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Autore: Ily Briarroot    27/06/2013    3 recensioni
[E tutto quello che potevo darti era solo il mio cuore, e un bacio
E le lacrime che ho pianto sulla tua spalla.]
A volte, decidere di cambiare completamente la propria vita non è la scelta più facile.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ash, Misty, Nuovo personaggio | Coppie: Ash/Misty
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
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Goodbye my love, Goodbye

And all that I could give you was just my heart, and a kiss
And the tears that I cried on your shoulder
[E tutto quello che potevo darti era solo il mio cuore, e un bacio
E le lacrime che ho pianto sulla tua spalla]



Non avevo mai capito cosa significasse davvero la mancanza di una persona, prima.
Certo, c'era quella di mia madre, ma non avevo mai avuto il tempo di realizzare l'affetto che provavo per lei o di sperimentare il bisogno di averla al mio fianco. Ricordo a malapena il suono della sua voce: quando è successo ero talmente piccola da non ricordare. Sono state le mie sorelle maggiori a soffrirne di più e, lo so, è una ferita che non si è mai rimarginata del tutto. In qualche modo, sono cresciuta con loro e non saprei dire con certezza cosa sarebbe cambiato, se con noi ci fosse stata ancora quella che io ricordo come una donna dolce dai lunghi capelli rossi.
Ma ora l'ho imparato. Adesso so cosa ha sofferto la mia famiglia, so cosa si prova quando la mancanza ti logora dentro, ti distrugge. Quando, appena esci, vedi una qualche somiglianza fisica con altre persone. Quando la nostalgia è così forte da non permetterti di respirare e allora pensi “tra poco tornerà” anche se è una bugia, ma lo pensi lo stesso per stare meglio in quel momento e lo sai. Era bello. Era tutto così dannatamente bello che vivere era diventato superficiale. Persino respirare era difficoltoso.
Lui lo sapeva. Si era accorto da quanto tenessi a lui, forse, ma era andato via lo stesso. E io avevo smesso di chiedere da quando mi ero accorta di implorare. Io, che nella mia vita sono sempre stata forte, mi ritrovavo a implorargli di restare con me. Mi ero sentita egoista a tal punto da intimare a me stessa di smetterla e di pensare a me e a me soltanto. Dal momento in cui il ragazzo che amavo partiva per vivere la sua vita, la mia era finita. O meglio, era lì, da qualche parte con lui. Non era giusto. Dentro di me sentivo che non era giusto, ma non potevo fare niente. Non potevo abbassarmi ulteriormente e fare la figura della stupida. Ash lo sapeva. Aveva visto, mi aveva ascoltato, era riuscito a confortarmi. Avevo pianto sulla sua spalla, impotente, quando ormai aveva già deciso.
«Non fare così, Misty... mi rendi le cose più difficili. Ci rivediamo presto.».
Da quel giorno, passarono anni. Anni in cui, poche volte, trasmettevano una sua intervista in televisione. Era l'unico modo per sapere se stesse bene. Non mi aveva mai chiamata, mai una lettera e mai una notizia. Credevo mi avesse dimenticata in un secondo, un soffio. Così come la nostra amicizia e i miei sentimenti per lui. Per la prima volta nella vita, mi sentivo abbandonata dalla persona alla quale tenevo di più al mondo.

Lo chignon mi faceva apparire forse con qualche anno di più rispetto la mia età; raccolsi bene ogni ciuffo di capelli che mi cadeva sulle spalle e lo fissai dietro le orecchie.
Sistemai la giacca, togliendo qualche cenno di polvere dal tessuto grigio, e mi guardai allo specchio. L'immagine da donna in carriera non mi rappresentava per nulla. Mi cambiai in un secondo, infilando la gonna nera fin sopra le ginocchia e feci una smorfia quando sentii il nylon fastidioso delle calze sfregare sulle gambe nude. Ero quasi a metà dell'opera.
