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Autore: Harmony394    29/06/2013    9 recensioni
«Perché stai piangendo?» Una voce infantile e femminile alle sue spalle lo fece sussultare e lui, istintivamente, si voltò a fronteggiare chiunque fosse stata l’artefice di quella domanda. Quando si voltò, i suoi occhi proiettarono quella che doveva essere la sagoma di una bambina di circa dieci anni. Aveva dei folti e ricci capelli rossi che le incorniciavano il viso piccolo e sottile ricoperto di lentiggini e dei grandi occhi color cielo curiosi e vispi che non smettevano di scrutarlo. Non era molto alta, arrivava all’incirca alle sue spalle e inoltre era anche parecchio magrolina.
Non seppe il perché di quello strano pensiero, ma Loki ebbe come l’impressione di avere dinanzi a sé una… sì, una piccola volpe!

[Loki x Nuovo Personaggio]
STORIA CONCLUSA!
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Loki, Nuovo personaggio, Thor
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Volpe e il Lupo.'
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~ Fallen.
 
Io, io ho atteso qualcuno come te
Ma ora stai scivolando via
Cosa hai fatto adesso?
Perché, perché il destino ci fa soffrire?
C'è una maledizione tra di noi?
Tra me e te
Cosa hai fatto?

Within Temptation - What Have You Done

 
 


La Sala del Trono era spaventosamente cupa e silenziosa e nell’aria si respirava un’atmosfera così pesante e tagliente che poteva quasi ferire ma Loki tutto questo non lo sentiva. In realtà non sentiva più niente.

Le parole di Eris gli erano arrivate addosso con una violenza tale da lasciarlo stordito, senza parole, e nella sua mente adesso albergava il caos più assoluto. Non capiva più niente, c’era solo rumore e un impellente bisogno fisico di urlare a squarciagola. Solo in quel momento si rese conto si rese conto che non aveva più visto Emily da quando si erano riappacificati e la sua mancanza si fece impellente, quasi esistenziale: gli lambì le viscere e lo fece sentire vuoto. Poi una vocina, piccola ma ben chiara si sovrappose a tutte quelle che gli affollavano la mente facendolo sentire perduto: dov’è Emily?

In un gesto istintivo alzò la mano dove stava rinchiusa quella strana polverina che Eris gli aveva donato e il suo sguardo si corrucciò mentre sentiva le gambe diventare molli.

Emily?

Davanti a lui Eris sorrise: «Ti aveva forse accennato al fatto che lei, Sif e i Tre Guerrieri sarebbero partiti per andare a riprendere Thor?» Gli chiese, e la sua voce lo fece sobbalzare. Sentiva la testa scoppiargli e tutto, nella sua mente, era confuso e sbiadito ma infine, come in un dolorosissimo flashback, ricordò.
Devi far tornare Thor”, aveva detto lei. “quella… cosa, non è adatta a te. Ti rende diverso da quello che sei realmente, più… cattivo”.
Una terribile idea si fece largo fra i suoi pensieri e chiuse gli occhi d’istinto, quasi come se desiderasse scacciare via quei pensieri.

Che cosa ho fatto?

«Cosa intendi dire?» Domandò con un filo di voce, continuando a non capire.

Eris ghignò e si avvicinò con passo sinuoso e sicuro, poi gli cinse un fianco e gli accarezzò il petto.

«Ricordi, Loki? Sei stato tu a volerlo, quando hai ordinato al Distruttore di eliminare ogni cosa. Lui ha solo eseguito l’ordine» fece una pausa e la sua mano andò a tracciare una leggera carezza di conforto sulla spalla di Loki, che non parlava. Dunque assottigliò gli occhi, riducendoli a un’obliqua linea dorata, e lo osservò con più insistenza.

«Qualche volta gli innocenti vengono trucidati per un disegno più grande. Lei è stata solo un danno collaterale*» Concluse poi con voce falsamente dispiaciuta, il timbro simile al sibilo di un serpente.

L’istinto di correre in tutte le sale del palazzo a cercare Emily pervarse Loki, che si trovò spaesato e per la prima volta in vita sua impaurito; ma razionale e cinico qual era sempre stato riuscì infine a mantenere la calma e cercò di ragionare. Fece un respiro, poi un altro ancora ed infine giunse alla conclusione che Emily non poteva  morire poiché in quel caso anche lui avrebbe contratto la stessa fine. Realizzando ciò, Loki, in una mossa quasi istintiva, alzò la propria mano destra e quando notò che il segno a X non era  ancora sparito, comprese che la Dea del Caos aveva cercato di ingannarlo. Alzò lo sguardo su di lei e scosse la testa, canzonatorio. Dannata sgualdrina.

«Devo ammettere che hai davvero molta fantasia» Disse, avvicinandosi con passo volutamente lento. Eris assottigliò ancor di più gli occhi e inarcò un sopracciglio; poi incrociò le braccia al petto, assumendo involontariamente una posizione difensiva. «Addirittura cenere! Eris, ti stai rendendo ridicola. Credi sul serio che io possa cadere in un tranello simile? Io, il Dio degli Inganni?» Rise beffardo, e allargò le braccia come a voler mostrare quanto fosse stata sciocca. Le sorrise, ma il suo sguardo era serio e quasi cattivo, come quello di un lupo che braccava la preda. «Sei molto intelligente, lo ammetto, ma pecchi in quanto a memoria. Non ti ricordi, Eris, che sei stata proprio tu a dirmi – o meglio, mostrarmi – che se Emily fosse  morta io, a causa del vincolo che ci lega, avrei subito la stessa sorte?».
Si aspettava che una volta scoperta avrebbe fatto una delle sue solite scenate in cui proclamava vendetta e maledizioni, ma a dispetto di ogni sua prospettiva Eris non fece nulla e anzi il suo sorriso si allargò ancor di più, tanto da lasciarlo momentaneamente interdetto. Aggrottò la fronte perplesso dalla sua reazione, mentre lei si avvicinava; poi mise qualcosa nel palmo della sua mano e quando richiuse le dita a pugno, come a volergli fare un dono, Loki riconobbe con orrore la forma dell’oggetto. Lo guardò, e a quel punto la sua bocca si schiuse in un piccolo ovale di sgomento.

L’anello di Claddagh.

