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Autore: Yuffietheninja    30/06/2013    2 recensioni
Una giovane ninja che ha sempre cercato la felicità ... Ma un giorno, la sua vita cambierà, e nulla sarà più come prima. Il suo viaggio la porterà a scoprire i segreti del Pianeta, della vita e del proprio cuore.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cloud Strife, Un po' tutti, Yuffie Kisaragi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: FFVII
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Capitolo 4 – Il deserto dei peccati

“Yuffie? Yuffie, svegliati”.

“Siamo finalmente riusciti a farla star zitta, cosa vuoi di meglio?”.

“Vorrei che si svegliasse, e ora vedi di tapparti tu la bocca, gatto”.

Sentendo parlare, tentai di svegliarmi. Emisi un mugugno, o qualcosa del genere, comunque un suono indefinito, attirando l’attenzione. Aprii lentamente gli occhi. Ero stesa per terra su qualcosa che a prima vista sembrava sabbia, ma non avrei potuto dirlo con certezza, vedevo tutto sfocato. Mi girava terribilmente la testa e mi faceva male tutto, specialmente la suddetta parte del corpo.

“Yuffie, come ti senti?”.

“Non so come rispondere, mi fa male tutto, mi gira la testa e vedo sfocato … tutto sommato direi che potrebbe andare meglio”. Tra l’altro, ancora faticavo a capire con chi stavo parlando. Mr. Qualcuno mi aiutò ad alzarmi, prendendomi per una mano e con l’altra sulla mia schiena. Mi misi la mano libera sulla testa.

“Scommetto che ci vorrà parecchio prima che passi …”.

“Guarda il lato positivo: col volo che abbiamo fatto, è già tanto che siamo tutti interi”.

“Perché, c’è un lato positivo? Oh, bene, ora mi sento davvero meglio. Devo farti notare che siamo chissà dove? A proposito, ti dispiacerebbe dirmi chi sei?”.

“Sei diventata cieca? Sono Cloud”.

“Te l’ho già detto che ci vedo sfocato …”. Cominciai lentamente a ricostruire quello che era successo. Il buco nel pavimento, il robot che mi butta dentro, la caduta, il tonfo. Cavolo, avevo dato davvero una bella botta. All’improvviso mi accorsi di sentire male al braccio. Ricordai che il robot mi stringeva proprio in quel punto. Quando lo guardai, vidi un livido. O meglio, INTRAvidi.

Ci mancava solo questa.

“Ti fa male?” mi chiese il ragazzo.

“Insomma, stavo meglio senza, ora me lo devo tenere. Non sarà questo a fermarmi, il problema maggiore ora è capire dove siamo”.

“Oh, facile. Ci troviamo nel deserto attorno al Gold Saucer, chiamato la Prigione del Deserto. Qui vengono spediti tutti i peggiori criminali. Pare non ci siano vie d’uscita da questo luogo. Tutto intorno alla zona ci sono le sabbie mobili, quindi l’unico modo per uscire sarebbe aggirarle”. Dato quanto quella voce era fastidiosa, avrei giurato che era il gatto a parlare. E infatti era così.

Rimanemmo ancora qualche minuto lì. Pian piano cominciò a tornarmi la vista, così cominciammo a dare un’occhiata a quel posto. Era pieno di gentaccia: le loro facce mettevano quasi paura. Senza accorgermene mi ero incollata al braccio di Cloud, che cominciò a guardarmi storto. Quando me ne resi conto, balzai all’indietro, cominciando a farneticare alla ricerca di una scusa. Cosa ne uscì fuori? Che la mia era stata una “reazione nervosa da stress”. Tutto sommato, potevo tirar fuori di peggio. Il biondo fece finta di niente e allungò il passo.

Non ne combino una giusta …

Qualunque cosa facessi, facevo un disastro. Me lo dicevo sempre che dovevo essere meno impulsiva, ma era più forte di me, non ci riuscivo. Fatto sta che dopo pochi passi vedemmo in lontananza Barret, così gli andammo incontro. Di fronte a lui giaceva un uomo morto, trucidato nello stesso modo di tutti gli altri su alla Battle Square: pallottole.

