sorridere stupidamente fra le coperte del divano-letto del soggiorno, dandosi poi dell'idiota per questo. Eppure Atsushi gli piaceva, non poteva farci niente. Non sapeva esattamente perchè, era una cosa a pelle, a tatto, ma non poteva fare a meno di fidarsi di lui senza alcuna riserva. Ciecamente.
Sorrise fra le coperte, questa volta in maniera dolce.
Già, Atsushi gli piaceva, e gli piaceva in un modo che lo confondeva -tutto in lui lo confondeva, in vero-. Davvero, a volte aveva la sensazione che ci fosse qualcosa nello sguardo dell'altro che davvero non riusciva a sondare e comprendere fino in fondo, come se stesse cercando di dirgli qualcosa che lui non riusciva a capire, e non poteva fare a meno di sentirsi in colpa per questo.
 

Sospiró fra le coperte, poi si rannicchió in posizione fetale, stringendosi al cuscino. Era stanco, stremato, sentiva la schiena a pezzi e non ricordava francamente quand'era stata l'ultima volta che si era sentito così -sperava solo di non beccarsi un raffreddore, a quel punto-, ripromettendosi di evitare di stare accovacciato a rovistare fra vecchie cianfrusaglie in quella stupida e scomoda posizione in futuro...ah, dannati scatoloni.
Socchiuse gli occhi e sospiró, la luce sul comodino nel salotto che splendeva fioca, poi sussultó sentendo un rumore provenire dalla camera da letto e si tiró su a fatica, andandovi «Non vai ancora a dormire, Atsushi-san?» chiese assonnato, strofinandosi l'occhio sulla soglia della porta «Sono le due passate...»
«Sì, tranquillo, ora mi preparo.» ridacchió, si lasció cadere sul materasso con un tonfo, slacciandosi le scarpe con nonchalance «E tu? Non vai?»
Scosse la testa «Ti tengo compagnia, almeno per un po'...» si avvicinó al letto, bloccandosi poi, titubante, dal lato opposto del letto matrimoniale dove era seduto lui.
«...che succede?»
«Posso...?» abbozzó un'espressione imbarazzata, facendo un cenno, avvampando a quel suo "accomodati, scemo", detto con quella gentilezza quasi disarmante, e si sedette senza replicare, restando in silenzio, guardandosi attorno con fare appena agitato, dandogli insistentemente la schiena mentre quello si metteva la maglia del pigiama «S-Senti—» se ne uscì ad un tratto «È una domanda stupida, ma— uh, mi chiedevo da un po'...perchè tu hai, insomma, un...com'è la persona che di solito dorme da questa parte del letto?» lo sentì tremare d'improvviso e si diede mentalmente dell'idiota, ancora «No insomma, lascia stare, è— non sono affari miei e—»
«Una persona stupida, direi così sulle prime. Una di quelle persone che...la prima volta che la incontri ti fa venire voglia di prenderla a schiaffi perchè si è permessa di sfottere il tuo ombrello preferito e che eppure, nonostante tutto, senza che tu ti accorga del come e del perchè, diventa importante tutto ad un tratto, e tu lo realizzi solo quando ormai non puoi farci più niente.»
Silenzio, trattenne il fiato «...la ami davvero tanto, questa persona, vero?» chiese, e l'altro non rispose, rimanendo completamente muto, facendolo pentire per l'ennesima volta quella sera della domanda fatta «...e lei dov'è ora?»
«...se n'è andata, lontano, tanto lontano. Non è stata una sua scelta, neanche una mia, ma purtroppo...» strinse le coperte, si morse il labbro «Il destino ha voluto per noi strade divise.»
«...mi dispiace...sono stato inopportuno. La faccenda non mi riguarda, davvero, davvero, mi dispiace.»
E poi c'era sempre quella malaugurata sensazione, quella che gli suggeriva che c'era qualcosa che ancora non aveva capito e che tuttavia per quanti sforzi facesse non riusciva a comprendere. Poi peró l'altro continuó «A volte mi ritrovo a chiedermi se ogni tanto mi senta, se sappia quando ci penso e in qualche modo lo avverta...» Atsushi strinse la maglietta che teneva fra le mani compulsivamente «Se, dato che questa persona non posso toccarla o starle accanto come vorrei, valga davvero la pena restare aggrappato a ció che di lei mi rimane.»
Masaki dischiuse le labbra, sentì una sensazione di vuoto spiacevole divorargli il petto, nemmeno se ne rese conto quando prese a parlare «Peró voi vi amate, no? E per quanto siate o sarete lontani, questo non cambierà. Quindi forse vale la pena di credere fino in fondo che tutto ció abbia un senso, perchè se riesci a giustificare questa tua scelta, allora non avrai bisogno di trovare altre motivazioni oltre a quella di "volerlo davvero", n—»
Si bloccó, impietrì sul posto all'improvviso, trattenendo il respiro, voltando piano il capo verso l'altro, le labbra dischiuse e gli occhi sgranati.
Davvero non credeva che una singola lacrima caduta su un copriletto avrebbe potuto fare tanto rumore.
«Atsushi-san...?» si allungó verso di lui inconsciamente, il tono flebile, serrando appena le labbra, allungando una mano verso la sua schiena tremante, poggiandola delicatamente, sfiorando con le dita le vertebre dell'altro, che sussultó «Io...non sono bravo in queste situazioni.» fece, a disagio «Non sono abbastanza attento e comprensivo per poter ascoltare, nè ho la pazienza sufficiente, o la sensibilità adatta. E sono anche stupido, poi.» lo sentì singhiozzare maggiormente e portarsi una mano al viso «Eppure in questo momento ho come l'impressione che dovrei dirti qualcosa...qualcosa di importante...» strinse gli occhi e premette la fronte sulla sua schiena «Peró non ricordo cosa, chissà perchè.» silenzio, il tono si incrinó appena. Per un momento sentì un dolore indescrivibile nel mezzo del petto «Ah, che cosa bizzarra. Eppure questa cosa così importante, chissà cos'è, poi.»
 