«Questo era suo, non è vero? L’ho trovato fra le macerie. Sai, dall’Olimpo ho visto tutto perfettamente. Oh… è un bene che tu non abbia assistito alla scena: saresti certamente impazzito per il dolore. Thor, purtroppo, non ha potuto fare nulla per aiutarla e di lei è rimasto solo questo anello che io, da dèa misericordiosa quale sono, ho creduto fosse giusto renderti…» Fece una pausa, beandosi dell’espressione devastata di Loki. «Ammetto di aver pensato di tenerlo, in fondo è pur sempre un magnifico gioiello e al mio dito farebbe una superba figura, però… credo che tu ne abbia più bisogno di me, al momento» Concluse sospirando.
Vedendo che Loki non emetteva alcun suono poggiò con delicatezza una mano sulla sua spalla, amorevole, ma lui, scosso com’era dalle sue parole, non poté accorgersi nel perverso sorriso di soddisfazione che le incurvò le labbra.

«Via, via…» Sussurrò al suo orecchio, affabile. «Non è stata poi del tutto colpa tua! Anche lei sarebbe dovuta stare al suo posto. Ah! Se solo non fosse stata così cocciuta!» Esclamò, portandosi una mano alla fronte.
«E’ impossibile…» Insistette Loki quasi sussurrando, allontanandosi da lei senza degnarla di uno sguardo. «A quest’ora dovrei essere-».
«Morto?» Ribatté l’altra, incurvando le labbra in un mesto sorriso. Gli si avvicinò velocemente e gli sfiorò con delicatezza la guancia come se lo stesse cullando. «Hai dimenticato, amor mio, che nessuna magia, nessun tranello, nessun inganno o sotterfugio può uccidere noi dèi?».
Loki aggrottò le sopracciglia, piccato. «Ti sbagli. Sai bene quanto me che un dio può essere ucciso!».

«Non così semplicemente. Fino a che nell’Universo esisteranno gli inganni, Loki, o le diffidenze e le beffe, tu non potrai morire. O meglio, non potrai essere dimenticato. Perché noi dèi non moriamo, amore mio, ma veniamo dimenticati, sostituiti da nuove divinità. Ed ogni volta che un umano smette di credere in noi una piccola fiammella, che corrisponde alla nostra esistenza, da qualche parte nell’Universo perde calore e più essa si consuma più noi ci avviciniamo alla distruzione. Solo così un dio può morire; o così, oppure a causa di un attacco diretto in un momento a noi particolarmente fragile: come per esempio durante una malattia o un letargo, oppure quando veniamo privati dei nostri poteri. Gli altri metodi sono solo idiozie dettate da un criterio idiota secondo la quale noi dovremmo sottostare» Fece un verso stizzito con la bocca, infastidita. Lui restava in silenzio, confuso dalle sue parole. Eris si voltò di scatto e il suo sguardo gli parve quello di un serpente in procinto di attaccare. « Non sono i malocchi, gli incantesimi o le promesse non mantenute ad uccidere un dio, Loki. Né il dolore che si prova quando uno stiletto ci colpisce il cuore. E’ la solitudine di non avere nessuno che crede in noi a farlo, la paura di essere dimenticati. Solo questo può uccidere un dio ed è per questo che quella smorfiosa non ce l’ha fatta. Perché lei non era una dea. Possedeva già una vita longeva ed era riuscita a sfuggire alla morte per via di una serie di… sfortunati eventi, ma non era immortale come noi. Era una mezzosangue come tutti gli asgardiani, e la Morte non si può ingannare due volte. Se non sei perito con lei, Loki, è solo perché – nonostante tu sia uno Jotun – hai acquisito il titolo di Dio degli Inganni e di conseguenza sei divenuto immortale. O perlomeno, così recitano le Sacre Scritture».

«Ma Lord Zeus ha espressamente detto-».

Eris non lo fece finire perché la sua risata divertita e la sua espressione canzonatoria stroncarono le sue parole, quando ebbe finito il suo sguardo era carico di rancore e astio. «Mio padre era un folle e un maiale che pensava esclusivamente al denaro, al potere e alle donne; non gli importava nulla di me, o di te o di quella mocciosa. Lui desiderava solamente non cacciarsi nei guai con Odino, ecco cosa voleva, ed è a causa di questo suo atteggiamento che mia madre è morta. Lui l’ha… sostituita. Ha imposto agli esseri umani un'altra dèa da venerare, qualcuna più bella, più potente e fertile… qualcuna come Sui-San, l’Eterna, sicché tutti… tutti hanno finito col dimenticarla» Si bloccò e strinse forte i pugni, ostile. Loki poté giurare di vedere i suoi occhi diventare lucidi di lacrime. «Ma questo è un discorso che non ti riguarda. Ciò che sto cercando di dirti, è che mio padre non ha mai saputo nulla. Si è sempre vantato della sua grande saggezza quando invece era solo un villano, un ipocrita e un traditore! Dunque tener fede alle sue teorie sarebbe come dar ragione a un ritardato».

Loki non rispondeva, era come assente, estraneo alla conversazione e il suo sguardo era inespressivo. Eris continuava a osservarlo senza distogliere gli occhi dai suoi nemmeno per un momento facendolo sentire come un animale braccato e senza via di fuga. Divertente, pensò, come i ruoli si siano  invertiti in così poco tempo.

Quando si allontanò sorrise di nuovo compiaciuta e lui e fu certo di non aver mai visto un sorriso più diabolico in vita sua. Poi, prima che potesse fermarla, Eris premette con energia le labbra sulle sue e quando si staccò il suo sguardo era quello voluttuoso e soddisfatto di una predatrice. «Ti avevo promesso il più acuto dei dolori, principe di Asgard…» Sussurrò con voce roca, accarezzandogli i contorni del viso con un dito. «Ma a quanto pare, hai già fatto tutto da solo» Dopodiché mimò un saluto con le dita e dopo avergli regalato un ultimo sorriso sardonico, sparì. La sua risata forte e sguaiata risuonava ancora tra le mura della Sala del Trono.

Restò così, in silenzio per alcuni istanti. Poi, all’improvviso, tagliente come la lama di un rasoio, la consapevolezza che Eris non gli avesse mentito si fece strada in lui e il dolore sembrò scoppiargli nel petto distruggendo ogni cosa. Sentì la testa girare vorticosamente e la risata sguaiata di Eris risuonargli nelle orecchie. Credette di svenire si sentì  il peggiore dei mostri perché adesso di Emily non era rimasto più niente se non della cenere e la colpa era solamente sua. Un urlo crebbe dentro di lui, selvaggio e devastante che stentava a contenere, e si portò il pugno alla bocca per impedirsi di farlo uscire, di dar sfogo ai suoi sentimenti. Non voleva sentire più niente, voleva solo sparire; il dolore era troppo forte, troppo devastante!