“Barret, spero che non sia stato tu a fare tutto questo”. Cloud si avvicinò a lui, che di tutta risposta gli gridò contro che aveva un affare da sistemare. La nostra mina vagante corse via, di nuovo. Il punto di partenza era sparito, dovevamo ricominciare da zero.

“Quello è un amico vostro? Sembra proprio pericoloso …” osservò il gatto.

Ma bravo, hai scoperto l’acqua calda.

“Sei un vero osservatore dell’ovvio, lo pratichi come sport? Perché se sì sei proprio bravo, meriti l’oro olimpico”. Le battute migliori, per una strana legge del cosmo, le tiravo sempre fuori nei momenti peggiori. Fui fulminata da un’occhiataccia di Cait Sith, mentre Cloud fece una faccia rassegnata.

Riprendemmo le ricerche di Barret. Girammo a vuoto per parecchio, tra l’altro sembrava che uno dei banditi lì dentro ci avesse preso di mira. Avrei giurato che ci stesse seguendo.

No, Kisaragi, ancora non hai capito: il tuo cervello è bacato. Se ogni cosa che credi fosse vera, staremmo messi davvero male.

Già, non ho tutti i torti …

Arrivammo di fronte ad una casa. Già, che cosa ci faceva una casa nel bel mezzo di una prigione? Una prigione in un deserto, poi. Mistero, non lo venni mai a sapere. Era un po’ malmessa, le tegole quasi crollavano giù dal tetto, per non parlare dei muri, l’intonaco cadeva a pezzi. Toccai il muro per vedere quanto era in decomposizione. Come lo sfiorai venne via un pezzo.

“Hai deciso di smontarla o la vuoi lasciare in piedi?” mi chiese il biondo.

“Secondo me una mano di vernice non ci starebbe male” sentenziai, fra la rassegnazione generale. Dopo la mia geniale osservazione, entrammo dentro. E dentro era ancora peggio di fuori. Divano bucato con le molle saltate come la mia pazienza, armadi rotti, vernice totalmente ammuffita. E in effetti c’era anche un certo olezzo di muffa.

“Certo che potevano sistemare un po’ la tappezzeria qui dentro! Sembra una discarica”.

“Non sembra una casa abitata, perché mai la dovrebbero sistemare?” disse Cait.

“Beh, sai com’è, se fosse sistemata magari qualcuno ci vivrebbe … Io di certo con questa puzza non ci starei nemmeno morta!”.

All’improvviso entrò Barret, spalancando la porta già penzolante con una delicatezza che la fece quasi staccare dai cardini.

Aggraziato come un elefante …

“Vi avevo detto di non venire!” gridò. Pensò un attimo, poi ci puntò contro la mano con la mitragliatrice. Sembrava in procinto di sparare, così mi nascosi dietro Cloud.

“Grazie, ho sempre sognato di fare lo scudo umano …” sussurrò.

“Ehi, ehi, un attimo, vogliamo solo parlare! Non c’è bisogno di sparare!” disse il gatto con una certa paura nella voce. Barret cominciò a sparare verso di noi, per poi fermarsi dopo un po’. Mi girai di scatto, per vedere il bandito che mi sembrava ci seguisse cadere a terra ucciso dai colpi di Barret.

Allora non me l’ero sognato.

“Non voglio coinvolgervi in questa storia, tutto qui” disse l’omone. Dalla porta comparvero le ragazze e Red XIII. Sembravano stare bene, fortunatamente.

“Sbaglio o questa è la battuta di Cloud?” disse sarcasticamente la fioraia. Barret sembrava quasi stupito dal fatto che tutti fossero preoccupati per lui. Non è forse questo quello che succede quando si hanno degli “amici”?

Chi lo sa, magari avere amici non è poi così male.

“Abbiamo sentito che nella Battle Arena ci sono stati degli omicidi …” disse Red, lasciando a metà la frase. Barret aveva capito, così decise di spiegarci la situazione. Era anche ora, dopo che era fuggito in lungo e in largo senza aprire bocca.