***

 
«K-Kariya?!»
Non era stato intenzionale perdersi quel giorno. Sul serio, non l'aveva fatto apposta, si era solo distratto un momento, un nanosecondo e aveva perso Minamisawa di vista completamente. Sparito in mezzo alla folla, così, di botto, bum. Che diamine, che poi, proprio a lui che senso dell'orientamento peggiore non poteva avere doveva capitare una cosa simile?
E poi, meno ancora, si aspettava di sentire qualcuno chiamarlo, in mezza a tutta quella confusione.
«K-Kirino-san?» 
Così, quando il ragazzo l'aveva riaccompagnato indietro, aiutandolo a ritrovare Atsushi, si era domandato se fosse destino che in una città tanto grande avesse incontrato sul serio quelli che parevano -o almeno così gli avevano detto- essere i suoi compagni di squadra.
«Sei scemo— la prossima volta fai più attenzione!» mugugnó di dolore sgranando gli occhi quando il suo coinquilino gli tiró l'orecchio, poco gentilmente.
«A-Atsushi-saaaa—ah!—aaan! Ahiahiahiahi ho capito, sul serio non lo faró più!» piagnucolò contorcendosi e l'altro lo molló, borbottando, per poi rivolgere lo sguardo al terzo ragazzo.
«Grazie, davvero. Tu guarda se non ci si puó distrarre un solo momento!»
«Figurati, tanto stavo passando di qua, quindi...» pausa «Domani torna Shindou in Giappone sai? Il concerto è andato bene.»
«Ah sì, mi avevano accennato qualcosa del genere, in effetti.» ridacchio «Tsurugi ne sarà felice.»
Si lanciarono un'occhiata concorde, ma prima che potessero dire altro Tenma gli interruppe «E invece voi come state? Come mai da queste parti?»
«Commissioni varie. E frigo vuoto, soprattutto...ah. Comunque tutto bene, ecco. Insomma, come al solito.»
Masaki li guardó qualche secondo, arricció il naso e distolse lo sguardo.
Fastidio, lancinante e opprimente allo stomaco. Come se quella stessa realtá che stava vivendo non fosse stata null'altro che un sogno. Come se non ci fosse nulla di più fragile di quel confine -solo un solco tracciato sulla sabbia e spazzato via dal vento-. A volte si chiedeva se non fosse pure quello un sogno in cui era rimasto intrappolato, se la sua vita non fosse altrove, in un posto in cui aveva davvero dei ricordi che lo tenevano ancorato a ció che aveva di più caro. Ogni sera chiudeva gli occhi e se lo domandava, eppure il momento del risveglio pareva non arrivare mai.
«E tu Kariya?» sobbalzó, voltandosi di scatto verso Tenma al suo fianco, che gli stava sorridendo con aria gioiosa «Come stai?»
«A-Ah— tutto bene, non preoccuparti.» ridacchió portandosi una mano alla nuca «E— Aki-san come sta? E Sasuke? Shinsuke e gli altri? Abitando a Tokyo non ho molte occasione di vederli.» 
«Mh, non preoccuparti, tutto ok.» sorrise gentilmente «Anzi, un giorno dovresti venire a mangiare da noi, che facciamo una bella rimpatriata!» rise, e Masaki annuì teso, sentendosi tuttavia appena a disagio. Perchè in fondo per lui tutte quelle persone che avrebbe dovuto chiamare compagni non erano poi molto diverse da estranei in quel momento.
Rimasero in silenzio qualche secondo, mentre gli altri due continuavano a parlare in disparte, incuranti, fino a quando Matsukaze non aprì nuovamente bocca «Tu non— non ti ricordi molto di me, vero?» chiese, e Masaki non potè far a meno di pensare che il suo tono sembrasse sinceramente dispiaciuto.
«Non...più di quanto mi abbiate raccontato. Mi dispiace.»
«Mh.» scosse la testa e abbozzó un sorriso «No, insomma, va bene, non devi scusarti...» lasció il tono in sospeso, e il ragazzo si ritrovó curioso di sapere cosa passasse per la testa dell'altro «Kariya, senti, tu—» prese fiato, si fermó, poi si morse il labbro «Davvero non ti ricordi nemmeno di Minamisawa senpai?»
«...eh?» si ritrovó a sgranare appena gli occhi, trattenendo il respiro mentre il cuore perdeva un battito «Cosa...?!» chiese flebilmente, non riuscendo in alcun modo a distogliere lo sguardo da quello serio -e triste, sì, era triste- dell'amico «Io non—»
«Masaki!? Masaki!» sobbalzó vistosamente sentendosi chiamare, voltandosi come un pupazzo a molla verso i due che stavano aspettando poco distante «Dobbiamo andare.» disse solo Atsushi, e si ritrovó ad annuire di rimando, per poi porgere sbrigative scuse e allontanarsi con lui. Lanció solo una fugace occhiata a Tenma, che continuava a fissarlo con quella stessa, disturbante espressione, poi rivolse gli occhi a terra, ignorando tutti i discorsi di Minamisawa riguardanti quanto aveva appena discusso con Kirino, e sobbalzó sentendo il fragore di un tuono in lontananza. Faceva freddo, era ormai buio, sarebbe venuto a piovere a breve, e Masaki si ritrovó stupidamente a pensare che avrebbe dovuto fare più attenzione a portarsi un ombrello, la prossima volta.

