Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: sakura_hikaru    27/06/2013    3 recensioni
Fic ispirata alla canzone 'Kaze no Hitomi' cantata del seyuu di Seiji.
Dato il testo della canzone, ho pensato al primissimo incontro tra Seiji e Touma quando ancora erano bambini... l'occasione è Tanabata che proprio a Sendai ha il suo matsuri più bello.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Rowen Hashiba, Sage Date
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Si dice che nessuno ti conosca
Io credo che un giorno ci incontreremo di nuovo
Me ne sono già andato, appoggiato
Alla porta della metro guardo fuori
In qualche modo ne ho il presentimento
Last lady, last lady
Non capisci, questo rumore sta solo crescendo
Last lady, last lady
Quegli occhi del colore del vento
Non cambieranno
Last lady, last lady
Da quella volta non ho amato nessun altro
Last lady, last lady
Quegli occhi del colore del vento
Ora sono lontani
Kazeiro no hitomi - Occhi del colore del vento


L'estate di Sendai era piacevole, a tratti tiepida, mai umida come nelle grandi città del paese: non calda come Tokyo, non fredda come Sapporo, era una via di mezzo con molto appeal per tutti quei turisti che, nel cuore dell'estate, in Agosto, si riversavano nella città di Masamune Date per il matsuri di Tanabata.
La festa delle due stelle, dei due amanti, era nella città la più bella e grande celebrata in tutto il Giappone: la città era decorata a festa, ovunque pendevano, giocosi, colorati e vivaci kusudama e fukinagashi, le bancarelle occupavano strade, vicoli, angoli. I lunghi viali alberati di Sendai erano attraversati da persone in yukata, soprattutto bambini e giovani donne, ma non mancavano signore anziane avvolte in tessuti scuri dalle fantasie autunnali, giovani che abbandonavano la tradizione e giravano in leggeri vestiti occidentali. E c'era un chiacchericcio di gioia, un'elettricità che era solo prologo di qualcosa di più grande che doveva ancora giungere.
E i sasa-kazari tremavano nelle mani agitate delle bambine, roteavano con spavalderia in quelle delle ragazze, con aria romantica ma anche disincantata, con occhi puntati al cielo, alla ricerca di Vega ed Altair, per quella notte, e quella soltanto, uniti e non più divisi dalla biancastra Via Lattea: ma le luci artificiali erano troppo forti e solo la luna e le stelle dal chiarore più forte spuntavano nel buio di quella notte estiva.
Gli alberi di zelkova, dai tronchi imponenti e nodosi, si aprivano ai lati della Jozenji-dori, racchiudendo il corteo colorato che, lento, marciava verso il parco Nishi, nella parte più tranquilla della città dove scorreva anche l'Hirose-gawa, sulle cui rive si era soliti sedere per osservare il cielo. Tra un albero e l'altro, spuntavano piante fatte di molti sasa-kazari, sorrette da piccoli bastoni di bambù che, sotto quei desideri intensi, ma molto spesso impossibili, parevano sul punto di spezzarsi.
Una giovane madre, vestita di comodi e poco tradizionali jeans e maglietta, teneva per mano un bambino di circa cinque anni che, a malapena, le arrivava alla vita: lui, con aria sognante e assieme attenta, studiava tutto quello che lo circondava finendo spesso per inciampare nei piccoli geta cui non era abituato. Anche lo yukata, blu costellato di piccoli aironi bianchi, non aiutava con la sua eccessiva lunghezza.
Per la terza volta quella sera, la donna si voltò verso il figlio, con una smorfia di disappunto sulle labbra.
"Avremmo dovuto farlo sistemare dalla sarta, sai?".
"Ma, 'kaachan, hai detto che devo crescerci dentro" rispose il bambino tutto serio.
La giovane donna scosse la testa, sospirò.
"E' che era troppo carino per te... e mi piacerebbe rivederti con questo yukata anche l'anno prossimo".
Sembrava sinceramente convinta, anche se aveva finito quasi per discutere con la sarta che non voleva fare uscire suo figlio vestito a quel modo: ma stava così bene, era il suo yukata. E aveva girato così tanti negozi a Sendai per trovarlo che aveva rischiato di rimanere a bocca asciutta. Così, aveva preferito sorvolare sulla taglia.