Estrassi dalla scatola le scarpe nere, evitando di pensare al tacco che probabilmente non avrei saputo portare. Quando fui pronta, e traballante sulle scarpe lucide, sospirai e uscii dalla porta.
Mi avvicinai alla Sala Riunioni e scorsi gli uomini raggruppati attorno al tavolo ovale. Rimasi ferma finché non mi scorsero tra la marea di gente vestita in modo simile.
«Lei deve essere la signorina... ?». Uno di loro aveva allungato la mano gentilmente, in attesa che gliela stringessi.
«Misty Williams.». Ricambiai la stretta e, soltanto in quel momento, notai il suo sguardo sin troppo diretto alla mia scollatura evidenziata appena.
«Allora è lei l'ideatrice del progetto. I miei complimenti. Sono certo farà un'ottima impressione.». Sorrisi, allontanandomi di qualche passo sulle gambe incerte.
«Grazie. Mi scusi... ». Dopo un cenno di approvazione dell'uomo, tornai in fretta verso la porta in cerca di un viso familiare. Non ebbi fatto in tempo a notare nessuno, però, perché iniziò la riunione e dovetti sedermi poco dopo.

«Cosa dovrebbe spingerci a firmare il contratto?» chiese interessato l'uomo tarchiato e calvo in piedi, scrutando discretamente tutti i presenti.
«Il fatto che l'ideatrice ed esperta del progetto sa fare il suo mestiere, oltre a essere la proprietaria di una delle palestre in questione.» disse Joe, sorridendo. Sembrava essere riuscito nell'intento di attirare per se' l'attenzione del capo.
«La signorina è capopalestra?» chiese quest'ultimo, rivolgendo poi lo sguardo su di me. Vidi con la coda nell'occhio il sorriso convinto di Joe che mi lanciò un'occhiata di conforto.
«Sì... lo sono stata. E lo sono ancora quando non sono impegnata con la Gestione dell'Amministrazione.» Cercai di utilizzare un tono deciso, ma mi sentivo agitata. Sapevo che il progetto su cui avevo lavorato per tanto tempo non sarebbe mai andato in porto. Era troppo bello per essere vero.
«Mi tolga una curiosità, signorina Williams... ». Guardai l'avvocato del signor Burkins, mantenendo la calma e respirando a fondo « ... chi gestisce la palestra in sua assenza?» .
Joe si alzò di scatto, osservandolo accigliato.
«Credo sia un fatto privato. La signorina Williams può gestire la sua palestra come vuole.» Tutti i presenti videro l'espressione torva di Burkins e Joe si affrettò ad aggiungere «Mi scusi, signore.»
Si risedette, ma lo sguardo dell'avvocato continuava ad essere puntato su di me.
«La palestra viene gestita dalle mie sorelle. Sono proprietarie anche loro.» risposi nel tentativo di calmare le acque, e lanciai un'occhiataccia a Joe.
«Immagino che questo progetto richieda molto del suo tempo.» proseguì poi, beffardo.
«Certo. Mi sono assicurata che fosse tutto in ordine per poter procedere.»
«Allora non penso trovi mai il tempo per la sua palestra se la nave dovesse andare in porto. E questo andrebbe contro il nostro regolamento. La cosa più importante non è forse quella di gestire nel miglior modo possibile le palestre di tutta la regione, assicurandosi che tutti i capipalestra compino il loro dovere?.»
Io non seppi cosa rispondere, ma Joe si alzò di nuovo.
«La signorina le ha già spiegato che non è l'unica proprietaria e che la palestra non rimarrebbe... abbandonata... se così si può dire. Signor Burkins, trovo che per il lavoro e l'impegno impiegati per questo progetto... possa dare un'occasione a Misty Williams. Se lo merita.».
Il ragazzo fece un mezzo inchino e si sedette. Rimasi a guardarlo con il cuore in mano.
Burkins fece un colpo di tosse e scrutò uno per uno tutti i presenti nel giro di qualche minuto.
«D'accordo... allora... non credo di poter fare altrimenti. Accettiamo il contratto.».