 
Plic ploc.
Plic ploc.

Era un suono semplice, cadenzale. Aveva quasi un che di melodico, a ben rifletterci.
Plic ploc.
Plic ploc.

Ma gli piaceva, in fondo, il rumore delle gocce d'acqua che si infrangevano al suolo, perchè gli ricordava incredibilmente quello incessante e ritmato delle lancette dell'orologio, l'unica cosa che avesse dato davvero un senso al tempo trascorso in ospedale.
Plic ploc.
Tic tac.

Chiuse gli occhi, la mano ancora stretta alla manovella dell'acqua nella doccia, anche se ormai di lavarsi aveva finito da un po'. Poi li schiuse, respirando piano, e un'altra goccia scivoló giù dai capelli zuppi, infrangendosi sulle piastrelle bianche della doccia ancora una volta.
Mentre tornavano a casa aveva cominciato a piovere, a diluviare davvero, e così forte per giunta, che Masaki aveva pensato sarebbe annegato in quella pioggia. Pioggia stessa che peró non aveva spazzato via quella sensazione sgradevole che lo attanagliava alla bocca dello stomaco.
"Davvero non ti ricordi nemmeno di Minamisawa senpai?"
Davvero? Davvero? Davvero?
Minamisawa senpai. 
Ossia Minamisawa-san.
Atsushi-san.
Minamisawa senpai.
Atsushi senpai.
Atsushi senpai. Atsushi senpai. Atsushi senpai. 
Davvero. Davvero. Davvero.
«Io— io non—» parole che muoiono in gola, ancora. Si sentì soffocare «Davvero io— io— io non ricordo—» si piegó con il busto in avanti, il braccio stretto convulsamente attorno allo stomaco, sorreggendosi.
La voce rotta, così stupidamente rotta da non apparir quasi altro che la proiezione della sua coscienza. Nulla più che uno specchio infranto.
«Masaki.»
Una parola.
Aveva tutto un che di assurdamente familiare, come un momento già vissuto, già provato e sentito sulla propria pelle.
Come se quella sensazione fosse stato un qualcosa che avrebbe dovuto disperatamente ricordare.
Un deja-vù, così si chiamava, no?
Deja-vù. Deja-vù. Deja-vù. Atsushi senpai.
Desideró per un momento sprofondare soltanto e si accartocció su di sè come un foglio da buttare. Faceva così male...
«Masaki, stai bene? È da un po' ormai che sei dentro...» sentì la sua voce oltre la porta del bagno, non rispose. Silenzio, poi la porta si aprì.
Qualche passo, silenzio, silenzio, qualche passo ancora. Qualche goccia cadde dalla doccetta e Kariya rimase immobile, cercando di regolarizzare appena il respiro «Masaki? Ehi—» Minamisawa picchiettó le nocche sulla porta a vetri della doccia, il tono appena in ansia.
«S-Sì? Che c'è?»
«È tutto a posto? Stavo cominciando a preoccuparmi che fossi morto...» ridacchió scherzoso, ma rise di una risata che Kariya trovó più falsa che mai.
«No— è...tutto a posto. Ero solo soprappensiero—» rispose tutto d'un fiato, in un miscuglio indistinto di parole che non gli parve altro che un rantolo sofferente. Faceva male. Dio.
«Sei sicuro?»
La porta scorrevole della doccia si aprì appena e Atsushi sussultó mentre la testa del più giovane sbucava timidamente fuori, un sorriso sul viso falso tanto quanto la risata dell'altro poco prima «Va tutto bene— va tutto bene, davvero!» si ostinó a ripetere in un invito rivolto probabilmente quasi più a se stesso che all'altro.
Bugiardo. Bugiardo. Bugiardo.
«Ok, allora sbrigati, la cena è quasi pronta.» rispose solo, poi si voltó sui suoi passi, lo sguardo basso per non incrociare la sua figura.
«Solo che—» Kariya sentì le parole morirgli in gola e si bloccó, tremó come scosso da un violento fremito, aggrappandosi con forza al lembo della camicia dell'altro, strattonandolo piano.
Lo sentì sussultare e Minamisawa si bloccò, senza peró voltarsi «Cosa c'è?» chiese, la voce apparentemente calma, eppure proprio non riuscì a rispondere, Masaki, e fece per poggiare la fronte sulla sua schiena che quello si scostó bruscamente.
Perchè? Perchè? Perchè?
Sentì i passi allontanarsi, strinse le dita della mano sulla coscia, tremando.
«Davvero, ti conviene sbrigarti.»
Masaki chiuse gli occhi e ascoltó inerme la porta del bagno chiudersi.
Plic ploc.
Plic ploc.

Cadde qualche altra goccia a terra, rimbombando in maniera assordante.
Si appallottoló sulle piastrelle fredde, schiena contro il muro, cingendosi le ginocchia con le braccia e nascondendovi il viso in mezzo.
C'era qualcosa di tremendamente sbagliato in tutto ció.
Plic ploc.
Tic tac.

E Masaki speró con tutto il cuore che il rumore della doccetta potesse coprire i suoi singhiozzi.
 