“Vedete, c’è un’altra persona con una mitragliatrice al posto di una mano. È successo quattro anni fa … Stavo tornando con Dyne dal reattore Mako, quando un anziano di Corel ci venne incontro, dicendo che il villaggio era stato attaccato dalle truppe della Shinra. Dalle montagne si vedevano le fiamme che bruciavano ogni cosa. Io ero … a pezzi; ma Dyne mi disse che non era finita, che potevamo ancora tornare al villaggio per aiutare. Purtroppo era tardi. Le truppe della Shinra ci avevano trovato. Uccisero il vecchio e ci presero di mira. Riuscimmo a scappare per poco, perché arrivò Scarlet, uno dei capi della Shinra, che guidò le operazioni per ucciderci. Dyne scivolò dal dirupo, ma riuscii ad afferrare la sua mano. Poco dopo però … uno dei proiettili ci colpì, separandoci. Non fui più in grado di utilizzare il mio braccio destro. Decisi di farmi impiantare una mitragliatrice al posto della mano persa, per avere la mia vendetta sulla Shinra. Venni poi a sapere che anche un’altra persona aveva fatto la mia stessa operazione, ma al braccio sinistro. Capii che era Dyne” ci spiegò.

Ma che storia avvincente e commovente. Quasi mi viene da piangere. Patetico.

“Se è così, allora Dyne ci darà una mano a combattere la Shinra” disse Tifa.

“Non ne sarei così sicuro. Intanto, ciò che devo fare è scusarmi con Dyne. Ma stavolta andrò da solo”.

“Fai quello che ti pare … Vuoi che ti dica questo, vero? Beh, mi dispiace, ma non posso. Perché se muori per colpa mia, stanotte avrò gli incubi”. Anche se scherzava, il SOLDIER lo disse così seriamente che … sembrava serio. E sinceramente, spero che non lo fosse.

“Barret, andiamo. Sai che lo facciamo per te” disse la barista con un tono rassicurante. Tutta quella sdolcinatezza mi avrebbe fatto venire una carie.

“Me**a! E va bene, fate come vi pare!” non sembrava molto allegro della sua stessa scelta, ma non lo aveva obbligato nessuno. E indovinate un po’ a chi toccò andare con il duo dell’allegria? Esatto, proprio alla sottoscritta. Mi avrebbero pagato loro le sedute di psicanalisi se fossi andata in depressione per colpa loro, sia chiaro.

Cominciammo a dare un’occhiata in giro: certo che di quella catapecchie cadenti la prigione ne era stracolma.

Continuo a dire che una verniciatina non farebbe male.

L’unica cosa di interesse che trovammo fu una casa con dentro un certo Mr.Coates, che ci disse che se volevamo “salire” l’unico modo era vincere la gara di Chocobo. Ma noi eravamo, detto in parole povere, degli sfigati, e dovevamo avere il permesso del boss per partecipare alla gara.

Non potevi essere più chiaro. Chi è il boss? E che vuol dire “salire”?

Riprendemmo la ricerca di Dyne: continuavo a chiedermi come avevamo la sicurezza che fosse lì. Chi ce lo confermava? L’avevate visto? In fondo avevano dato la colpa dell’incidente a noi, poteva anche essere fuggito dal Gold Saucer prima di essere beccato e sbattuto nella Desert Prison. Ma tutti sembravano convinti della sua presenza in quel luogo, perciò tanto vale uniformarsi al pensiero comune. Nella zona centrale della prigione, tanto per capirci quella dove si concentrava la maggior parte dei reclusi, non cavammo un ragno dal buco, perciò mi decisi finalmente a proporre di cambiare zona, anche perché dopo due ore sotto il sole cocente del deserto non ne potevo assolutamente più di girare a vuoto sempre nello stesso posto. Stranamente, il mio consiglio fu ben accolto; ci spostammo quindi nella zona più periferica della prigione. Da quelle parti c’era il nulla, lì si capiva ancora di più di essere in un deserto. Volevo avvicinarmi all’area delle sabbie mobili, tanto per vedere se c’erano davvero o era solo una voce buttata là tanto per convincere i prigionieri a non tentare la fuga. Per fortuna, una volta tanto prevalse il buonsenso: capii di aver fatto già abbastanza guai in giornata, perciò mi tenni lontana dagli “aspirapolvere di sabbia”.