Che cosa hai fatto, Loki? Una vocina somigliante a quella di Emily si insinuò nella sua mente e per si portò le mani alle orecchie nel tentativo di non udire più nulla. Tutto faceva male, doleva, e sembrava quasi che una grossa mano gli stesse artigliando il cuore con così tanta energia da fargli mancare il respiro. Si sentiva soffocare.

Che cosa hai fatto? Che cosa hai fatto? Continuava quella alzando sempre di più il tono della voce, diventato improvvisamente simile a un pianto. Poteva quasi sentire il battito del suo cuore rimbombare forte fino alle orecchie ed era certo che di lì a poco sarebbe morto; nessuno poteva contenere tutta quell’angoscia, nemmeno un dio.

L’hai uccisa! Sei stato tu. L’hai uccisa! L’hai uccisa! Adesso la voce era cambiata, divenendo più grave e austera, simile a quella di Eris. Una risata sguaiata e sardonica che associò a quella della dèa gli risuonò nella mente, poi ne giunsero altre ma non seppe capire a chi appartenessero; sapeva solo che doveva sbarazzarsene al più presto perché lo stavano facendo impazzire.

Colpevole! Colpevole! Assassino!

«ORA BASTA!» Gridò ad un tratto, e tutte le voci dentro la sua testa cessarono. Respirò a fatica, il fiato mozzo e fiacco, e si passo una mano sul viso come se questo avesse potuto lenire tutte le sue sofferenze; il cuore continuava a battergli forte dentro la cassa toracica e gli occhi divennero lucidi mentre un improvvisa e scalpitante rabbia si propagava per tutto il suo corpo. Si accorse di star tremando solo quando una guardia aprì le porte della sala con irruenza, facendolo sobbalzare. Aveva lo sguardo stravolto, gli occhi chiari erano sgranati e quasi fuori dalle orbite e ansimava per la lunga corsa che aveva fatto.

«Mio Signore…» Cominciò, terrorizzato. «I Giganti di Ghiaccio…».

Non riuscì a finire la frase che subito Loki si diresse fuori dalla sala, Gungnir stretta tra le dita e lo sguardo di un folle che saettava da una colonna all’altra in cerca della Camera in cui Padre alloggiava. Riuscì appena a impartire l’ordine di radunare le guardie e combattere l’assalto nemico che era già arrivato alla sala. Spalancate le porte, trovò sua madre stesa a terra priva di sensi e Laufey chino sul giaciglio di Odino, un pugnale di ghiaccio stretto nelle dita bluastre pronto a porre fine alla sua vita, e Loki sapeva che se non avesse fatto qualcosa lo avrebbe ucciso sul serio. Digrignò i denti e strinse i pugni fino a far diventare le nocche delle dita bianche.

Forse poteva ancora portare a termine il piano, dopotutto. Poteva ancora farcela!

«Si dice che puoi ancora sentire e vedere ciò che si manifesta intorno a te, spero che sia vero, così potrai sapere che la tua morte è giunta per mano di Laufey!» Le sentì appena quelle parole, ma bastarono per far sì che tutta la rabbia accumulata in quegli anni, quell’atroce dolore che lo scoprire di essere un Gigante di Ghiaccio gli aveva procurato, la paura di essere un mostro, scoppiassero in lui. In un impeto di rabbia artigliò lo scettro e lo puntò verso la schiena di Laufey, che non parve accorgersi di niente, e subito fece saettare un fulmine verso di lui che lo fece grugnire di dolore e cadere bocconi a terra.

«E la tua è giunta per mano del figlio di Odino!» Parlò, e la sua voce risuonò calma e mitigata nonostante dentro di lui regnasse il caos più totale.

Quello fece per issarsi, lo sguardo stordito e frastornato di chi ha compreso di essere stato ingannato, ma prima che potesse farlo un'altra saetta lo colpì facendolo finire in mille minuscoli pezzi.

«Loki! Loki l'hai salvato!» Non fece in tempo a rendersi conto di aver appena ucciso il suo vero padre, che Frigga rinvenne e gli gettò le braccia al collo, stringendolo in un abbraccio che sapeva di calore e amore. Uno di quelli che Emily era solita dargli, ma che lui non avrebbe sentito mai più. Lo assalì il desiderio di urlare, gridare che non sarebbe dovuta andare così, ma infine si limitò a mordersi la lingua e a stringere i pugni, pensando a quanto il destino fosse stato beffardo e di come lui fosse riuscito ad eliminare tutto quello per cui aveva realmente lottato senza neppure accorgersene.

«Ti giuro Madre, pagheranno per quello che hanno compiuto oggi!».

«Loki!» Fu una voce profonda e tonante a parlare, e non ci fu bisogno di voltarsi per comprendere a chi appartenesse.

Erano passati solo pochi mesi dal suo esilio, eppure non era cambiato di una virgola: alto, muscoloso e possente; i capelli biondi gli ricadevano arruffati sui contorni del viso e i suoi occhi azzurri lasciavano trasparire tutto il rancore e le emozioni che, a differenza sua, non era mai riuscito a celare. Thor era tornato.
Sentì sua madre allontanarsi da lui con una velocità tale da ricordargli per un momento quella di una biscia, e non fece in tempo a trattenerla che quella aveva già le braccia gettate al collo del suo figlio maggiore, ringraziando gli avi per aver fatto sì che fosse di nuovo a casa. Guardandoli, Loki sentì una fastidiosa fitta al basso ventre che gli fece digrignare i denti.

Ne seguì una breve conversazione tra lui e il Dio del Tuono nella quale Thor gli rinfacciò di essere un traditore e un bugiardo di grande talento, accusandolo di aver aizzato il Distruttore contro lui e i suoi amici.

Loki non rispose, perché alle volte il silenzio è la migliore delle armi, ma quando incontrò lo sguardo pieno di delusione e incomprensione di Frigga, capì che quello era troppo anche per luiecosì agì d’istinto, senza pensare alle conseguenze: puntò Gungnir contro Thor e, prima che potesse fare qualcosa per fermarlo, fece sì che un getto di elettricità lo scagliasse contro il muro dietro di lui che, sotto il suo peso, si distrusse facendolo cadere di sotto. Fece appena in tempo ad udire l’urlo di Frigga rimbombare per le pareti che era già diretto verso le scuderie: doveva recarsi al Bifröst.