***

 
Il rumore metallico delle posate durante una cena, Kariya pensava riportasse alla mente un po' l'idea di famiglia. Come qualcosa di caldo e condiviso, una particolare pietanza gustata assieme alle persone care o altro. Eppure, si chiese se sarebbe stato capace davvero di associare le due idee in quel preciso momento, proprio quando la lancetta dell'orologio andava a segnare l'una del pomeriggio passata, e entrambi si apprestavano a finire il pranzo.
Rivolse una fugace occhiata al coinquilino, a disagio, puntellando le estremità della forchetta sul piatto quasi vuoto.
«Pare che in serata verrà a nevicare forte.» disse a un tratto Minamisawa, gli occhi chiusi «Beh, in fondo siamo a gennaio inoltrato, no?» domandó retoricamente, Kariya annuì «Spero sono non si creino troppi disagi con i mezzi...sarebbe una gran seccatura se vi fossero ritardi.»
Si chiese quand'era che le cose fra loro erano così bruscamente cambiate.
I rapporti fra le persone potevano davvero logorarsi tanto facilmente per motivi nemmeno a lui per primo in quel momento comprensibili?
Com'erano finiti esattamente in quella situazione?
«C'è...forse qualcosa che non va, Atsushi san?» 
«...no, tutto apposto. Perchè questa domanda?»
«Ho notato che ultimamente tendi spesso ad evitarmi, nel senso— ho come la sensazione che tu tenga in qualche modo le distanze da me...» sentì il respiro pesante, prese fiato e continuó «M-Magari me lo sono solo immaginato, eh, ma— allora mi sono chiesto se per caso io...ti ho fatto qualcosa.» pausa «Ce l'hai forse con me?»
Chiuse gli occhi. Silenzio, silenzio, buio.
Fece per alzarsi dalla sedia, ma l'altro lo precedette «E— allora perchè ogni volta che mi avvicino, tu ti allontani?»
«Tsk— chiudi quella bocca—» Kariya sussultó, sentì lo stomaco dolergli «Hai idea di quanto sia difficile starti accanto, in questa maniera?!» gettò ad un tratto fuori, il tono si alzó progressivamente «Cos'è, lo fai apposta?! O sei davvero così stupido che proprio tu non ci arrivi?!» si voltó di scatto, furente, per poi allontanarsi verso la porta d'ingresso e l'altro lo seguì subito.
«Cosa...? Io— non volevo— no era mia intenzione infastidirti e— se l'ho fatto mi scuso. Davvero, mi dispiace— cercheró di non farlo più—» tentó di rispondere e il tono gli si incrinó appena al sentirlo sbottare in quella maniera incomprensibile.
«Taci! La tua gentilezza nei miei confronti mi irrita.» sputó acido «Arrabbiati, insultami, prendi a botte! Questo non sei tu! Masaki, il vero Masaki, non mi avrebbe fatto passare lisce molte cose di quelle che ho fatto— lui si sarebbe imposto, mi avrebbe seccato fino all'inverosimile, anche solo per uno stupido moto d'orgoglio!»
«I-Io—»
«Tu un corno—! Taci una buona volta, sei insopportabile! Davvero, davvero patetico...» si ritrovó a sputare, sentenzioso, tirando un calcio allo stipite, tremante di rabbia, deridendolo sommessamente.