Arrivammo in una specie di discarica: c’era davvero di tutto, specialmente rottami di macchine impilati l’uno sull’altro. Mi chiedevo cosa sarebbe successo se fossero crollati quei cumuli. Già mi immaginavo il titolo dell’articolo sulla Gazzetta di Wutai: “Desert Prison sommersa da un’onda anomala di rottami automobilistici: centinaia di ladri e assassini rimasti feriti”.

Frena la fantasia e torna in te, Yuffie. Spari fin troppe cretinate.

Poco più avanti rispetto alla discarica c’era un promontorio. Chiariamoci, più che un promontorio era uno strapiombo, uno strapiombo che terminava nel vuoto, il promontorio fa troppo romantico. Fatto sta che lì c’era lo strapiombo, una casa mezza distrutta (e non c’entravo io, una volta tanto), delle croci piantate nel terreno a mo’ di tomba e … Dyne. L’avevamo trovato finalmente, la causa delle nostre sofferenze, dei nostri patimenti e della nostra permanenza in prigione. Ci doveva come minimo delle spiegazioni e un cartellino “Esci gratis di prigione”, perché non volevo rimanere lì dentro a vita. Stava sparando, sparando a vuoto.

“Dyne, sei davvero tu?”.

No, è suo zio.

Barret si avvicinò a lui, che come sentì la voce dell’amico smise di sparare e lo cominciò a guardare fisso in volto. Aveva uno sguardo che incuteva timore … Lo sguardo di un pazzo.

“Una voce che non sento da anni … Una voce che non dimenticherò mai”. La sua voce confermava la mia tesi: si sentiva la follia. Probabilmente la solitudine l’aveva fatto uscire di testa.

“Ho sempre sperato di poterti rivedere un giorno, Dyne … È passato così tanto tempo …”. Barret forse non aveva capito con chi stava parlando. Quello non era più Dyne, era un pazzo, uno psicopatico, un assassino. Barret si avvicinò a lui, volendo forse spiegargli cosa era successo il giorno in cui si erano separati. L’uomo però non ne volle sapere di parlare civilmente. Sparò a terra, costringendo Barret a fermarsi.

“Sento la sua voce … È lei …”. Ok, gli erano proprio saltate tutte le rotelle. Il gigante lo guardava stranito, non capiva. Penso proprio che in quel momento, Dyne pensava di aver sentito la voce di un fantasma.

“Eleanor … mi sta dicendo di non farvi del male. Ecco perché non vi ho uccisi …”.

Grazie della clemenza, Mr. Parlo-con-i-fantasmi.

“Non ti chiedo di perdonarmi, Dyne, perché capisco che non potrai mai … Ma perché hai ucciso tutte quelle persone? Che ci fai in un posto come questo?”. Barret sembrava essere davvero in pena per l’amico di vecchia data: il fatto è che si stava rendendo conto anche lui di ciò che l’amico era diventato.

“Perché?! Che te ne importa?! Ai morti non importano le tue scuse, né quelle della Shinra. E NON IMPORTANO NEMMENO A ME! Hanno usato scuse per manipolarci, ci hanno preso tutto … e così come l’hanno preso, l’hanno distrutto. Ma se ancora ti interessa una spiegazione, te la darò. Io voglio distruggere tutto. Le persone di questa città. La stessa città. Il mondo intero! Non mi è rimasto nulla. Marlene, Eleanor, Corel …”. Più parlava, più quel pazzo mi faceva paura. Continuava a sparare con quella maledettissima mitragliatrice. Ad ogni frase accompagnava uno sparo. La sua voce sembrava calma, ma di tanto in tanto alzava la voce, gridava, e parlava in uno strano modo.

“Dyne, Marlene è viva!”. Non so chi fosse Marlene, ma Dyne si girò e guardò Barret con una faccia perplessa, come se non ci credesse. Chiesi a Cloud chi fosse Marlene, e il ragazzo mi rispose che era la figlia di Barret, o almeno così credeva fino a quel momento. Barret spiegò a Dyne che la trovò fra le macerie, pur credendo che fosse quasi certamente morta.