Sentii il mio cuore perdere qualche colpo e la gioia espandersi dentro di me. Joe si mise a ridere e io non potei fare altrimenti. Soltanto in quel momento mi accorsi delle congratulazioni da parte di tutti gli altri e dovetti stringere la mano a così tante persone che ne persi il conto.

Corsi, per quanto quelle dannate scarpe me lo permettevano, al piano di sopra e raggiunsi Joe, felice e con il sorriso smagliante che lasciava intravedere i denti perfetti. Mi aspettava in un'aula vuota accanto alle scale e, appena mi vide, allungò le braccia verso di me.
«Grazie, grazie, grazie!» esclamai, buttandomi su di lui.
«Ehi, piano... non ho fatto niente!». Continuò a ridere e mi fece sollevare da terra un secondo, per poi rimettermi giù delicatamente.
«Invece sì... senza di te non avrei saputo cosa dire. Mi stava sommergendo di domande, ero praticamente convinta finisse male... ».
«Ma non è successo. Sei stata brava, signorina Williams.».
Sorrisi e mi baciò piano, sulle labbra, abbracciandomi per qualche istante. Dopodiché mi sollevò di nuovo, stringendomi a se'.
«Sei davvero niente male, vestita da donna in carriera.» disse, osservandomi.
«Non credo, non mi sento esattamente a mio agio... » sbuffai, notando la sua espressione concentrata.
Mi fece toccare nuovamente terra con i piedi e tolse l'elastico che fissava lo chignon, facendomi scivolare i capelli sulla schiena.
«Ecco, ora ti riconosco di più. E' un peccato tenere legati questi bei capelli rossi, ma sei bellissima ugualmente.»
Mi baciò ancora, e io feci lo stesso. Era incredibile quanto Joe riuscisse a farmi stare bene. Ridacchiai, ripensando a qualche minuto prima, quando mi aveva difesa.
«Sai, per un momento ho creduto di essere in un'aula di tribunale.» ridacchiai.
«Sai, per un momento l'ho pensato anch'io. E' bello farti da avvocato, Misty Williams.».
Mi accarezzò i capelli, concentrandosi nei miei occhi.
«E' stato bello essere difesa da te.»
«E' stato bello difenderti. E lo farò sempre... farò sempre tutto ciò che è in mio potere. Almeno finché tu mi vorrai.» aggiunse, fingendo il broncio. Niente e nessuno avrebbe potuto rovinare quel momento.
«Certo che ti vorrò. Però adesso... avrei un po' di fame.» dissi con un leggero imbarazzo, fissando a terra.
«Di nuovo fragole con panna?» ironizzò lui, facendomi alzare il viso con la mano.
«Uhm... no. Direi... cucina francese.».
Joe mi scrutò lì per lì stupito, dopodiché s'inginocchiò sul pavimento freddo e mi appoggiò una mano sul ventre.
«E tu cosa ne dici, piccolo? Cucina francese?.».
Scoppiai a ridere e feci forza per tirarlo su, scuotendo il capo.
« Dai, andiamo. Almeno prima che qualcuno ci scopra.» mi allontanai, afferrandogli il polso.
«Meglio così. Tutti devono sapere che aspetto un figlio dalla ragazza più bella e affascinante del mondo.»
Mi voltai verso di lui e, nei suoi occhi, vidi tutta la verità delle sue parole.


«Prego. Si accomodi, signorina Williams.».
Joe fece l'occhiolino e scostò la sedia dal tavolo, facendomi cenno di accomodarmi. Solo in quel momento pensai di essere stata davvero fortunata.
Lo vidi occupare il posto davanti a me e allungò la mano calda e morbida sulla mia più piccola e fredda. Mi piacevano le sue mani, grandi ma fini e affusolate. Lanciai un'occhiata veloce al resto delle persone intorno a noi nel ristorante per essere sicura di non fare qualche incontro poco desiderato.
«Misty.».
Lo guardai di scatto, risvegliandomi solo in quel momento.
«Rilassati. Qui siamo soltanto io e te.».