Sentiva la rabbia e la frustrazione scorrere con veemenza dentro di sé, facendogli gonfiare le vene della testa e tremare le mani, ma Loki non ci badava; in verità, non pensava più a nulla se non a se stesso e alla distruzione di quell’ammasso di mostri. Voleva distruggere Jötunheimr. Lo doveva ad Emily: doveva vendicarla in qualche modo, fare a pezzi quei mostri. Perché era soprattutto colpa loro se era morta: se non avessero ucciso i suoi genitori forse lei non lo avrebbe mai incontrato, non sarebbe mai partita per Midgard e non sarebbe mai stata ridotta in cenere. Sarebbe ancora lì. Viva.

Inoltre, solo così Padre avrebbe capito che era sempre stato lui il Figlio Degno. Solo così tutti avrebbero capito che era sempre stato come gli altri, se non migliore!
Arrivò nei pressi del Bifröst e senza indugiare oltre fece partire il meccanismo che lo avrebbe azionato, indirizzando il raggio distruttore su Jötunheimr. Subito dopo, Loki congelò  l’aria che fuoriusciva dal getto dell’enorme meccanismo, creando così un enorme albero di ghiaccio che avrebbe avuto la funzione di accelerare il processo di distruzione senza che si inceppasse o smettesse di funzionare.

«Dimmi: perché lo hai fatto?!» Fu Thor a parlare, anche lui era giunto al Bifröst, e la sua voce era incrinata dallo sgomento.

Loki sentì il proprio battito cardiaco accelerare e un improvvisavoglia di ucciderlo Thor pervaderlo. Doveva lasciarlo in pace, quell’idiota.

«Per dimostrare a mio padre che io sono il figlio degno. Quando si risveglierà avrò salvato la sua vita, avrò annientato quella razza di mostri e sarò il vero erede al trono!».
«Non puoi sterminare un'intera razza!».
«Perché no?!» Rise «E… cos'è questo ritrovato amore per i Giganti di Ghiaccio? Tu!» Rise di nuovo, canzonatorio, ma dentro di sé la rabbia ribolliva senza sosta «Avresti potuto trucidarli a mani nude!».
«Sono cambiato».
«Anch'io!» In un istante Gungnir rovinò contro la guancia di Thor, graffiandolo e facendogli male. Ma non importa, si disse Loki. Non importa più niente, ormai.
«Ora combatti con me!» Un’altra sferzata e Thor finì a terra. A Loki continuava a non importare.
«Non ho mai bramato il trono!» Urlò avvilito, avvicinandosi a lui. «Volevo solo essere tuo pari!».
«Non combatterò contro di te, fratello!».
«Non sono tuo fratello, non lo sono mai stato!» Una lacrima scese giù dal suo occhio destro, tracciando una scia umida  e salata. Loki si rese conto di aver perso il controllo, di stare sbagliando, ma improvvisamente il viso di Emily, la sua risata e i suoi capelli costantemente in disordine gli ritornano alla mente e una fitta allo stomaco gli mozzò il respiro.

La morte di Emily era la causa della fine di ogni cosa*.

«Loki, questa è demenza!» Le parole di Thor erano forti, affilate come coltelli, e lui non riuscì a sopportarle. Non dopo quello che era successo, non dopo quello che aveva fatto. E di nuovo, l’ira prese il sopravvento e lui si sentì male, sporco e indegno. Assassino, ripeté una vocina nella sua testa, colpevole! Colpevole! le fece eco un’altra, e l’aria sembrò mancargli. Sono innocente! Gridò in risposta la sua coscienza, ma nessuno sembrò ascoltarla e allora urlò più forte, fino a farsi male e graffiarsi le corde vocali. Sono innocente!

«È demenza!? Lo è!? LO È!?Raccontami: prima che venisse ridotta in cenere, cosa ti ha detto? Era felice di vederti, fratello? Lieta, di sapere che tu non avresti fatto nulla per proteggerla?! O magari, la tua vista era già offuscata dal viso di un’altra donna per poterti permettere di trarla in salvo. Lei, che era venuta fin laggiù per te, brutto idiota, e tu non hai fatto niente per salvarla!» Gridò sprezzante, gli occhi verdi incredibilmente sgranati e la voce alterata. Thor non diceva niente, stava in silenzio a fissarlo con lo sguardo interrogativo e disperso di chi non capiva di cosa stesse parlando e ciò non fece altro che accrescere la sua rabbia. « Oooh… è cosi! Allora magari quando avremo finito qui, andrò a farle visita di persona!».

Thor si lanciò su di lui e Loki fece lo stesso. Si scontrarono in una lotta corpo a corpo in cui nessuno dei due parve sopraffare l’altro, ma entrambi combattevano allo stesso livello. All’ennesimo tentativo di Loki di battere l’altro, entrambi vennero spazzati fuori dal Bifröst e finirono distesi sul ponte; provò a ingannare Thor con delle illusioni, ma fallì miseramente e cadde nuovamente disteso sulla superficie del Ponte dell’Arcobaleno, indolenzito e con la testa che sembrava stesse per scoppiargli da un momento all’altro. Quando  infine Thor poggiò il Mjolnir sopra il suo petto, qualcosa in lui, la sua coscienza forse, gli disse chiaramente che era finita. Aveva perso, di nuovo.

Divertente come le pagine di quel bellissimo libro pieno di bugie e inganni che lui stesso aveva scritto si fossero sgretolate proprio alla fine della storia, cancellando il finale che aveva scritto.

La storia è finita. Ma il finale non è dei migliori, si disse.

Davanti agli occhi scorsero le immagini di tutto quello che aveva compiuto fino a quel momento per poter arrivare a quel punto: la sfida, il patto con gli Jotun, la dipartita di Thor, la sua ascesa al Trono di Asgard… sicché qualcosa dentro di lui cominciò ad agitarsi: non era rabbia o tristezza, bensì qualcosa a cui non riuscì a dare un nome, che continuava a spingere, spingere e ancora spingere dentro il petto quasi volesse uscire fuori. Una scarica di adrenalina gli attraversò la schiena e con un ultimo briciolo di speranza si disse che no, non era ancora finita!

Provò a sollevare il Mjolnir, urlò forte nel tentativo di riuscirci ma quello continuava a restare inchiodato sul suo petto. Nel frattempo, Thor si avvicinava sempre di più al centro del Bifröst dove stava l’enorme cupola da cui fuoriusciva tutta l’energia per distruggere Jötunheimr, e sembrava profondamente frustrato. Loki lo trovò ridicolo oltre ogni limite.