Il giovane si ammutolì mentre il respiro affannato dell'altro spezzava quell'angosciante silenzio «A volte...» deglutì «A volte penso che sarebbe stato meglio se tu quel giorno fossi semplicemente morto...» si bloccó con la mano a mezz'aria, trattenendo il fiato «Se non ti avessi mai incontrato. Ora almeno tu non saresti qui, e io mi sarei risparmiato tutto questo.»
Masaki non rispose, rimase immobile, lasció cadere il braccio lungo il fianco mentre il cuore gli rimbombava rumorosamente nel petto, fino a giungere alle orecchie, assordandolo.
Tu-tum. Tu-tum. Tu-tum.
Davvero, com'erano finiti esattamente in quell’assurda situazione?
«Scusa, Kariya, ora devo andare in università, ho del lavoro da svolgere. Stasera torneró tardi, non aspettarmi.» concluse atono, infilandosi le scarpe, e Masaki rimase solo, spezzato, a guardare Atsushi allontanarsi per la seconda volta, senza fare nulla per fermarlo, e nella stanza non restó che l'eco della porta che si chiudeva alle sue spalle.
 
 
Tic tac.
Tic tac.
Atsushi schiuse gli occhi lentamente e gli si formó una smorfia in volto quando la luce disturbante della lampada al neon gli accecó la vista.
Arricció le labbra e si stropicció gli occhi, passandosi stancamente una mano sul viso, biascicando qualcosa, la voce ancora impastata dal sonno, nonostante si sentisse ancora pesante come un sasso, sia fisicamente che psicologicamente. In fondo, non aveva chiuso quasi occhio negli ultimi quattro giorni «Ah...» premette una dito fra le sopracciglia, alzando poi il capo, incontrando con gli occhi la figura dormiente di Masaki di fronte a sè.
Era uno di quei momenti in cui Minamisawa aveva ancora l'illusione che le cose si sarebbero aggiustate, che Kariya da un momento all'altro avrebbe aperto i suoi occhi -quegli occhi dorati che, davvero, davvero amava così immensamente- e lo avrebbe guardato con la sua solita espressione così adorabilmente imbronciata per poi uscirsene con uno dei suoi insulti poco gentili, che lo facevano ridere, mettendo l'altro in maggiore imbarazzo.
 
Era uno di quei momenti in cui ancora una parte di lui riusciva a sperare che l'amore in qualche modo avrebbe davvero sistemato tutto, come in uno di quei soliti film melensi che mettevano il suo ragazzo tanto in imbarazzo...
Già. Sempre e solo Masaki, il suo ragazzo. Ora che ci rifletteva bene era una cosa un po' strana -assurda- detta da uno come lui, soprattutto se da parte sua c'era un sincero convincimento del fatto stesso.
Eppure, in fin dei conti quel Kariya Masaki gli aveva davvero stravolto la vita, nel bene e nel male, e lui non avrebbe potuto comunque immaginare un'esistenza diversa per sé, un mondo senza Masaki era completamente inconcepibile...
Ah, essere innamorati era seriamente una vera seccatura...
Riabbassó lo sguardo dal soffitto, riportandolo sulla figura dell'altro che giaceva inerme sul lettino di fronte alla sedia su cui era seduto e sentì gli occhi cominciare a bruciare indicibilmente mentre la vista di appannava. Davvero, sembrava solo stesse dormendo dopo una giornata di studio «Masaki...» sussurró flebilmente, un groppo alla gola, e strinse i pugni sui pantaloni «Ti prego, Masaki—» singhiozzó, serró le labbra «Svegliati—»
Plic ploc.
Plic.
Ploc.
«Ho bisogno di te—»