"Così ci sarà anche 'to-chan?".
"Lo spero. Un secondo anno non glielo perdono, anche se è per il lavoro" il nasino della donna si era arricciato, con aria dispotica. "Per vederti in yukata a Tanabata e a Sendai io farei i salti mortali! Anzi, li ho fatti e ne sono felice!".
Il bambino strinse un poco la mano della madre e sospirò un poco.
"'kachan, ma perchè devo mettere le mollette?".
Domanda più che legittima che fece ridacchiare la donna - e avvampare colpevole dentro.
"Lo sai che altrimenti non riesco a sistemare i tuoi capelli".
Lui la guardò e si toccò la testa, sentendo i pendagli di sakura dondolare contro le tempie: era strano, però, visto che la mamma spesso lo faceva uscire con i capelli che andavano dove volevano... e non ne faceva una tragedia.
Però la borsa che avevano preso - blu come lo yukata con una piccola scena invernale di un panda sotto la neve - gli piaceva ed era tanto grande da poter contenere la sua copia illustrata dell'Heike Monogatari: la faceva dondolare contro il fianco e ne stringeva forte la cordicella, ogni volta che rischiava di rovinare a terra. Se la mamma andava in visibilio per lo yukata, per lui il libro era molto più sacro: era il primo che aveva potuto scegliere da solo, il primo che non apparteneva ad altri che a lui.
Era una grande, grandissima conquista!
"Però domani non devo metterle, vero?".
"Ma no, no... solo per il matsuri!" si affrettò a dire la donna, scacciando pensieri non proprio carini nei confronti del figlio. Affrettò un poco il passo, cercando un modo per distrarre del tutto quel bambino fin troppo curioso e, quando vide una bancarella di dolci sulla sinistra, lo trascinò dietro di sè.
"Guarda, Touma! Vendono uva caramellata!".
Lo sguardo blu del figlio si alzò, calamitato da quello spettacolo di grandi leccalecca che brillavano alla luce delle lanterne, rendendo la silhouette del chicco d'uva al loro interno perfetto.
Il dolce fu subito nella sua mano e sparì nella bocca con un'espressione, a detta di chiunque, estatica.
Chiunque tranne una.
Touma, mano libera in quella della madre, l'altra impegnata tra borsetta e leccalecca, si voltò alla propria destra, sgranando gli occhioni scuri su una figurina vestita di rosso: era una bambina della sua età, dai grandi occhi violetti e capelli del colore delle stelle. Lei lo stava guardando con aria tra l'intimidito e l'inorridito alla vista del leccalecca sparito nella sua bocca.
Con mossa lesta e non priva di una certa imbranataggine, Touma estrasse l'uva caramellata e, con tutta l'innocenza dell'infanzia, la porse alla bimba in rosso.
C'erano lepri bianche e fiori di sakura su quello yukata, la manina della bimba era bianchissima, ma si colorava attorno alla sua borsetta rossa; anche lei aveva delle mollette, ma c'erano dei grappoli di glicine che s'intrecciavano alle sue ciocche bionde.
Su di lei stavano davvero benissimo.
E la bambina continuava a guardarlo, con aria sempre più accigliata, ormai prossima a una strana sorta di disprezzo. Non aiutava di certo quel leccalecca poco elegante piantatole davanti al naso.
"Non lo vuoi?".
Gli occhi violetti si strinsero, poi il nasino si alzò e la bambina tornò a guardare l'uomo al suo fianco.
"Ojiisama, andiamo?".
Aveva una voce leggera, delicata. Ma anche un poco antipatica.
Touma ci rimase un po’ male. Non succedeva tutti giorni che qualcuno gli piacesse così.
Il nonno della bambina, un signore vestito tutto di nero, con un'espressione severa e nobile, la guardò e sorrise con dolcezza, accontentando la richiesta della nipote.
Touma rimase con il leccalecca dimenticato a mezz'aria, lo sguardo incollato a quello yukata rosso, che divenne un puntino indistinto nella folla: sospirò e riportò il dolcetto in bocca, con espressione stizzita. Succhiò con testardaggine, finchè lo strato di zucchero indurito si ruppe ed il succo dell'uva gli invase la bocca, mai troppo piccola per contenere tutto quel dolce.