Mi venne da ridere: era palese ciò che avevo in mente.
«Certo. Sarei più tranquilla se avessimo scelto un ristorante un po' più distante dalla Sala Riunioni.»
«Ma questo è il migliore per festeggiare. Ora sei ufficialmente una donna importante.».
Joe mi versò da bere e io arrossii imbarazzata.
«Non esagerare, ho solo venticinque anni... ».
«Appunto per questo. Quando eri solo una ragazzina presa a disputare incontri di pokèmon in palestra avresti mai pensato di arrivare a questo punto? Ora sei molto di più. Sei ciò che volevi.».
Alzai lo sguardo e notai il suo sorriso affettuoso. Non ci avevo mai pensato. Una volta, a dire la verità, non avrei mai voluto stare in una palestra per il resto della mia vita. Non avrei voluto fare la capopalestra: ero stata costretta e, una volta tornata a Cerulean, avevo accettato semplicemente di prendere le mie responsabilità negando a me stessa che mi sentivo rinchiusa in una gabbia. Volevo andare più in là e ce l'avevo fatta.
«Soltanto grazie a te.».
«Non è vero, Misty. Lo sai.».
Restammo a fissarci negli occhi per istanti interminabili, dopodiché Joe iniziò ad accarezzarmi il dorso della mano con le dita.
«Sei felice con me?» mi chiese all'improvviso, e pensai stesse scherzando se non fosse per la sua espressione seria.
«Certo che lo sono» ammisi con sincerità, stupita. Joe sorrise.
«Mi fa piacere. E' con te che voglio passare il resto della mia vita... » leggevo la verità nel suo sguardo, nei suoi occhi « ... e con lui.».
Scoppiai a ridere, ma quella frase migliorò il resto della mia giornata già perfetta.


«Che ne dici di venire a letto?».
Sentii la voce di Joe proveniente dalla camera da letto, e quando mi affacciai dalla porta del bagno per rispondergli, lo vidi già sotto le coperte celesti.
«Un minuto e arrivo!» urlai nel tentativo di farmi sentire da lui.
«Certo, come sempre» ridacchiò ironico e alzai un sopracciglio capendo al volo l'allusione. M'infilai la camicia da notte bianca e mi diressi verso la camera, accigliata.
«Cosa vorresti insinuare?!»
«Niente» scoppiò a ridere “Ma visto che di solito sei lenta... ahia!».
Avevo afferrato il cuscino e glielo avevo scaraventato addosso, nervosa.
«Prova a ripeterlo!» esclamai, lanciandogliene un altro. Joe mi guardò prima stupito e poi divertito, mentre cercava di pararsi dai colpi con le braccia.
«Dai, scherz... ahi! Scherzavo, Misty... smettila.».
Non lo ascoltai e continuai la mia lotta con i cuscini, finché lui non mi prese per la vita e mi gettò su di se', in modo che io non potessi più muovermi.
«Lasciami! Non ho finito!»
« Invece sì! Non dicevo sul serio. Stressarti in questo modo non fa bene al bambino.»
«Che ne sai tu?» dissi, cercando di liberarmi. Era tutto inutile: Joe non mi lasciava andare. Ma non rispose alle mie provocazioni.
Cominciò a farmi il solletico sui fianchi, sicuro del fatto che così facendo mi avrebbe avuto in pugno.
«Così siamo pari!» esclamò e mi libero dalla sua presa pian piano. Non feci più nulla, il nervoso del momento era scomparso. Mi sentii improvvisamente stupida.
«Come ti senti?» mi chiese, aiutandomi a sistemare le coperte.
«Bene... solo un po' confusa» dissi, stupita di me stessa. Ero sempre stata permalosa e irascibile, ma non fino a questo punto, ne ero consapevole.
«Mai provocare una donna incinta... non lo farò più» mormorò rassegnato, ma senza esserlo realmente.
«Scusa, non so cosa mi sia preso.»
M'infilai sotto le coperte al caldo e mi rilassai all'improvviso. Le braccia calde e sicure di Joe mi strinsero e caddi quasi automaticamente nel mondo dei sogni.