«Guardati! Il potente Thor! Con tutta la tua forza! Dimmi a cosa ti serve adesso, Eh!?» Gli urlò contro con voce straziata e roca a causa dell’enorme peso sul petto. «Mi hai sentito fratello? Non puoi fare niente!».
 
Ad un tratto lui richiamò il Mjolnir verso di sé e, sotto lo sguardo allibito e sconvolto di Loki, prese a caricare potenti colpi sulla superficie piana del Bifröst che si incrinò. Improvvisamente, capì cosa stesse cercando di fare e il panico lo avvolse. 

«Che stai facendo!?» Gridò, sconvolto. «Se distruggi il ponte non potrai mai più rivederla!».

Ma Thor non lo ascoltava. Continuava a dare colpi di martello al Bifröst con movimenti quasi automatici e forzati, seppur forti e decisi, e lui capì che se non avesse fatto qualcosa al più presto quell’idiota avrebbe sul serio distrutto il ponte e spezzato il processo di distruzione di Jötunheimr.

Corse verso di lui cercando di fermarlo, ma nel momento esatto in cui saltò per colpirlo con la lancia, Thor caricò l’ennesimo colpo al Bifröst che si ruppe e scatenò un’onda di energia che li sbalzò via a tutti e due. Thor si aggrappò istintivamente a Gungnir e qualcosa – o meglio, qualcuno -  lo tenne ben stretto per una gamba; contemporaneamente, Loki artigliò per riflesso il manico dello scettro per evitare di cadere nel vuoto. Quando alzò gli occhi, riconobbe il viso di suo padre ma in esso non era impresso orgoglio o felicità, bensì delusione. Odino aveva un unico occhio, ma bastò un suo solo sguardo per far crollare tutti i suoi castelli come se fossero stati fatti di sabbia.

«Ci sarei riuscito, Padre!» La sua voce era strozzata, più un singhiozzo piuttosto che un urlo, e i suoi occhi lucidi. C’era una lacrima appesa tra le sue ciglia ma non cadde; restò lì, immobile, esattamente come lui che in quel momento credeva di non poter fare altro che restare attaccato all’acciaio della lancia. Curioso come, oltre ad essere un pessimo dio, fosse anche un pessimo figlio. «Ci sarei riuscito!» La voce gli si spezzò in gola e i suoi occhi divennero più lucidi.  «Per te! Per tutti noi…».


Non seppe esattamente cosa accadde nella sua testa – o meglio, nel suo cuore – ma Loki sperò con tutto sé stesso, con ogni piccola particella del suo corpo, che Odino lo tirasse su, lo abbracciasse e gli dicesse che andava tutto bene. Che lui aveva provato, aveva fallito ma che nonostante ciò fosse comunque suo figlio e che accettava il fatto che ci avesse almeno provato. Lo sperò così ardentemente e in modo così doloroso e straziante, che la risposta che ricevette ebbe per lui lo stesso effetto di una stilettata al centro del petto e si chiese se Eris non avesse mentito quando aveva detto che un dio non poteva morire a causa del dolore.

«No, Loki…».

Non chiuse gli occhi nel tentativo di scacciare il dolore, né distolse lo sguardo da Odino. Restò lì a guardarlo, lo sguardo di chi ormai non aveva più nulla da perdere, finché infine la lacrima scese giù e venne trasportata via dal vento, disperdendosi nello spazio cosmico. E proprio come quella lacrima, Loki mollò la presa e si lasciò cadere, scivolare. Perché che senso aveva lottare se tutto era andato perduto?

Sentì suo fratello chiamare il suo nome con disperazione, ma la sua voce gli arrivò lontana come un’eco e non fece in tempo a distinguere i mille colori che gli offuscavano la vista che tutto divenne buio e cadde giù, annegando nei meandri più profondi dell’Oscurità consapevole che non sarebbe più potuto tornare a galla.
Il suo ultimo pensiero andò ad Emily, quell’antica bambina che aveva tanto amato e voluto bene per tutti quegli anni, e sentì subito le sue braccia che lo cingevano, vedeva la curva delle sue guance nella luce nella sua mente, il dolce languido frullio delle sue ciglia*, il suo sorriso e i suoi capelli rossi tingersi di un colore più chiaro alla luce del sole.

Un’altra lacrima gli rigò la guancia e un amaro sorriso gli distese le labbra sottili. Chiuse gli occhi e, con l’ultimo barlume di consapevolezza, si rese conto che, alla fine, non era riuscito a mantenere la promessa.




Emily si risvegliò con un sussulto.

Si guardò attorno con aria spaesata, impaurita e col cuore che aveva preso a batterle forte contro la cassa toracica; cercò di alzarsi, ma nel tentativo sentì una profonda fitta al basso ventre che la fece ripiegare su se stessa e il collo dolerle forte. La testa cominciò a girarle vorticosamente mentre cercava di rimettere a posto i pezzi – o meglio, i ricordi – che avrebbero dovuto aiutarla a rimembrare cosa fosse successo in quelle ultime ore. Ricordava di star camminando in un corridoio deserto finché qualcuno, una donna probabilmente – ricordava ancora la voce,  l’aveva quasi strangolata e gettata di forza dentro quella sottospecie di scantinato. Un’altra fitta le colpì forte la pancia e di nuovo Emily fu costretta a ripiegarsi su se stessa, mentre il sapore ferroso del sangue le inondava la bocca.
Solo in quel momento si rese conto del fatto che l’Anello di Claddagh non sitrovava più sul suo dito e la conclusione che la sconosciuta avesse cercato di ucciderla solo per prenderle l’anello la fece rabbrividire: chi poteva spingersi a tanto per un semplice gingillo?

 Si alzò da terra, dolorante, e fece per aprire la porta della stanza, ma era chiusa a chiave. Fece forza, diede parecchie spallate  ma l’unica cosa che ottenne fu un gran male alla schiena. Imprecò e cominciò a chiamare aiuto a gran voce sperando che qualcuno la sentisse, ma nessuno accorse.

Senza via d’uscita, osservò la stanza: era piccola, senza porte o finestre e c’era solo una fiaccola a far luce; questo non fece altro che farla sentire ancora più braccata di prima; era proprio come un uccellino in gabbia. Frustrata, cominciò a prendere a calci la porta più forte di prima ma inutilmente. Stanca, appoggiò la testa contro il legno e cominciò a fissare il pavimento come se fosse stato qualcosa di estremamente interessante.