Si dimenticò subito della bambina e, con aria leggera, si lasciò trascinare da una bancarella all'altra, tra dolciumi, giochi e tante, tantissime luci.

***
Il parco Nishi era gremito di gente, il brusio concitato, continuo, di uomini e donne si mescolava con le risate più alte e irrefrenabili dei giovani; sulla riva ovest, nel luogo più fresco e tranquillo, sedevano persone di una certa età, dall'altra parte prevalevano i ragazzi con le famiglie più giovani accompagnate da bambini. Era lì che Touma e la madre si stavano dirigendo, in attesa di vedere i famosi fuochi artificiali seduti sull'erba, takoyaki bollenti in mano.
"'kaasan, pensi che Date venisse in questo parco?" chiese il bimbo con aria solenne, guardandosi attorno con occhi attenti.
"Masamune? Credo..." la donna alzò gli occhi al cielo, un sorriso pensieroso: come poteva un bambino della sua età interessarsi a cose così... da anziano? Di samurai se ne sentiva parlare un gran poco, se non in qualche vecchio film di Kurosawa; oggigiorno i bambini erano più interessati ai robottoni che ai condottieri di un tempo. "In fondo questa era la sua città, poteva andare dovunque".
"Um...".
Touma era un bambino speciale, vedeva, sentiva, imparava cose che lei stessa ignorava. A volte si chiedeva come avessero potuto due sconclusionati come lei e il marito dare vita a un piccolo miracolo simile.
"Di sicuro, da piccolo avrà festeggiato Tanabata da questo fiume...".
"Credi?".
"Tutti i bambini lo fanno, anche quelli che diventano samurai".
Quella risposta sembrò soddisfare Touma che tornò in silenzio a studiare i dintorni: gli alberi di zelkova qui erano più radi, c'era spazio per vedere cielo e stelle e se ne vedevano molte di più rispetto a Osaka. Sendai era grande, ma non così luminosa. Erano fortunati a poter vedere così tanto cielo.
All'improvviso, davanti a lui sfrecciò un bambino, un piccolo aquilone in mano, un urlo battagliero in gola: Touma lo seguì con lo sguardo, stupito da una manifestazione così improvvisa e sfacciata - lì al nord i bambini non gridavano quasi mai in pubblico.
Fu così che, nel marasma di colori, i suoi occhi colsero nuovamente quel rosso brillante e la testa biondissima della bambina: era al limite del boschetto, seduta a terra, con la schiena stretta contro il tronco di un albero. Il capo era chino sulle ginocchia ed era ferma, rigida, raggomitolata su se stessa.
Touma non si accorse di staccare la mano da quella della madre, almeno finchè non sentì la sua voce risuonargli alle spalle.
"Touma, non allontanarti!".
Si girò, quel tanto che bastava a far giungere alla madre la propria voce.
"Vado a quell'albero!".
Sapeva che la sua okaasan si fidava di lui. E lui sapeva che, anche in quel marasma, lei sarebbe riuscita a trovarlo. Ma non aveva intenzione di perdersi, comunque.
A passi piccoli e incerti, il bambino si avvicinò all'albero, rischiando qualche volta di cadere sui propri geta: la figura della bambina si faceva più chiara, così come i tremolii che la stavano scuotendo, incessantemente. Con un ultimo slancio in avanti, Touma ricadde in ginocchio davanti a lei e, con la medesima naturalezza con cui le aveva offerto il dolce, l'apostrofò.
"Ti sei persa?".
Con un sobbalzo, il viso costipato e terrorizzato della bimba si alzò a guardarlo e, appena la bocca tentò di aprirsi per rispondergli, una violenta tosse la scosse completamente: andò avanti per un lungo, lunghissimo istante, durante il quale Touma trattenne il respiro, agitato e nervoso. Era malata?
"S-stai bene?" balbettò allungando il viso verso di lei. "Tuo... tuo nonno... non c'è?".
Per sicurezza il bambino si guardò attorno, con occhi attenti e seri... peccato non ricordasse molto di quell'uomo, se non le ampie spalle e lo yukata scuro come la notte senza stelle.
"Non so... dov'è...".