“Quindi è viva …”.

“Dyne, andiamo insieme a Midgar, andiamo a trovarla insieme”.

“Mi dispiace Barret, ma dovremo combattere. Eleanor è da sola, perciò devo portarle Marlene”. Continuava a vagare nella sua follia. Ora voleva anche uccidere sua figlia.

“Sei diventato matto, Dyne?! Non puoi ucciderla!”.

“Marlene vuole vedere sua madre, vero? Beh, le sto offrendo questa possibilità!” disse cominciando a sparare. Cloud voleva andare ad aiutare Barret, che di tutta risposta gli disse di starne fuori, perché era un suo problema. Sembrava una risposta registrata, sempre la stessa. La battaglia fra i due amici cominciò. Sembrava quasi il tragico finale di una storia di amicizia, un libro destinato a vedere il suo epilogo nella fine di uno dei due.

Che scena strappalacrime. Uno spettacolo per gli occhi.

Guardavo la scena non più spaventata dalla follia di Dyne, ma quasi eccitata dallo scontro fra i due, una lotta estenuante, senza esclusione di colpi. Stupendo. Il mio egoismo non mi faceva preoccupare della salute né dell’uno, né dell’altro, ciò che mi importava era divertirmi. E mi stavo divertendo nel vedere quel bagno di sangue.

Alla fine Barret prevalse. Dyne sembrava debole, in poco tempo le gambe non gli ressero più, ma nonostante tutto non voleva aiuto. Si alzò a fatica e si diresse zoppicante verso ciò che era rimasto del muro della casa. Ci si appoggiò e cominciò a pronunciare quello che sembrava quasi un discorso da letto di morte.

“Quel giorno non persi solo un braccio … Persi qualcosa di insostituibile. Perché è andata così?”. Barret disse di non saperlo e chiese se quello era l’unico modo per risolvere la questione.

“Te l’ho già detto, voglio distruggere tutto, anche me stesso”. La follia di Dyne … sembrava che se ne stesse andando, lasciando posto ad un ultimo barlume di lucidità.

“Che ne sarà di Marlene, Dyne?!”.

“Quanti anni aveva allora Marlene? Nemmeno uno. Pensi che si ricorderebbe di me? Che mi riconoscerebbe come suo padre? Non mi conosce nemmeno. E poi … ormai le mie mani sono troppo sporche per portarla in braccio …”. Per un po’ calò il silenzio. I due non si guardavano nemmeno. Poi Dyne riprese la parola.

“Barret … Fammi un favore … Dai a Marlene questo ciondolo … era di Eleanor … mia moglie …” disse lanciando a Barret una collanina d’oro.

“Va bene, lo farò”.

“Quindi … Marlene ha già quattro anni … Barret … Non … Non farla mai … piangere …” mentre parlava, Dyne, sempre barcollante, andava verso lo strapiombo. Ad un certo punto, in quel luogo che fino a quel punto era stato coperto dalle nubi, comparve una raggio di sole.

“Dyne …? Cosa vuol dire …?”.

L’uomo arrivò sull’orlo del precipizio. Si girò e guardò in volto il suo amico, versando una lacrima. Poi, si lasciò andare nel vuoto. Barret gridò il suo nome e si gettò a terra in preda allo sconforto.

“Dyne … Nemmeno le mie mani sono pulite … Non potrei portare Marlene nemmeno io …”. L’uomo mitragliatore gridò, e continuava a farlo. Era stato messo un epilogo alla storia, e, come previsto, era stato segnato dalla fine di uno dei due. Una tragedia degna di essere chiamata tale.