Improvvisamente ci fu uno squittio, poi un altro ancora e infine qualcosa le passo tra i piedi velocemente, facendole fare un salto per lo spavento. Prese velocemente  la fiaccola e cominciò a puntarla sul pavimento per vedere cosa stesse succedendo. Di nuovo, qualcosa le passò a gran velocità sotto i piedi ma questa volta riuscì ben a capire di cosa si trattasse.

«Un topo!» Esclamò, affatto sorpresa. Si trovava pur sempre in un luogo abbastanza isolato dove probabilmente non pulivano da anni; era abbastanza normale che ci fosse qualche topo lì in mezzo. Non le facevano paura, solo un po’ schifo ma nulla per cui sarebbe stata disposta a urlare e arrampicarsi su delle sedie.  Nonostante ciò, in quel momento rappresentava la sua salvezza!

Prese a inseguirlo e quando lo vide rifugiarsi all’interno di un piccolo cunicolo  esultò  soddisfatta. Dopodiché cominciò a frugare in giro alla ricerca di qualcosa abbastanza duro da poter utilizzare e una volta trovato una sedia di legno malandata, la gettò con forza a terra rompendola e scatenando un gran polverone. Afferrò un piede spezzato e cominciò a irrompere sul muro in cui il topolino aveva scavato, certa del fatto che fosse il punto più debole della stanza. Dopo alcuni colpi questo cominciò a formare alcune crepe e prese a sbriciolarsi, facendo crollare alcuni intarsi dal muro e creando così una stretta e piccola via d’uscita. Subito si ci infilò dentro e una volta trovato il corridoio che l’avrebbe riportata al palazzo tirò un grosso sospiro di sollievo. Era fuori!

Mentre si avviava con passo spedito verso la Sala del Trono in cerca di Loki, fu pervasa da un improvviso brutto presentimento che si propagò nel petto e le fece aggrottare le sopracciglia, pensierosa. Non seppe il perché di quella strana sensazione, ma qualcosa le diceva di trovare Loki il prima possibile.

Camminando, si accorse che la maggior parte della servitù si stesse dirigendo frettolosamente fuori dalle mura del palazzo ma non riuscì a capire il perché. Curiosa, decise di seguirli.
Una volta uscita notò che ci fosse una grandissima folla di gente ammassata tra di loro per vedere qualcosa – o qualcuno – che lei  da quel punto non riusciva a scorgere. Cercò di farsi strada a forza di spintoni tra la folla, finché finalmente non riuscì a capire di chi si trattasse e istintivamente, sul suo volto si aprì un grande sorriso.

«Thor!» Urlò felice, correndogli incontro. «Sei tornato davvero! Sei di nuovo qui!».

Quello alzò repentinamente lo sguardo su di lei, come se la vedesse per la prima volta, ma osservandolo Emily intuì che ci fosse qualcosa di sbagliato in lui, qualcosa di strano. Solo quando vide il suo viso contratto in una smorfia di dolore e tristezza, nella sua mente scattò un campanello d’allarme e un pensiero le attraversò la mente: dov’è Loki?

Le si avvicinò con sguardo grave, gli occhi azzurri sembravano aver perso tutta la loro luce, e senza dire niente l’abbracciò forte, lasciandola senza parole. Subito nella sua testa si vennero a formare miliardi di pensieri tutti riguardanti la stessa persona: Loki.

«Cos’è successo, Thor?» Domandò esitante, scostandosi da lui. Ma qualcosa, il suo cuore forse, non voleva davvero sapere quale sarebbe stata la sua risposta. Lui non le rispondeva, restava in silenzio, lo sguardo chino e angosciato di chi ha visto la morte con i propri occhi, e questo non fece altro che incrementare la paura di Emily che adesso si sentiva come in preda alla marea, sballottata da una parte all’altra. «Dimmelo!».

«Devi essere forte, piccola Emily» Disse a un tratto, cercando di mantenere un tono della voce mitigato. «Purtroppo, alle volte le Norne tessono storie con un finale tragico a cui nessuno può opporsi. Lui se ne è andato combattendo come un vero guerriero».

«Di che cosa stai parlando? Lui chi? Dov’è Loki? Perché non è qui a… a riempirti di insulti, o a dirti di andartene o… o qualsiasi altra cosa?!».

Thor sospirò pesantemente e solo in quel momento Emily si accorse che tutti li stessero osservando in silenzio. «Sono tornato per riprendermi il mio Regno, Emily, ed è ciò che ho fatto, ma nell’impresa ho perduto qualcosa che non potrò riavere mai più…» Le strinse le spalle, quasi come se sapesse già quale sarebbe stata la sua reazione una volta che avrebbe pronunciato quelle parole, e quella stretta – così forte e possente – valle per lei più di mille parole.

«Loki è caduto giù dal Bifröst durante uno scontro. Io e Padre non abbiamo potuto fare nulla per fermarlo…».

E il dolore scoppiò in lei, così forte e fulminante che Emily dovette premersi le mani sulla bocca per impedirsi di urlare. Le lacrime salirono tutte in una volta, senza che lei potesse fermarle, e il respiro si mozzò. Non gridò: il dolore era così intenso da impedirle di fare qualsiasi cosa, ma sentì le ginocchia cedere sotto il suo peso e solo quando Thor le strinse le braccia, cercando di sorreggerla, la voce che le uscì dalla gola diede vita a un lamento così straziante e penoso che chiunque, persino chi aveva gioito della notizia della morte del principe Loki, ne fu impietosito.

Loki… il suo Loki…

«Emily, non fare così… ti supplico! La morte di Loki è una tremenda notizia che addolora tutti noi, e io più di chiunque altro riesco a comprendere il tuo dolore… Emily, per i Nove Regni, ascoltami!» Tuonò scuotendola con vigore, cercando di farla calmare.

Ma lei non rispondeva più. Restava in silenzio, lo sguardo perso nel vuoto e le lacrime che continuavano a rigare con lentezza il suo volto; a Thor parve la strana parodia di una bambola di porcellana, una di quelle con cui era solita giocare lei da bambina. Ad un tratto Odino si avvicinò a loro, il dolore impresso nel suo unico occhioe la stanchezza nel viso, subito seguito da una Frigga piangente e spossata. Quest’ultima cercò di asciugarsi le lacrime che le solcavano il viso, improvvisò un sorriso consolatorio e di circostanza e andò da Emily, che sembrava essere entrata in trance.

«Vieni, cara» Incominciò, prendendola delicatamente per mano. «Questo non è un luogo adatto a te».

Emily sentì la voce di Frigga come se si fosse trattato di un’eco: era lontana, così lontana che faticava quasi ad udirla, ma quando sentì sfiorarsi la mano si ritrasse come se si fosse appena scottata.

