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Autore: B Rabbit    30/06/2013    0 recensioni
«Però… perché esageri sempre, Allen?»
Il giovane arcuò tristemente gli angoli delle labbra e socchiuse gli occhi.
«Devo» rispose semplicemente.
Lavi alzò il volto, facendo scivolare piano la gamba sulle sue dita.
«Perché?» disse, sollevandosi dallo sgabello e avvicinando il viso al suo. «Perché “devi”, Allen?»
Il sedicenne si morse il labbro inferiore, confuso dal tono dolce in cui il rosso aveva pronunciato il suo nome.
«Perché?» insistette il più grande, accarezzandogli il viso teneramente arrossato, scrutando i suoi occhi leggermente lucidi per la febbre.
«Perché…» il sedicenne guardò in basso, distogliendo vigliaccamente lo sguardo da lui, ma senza sottrarsi al suo tocco. «Perché… è il mio compito»
'Perché così potrò definirmi ancora “Esorcista”, sotterrando finché posso il “Noah” '
[...]
«Perché non mostri quell’occhio?» disse infine il più piccolo, timidamente.
Il diciottenne aprì le palpebre e lo guardò in silenzio.
«… Ho paura» svelò alla fine.
«Di cosa, Lavi?»

[Sequel di The nightmare inside me]
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Allen Walker, Link, Nuovo personaggio, Rabi/Lavi | Coppie: Rabi/Allen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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.: Can you keep a secret? :.









Archivio N° 1


Bibbia, Genesi XX Versi X-X
E allora il Signore disse: « Stolto, la curiosità si è impossessata di te e a causa di essa sei caduto nel peccato. Ti sei interessato ai miracoli donati ad Abramo ed Isacco, tuoi antenati, e a Giacobbe, tuo signore. Hai cercato di dare un senso umano a miei atti, macchiando il giusto con l’empio. Hai tentato di dare a me, tuo Dio e Creatore, una natura, un inizio e una fine. » Il Signore guardò l’uomo con amarezza, e continuò con voce mossa dal rimprovero: « Tu hai sete di conoscenza, e non di acqua; Io ti aumenterò questa sete: ti darò il permesso e l’obbligo di scoprire e conservare nella tua memoria ogni cosa avvenuta in questo mondo, nel prima e nel dopo. Assisterai ad ogni vicenda che si terrà in qualsiasi terra, sarai libero da vincoli e leggi, registrando ogni storia con imparzialità. Sei felice? Aspetta, non ho finito: a causa di questo compito, dovrai ripudiare casa ed affetti, lasciando il popolo e il nome che dimenticherai presto. Non depositerai mai il tuo cuore in nessun luogo, e non dovrai mai avere reali sentimenti. Stringerai alleanze e tradirai compagni se questo ti servirà a compiere il tuo dovere, ovvero registrare la storia che solo tu conoscerai. »
Il Signore posò una mano sull’occhio destro dell’uomo e continuò: «Io ti maledico, povero Image and video hosting by TinyPic