Successe tutto il giorno dopo, quando non ebbi il tempo di prevedere nulla. Mi vestii allo stesso modo del giorno prima, con i tacchi fastidiosi e la gonna sopra al ginocchio, sperando che i giorni di riunione per mettere a punto il progetto passassero in fretta. Amavo così tanto i miei pantaloncini e le mie magliette da maschiaccio, che vestirmi a quel modo per me equivaleva mettermi in ridicolo. Piacevo soltanto Joe e, forse, agli uomini di mezza età in giacca e cravatta che notavano la poca scollatura o, come era già capitato, la forma del sedere mentre camminavo.
Non mi legai i capelli, però. Non ne ebbi il tempo.
Raggiunsi Joe in camera mentre si vestiva e gli diedi un bacio sulla guancia, sorridendo.
«Sono pronta, io vado.»
«Ma come? Andiamo a lavorare nello stesso posto, dobbiamo fare le stesse cose e vai via prima di me?». Rimase stupito.
«Sì, ma non pensi che se andassimo a lavoro insieme e facessimo tutti insieme si insospettirebbero? E poi vado a comprare qualcosa, prima. Ci vediamo dopo.».
Joe sospirò.
«Va bene. Stai attenta, non fare sforzi.» Mi guardò dolcemente e mi abbracciò.
«Certo. A dopo.».
Quando mi fermai davanti al centro commerciale, all'improvviso pensai che trascorrere il mio tempo lì sarebbe stato meglio che partecipare a un'altra noiosa assemblea per stabilire i dettagli di un progetto che conoscevo soltanto io.
Avevo appena deciso che scappare da una giornata lavorativa come fossi una ragazzina non era un'idea così brillante, quando vidi passare accanto a me una persona che non avrei mai immaginato. Un Pikachu sulla spalla, più alto di me e con un paio di occhi che avrei riconosciuto tra mille. Il cuore si fermò all'improvviso.
«A... Ash?» mormorai con un filo di voce. Non poteva essere lui, non poteva esserlo davvero. Perché adesso era tornato a Cerulean City, perché dopo tutti quegli anni?
Il ragazzo si voltò verso di me, i capelli scuri, le braccia un po' più robuste. Era forse stupito quanto me, se non di più.
«Ciao, Misty.».
Arretrai di qualche passo e Pikachu scese dalla sua spalla, scattando verso di me. M'inginocchiai e allungai le braccia per accoglierlo.
«Ciao, Pikachu» sorrisi e spostai le cartelline piene di documenti da un braccio all'altro per poterlo accarezzare «Come stai?».
Allungò il musino contento e fui felice che mi avesse riconosciuto nonostante gli anni appena trascorsi. Eppure, erano volati davvero.
Mi alzai in piedi, ancora un po' incerta su quelle dannate scarpe lucide, e notai l'espressione impacciata di Ash che mi fissava.
«Sei... sei cambiata» balbettò imbarazzato, appoggiandosi la mano sulla nuca. Conoscevo bene quel gesto, così come conoscevo ogni minimo dettaglio di lui. Non era mai stato difficile decifrare i suoi atteggiamenti.
«Sono sempre la stessa.».
Fui più fredda di quanto avessi voluto. Probabilmente, il ragazzo che mi stava davanti non se n'era neanche accorto.
Credo fosse stato il mio abbigliamento a lasciarlo stupefatto. Non era abituato a vedermi vestita così, come me d'altronde. Non dissi nulla, finsi l'indifferenza più totale, cercando di ignorare i battiti cardiaci che volevano bucarmi il petto.
«Sono venuto a trovarti... beh... con un po' di ritardo» aggiunse subito dopo, notando il mio sguardo decisamente troppo serio.
«Un po' di ritardo? Pensavo mi saresti venuto a trovare anni fa e non ti sei neanche degnato di farmi una telefonata!».