 

Atsushi aveva sempre avuto un debole per la neve. Non per altro, ma perchè quando la città si imbiancava, le sue probabilità di starsene a casa -di stare con Masaki- ad oziare aumentavano considerevolmente. E lui era pigro, quindi la cosa girava irrimediabilmente a suo favore. E poi, poi soprattutto, a Masaki piaceva la neve, lui la amava così tanto e profondamente, che ogni volta che vedeva il suo viso illuminarsi di fronte a quello spettacolo candido non poteva fare a meno di sentire il petto alleggerirsi.
Ma per quanto tenesse a lui, aveva sempre dovuto ammettere che fosse uno stupido, l'altro, che aveva combinato tutto quel casino. Che se n'era andato così, senza dir niente, proprio un bakariya, già.
Atsushi sospiró e si stupì di quanto potesse risultare assordante l'eco dei propri passi nella neve nel silenzio più assoluto.
Trovó Kariya sotto una tettoia della stazione, rannicchiato su una panchina, pallido a causa del freddo, tremante, come un vero idiota «Stupido...» gli cinse gentilmente il collo con la sua sciarpa per scaldarlo, notò che aveva gli occhi gonfi e rossi «Ti buscherai un accidente così—» disse con appena un po' di preoccupazione nel tono «Ho trovato la tua lettera. Così sono venuto e— che ci fai qui sotto la neve?»
«Dove—?» 
«Era sotto il divano...dovresti nascondere meglio le cose che non vuoi la gente trovi.»
Rimasero entrambi in silenzio, poi Masaki si lasció sfuggire una mezza risata dalle labbra «Quando ti ho scritto quella lettera, ho pensato che così magari non ti saresti preoccupato. Che ti saresti risparmiato un sacco di seccature. L'ho pensato sul serio.» rafforzó la presa, stringendosi maggiormente in sè «Peró poi ho pensato anche che volevo tu venissi a cercarmi. Allora l'ho stracciata, e mi sono sentito ugualmente in colpa per questo. Patetico, eh?» chiese stringendo una mani fra i capelli, ridendo sommessamente di se stesso «Eppure non posso farci niente, quando sto con te è come se mi mancasse qualcosa...come se quella voragine che ho nel petto si allargasse sempre più. Ed è doloroso, così tanto, nonostante sia un qualcosa di cui davvero non riesco a privarmi.» prese fiato, altro singhiozzo «Ma la cosa peggiore è che— io lo odio— lo odio perchè non riesco a ricordarmi perchè faccia così dannatamente male— perchè mi accada solo con te—» pausa «Se non sentissi niente, allora non avrei neanche il dovere di ricordare, perchè non avrei alcun motivo di pensare che questo vuoto esista!» sentì il fiato morire piano in gola «Ti odio...ti odio così tanto. È solo colpa tua se il mio petto brucia in maniera tanto insopportabile, eppure...» si strinse in sè, si morse un labbro «Eppure allo stesso tempo starti vicino mi fa sentire così bene che a volte penso non avrei bisogno d'altro. E questo mi confonde. Tu lo fai, e ho paura che questo possa distruggermi senza che me ne renda conto, quindi, ti prego...» mormoró flebilmente, il tono spezzato «Non lasciarmi solo.»
Cadde qualche altro fiocco imbiancando i suoi capelli turchesi, senza voler dare impressione di smettere di nevicare.
Atsushi restó in silenzio qualche secondo «Fa freddo...ah.» sospiró, lasciandosi scivolare affianco a lui contro la parete, le mani in tasca. Socchiuse gli occhi, trattenendo il respiro «...quando...quando hai avuto quell'incidente stradale, cinque mesi fa, ho pensato la mia vita fosse finita. Anche se eri ancora vivo, se non avevi riportato particolari danni, la sola consapevolezza del fatto che tu non ti ricordassi più di me è stata...come se nulla avesse avuto più senso ad un tratto.» la voce si incrinó «Io sono un codardo, un vigliacco...ho sempre preferito rifiutarmi di sperare che tu potessi ricordarti di me, perchè ho pensato avrebbe fatto meno male essere prevenuti che vedere cadere le proprie illusioni. Peró, mi accorgo solo ora che in realtà ho sempre mentito a me stesso continuando a ripetermi di non crederci nemmeno un po'.»
Masaki schiuse appena le labbra, il respiro mozzato completamente nel petto «Quindi non ho intenzione, arrivati a questo punto, di lasciare che uno di noi due rovini tutto stupidamente, come abbiamo sempre rischiato di fare in passato.» voltó il capo verso di lui «Ti aiuteró io a ricordare. E se non riuscirai comunque a ricordare, allora ti staró accanto, e creeremo insieme dei nuovi ricordi a legarci.»
Il più giovane fissó lo sguardo nel suo senza proferire parola, poi dischiuse appena le labbra a prendere fiato «Atsushi senpai, torniamo a casa?»
E Minamisawa sentì quelle due parole schiacciarlo come un macigno, soffocandolo, e al contempo, ironia della sorte, sollevarlo da ogni preoccupazione possibile e immaginabile. Come in quel momento in cui ogni cosa scompare e non resta null'altro che l'attimo stesso.
Un sorriso che credette dolce gli si stiracchió sulle labbra, increspandogli stupidamente l'espressione, mentre stringeva la mano gelida e tremante dell'altro, intrecciando delicatamente le loro dita, in un gesto che da troppo non aveva più avuto abitudine di compiere -eppure quella calda e familiare sensazione alla bocca dello stomaco continuava a persistere nonostante tutto-. Era proprio come se la ricordava, già.
«D'accordo.» annuì, e ripetè quelle parole per aver la certezza fossero reali «Torniamo a casa, Masaki.»
 