La voce della bambina era più esile di quanto ricordasse: pareva che la tosse le avesse tolto molte delle forze. Il viso pallido, gli occhi particolarmente lucidi... sembrava in tutto e per tutto in preda alla febbre.
"Sarà qui vicino...".
Touma si sentiva titubante: non sapeva se muoversi da lì, alla ricerca dell'uomo, o rimanere fermi sotto quell'albero, senza nemmeno chiedere aiuto.
Gli occhi allarmati e persi della bimba parevano essersi dimenticati del loro primo incontro-scontro e sembravano riporre in quel bimbo dallo strano accento un po’ di quella speranza che le era rimasta.
"Vado a chiamare 'kaasan... lei saprà cosa fare!".
Touma si voltò di scatto per caracollare verso la madre e la riva del fiume, ma la manina fredda e bagnata della bimba si attaccò alla manica del suo yukata, bloccandolo sul posto con una forza inaspettata.
"Non andare via!".
Quegli occhi erano troppo disperati per abbandonarli e lo guardavano davvero come se lui fosse l'unico al mondo che potesse salvarla: forse Touma non era mai stato abituato a trattare coi suoi coetanei, ma non immaginava quanto potesse essere semplice con quella bambina.
Si sedette sulle ginocchia, borsetta in una mano, l'altra, incerta, sfiorava lo yukata rosso della bambina: si sentiva sulle spine, strano. Ma avrebbe aspettato, anche tutta la notte se fosse stato necessario.
"Vedrai, tuo nonno ti troverà subito!".
Lo sguardo della bambina, anche se offuscato dalla malattia, si posò su di lui con sicurezza osservandolo in silenzio; si ritrovò a pensare che la bambina del leccalecca era davvero particolare, vestita come un maschietto... ma con quella borsa e le mollette di sakura si capiva perfettamente che era una bambina! Forse erano simili, forse... anche la sua famiglia la vestiva così...
"Sì...".
Nel dire quella parolina, un sorriso sfuggì alla bambina e Touma, rapito dal momento di totale armonia con l'intero universo, arricciò il naso, abbassò lo sguardo ed arrossì per la prima volta in vita sua: c'era qualcosa che non andava nel suo viso... non riusciva nemmeno a rialzarlo... e la bocca? Perchè non parlava?

« Sasa no ha sara-sara
nokiba ni yureru
Ohoshi-sama kira-kira
kingin sunago
Goshiki no tanzaku
watashi ga kaita
Ohoshi-sama kira-kira
sora kara miteiru.»     

« Le foglie di bambù frusciano
vicino le gronde ondeggiando
Le stelle luccicano
granelli d'oro e argento
Le strisce di carta dai cinque colori
ho già scritto
Le stelle luccicano
e ci guardano dal cielo.»
(Canzone popolare giapponese.)


All'improvviso, tra il brusio delle voci e del gridare dei commercianti, si innalzò una vecchia canzone dalla sponda del fiume dove le persone più anziane si erano raggruppate: le voci erano melodiche, dolci, aggraziate. Parevano morbide come l'acqua che scivolava davanti a loro; i loro occhi, invisibili da lungi, erano sicuramente pieni di luce e ricordi.
"E' la canzone... di Tanabata...".
Il sussurro della bambina riportò l'attenzione di Touma su di lei e, per un lungo attimo, i due sconosciuti si guardarono negli occhi con curiosità ed una strana sorta di presentimento.
"S-senti..." balbettò Touma nervosamente, mentre la mano abbandonava borsetta e libro per allungarsi verso la mano che ancora non l'aveva toccato. La bocca rimase semi aperta, le parole se ne erano andate di nuovo. E, di nuovo, richiuse la bocca sentendosi un grandissimo stupido.
"La gazza si è spostata..." sussurrò lei, prima di essere ancora scossa dalla tosse. La mano di Touma si mosse spontaneamente e andò ad afferrare quella di lei, nel goffo tentativo di calmarla; quando la fitta di tosse si calmò, la bambina ingollò qualche lacrima e sospirò con un po’ di fatica. Ma continuò a parlare. "Ora... loro si possono vedere...".
Touma chinò il capo, confuso, poi un lampo gli illuminò gli occhi.