Assurdo come una scena che mi ero immaginata tante e tante di quelle volte, in quel momento si fosse trasformata in una semplice frase neanche formulata come avrei voluto.
«Lo so, ho avuto molto da fare. Mi dispiace.».
Ash fece un passo in avanti, abbassando lo sguardo. Sapevo che le sue parole erano vere, ma non aveva il diritto di piombare nella mia vita e giustificandosi con due misere frasi, come se nulla fosse successo.
«Misty, non puoi credere che non abbia pensato a te. Ed è per questo che sono tornato.»
Incrociai le braccia, i miei occhi diretti nei suoi. Identici, nello stesso modo in cui li ricordavo.
«Ho finito di essere quella che aspetta, Ash.»
«Se solo mi lasciassi spiegare una volta tanto!».
Alzò il tono di voce e rimasi di stucco. Sentii che dentro me lui era maturato. Non troppo, ma lo era. Volevo capire perché i miei sentimenti verso di lui non erano cambiati. Perché provassi ancora la stessa cosa.
«No, non voglio sentire! Tu non hai il diritto di piombare di colpo nella mia vita come nulla fosse dopo anni, dopo anni in cui non hai capito niente di come stavo o cosa volessi! Non ti è mai importato niente di come mi sentissi... e adesso non puoi pretendere che ti accolga a braccia aperte! Non hai idea di quanto io abbia sofferto, quindi fammi il favore di continuare a fare quello che facevi prima di comparire qui oggi!».
Sapevo che me ne sarei pentita, ma erano troppe le cose che mi tenevo dentro da un sacco di tempo. Il petto faceva male, ma non vidi Ash in faccia. Mi voltai, dandogli le spalle e ripresi a camminare. Non avevo voglia di sentirmi in colpa per una situazione nel quale altri non ero che la vittima.
«Misty... io... ».
Mi fermai, ma non lo guardai in faccia. Di colpo, tutto ciò che c'era intorno cominciò a girare e mi accorsi di vacillare.
«Misty?».
Mi accorsi appena di lui. La terra mi mancò da sotto i piedi nel momento stesso in cui mi voltai completamente a guardarlo.
«Misty!».
Dopodiché non ricordai più niente.


«Stai bene, adesso?».
Ero seduta sul lettino bianco dell'ospedale interamente vestita, scarpe comprese, e mi ero svegliata da poco.
«Sto bene. Solo che non dovrei essere qui in questo momento, ho un appuntamento importante.» sospirai, sforzandomi di pensare a un modo per uscire da quella situazione.
«Non è normale svenire di punto in bianco, Misty.»
«Se è per questo, non è normale neanche farsi vedere da una persona dopo anni in cui le hai promesso di farti vivo.»
«Quando la smetterai di rinfacciarmelo?»
«Mai.»
«Sembri una bambina.»
«Senti chi parla.»
Ci fu un silenzio imbarazzante durante il quale nessuno dei due aprì bocca. Mi sembrò di essere tornata indietro nel tempo.
«E' stato soltanto un capogiro. Niente di cui preoccuparsi.».
La voce che interruppe i nostri pensieri proveniva dalla soglia dell'ambulatorio. Un signore di mezza età con il camice bianco si fece avanti, divertito dal battibecco.
«Nelle sue condizioni, signorina Williams, dovrebbe evitare lo stress.»
«Sì, lo so. Grazie di tutto.».


«Cosa voleva dire il medico? Cos'hai che non va?» mi chiese Ash, lo sguardo interessato. Sbuffai, sentendomi completamente scema.
«Ash, io... ci sono delle cose che non ti ho detto. Cose che non si possono cambiare... perché ormai fanno parte della mia vita.».
Lui mi osservava serio e attento.
«C'è una persona con la quale ho deciso di passare il resto della mia vita. Si chiama Joe e lavora con me. L'ho conosciuto due anni fa.».
Vidi il suo sguardo indurirsi, riuscii a distinguere il momento esatto in cui il cuore gli fece male.