***

 

«Sapevi che il fatto che in Giappone esistano tre diversi modi di dire “ti amo” è considerata una cosa strana all'estero?»
«Mh?» Masaki distolse lo sguardo dalla televisione «D-Davvero? Noi— ce ne sono addirittura tre?»
«Come?» ridacchió «Davvero tu non lo sapevi?»
«S-Scusa! Non mi è mai capitato di dover scegliere in base l'occasione, sai—» fece appena piccato.
Minamisawa sorrise sornione e portó le braccia dietro la nuca «Allora te li spiego io, mh?» propose e l'altro storse un sopracciglio «Bene, il primo è "daisuki", ed è il "ti amo" usato nei confronti degli amici o comunque di persone care.» il più piccolo annuì, facendosi più attento, quasi a dimostrare inconsapevolmente di essere realmente interessato «Poi abbiamo "aishiteru". "Aishiteru" è quel "ti amo" che invece si usa nei confronti di persone con cui si ha un rapporto più stretto e profondo, speciale, ecco.» rise, facendolo avvampare appena e borbottare sottovoce «E poi—»
«...e poi?»
Atsushi arricció le labbra, facendo una leggera smorfia, portandosi le gambe al petto sul divano «E poi c'è il terzo, che è...è quel "ti amo" che si usa nei confronti della persona con cui si vuole passare il resto della propria vita.» concluse con appena un lieve rossore sulle gote e Masaki sussultó di fronte a una rapida occhiata carica di sottintesi dell'altro, per poi avvampare.
Silenzio. Ah, che nervi «E come...si dice?»
«Beh, si dice—»

 

 
«Sveglia, sveglia! È mattino!»
«Mmhh— che palle, lasciami dormire Atsushi—» la voce assonnata di Kariya si alzó dal cumulo informe di coperte, facendolo sorridere sotto i baffi.
«E daaaai, Masaki-chaaan!» ridacchió in maniera che l'altro trovó insopportabile, soffiandogli nell'orecchio.
«Uffa—» bofonchió, soffocando il viso nella federa linda del cuscino, sospirando rumorosamente «Ma ho sonno!»
«Ah, nononono! Guarda che dovresti alzarti! Sennó poi fai tardi.»
«Ma—»
«Sono già le otto passate, non vorrai fare già una pessima impressione il tuo primo giorno di lavoro, no?»
«COS—?!» si tiró su di scatto, incespicandosi fra le coperte, agitato, scatenando l'ilarità dell'altro «L-Le ott— perchè non mi hai chiamato prima?! Perchè non—» si bloccó nel momento in cui rivolse l'attenzione alla sveglia sul comó «A-Ah— aspetta un attimo e—» si ammutolì, rimase immobile, realizzando finalmente la situazione, il dito a mezz'aria e la bocca semiaperta «Ma oggi è domenica...io inizio a lavorare domani—»
«Ah, davvero?»
Quello si limitó a risponde con un'espressione sorniona, chinando il capo e il ragazzo ci mise qualche secondo a mettere insieme i pezzi, poi sgranó gli occhi «Fammi capire...» disse lasciandosi cadere a peso morto sul materasso, venendo sovrastato qualche secondo dopo dall'altro «Tu avresti messo la sveglia a quest'ora, nonostante sia domenica, facendomi prendere un colpo allucinante con la scusa del lavoro solo per potermi dire "ah, davvero"?» domandó ridacchiando istericamente, incredulo, bloccato sul materasso per i polsi dall'altro.
«Importerebbe?» Atsushi gli lanció un'occhiata eloquente arrivando a un soffio dalle sue labbra, l'espressione serafica, e Kariya non potè far a meno storcere sarcasticamente le sopracciglia mentre le gote si imporporavano.
«...no. Non particolarmente.»
«E allora taci un po' una buona volta.»