"Ah, Alfa Aquilae e Alfa Lyrae!".
Che bambina proprio strana, si ritrovò a pensare l'altra. Alle bambine queste cose piacciono... Yayoi-neesan me ne parla sempre... lei non sembra nemmeno... e poi... cosa sono... le alfa...?
"E' il movimento delle stelle. E' per quello che la costellazione della gru si è spostata... succede ogni anno".
Touma, bambino prodigio dalla prodigiosa capacità di... razionalizzare un momento romantico.
"Beh... ma... la leggenda...".
Davvero, la bambina dello yukata rosso cominciava a pensare che l'iniziale giudizio della sua coetanea fosse piuttosto... azzeccato.
Strana. Stranissima.
"Orihime, figlia di Tentei, faceva prendere aria ai suoi bellissimi vestiti sulla riva dell'Amanogawa. Suo padre amava quei vestiti e desiderava che fossero trattati così, ogni giorno. Ma Orihime era triste e temeva che così facendo non avrebbe mai trovato il vero amore; così il padre, preoccupato per lei, gli fece incontrare Hikoboshi che viveva e lavorava sull'altra sponda del fiume Amanogawa..." la voce un po’ sognante, un po’ seria, lo sguardo perso nel cielo, Touma raccontava la favola che aveva imparato a memoria ancora prima di iniziare a camminare. La bambina di fianco a lui, con sguardo aperto, rapito, pareva aver dimenticato del tutto la propria malattia. "Quando i due si incontrarono, si innamorarono a prima vista l'uno dell'altro e si sposarono. Però, una volta sposati, Orihime non si occupò più degli abiti del padre e Hikoboshi lasciò che le proprie mucche si disperdessero per la volta celeste. Arrabbiato, Tentei separò i due amanti mettendoli sulle due rive opposte del fiume e gli proibì di incontrarsi". Touma abbassò lo sguardo meditabondo sulla bambina, i suoi occhi colsero le luci delle lanterne, mosse da una folata improvvisa, illuminandosi per un attimo davanti alla coetanea.
Occhi chiari, occhi di vento... pensò la bambina, rapita. Strani, affascinanti.
E, intanto, il racconto continuava.
"Orihime si disperò e chiese al padre, in lacrime, di poter rivedere il suo amato Hikoboshi. Tentei, mosso dalla sua preghiera, permise loro di incontrarsi, una volta all'anno, il settimo giorno del settimo mese, ma solo se avessero continuato i loro doveri in cielo. La prima volta che si incontrarono, però, si accorsero che non potevano attraversare il fiume perchè non c'era il ponte. Orihime pianse così tanto che uno stormo di gazze giunse da lei e le promise di costruire un ponte con le loro ali così che lei potesse attraversare il fiume...".
La voce di Touma si spense, tornò a guardare il cielo, mentre un sorriso innocente e sincero si disegnava sulle sue labbra.
"Fortuna che non piove oggi... altrimenti le gazze non sarebbero arrivate...".
La bambina seguì il suo sguardo e, tra le fronde degli alberi e le luci calde delle lanterne, riuscì a scoprire un angolo di cielo stellato, privo di nuvole.
"E' vero...".
Si era dimenticata del cielo...
"Sei qui! Non ti trovavamo più!".
E, all'improvviso, l'incantesimo si spezzò: era entrata in scena una terza persona.
"Neesan!".
La bambina dallo yukata rosso si alzò, barcollando un poco, ma si ritrovò tra le braccia della sorella più grande prima ancora di poter crollare a terra.
"Il nonno è preoccupato! Non sapevamo più dove cercarti... non dovevi allontanarti!".
Severa, preoccupata, stizzita.
Touma storse il naso a quella presenza così... sgradita.
"Non stava bene! E si è persa! Ed è più piccola di te!" si ritrovò a sbottare senza nemmeno rendersi conto.
Lo sguardo della neesan lo trapassò, poi il nasino della ragazzina si alzò, spavaldo.
"Beh, ora starà bene!".
Il naso di Touma stava facendo capriole per esprimere tutta l'indisponenza che provava: era sul punto di aggiungere ancora qualcosa quando, tra i due, si interpose la bambina più piccola.
