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Autore: monnezzakun    26/06/2013    3 recensioni
Axel era certo che a Roxas sarebbe piaciuta la neve.
[Dedicata ad Ella, che mi prompta "neve" anche se ci si scioglie all'ombra.]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Axel, Roxas
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Di neve, incantesimi e attimi perduti

prompt: snow

 




A pigra-chan, che fra una dormita e l'altra per me c'è sempre ♥

 

 

 


Roxas sgusciò fra le sue gambe con ancora il cappottino slacciato per fiondarsi nel giardino minuscolo e raggrinzito dall'inverno ormai agli sgoccioli.
Rimase fermo in mezzo al viottolo a guardare il cielo, serissimo e corrucciato, il berrettino da micetto calato sugli occhi tanto da spiaccicargli la frangetta sulla fronte, costringendolo a sbuffare di continuo per spostare i ciuffi più lunghi.

Axel lo seguì a passi lenti, rimanendo fermo contro lo stipite dell'ingresso, il sapore del caffè ancora sul palato. Avrebbe dovuto richiamarlo e fargli chiudere la giacca, portarlo in bagno per fargli lavare i denti, costringerlo a star fermo più di un secondo per spuntargli i capelli troppo cresciuti.
Non fece nulla di tutto ciò, sedendosi invece sugli scalini dell'ingresso, i gomiti puntati come spilli alle ginocchia ossute. Erano svegli da meno di mezz'ora, si poteva permettere di essere un tutore mollaccione almeno per il tempo di una sigaretta – che non avrebbe comunque fumato, visti gli sguardi assassini che il bambino gli riservava quando lo beccava con la paglia in bocca.
A nessuno dei due era mai piaciuto l'inverno. Nelle Terre del Branco praticamente non esisteva, ad Agrabah ancor meno; quando l'aveva portato a Wonderland s'era buscato un raffreddore che l'aveva inchiodato a letto per un settimana. Quando avevano di nuovo deciso di trasferirsi – ed Axel l'aveva aspettato per secoli
 il momento in cui sarebbero tornati insieme a Twilight Town, ogni singolo giorno da quando aveva riavuto il suo cuore – Roxas aveva iniziato a frequentare la scuola, a trascinarlo in giro per la città in cerca di una libreria in cui trovare delle favole da farsi leggere, a trovare qualche amico con cui giocare che non avesse quasi venti anni più di lui.
E adesso era lì, raggomitolato nel suo angolino di giardino, quello dove lasciavano sempre una ciotola piena di latte per il gatto randagio che passava ogni sera sopra il muretto davanti a casa. Axel si grattò una guancia, sentendo la sensazione ruvida della barba cortissima sulla pelle, socchiudendo gli occhi quando iniziò a spirare il vento della mattina, quello per cui Roxas sorrideva sempre perché faceva tintinnare lo scacciapensieri sulla porta.
E tornando a pensare all'inverno di Twilight Town, ormai erano lì da due anni eppure non aveva nevicato una sola volta, mai neppure un fiocco caduto solo per illudere i bambini. Neppure una briciola malandata di neve che se ne stesse ai lati delle strade, marroncina e sporca e bistrattata, quasi fastidiosa. Nemmeno quel poco che sarebbe stato necessario per imbiancare l'alberello in giardino, ancora pieno di lucine che accendevano ogni sera nonostante il Natale fosse passato da tempo.
Axel sapeva che a Roxas sarebbe piaciuta da morire la neve, ne era certo. Era troppo fredda e candida perché a lui non piacesse. Così diversa dal bianco asettico del Castello, totalmente opposta al color panna dolcissimo dell'abito di Naminé. Alla neve non interessa di chi tu sia, cosa tu voglia, cosa ti manchi per essere l'umano che ti piacerebbe essere.
Se lo ricordava lì, fermo nella neve altissima della Terra dei Dragoni. Erano in missione insieme e Roxas ancora non aveva imparato a maneggiare i portali oscuri. C'era stato il rumore stridente di una distorsione, ed il buio del portale senza fine che li avvolgeva si era contorto su sé stesso e raggrinzito su di loro fino a schiacciarli, vomitandoli in mezzo alla distesa sconfinata delle montagne, ansanti e talmente deboli da non potersi tenere in piedi. Roxas si era ripreso subito, passando immediatamente da un pallore nauseato ad un rossore violaceo per il freddo tagliente.
C'era puzza di fumo. Axel ricordava di essersi alzato e di averlo sentito subito, vivido.
Era un odore familiare per lui, ma non in quel modo: le sue fiamme divampavano nella frazione di un istante, giusto il tempo di ferire il nemico e sfumare in un soffio di fiamme danzanti.
Quel fumo invece era pregno di polvere da sparo e di sangue e di sofferenza, era il fumo di corpi bruciati e lasciati inerti e agonizzanti alla gelida tortura della neve sulla carne viva prima che giungesse l'oblio. Roxas era rimasto lì, immobile, a guardare l'infinita distesa dei corpi degli Unni, semisepolti. Quando lo aveva scosso non aveva reagito, continuando a guardare senza focalizzarsi su niente, perdendo lo sguardo fino all'orizzonte limpido e schifosamente azzurro.
Roxas non l'aveva mai vista, la morte. Era abituato agli Heartless, che sparivano in un soffio, che non lasciavano traccia né memoria. Una fine avvilente e insignificante.