«Quanto volevi ti aspettassi? Quanto prima di farti sentire? A un certo punto ho deciso anch'io di vivere la mia vita, Ash. E... adesso... io e Joe aspettiamo un bambino.».
Fu la goccia che fa traboccare il vaso. Notai le sue dita stringersi a pugni e il suo petto sconvolto appena da singhiozzi trattenuti.
«Com'è... com'è possibile che ti ti sia fatta mettere le mani addosso dal primo che capita? Cos'è cambiato, Misty?! Tu sapevi... tu sai... quanto io tenga a te.».
«Joe non è il primo che capita, Ash! Lui è riuscito a capirmi, sa come starmi vicino. Non sai quante volte ho sperato che lo facessi tu... ma mai... alla fine mi sono rassegnata. Questa è la mia vita ora.»
«Non so cosa dire, Misty. Hai ragione, dovevo tornare, dovevo mantenere la promessa. Ma pensavo mi avresti aspettato e non che ti saresti buttata fra le braccia di un altro!».
Gli occhi di Ash erano umidi di lacrime, nonostante non potessi vederli.
«E' qui che ti sbagli. Può succedere di tutto in cinque anni e lo sai bene. Purtroppo è successo e non posso fare nient'altro che trattenere ciò che sento per te per il semplice motivo che è troppo tardi... ».
Rimasi in silenzio subito dopo e come me anche lui. Non avevo avuto modo di cambiare ciò che mi era successo in quegli anni, né avevo voluto farlo. Perché dopo tre anni passati pensando solo ad Ash, ero riuscita a mettermi in gioco, ad arrivare dove sognavo di arrivare.
«Ho fatto soltanto ciò che hai fatto tu. Sono andata avanti per la mia strada e sto realizzando il mio sogno.».
A quelle parole, il ragazzino all'apparenza invulnerabile che avevo visto tante volte e che avevo imparato a riconoscere, mi guardò con gli occhi sgranati e lucidi, prima di fissarsi le mani strette a pugno e annuire lievemente.
Lo abbracciai forte mentre lo accarezzavo sulla schiena e lasciai che si sfogasse su di me. Le lacrime che scivolavano sulla mia spalla e gli rigavano il viso, erano anche le mie. Quelle che una volta versavo su di lui e che ora dovevo contenere per forza.


«Ehi, tutto a posto?».
Percepii un bacio caldo sulla guancia e mi voltai verso il soffitto quando la voce pacata di Joe mi risvegliò.
«Sì, solo... un capogiro. Oggi.».
«E' per questo che non sei venuta in riunione?».
Quando realizzai le sue parole, scattai dal letto nel quale mi ero appisolata e mi ritrovai faccia a faccia con la sua espressione preoccupata.
«Oddio... me ne sono dimenticata!».
«Misty, tranquilla. Ho avvisato io dicendo che hai avuto un contrattempo, ma mi hai fatto spaventare. Non hai risposto neanche alle chiamate».
Forzai un sorriso, stringendomi al cuscino.
«Scusami. Non me ne sono accorta, mi sento veramente stanca». Joe mi si avvicinò, accarezzandomi i capelli.
«E' stata una giornata così terribile?».
Scossi la testa, sorridendo.
«Ho ritrovato un amico che non vedevo da anni.» mormorai assonnata mentre gli afferravo la mano con la mia.
«Amico? E chi sarebbe?».
Joe sollevò un sopracciglio, guardandomi come fossi appena uscita da un manicomio.
«Non fare il geloso.». Scoppiai a ridere e mi sdraiai e Joe si sistemò meglio accanto a me.
«Non lo sono.» mentì, fingendo il broncio «Il giovanotto, invece, come sta?».
Mi appoggiò la mano sulla pancia e sobbalzai quasi al tocco della sua pelle calda.
«Bene. Sta molto bene.». Ridemmo entrambi, finché non percepii il contatto delle sue labbra carnose sulle mie. Mi dimenticai di tutto, concentrandomi solo su di noi. Di me, di lui. Del piccolo che cresceva dentro di me. E del nostro futuro insieme.
  
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