Con un sorriso gentile, gli occhi liquidi e caldi, allungò la sua manina su quella del bambino e vi lasciò qualcosa prima di dire solo un 'grazie'.
Touma ingollò e fece ricadere lo sguardo a terra, perdendosi del tutto l'ultimo cenno di saluto della sua compagna senza nome
Sospirò molte volte, ma rialzò lo sguardo sulla propria mano solo quando la voce della madre lo richiamò.
"Touma, Touma! Vieni che cominciano i fuochi d'artificio!".
"V-Vengo subito!".
La voce roca, troppo alta per l'emozione si spezzò nel momento in cui la mano stretta a pugno si riaprì: era una piccola gru di metallo, di un delicato verde che ricordava la prima erba a primavera. Un regalo di ringraziamento o... un ricordo?
"Touma, fa presto!".
Il bambino scosse la testa, strinse al cuore la piccola gru e recuperò la borsetta: col cuore ancora in gola caracollò giù per la collinetta, ritrovandosi tra le braccia della madre senza nemmeno accorgersi.
"Appena in tempo!". La giovane donna si sedette, facendo accoccolare il bambino sulle proprie gambe, mentre poggiava con un sospiro il mento sul capo del figlio. "E' un cielo bellissimo, non credi, Tou-chan?".
Il metallo attorno alla mano era ancora fresco, come lo era stata la sua manina. Touma sorrise.
"Orihime sarà felice...".

***
13 ANNI DOPO (PIU' O MENO)

"Toumaaaaaaaaaa... un tuo cartone è ancora in mezzo al corridoio!".
I traslochi. Ah, i traslochi erano gioia ed erano dolore.
Touma, difatti, li amava e li odiava.
Perchè amava i bei cambiamenti, quelli che permettevano di ripensare gli spazi ad esempio. O solo la propria vita.
Ma odiava la transizione tra il non-cambiamento e il cambiato. Troppo pensare e troppo, decisamente troppo, fare.
"Shin, con calma... io arrivo!".
Touma era calmo e flemmatico, soprattutto quando c'erano circa dieci cartoni di soli libri da liberare. Ah, beata letteratura!
"Con calma un corno! E' la terza volta che ti chiamo!".
Shin, dolce essere dispotico.
Seiji, impegnato col riordino della sua parte di armadio, lo guardò da sopra l'anta.
"Lo sai che poi viene a prenderti, vero?".
Touma, perso su uno scatolone di oggetti, non volse nemmeno lo sguardo, tanto la curiosità l'aveva catturato.
"Se lo fa, io poi scendo più velocemente...".
"O rotoli".
"Non fare il drammatico".
"Pigrone".
"Sono un panda!".
"Non tirar fuori quel povero animale ogni volta...".
"Ma se hai cominciato tu!".
"Veramente ha cominciato Shin...".
Una mano per terra, l'altra sul letto, Touma si alzò con un sospiro esasperato.
"Ok, ok... ho capito".
E, uscito dalla camera, raggiunse finalmente il luogo da dove Shin stava impartendo le direzioni: aveva addosso il suo grembiule preferito e, mani sui fianchi, stava bisticciando con Shu per una qualche storia di indumenti intimi. Touma non si degnò nemmeno di ascoltare, sapeva dove andavano a finire quei discorsi... erano la solita coppietta di vecchietti bisbetici, ecco cosa!
Sollevò il cartone più vicino tra le braccia, sbirciò il battibecco e alzò gli occhi al cielo, con l'aria di chi la sapeva lunga. Ed effettivamente...
Quando rientrò in camera, si chiuse sistematicamente la porta dietro le spalle, prima di poggiare il cartone, l'ultimo, su una pila di tre che sovrastava già sull'intera camera.
"Spero che questa casa non crolli sotto il peso delle tue letture..." borbottò Seiji chiudendo le ante dell'armadio. "Visto che ne prenderai altri...".
Touma si sedette al posto precedente, infilando il naso dentro il cartone già aperto, colmo solo di oggetti.
"Magari crolla sotto il peso delle pentole di Shu...".
Ecco i cd, i fermalibri, la videocassetta di 'Ritorno al Futuro'... e la scatola delle gioie.
Non che fosse davvero una scatola delle gioie. Intendiamoci. Così l'aveva chiamata sua madre, anni e anni fa.