Era quella la guerra vera, la morte vera: ruderi di esseri umani completi lasciati a marcire in mezzo a quanto di più candido avesse mai visto, sangue sporco a chiazze grandi quanto i Chakram che Axel teneva ancora in mano. Non c'era nessuna pozione per lenire il dolore, nessun Energiga lanciato all'ultimo secondo. C'erano uomini con un pugno di cuore nel petto che s'ammazzavano a vicenda, c'era il grido desolato nel vento fra le creste delle montagne innevate.
Gli si avvicinò ancora. L'uniforme dell'Organizzazione, in netto contrasto con il paesaggio circostante, lo rendeva ancora più piccolo e tremulo, sferzato dal gelo ruggente del vento fra le creste dei monti. Riprese d'improvviso a nevicare furiosamente e Axel poggiò un mano sulla spalla di Roxas per tenerlo vicino – ed era così sottile che l'avrebbe potuta spezzare solo applicando un poco di forza, avrebbe potuto ferirlo così tante volte da renderlo solo la bambola di quel ragazzino la cui risposta preferita alle domande era “...”.
E poi c'era stata la mano di Roxas che si ancorava al suo avambraccio, stringendolo tanto da lasciare il livido, e Axel aveva aperto il passaggio oscuro senza nemmeno pensarci, trascinandolo con sé nel buio.
«Acsel». Sobbalzò, stringendo i pugni come se fra essi si stessero materializzando le proprie armi, rilassandosi istantaneamente quando fu solo epidermide a cozzare contro le sue dita – e non pelle lucida, asfissiante, metallo rovente e pesante come il buco nel petto all'altezza del cuore.
«Dimmi, piccolo» rispose, le mani già protese per stringere le sue. Roxas sorrise, facendosi più vicino. «Oggi ci andiamo dallo 'tregone?»
Sì, a Roxas sarebbe piaciuta la neve. Si sarebbe lamentato di quella sporca, avrebbe odiato il periodo in cui ce n'è troppa poca per giocare e quello in cui inizia a sciogliersi e a diminuire di ora in ora. «Dallo stregone? Intendi Zexion?». Aveva già visto troppe cose scomparire lentamente per non ricordarsi la malinconia della perdita.
Il bambino annuì, entusiasta. «Sì! Dallo 'tregone!».
Axel lo sollevò senza sforzo e lo piazzò in bilico sulla sua coscia, i piedini poggiati sull'altra gamba. Approfittò di un suo momento di distrazione per abbottonargli il cappottino aperto, tenendo una mano premuta sulla sua schiena per non fargli perdere l'equilibrio. Lo scacciapensieri sulla loro testa vibrò per un secondo e sparse un suono dolcissimo nell'aria
«Non è uno stregone, lo sai» disse e gli pizzicò il naso, lievemente. «Ha una libreria, perché dovrebbe essere uno stregone?»
Roxas arricciò la bocca con fare saccente, scostando di lato il viso per sfuggire ai suoi pizzichi. «Io lo so che è uno 'tregone. Ha fatto un iccatesimo».
Ed ecco che ricominciava con quella storia. L'aveva detto otto volte solo la sera prima mentre gli leggeva la favola, tredici il pomeriggio subito dopo l'ultima visita al negozio di Zexion.
«E che incantesimo ha fatto?» chiese, già conscio della risposta.
«Segreto!» rispose Roxas, iniziando a ridere.
Axel lo afferrò per i piedi e lo mise sottosopra, facendolo urlare. «Ah sì? Cattivo!».
Il bambino continuò a urlare e si strinse alle sue ginocchia per non cadere. «Mettimi giù, mettimi giù! Te lo dico semmi metti giù!». Continuò imperterrito per qualche altro secondo, rimettendolo in piedi quando lo vide diventare un po' troppo rosso in viso.
«Adesso mi devi dire che incantesimo ha fatto Zexion, oppure non ti parlo mai mai più».
Roxas arricciò la bocca, facendogli una linguaccia. «Sbuff! Un iccattesimo sprecato, vitto che tu sei cattivo commé». Gli si fece più vicino, così che potesse sussurrargli il segreto nell'orecchio.
«Ho chietto» sibilò con quella sua vocina da bimbo, così diversa da quella che aveva nella sua vita precedente. Axel la ricordava come se il tempo non fosse mai passato, incastrata nei suoi ricordi fino a diventarne il cardine fondamentale. «di poter rimanere issieme atte per sempre» finì Roxas, e fu come tornare al momento in cui gli promise di incontrarsi nella prossima vita – ce l'ho fatta, Roxas, siamo di nuovo insieme.

«Grazie, piccolo» mormorò, stringendoselo al petto, piccolo e caldo come una caldarrosta. «Non ti lascerò mai andare, piccolo, non dopo tutto quello che hai fatto per me».
E a chi importava più della neve, in quel momento. Axel poteva solo sentire il cuore da uccellino di Roxas battere vicino al suo, finalmente reale e completo.







Note dell'autrice;
Okay, è finita. Questa storia è stupidissima e What If al massimo, visto che i Nobody hanno ottenuto il loro cuore punto. Se vi chiedete perché Roxas è un bambino: non lo so. Prendetela come una sorta di legge del contrappasso, del tipo "non ha avuto una infanzia = rinasce bambino", teorizzate ma non chiedete a me, perché non lo so. Grazie per aver letto, se volete recensite, se non lo fate vi amo lo stesso. Thanks!
Syr.



Kingdom Hearts © Square Enix & Disney. Questa Fan Fiction è stata scritta per puro diletto, senza alcuno scopo di lucro. Nessuna violazione di © è dunque intesa.


   
 
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