 

Tornammo da quel tale Mr.Coates che ci aveva parlato del modo per uscire dalla prigione. Ci ridisse esattamente le stesse cose riguardo al modo per uscire, solo che stavolta sapevamo chi era il boss, Dyne. Così, Barret gli mostrò il ciondolo di Eleanor, dicendo che Dyne ora aveva le sue ragioni per non parlare. Coates indietreggiò un po’ balbettando qualcosa che non riuscii a capire bene. Ci disse che uno di noi poteva salire per la corsa di Chocobo. Finalmente era chiaro che voleva dire “salire”: eravamo esattamente sotto il Gold Saucer, e salire voleva dire andare a disputare la corsa che sarebbe valsa la libertà. Peccato che solo uno poteva salire, vincere ed andarsene, perciò Barret mostrò il suo disappunto prendendo Coates per il colletto della camicia e intimandolo di liberarci tutti. Alla fine, giungemmo ad un compromesso: Coates avrebbe convinto Dio a liberarci tutti, a condizione che Cloud vincesse la corsa. Non sembrava convinto di quella decisione.

“Sbrigati a vincere quella corsa e tirarci fuori di qui!” gli gridò Barret.

“Se non ci vai tu, ci vado io, non dev’essere poi tanto difficile!” dissi. Il biondino mi guardò, al che gli avrei voluto mollare un ceffone e costringerlo ad andare su, perché non ci sarei mai andata io, mai avrei toccato quei luridi pennuti. Alla fine fece le spallucce e disse che ci avrebbe pensato lui. Trattenni con difficoltà una smorfia di disgusto, la mia libertà era condizionata dalla sua vittoria in una corsa di Chocobo. Una donna di nome Ester si offrì di fare da manager al SOLDIER, gli avrebbe procurato un buon Chocobo e lo avrebbe iscritto alla corsa. I due salirono, mentre io e Barret tornammo dagli altri, che ci aspettavano nella casa diroccata.

 

Fortunatamente per lui, il biondino vinse la corsa, e Dio per scusarsi per il malinteso ci regalò una Buggy nuova di zecca e ci disse che Sephiroth era diretto verso Gongaga. Nel sentire quel nome, Aerith mi sembrò un po’ scossa. Dato che dovevo socializzare un po’, le chiesi se conoscesse quel posto. Mi spiegò che era un piccolo villaggio, lo conosceva bene dato che il suo ragazzo era di lì.

Ma che bello, mi mancava giusto di sapere un po’ di pettegolezzi sulla vita privata di questi spavaldi viaggiatori.

Da quel momento in poi, dato che avevamo un mezzo di trasporto, avremmo viaggiato in gruppo. Meglio così, avrei avuto modo di farmi conoscere, farmi credere una personcina non dico perbene, ma se non altro non una delinquente, e poi al momento più opportuno avrei finalmente messo in atto il mio piano. Mi avrebbe fatto comodo per portarlo a compimento trovarmi vicino al villaggio, ma meglio di niente, a quel punto qualunque cosa mi sarebbe andata bene. Aerith, vedendomi assorta nei miei pensieri, mi riportò alla realtà, chiedendomi qualcosa su di me, del tipo età, data di nascita, luogo di nascita … Ovvio che omisi parecchi particolari, come il rivelare da dove provenissi o dettagli sulla mia famiglia, c’era già qualcuno lì dentro che sapeva fin troppo. E stava ascoltando il nostro dialogo, anche se a vederlo sembrava totalmente disinteressato e impegnato nel guidare la Buggy verso Gongaga. La fioraia continuava ad insistere, ma continuai a mostrarmi ritrosa. Di quel passo, presto mi avrebbe fatta parlare, sarei sembrata sospetta altrimenti. Per fortuna, QUALCUNO decise di intromettersi. Cloud le disse che mentre eravamo al Gold Saucer aveva ampiamente provato a farmi raccontare qualcosa, ma non avevo voluto dicendo che non volevo ripensare al passato. Stranamente, la ragazza si lasciò convincere dal farneticare di Cloud e mi lasciò perdere, trovando in Tifa un altro punto di interesse e andando a parlare con lei. A quel punto tirai un sospiro di sollievo e andai da Red XIII, l’unico con cui forse cominciavo davvero ad entrare vagamente in sintonia. D’altronde, di solito eravamo in squadra insieme, perciò ci capitava di frequente di aver modo di parlare. Lo trovavo un tipo piuttosto saggio, anche se un po’ troppo serio. Nonostante tutto era piacevole chiacchierare.