Le gioie non le aveva di certo scelte lui, ma quella matta di sua madre quell'anno che...
Touma si ritrovò a sospirare.
"Già..." mormorò tra sè e sè.
Seiji, già seduto sul letto (visto che i suoi bagagli erano sistemati), alzò un sopracciglio a quella singola parola.
"Già cosa?".
Touma scosse la testa, negando ogni cosa.
"Niente, niente. Stavo solo pensando".
E ricordando.
Seiji alzò le spalle, un sorrisetto interessato.
"Rendimi partecipe...".
"Delle pazzie di mia madre? Neanche per sogno!".
"Pazzie? Tua madre non mi sembrava così... pazza".
A quel punto, Touma voltò lo sguardo alle spalle, verso il compagno.
"Oh, quell'estate lo è stata. In modi che nemmeno immagineresti...".
Sembrava pensieroso e alquanto accigliato. Seiji si sentì ancora più incuriosito.
"Ossia? Racconta....".
Lo sguardo blu di Touma si fece un attimo diffidente, l'ombra dell'imbarazzo passò veloce per lasciar posto all'esasperato.
"A Tanabata mia madre mi portò a Sendai..." cominciò a borbottare Touma, poggiando il capo sul materasso rivestito di bianco. "E' stata la prima volta che ci sono andato... la seconda è stata con te...".
Seiji annuì, viso tra le mani, occhi intenti sul ragazzo.
"Beh, io ero piccolo... ed ingenuo..." una smorfia e Seiji non potè non ridacchiare. "Davvero! Guarda che a cinque anni si è ingenui! Soprattutto coi propri genitori!".
Seiji si trattenne, si morse le labbra e tossicchiò. Touma tornò a parlare.
"Visto che eravamo arrivati tardi ed io non avevo uno yukata, mia madre me ne comprò uno di tre taglie più grandi perchè, a suo dire, mi stava troppo bene e mi voleva rivedere per qualche anno ancora con quell'abito!" Touma faceva un po’ il verso a sua madre, ma era tenero nel farlo, anche se il naso era sempre arricciato in un atteggiamento timido e scombussolato. "Continuavo a inciampare sui miei geta. E lei che nemmeno aveva lo yukata!".
Non c'era da stupirsi. Seiji aveva capito la prima volta che l'aveva vista che tipo originale fosse quella donna.
"E, non contenta, mi comprò addirittura delle mollette! E una borsa!".
Touma sorvolò sulla borsa col panda che si trovava nel cartone lì accanto e su quanto l'avesse adorata ... e ancora non riuscisse a staccarsi da lei.
"Eri una vista interessante...".
Era divertente per Seiji prenderlo in giro così; e poterlo sentire parlare di quando era piccolo con tutta quella leggerezza lo rasserenava. C'era stato un suo pezzo d'infanzia felice, allora. Felice e non da solo.
"Interessante è un eufemismo... quei pendaglietti di sakura erano davvero troppo!".
All'improvviso, qualcosa nella memoria di Seiji si smosse, ma niente gli fu subito chiaro.
"E... poi? Che avete fatto?".
Touma si tranquillizzò un poco e cominciò ad enumerare tutti i dolci mangiati, i giochi visti, le lanterne, gli alberi... ah, Seiji li conosceva bene.
"Poi c'è stata la bambina...". Gli occhi dello spadaccino si fecero più interessati, tutto il corpo di Touma si mosse nervosamente. "Ma quello non c'entra con mia madre...".
"Racconta".
No, Seiji non era geloso. Ci mancherebbe. Era solo curioso.
"Ma no, ti... stavo parlando di m-mia madre...".
"Touma, racconta".
Sì, Touma non sapeva raccontare bugie. A Seiji meno che a nessuno.
Il viso di Touma scivolò dal materasso, finì per avere la schiena contro il letto e il capo chino sulle proprie mani: come l'avrebbe presa Seiji?
"C'era questa bambina... che avevo visto prima e poi... beh, non era stata tanto carina... insomma..." una mano andò ai capelli e si mosse nervosa e concitata. "Poi non l'avevo vista per un po’... fino a poco prima dei fuochi d'artificio...".