Ah, now i remember what i wanted to tell you~
Koishiteru~

 
 
 

«Koishiteru? Mh, suona bene, mi piace.»
«Davvero? Questo vuol dire che me lo dirai più spesso?»
«Ma vai a quel paese—»
«Quanto amore, si vede proprio che vuoi passare il resto della tua vita con me!»
«Ma figurati, sogna se vuoi, perchè non te lo diró mai!»
«Beh, non per contraddirti, Masaki, ma teoricamente me l'hai già detto»
«...»
«...»
«...senpai scappa, perchè se ti becco t'ammazzo.»

 
 
 
 

Ah, demo boku mo anata wo koishiteru~
It really, really sounds good~

 
 
 
 
 

 
 
 

Something that i forgot to tell you - OWARI

















 



*
E finalmente l'ho finita.
Bene, no- ora posso davvero morire in santa pace- credo che sia la fiction più lunga in assoluto fra tutte quelle che ho pubblicato- sono.morta.
Comunque. Se qualcuno di voi ha avuto la forza di arrivare sino qui, si merita tanto amore <3 a lo abbraccio forte perchè ne sono davvero felicegnidfjnsdijnrie
Questa fiction è un qualcosa che tenevo particolarmente a finire, e, nonostante sia lunga, ammetto che non ho molto da dire...
Volevo scrivere qualcosa di angst sulla mia otp, idk, e la mia mente ha partorito ciò- che poi, non so, insomma, io ho pianto parecchie volte scrivendola, ma io piango anche per la matita che cade e si rompe [cit.], quindi...
Allora, sì- devo ammettere che sono felice, e stanca, e non ho particolarmente voglia di scrivere queste note perciò cercherò di non perdermi in stupidaggini come al mio solito...
Questa fiction è stata abbastanza difficoltosa da scrivere, nel senso, riassumere tutto quello che volevo è stato più arduo del previsto. Non ci sono nessi logici particolari fra i vari momenti, ma è una cosa che ho scelto consapevolmente, e spero ciò non abbia appesantito la lettura. Più che altro, più ancora che sulla storia in sè, volevo soffermarmi sulla psicologia dei personaggi, perchè è una cosa mi ha sempre affascinata- quindi ho cercato, seppure sinteticamente, di scrivere uno sviluppo dei loro pensieri passando da una scena all'altra, sia nel bene che nel male.
Non ho messo l'avvertimento OOC, perchè ho pensato che data la situazione potesse starci, insomma, un Masaki che non ha più alcun ricordo del suo passato non sarà per forza lo stesso di prima, perchè non ha alcun ricordo delle vicende che lo hanno fatto diventare quello che era. Comunque, nel caso riteniate sia necessario, basta che mi avvertiate e provvederò a farlo al più presto.
Altro punto. Per scrivere questa fiction mi sono involontariamente anche basata -e ho ripreso- su alcune scene di ruolate che ho fatto. Me ne sono accorta molto dopo averla inizaita, e, tutto sommato, ho preferito lasciarla così, nonostante faccia ancora più maleajnkwenrfijsfnd-- *piange* quindi devo ringraziare Greta (?) per avermi dato la possibilità di scrivere, perchè è anche grazie a lei se ho potuto fare taci citazioni (?) dato che è una così brava compagna di rolefndinfvn <3
Ho cercato comunque di alternare gli eventi con flashback- l'ultimo, in particolare, quello allineato a destra, è l'unico flashback che si riferisce a un momento precedente all'incidente. Inoltre, sono stata alquanto combattuta sul finale- ho cercato di rednerlo abbastanza aperto, nel complesso, perchè non avevo il cuore di farlo finire male, ma nemmeno trovavo realistico che lui ricordasse tutto all'improvviso, ecco. Quindi, insomma, potete immaginarvela un po' come volete, io ho cercato di essere abbastanza neutra, e spero mi sia venuto bene.
Ultima cosa, la frase finale "demo boku mo anata wo koishiteru" significa "anche io ti amo".
Dedicata a vul95 ed _helianthus perchè sì (?) oh.
Beh, ecco, ho detto tutto. Ringrazio chiunque vorrà recensire o abbia anche solo letto, perchè mi rendete immensamente felicefneicesrvjm
Alla prossima <3
*inchin

Fede


 

  
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