 

Arrivammo nei pressi di Gongaga verso tardo pomeriggio, quando il sole già cominciava a calare. Scendemmo tutti dalla Buggy e ci avviammo verso il bosco circostante il villaggio, dove però trovammo una spiacevole sorpresa: degli uomini vestiti di nero. Erano due, uno con i capelli più rossi del rosso e un che di capelli non aveva nemmeno l’ombra, però aveva gli occhiali da sole. Il rosso era palesemente tinto. Dall’abito che indossavano capii che erano dei Turks, un reparto speciale della Shinra che si occupava di rapimenti e spionaggio; facevano il lavoro sporco, in sostanza. Cloud sembrò irritato dalla loro presenza lì; tra l’altro, quei due parlavano di gossip all’interno del settore. Due Turks che spettegolano, pensa se lo sapesse il loro superiore. Quando si accorsero di noi, ci dissero che erano stati avvisati del nostro arrivo e fummo costretti a sfidarli: peccato solo che dopo un po’ i due si diedero alla fuga dicendo che avevano da fare.

“Reno e Rude hanno detto che sono stati avvisati … Sai che vuol dire questo?” chiede Red a Cloud.

“Sì, vuol dire che c’è una spia fra di noi … Mi fido di ognuno di voi, non posso credere che ci sia un traditore”.

Ma che caro, si fida di ognuno di noi. Svegliati, è palese che il gatto è la spia, si è voluto unire a noi a forza.

Proseguimmo il cammino, passando davanti ad un reattore Mako abbandonato ormai diventato una discarica abusiva peggiore persino di quella nella prigione. Arrivammo finalmente al villaggio vero e proprio. All’ingresso di questo c’era un piccolo cimitero, dove vidi una vecchietta pregare su una tomba. Poco più avanti, un piccolo gruppetto di case costituiva Gongaga. Entrammo in una casa, dove una coppia anziana, vedendo Cloud, gli chiese se fosse nei SOLDIER, chiedendo notizie del figlio di nome Zack. Vidi Aerith rimanere sconvolta nell’udire quel nome. La ragazza corse fuori dall’edificio. Dato che non avevo nulla da fare lì, la seguii.

“Aerith, che ti è preso, perché sei scappata così?” le chiesi.

“Beh, perché Zack … era il mio ragazzo”.

“Perché dici ERA? Non lo è più?”.

“Lui … è morto. I genitori a quanto pare nemmeno lo sanno”. Mi chiedevo perché Aerith avesse deciso di dirmelo così apertamente. In fondo, io non le avevo detto nulla, perché lei lo aveva fatto? Forse nella vita non ci sono solo scambi di informazioni della serie “se parli tu, parlo anche io”. Le dissi che mi dispiaceva e che non era mia intenzione ricordarle “momenti duri”, come se me ne importasse qualcosa. Tentò di scacciare quei pensieri e mi consigliò di cominciare ad avviarmi verso la locanda locale, dato che cominciava a farsi buio. Andammo insieme a prenotare i letti, pagando la camera per la modica cifra di 100 gil. Ci spiegò che in un periodo come quello anche il minimo incasso poteva servire a comprare almeno i beni necessari per la sopravvivenza. In realtà non vedevo alcun problema anche nel non avere soldi: bastava rubare. Così come la Shinra rubava a noi, noi potevamo rubare a loro. È ciò che si definisce “scambio equo”. Già, era proprio questa la convinzione che avevo all’epoca. Aerith andò in camera e si stese sul letto, tentando di dormire un po’. Sembrava davvero a pezzi e, a dir la verità, mi faceva anche un po’ pena. Dopo non molto arrivarono gli altri, preoccupati perla giovane fioraia. Dissi loro che era andata a dormire perché aveva avuto un lieve giramento di testa.

Bella bugia. Non posso mica dire loro la verità.