«No» Sussurrò, la voce così flebile e bassa da sembrare quasi un pigolio. «Non posso…».

Tutti cominciarono a osservarla con curiosità e insistenza e Frigga stessa per un momento non seppe cosa dire; nonostante ciò, cercò di farle riprendere il nume della ragione e fece per stringerle delicatamente le spalle ma quella, prevedibilmente, si scansò e arretrò di qualche passo. Nell’aria cominciò ad esserci uno strano clima di tensione.

«Devo andare a casa» Continuò, la voce tremolante e minuta. «Mi dispiace…» e prima che potessero fare qualcosa per fermarla, corse via lasciandoli sorpresi e straniti. Le parve di udire Thor, o forse Fandral o Volstagg, chiamarla, ma non ci badò. Non le importava di risultare irrispettosa, né di sembrare pazza. Loki non era più con lei e tutto aveva perso di significato. Non le importava più di niente. Voleva solo sparire.

Si diresse velocemente verso il Bifröst, il cuore che le martellava nel petto e un profondo senso d’angoscia a lambirle le viscere, e per tutto il tragitto continuò a sperare che si trattasse di un incubo, che presto si sarebbe risvegliata e avrebbe rivisto Loki accanto a sé: i capelli corvini scompigliati sul cuscino e le labbra dischiuse in un piccolissimo ovale. Lo avrebbe abbracciato forte e gli avrebbe detto quanto realmente lo amasse, perché solo adesso si era resa conto di quanto la sua assenza fosse devastante, di come la sua voce, il suo sguardo derisorio e le sue mani affusolate le mancassero e di come il pensiero che lui non fosse più accanto a lei la stesse uccidendo dentro. Lo voleva con lei, per gli dèi, e lo voleva subito!

Voleva svegliarsi.
Doveva svegliarsi!

Ma quando arrivò dinanzi al Bifröst, ormai ridotto a condizioni disastrose, Emily comprese che quello non era un sogno e che quello che stava vivendo era la realtà. Una realtà brutta, tragica e nefasta; una di quelle che ti arrivano addosso senza che riesci ad accorgertene e che ti lasciano stordito, senza parole o lacrime da versare.Si sentiva morire, perché sapeva che Loki non sarebbe mai più tornato da lei. Non avrebbe mai più potuto parlare con lui, baciarlo, sfiorare la sua pelle o incontrare il suo sguardo sfuggevole e derisorio, sentire la sua risata roca e malinconica. Era andato via, e lei non  aveva potuto fare niente per fermarlo.
La brutalità con cui giunse quella constatazione fu così paurosa e inaspettata che  le  fece perdere l’equilibrio e cadere bocconi per terra; si sentì male, malissimo, e non riuscì a fare altro che premersi le mani alla bocca e piangere, aspettandosi chissà quale miracolo o che qualcuno le dicesse che quello era solo uno stupido scherzo. Una burla architettata per farla stare male. Nonostante la realtà fosse evidente, qualcosa dentro di lei continuava a negare, negare e negare ancora. Non voleva crederci, la terrorizzava il solo pensiero.

Loki non è morto… non è morto!

Un luccichio attirò la sua attenzione e voltandosi, si accorse che provenisse da un esatto punto del ponte. Si alzò e quasi correndo si avvicinò ad esso. Quando riuscì a capire di che si trattava,  un amaro sorriso le incurvò le labbra sottili.

L’Anello di Claddagh.

E poi fu tutto chiaro. Emily capì. Qualcuno aveva ingannato Loki, inducendolo credere a chissà quale terribile menzogna, e aveva fatto in modo che si scagliasse contro Thor, distruggendosi con le sue stesse mani. Era già tutto premeditato, e lei aveva involontariamente collaborato al piano. Emise un verso stizzito con le labbra e un sorriso triste gliele incurvò: come aveva fatto Loki credere a un’idiozia simile?

Stupido caprone. Come puoi definirti il Dio degli Inganni se ti fai mettere nel sacco così facilmente, eh? Brutto idiota. Quando ti prendo giuro che ti… io ti… ti…

La realizzazione del fatto che non avrebbe potuto fare nulla fu così angosciante e crudele da lasciarla senza fiato, ed Emily non riuscì a fare nient’altro se non stringersi le ginocchia al petto e nascondere la testa fra di esse nel tentativo di celarsi da tutto e tutti. I ricordi le tornarono prepotentemente in mente ed ebbero la stessa brutalità di rasoi affilati che scavavano nella carne sempre più in profondità, uccidendola lentamente. Era una sensazione devastante, impossibile da soffrire.
Chi sapeva di loro due? E soprattutto: perché aveva compiuto un’azione simile? Cosa voleva da loro? O meglio, da Loki? Non lo sapeva, né probabilmente lo avrebbe mai saputo, ma il pensiero le faceva ribollire il sangue e le metteva addosso una furia così irruenta che fu costretta a mordersi a sangue il labbro inferiore pur di non urlare. Pianse di rabbia. Il dolore insostenibile per la morte – o meglio, l’assassinio – di Loki le faceva male, la corrodeva dall’interno.

Improvvisamente qualcosa si poggiò sulle sue spalle e lei sussultò spaventata, smettendo immediatamente di piangere. Si voltò di scatto e la sua visuale venne occupata dal viso di Thor, che la osservava con la commiserazione di chi condivide un dolore. Non disse nulla, ma il suo sguardo valle più di mille parole. Le porse la mano, che afferrò con titubanza, e l’aiutò ad alzarsi. Le sorrise e il suo fu uno dei sorrisi più tristi che aveva mai visto in vita sua.

«Mio fratello era molto legato a te, piccola Emily» Disse a bassa voce. «E viceversa» Emily sentì lo stomaco contrarsi in una morsa e strinse i pugni. «La tua lealtà nei suoi confronti ti fa onore e al Palazzo ci sarà sempre posto riservato a te e alla tua famiglia» Continuava a non parlare, fissava Thor con sguardo vacuo, vuoto. Lui sospirò, sinceramente affranto, e le poggiò un mano sulla spalla. «I sentimenti che ti legavano a mio fratello, Emily, il pericolo e…».
«L’amore mi legava a lui*».
Thor tentennò un po’ a quell’interruzione, ma non disse nulla al riguardo. «… la fedeltà, non verranno dimenticati. I midgardiani parleranno di voi per secoli, scriveranno leggende e storie senza fine».
«Non voglio leggende sul mio conto e nemmeno lui le desidererebbe. Voglio soltanto riaverlo indietro…».