Nella memoria di Seiji quel qualcosa si smosse di più e, occhi un poco dilatati, ingollò.
"Vai avanti...".
E Touma non si fece pregare.
"Era da sola... e non sembrava stare bene... insomma... sono andato da lei..." le sue mani andarono sul pavimento ad artigliare il vuoto. "Si era persa... e piangeva e... beh... allora sai... volevo chiamare qualcuno, ma lei non voleva lasciarmi andare... e allora sono stato con lei e... beh...".
"Le hai raccontato di Orihime e Hikoboshi... e hai detto che... eravamo fortunati... perchè quel giorno... non aveva piovuto...".
Dal letto si levò un grido soffocato e la testa di Touma rispuntò all'improvviso nella visuale di Seiji: il viso aveva un'indescrivibile espressione, sorpresa, emozione, spavento, incredulità. Tutti assieme. E la sua bocca era secca e muta.
Seiji, ancora in piedi, poggiò le mani sul letto e, con un movimento fluido e veloce, scivolò prono sul materasso: i loro volti si ritrovarono vicini, tanto che le espressioni erano quasi specchio l'una dell'altra.
"Avevi uno yukata... blu... con aironi bianchi... le mollette con fiori di sakura... sembravi minuscolo in tutta quella stoffa...".
Touma ingollò, riuscì a perdere quella secchezza e la sua lingua ritrovò vita.
"Eri... tu?".
Seiji sorrise, un po’ monello. Ma intenerito. Decisamente innamorato.
"E io che ti credevo una buffa bambina...".
Il viso di Touma prese talmente tanti colori che Seiji temette per un attimo che svenisse lì, sul colpo.
"Io lo credevo di te! Tu... tu eri... eri... con uno yukata rosso... lo potevi vedere così bene... anche da lontano e..." gli occhi di Touma si riabbassarono, una mano passò sulle sue guance veloce. "Grappoli di glicine nei capelli... i tuoi capelli... colore delle... stelle...".
Si fermò e, stavolta, le mani coprirono tutto il viso.
"Cavolo..." sussurrò con voce rotta. "T-tu... i-il mio... p-primo...".
Di nuovo l'arciere scosse la testa: avrebbe voluto nasconderla sotto terra.
"Anche tu..." la voce di Seiji gli accarezzò il collo, rabbrividì e si sentì ancora più un idiota.
Poi, all'improvviso, cogliendo impreparato Seiji e anche se stesso, si mosse come un fulmine sul cartone aperto, ne estrasse la scatola delle gioie, l'aprì, riversandone il contenuto sul pavimento: lo trovò subito e, prendendolo tra le dita, si volse verso il compagno, porgendoglielo con un impeto che poco aveva a che fare con quello che gli si celava nel cuore.
"T-tieni...".
Seiji allungò la mano e quando l'oggetto, la piccola gru di metallo verde, ricadde sul suo palmo qualcosa gli si strinse nel cuore.
"L'hai tenuto...".
"E' ovvio che l'ho tenuto".
Un borbottio stizzito, quello che nascondeva sempre l'imbarazzo più totale di Touma.
"Non credevo di rivederlo...".
"Io non credevo di rivedere te... lei... oh, insomma, te!".
No, la sua mente non era chiara. Era tutto troppo confuso e improvviso.
Aveva gli occhi chiusi, così non potè vedere nè lo sguardo birichino di Seiji, nè le sue mani che andarono ad impossessarsi del suo viso... confuso.
Sempre ad occhi chiusi sentì le labbra di Seji, ne percepì il calore su di sè e, solo allora, ebbe il coraggio di riaprirli: erano talmente vicini che di lui vedeva solo il suo sguardo, le iridi profonde e violette, le ciglia morbide, bianchissime.
"Non ti ho mai ringraziato... bambina strana...".
Touma sussultò, arricciando appena il naso a quel soprannome.
"N-non ce n'era b-bisogno...".
Seiji sorrise, sapeva che gli avrebbe risposto quello.
Spinse un poco la fronte contro la sua, sfiorò il naso con il proprio e la magia era fatta. Touma era tutto suo.
Stretti in un abbraccio, si crogiolarono quel pomeriggio sul letto.
Fuori dalla porta, suoni di bisticci e risate, echi di una nuova vita.
  
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