Avrei tanto voluto andare a fare un giro, peccato solo che quella fosse una brutta zona: un reattore Mako nei paraggi, un piccolo villaggio, un bosco mezzo distrutto. Mi misi dunque a letto, ma non dormii: piuttosto pensai  agli avvenimenti di quel giorno. Il risveglio a Costa del Sol dopo quel sogno assurdo, la gita al Gold Saucer, quel nuovo spiraglio di gelosia, il mio discorso con Cloud … Quel ragazzo cominciava a farmi venire davvero tanti dubbi. Troppi per una che di solito se ne frega di tutto e di tutti. Poi l’incontro con Cait Sith, la cattura, il deserto … e ora anche Aerith che mi ha preso per un confessionale. Non riuscivo proprio a spiegarmi tutta la fiducia che mi aveva dato, mi era venuta a raccontare la sua vita praticamente. Forse le avrei potuto dire qualcosa, ma dovevo attentamente selezionare le informazioni, altrimenti sarebbe andata probabilmente a spifferare tutto al grande capo. Ne sapeva già anche troppo. Dovevo sbarazzarmi in fretta di loro, se avessi cominciato a stringere un legame di amicizia con qualcuno.

L’idea non ti deve nemmeno sfiorare. Mai una volta hai avuto amici.

No, non è vero … Non era così prima di diventare una ladra … Avevo pochi amici, ma ne avevo.

“Sei sveglia?”. Cercai di capire di chi era la voce. Non avevo voglia di aprire gli occhi, altrimenti avrei perso quel poco di voglia di dormire che mi stava venendo. Eppure non riuscivo a distinguere chi aveva parlato. Sentii di nuovo farmi quella domanda. La voce era più vicina, come se qualcuno fosse vicino al mio letto. Aspettai la terza domanda: c’era una certa titubanza nella voce, che era sempre più vicina. Voltai la testa e aprii gli occhi. Era LUI, in ginocchio vicino al mio letto, con gli occhi fissi sul pavimento e un vago rossore sulle gote.

“Cosa succede?” dissi con voce stanca, come per fargli capire che doveva sbrigarsi perché avevo sonno.

“Volevo darti la buonanotte, tutto qui …”. Sentii le mie guance cominciare a bollire, la voce strozzarsi in gola, il cuore battere all’impazzata. Mormorai un grazie e gli diedi anch’io la buonanotte. Poi mi girai verso il muro e lo sentii andarsene. Non sapevo più che pensare. Se avevo già dubbi prima, adesso era come se si fosse alzata una coltre di nebbia.

 

Riuscii ad addormentarmi a fatica. Tra l’altro, sognai di nuovo quella canzone e la ragazza che diceva di essere me. Mi avvicinai a lei. Smise di cantare e mi guardò.

“Ciao Yuffie”.

“Voglio delle spiegazioni”.

“Hai troppe domande. Non posso rispondere a tutto” mi disse con voce dolce.

“Chi sei tu? Cos’è questa canzone che canti sempre? Perché mi sembra di conoscerla?”.

“Troppe domande, te l’ho detto. Posso dirti che è vero, conosci questa canzone, ma non la ricordi con chiarezza. Se tu riuscissi a ricordarla, capiresti chi la cantava”.

“Voglio sapere chi sei”.

“Tu lo sai già. Lo sai perché siamo la stessa persona. Ora devo andare”. Se ne andò continuando a cantare la canzone.

 

La pioggia che cade fuori dalla finestra

Ho scritto il tuo nome con le mie dita

Con chi sei ora?

Chi stai fissando?

NOTE DELL'AUTRICE 

Allora, inauguro questa sezione completamente inutile, giusto così, per buttare al vento tutta la serietà della fanfic. Innanzitutto ne approfitto per ringraziare tutti i lettori (come se ci fosse qualcuno che ancora legge XD) e i recensori, in particolar modo il mio fratellone Kurogami: se non fosse stato per il tuo incoraggiamento non mi sarei mai decisa nè ad iscrivermi ad EFP, nè a cominciare questa fanfic. Ringrazio anche WaterfallFromTheSky e the one winged angel per la loro assiduità nelle recensioni, se non avessi avuto un minimo di sostegno avrei probablimente già abbandonato la stesura della fic. Vi dico solo che dovrete ancora aspettare un pochino per un po' di love, ma non manca molto, resistete!

  
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