Calò un silenzio pesante, in cui nessuno sapeva cosa dire o fare, finché ad un tratto Thor prese la parola: «Mi dispiace per la tua perdita, Emily, ma so cosa stai provando giacché Loki era pur sempre mio fratello e nonostante tutto io continuo ancora a volergli bene… Mi dispiace solo di essermene reso conto troppo tardi. Voglio solo che tu sappia, che fino a quando ci sarò io non sarai mai da sola in mezzo a questa tempesta, e che prima o poi il sole tornerà a splendere anche su di noi. D’accordo?».

Ma Emily non lo ascoltava. Stava in silenzio, il capo chino e lo sguardo fisso sui propri piedi. Non riusciva a sopportare le parole di Thor, le sue frasi fatte e moraliste, il fatto che cercasse di aiutarla nonostante lei non avesse chiesto alcun tipo di soccorso. Voleva stare da sola, non voleva vedere nessuno. La sua presenza la irritava soltanto e il fatto che anche solo pensasse di poter provare un minimo del suo dolore la mandava fuori da gangheri. Era insopportabile. Nessuno poteva sapere quello che stava passando, soprattutto lui che non aveva fatto altro che denigrare Loki e trattarlo come un inetto per tutta la vita. Ad un tratto, forse per levarselo di torno o farla finita con quella farsa, annuì mestamente col capo e cercò di abbozzare un sorriso tremolante e incerto.

«Devo andare a casa, Thor. Mia zia mi starà aspettando e… e devo ancora dar da mangiare a Fenrir. Sono felice che tu sia tornato, sul serio. Però… però adesso io… Io devodevo…» La voce le si spezzò in gola, tramutandosi in un singhiozzo basso e scosso, e improvvisamente tutte le lacrime che aveva cercato di trattenere nel tentativo di sembrare forte e coraggiosa sgorgarono dai suoi occhi, senza che lei potesse fare nulla  per fermarle. Si sentì una stupida, debole, perché se c’era una cosa che detestava fare era piangere davanti agli altri. Era denigrante, imbarazzante ed irritante e se Loki l’avesse vista in quello stato l’avrebbe certamente presa in giro con una delle sue battutine di scherno.

Cercò di asciugarsi in fretta e furia il viso, rossa sia di vergogna che per il pianto, e balbettò qualcosa come “devo davvero andare a casa, è tardi, tardissimo…”  nel tentativo di andarsene velocemente, speranzosa nel fatto che Thor l’avrebbe lasciata andare, ma lui fu più veloce: allungò un braccio e con uno strattone deciso l’attirò a sé, stringendola in un abbraccio. Era uno di quegli abbracci che si scambiavano i fratelli o gli amici molto stretti, non c’era nulla di malizioso o sentimentale, ma prima che potesse accorgersene Emily si ritrovò a piangere più forte di prima sulla sua spalla e stavolta non fece niente per trattenersi. Doveva sfogarsi, urlare e fare qualcosa, ma l’unica cosa che riuscì a fare fu stringere più forte il lembo della maglia di Thor e nascondere la testa nel suo enorme petto quasi come se così facendo potesse sparire. Pensava a Loki e ogni ricordo era come una sferzata di frusta; e nonostante volesse sul serio smettere di piangere e cercasse impedirselo in tutti i modi, si accorse ben presto che era l’unica cosa che potesse fare in quel momento.

Restarono così per un lasso di tempo che ad Emily parve infinito e alla fine, con gli occhi gonfi di lacrime e il naso completamente rosso, si accorse che Thor fosse rimasto lì per tutto il tempo senza dire nulla.

«Grazie» Mormorò impacciata, tra un singhiozzo e l’altro.
«Sii forte, piccola Emily» Le rispose. «Non devi piangere. E’ una cosa che fanno i deboli e non è affatto onorevole. Bisogna sempre tirare avanti, in un modo o nell’altro, anche se fa male. Alzare la testa. Tienilo sempre a mente».

Ma quando alzò il capo per incontrare il suo sguardo, Emily si accorse che anche lui, silenziosamente, stava piangendo.
 
 
 
 
 
 
 - Note dell'autrice!

*citazione dal film “Match Point”.
*citazione dal libro “Intervista col Vampiro”.
*citazione dal libro “intervista col Vampiro”.
*citazione dal libro “intervista col Vampiro – again and again XD*


Oh, mamma mia. Eccoci giunti all'ultimo capitolo! Non riesco ancora a crederci ç\\\ç
Ho davvero tantissimo da dire a riguardo, ma vi farei troppo "spoiler" riguardo l'epilogo e dunque preferisco dare una "conclusione finale" al prossimo capitolo (no, in realtà il problema è che non ho ancora realizzato di aver terminato questa storia, dunque cerco di allungare la cosa il più possibile perché mi fa male fisicamente mettere nero su bianco che è finita. Capitemi, vi prego).
Mi dispiace enormemente di avervi rifilato un capitolo così drammatico! A mia discolpa, dico che avevo scritto fin dall'inizio che avrei seguito gli sviluppi della storia e così è stato! Spero di non aver urtato nessuno, mi dispiacerebbe tantissimo perché tengo davvero tanto a questa storia e ai suoi lettori. :)

Per inciso: sono davvero frustrata; una grandissima parte di me vorrebbe scrivere un sequel, ma l'altra mi dice di non farlo perché non lo seguirebbe nessuno ( con i sequel funziona sempre così...). Mi sento tanto come Harry Potter quando nel quinto libro era indeciso sul fatto di andare o non andare all'ufficio Misteri per trovare Sirius, quindi immaginatevi il mio stato d'animo.

Ringrazio di cuore tutte le persone che hanno recensito lo scorso capitolo, i nuovi lettori che hanno messo la storia nelle preferite\seguite\ricordate e la mia amica
Evilcassy per avermi aiutato a betare il capitolo ed essere sempre così gentile con me. Grazie mille Cassy! <3 <3 <3

Sarebbe davvero fantastico ricevere diversi pareri riguardo questo capitolo, perché credetemi sono PARECCHIO in ansia al riguardo (chi mi ha su Facebook lo sa bene). Quindi, se vorrete recensire e farmi sapere un parere, la cosa sarà parecchio gradita! ^-^


Vi lascio i miei indirizzi Facebook, Ask.fm e Tumblr, alla quale mi sono iscritta da poco.

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Ci vediamo all'epilogo - che, se tutto va bene, verrà postato tra un paio di giorini! :)

Vi mando un grandissimo abbraccio virtuale!

   
 
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