≈†≈




Inspirò lentamente con la bocca ammaccata, sentendo l’aria gelida raschiargli la gola riarsa ed intorpidita dal sapore metallico del sangue.
Catturò altro ossigeno con un unico e lungo respiro, avidamente, cercando di porre fine all’assordante martellare del proprio cuore.
Ignorò il dolore pungente al ventre che lo artigliava a terra, e stringendo tra le mani la neve tinta di rosso scuro quasi fosse un appiglio, si sedette, maledicendo la propria gamba destra per la sofferenza che gli arrecava.
«Tutto bene, Allen?»
Alzò gli occhi argentei offuscati dal dolore, sorridendo amabilmente all’iride smeraldina intrisa di preoccupazione.
«Tranquillo, Lavi» pigolò, celando dietro al radioso sorriso il respiro affannato.
«Ecco cosa succede quando si combatte con la febbre, mammoletta» ribadì il rosso, con una lieve ombra di divertimento.
L’esorcista aggrottò leggermente le sopracciglia candide, inarcando le labbra rosa perlacee in una piccola smorfia.
«E’ Allen, stupido coniglio» sentenziò, irritato.
Il fulvo rise appena, sfilando via dai capelli scarlatti la bandana imbrattata di sangue rappreso. «Si si, come vuole il bambino»
Il giovane assottigliò gli occhi chiari, senza lasciar fuggire via quella tenera curvatura delle labbra che dovevano ispirare sdegno, e non infantile diletto.
«Un bambino di sedici anni?» marcò con innocenza e orgoglio puerile la cifra, appena conquistata qualche settimana fa tra le risate e gli auguri dei compagni e il ricordo agrodolce di Mana e dei suoi paterni sorrisi.
«Si, un bambino» il rosso sottolineò l’appellativo con divertimento e, deliziato dall’espressione dell’altro, si levò lentamente dal collo la sciarpa sgualcita, guardando l’altro con finta malizia. «Un pargolo dispettoso che si diverte a far preoccupare lo zio»
Inginocchiandosi vicino al bambino, Lavi cinse il collo scoperto del più piccolo con la stoffa amaranto, lasciando ricadere dolcemente le estremità del tessuto sull’uniforme sciupata.
«E da quand’è che siamo parenti, mio signore?» rise appena, liberando con la mano alcuni candidi fili intrappolati nel sangue coagulato della leggera abrasione della guancia.
«Scemo»
E voltando leggermente lo sguardo alla sua destra, Allen osservò in silenzio le piccole giravolte dipinte nell’aria da Tim, felice per la vittoria ottenuta con fatica.
Abbassò gli occhi grigi ed arricciò un angolo della bocca all’insù, scrutando assorto le carcasse informi degli Akuma percorse da bruciature e croci bianche.
«E’ finita…»
Il guercio annuì docilmente con un segno del capo, mentre il golem dorato gli si avvicinò svolazzando e osservò il suo braccio ferito, quasi provasse angoscia per la salute degli esorcisti.
Sul viso del diciottenne si disegnò un leggero sorriso, ed accarezzando con l’indice sinistro il golem, come a ringraziarlo per le attenzioni ricevute, Lavi abbassò lo sguardo, osservando con preoccupazione la gamba ferita di Allen.
«Non puoi camminare in queste condizioni, ti prendo in braccio»
Il sedicenne si lasciò sfuggire un’esclamazione di sorpresa e contrastò ogni suo tentativo di approccio con mugolii vari, guardandolo con stupore e leggero imbarazzo.
«No, fermo, non puoi!»
Il fulvo lo guardò interrogativo provando, invano, a prenderlo in braccio.
«E perché?»
«Sei ferito anche tu, scemo!»
Lavi sospirò.
«Tranquillo, non è niente. Su, vieni» lo tranquillizzò, sorridendogli rassicurante.
Il giovane si dibatté, sfuggendo via da ogni tentativo del guercio, ma colpito dal dolore all’addome diramatosi come un fulmine, si irrigidì, conficcando le mani nella neve in cerca di sostegno.
«Scemo, dovevi ascoltarmi e rimanere in quella vecchia casa, giù a valle…»
Armato di accurata attenzione e finalmente libero dalle opposizioni dell’altro, il diciottenne strinse debolmente la spalla destra del ragazzino, cingendogli con le braccia la schiena e le ginocchia tremanti, sperando di non toccargli distrattamente l’arto lesionato, ma nel momento in cui si rialzò - “Tranquillo, ora ritorneremo a quella vecchia baita e andrà tutto bene” -, Lavi si accasciò a terra, colpito dal dolore al fianco sinistro.
«Lavi!»
Il ragazzo gemette piano, arpionandosi l’anca.
«Dannazione… gli Akuma hanno fatto un bel lavoro, ah…»
Il rosso alzò lo sguardo e sorrise nel notare la preoccupazione brillare nell’argento degli occhi di Allen.
«Tranquillo scemo» soffiò, rassicurando il giovane con lo sguardo.
Il sedicenne avvicinò la mano al viso pallido del guercio e gli sfiorò la guancia con i polpastrelli neri.
«Lavi, non puoi prendermi in braccio, anche tu sei ferito…»
Ma l’esorcista scosse piano il capo e sorrise nuovamente all’altro, pronto a ritentare nell’ impresa, ma dei passi lesti e uno sguardo gelido lo fermarono all’istante.
«La tutela di Allen Walker rientra nel mio incarico da sorvegliante, Bookman Junior»
Il rosso strinse i denti e fronteggiò gli occhi sottili e inquisitori del biondo.
«Allora avresti dovuto difenderlo dagli attacchi di quei Level 3, se hai tanto a cuore la sua protezione» la voce perennemente allegra era ora dura e le sue scherzose parole intessute invece di veleno.
«Lavi! Link non avrebbe mai potu-»
Una fitta di dolore lo zittì severamente, rendendolo inerme al volere dell’ispettore, che lo sollevò adagio.
«Bookman Junior,» lo chiamò con indifferenza, Link, iniziando a camminare e a sprofondare nella neve illuminata dal sole. «Tu ci seguirai a piedi. E non rallentare il passo»
Il rosso digrignò i denti, irato, e trattenendo una bestemmia, si alzò, sopprimendo con orgoglio il senso di debolezza e la sofferenza.

« Yes sir» guard dog, avrebbe voluto dire.



Posò il capo sul petto dell’ispettore, saggiando con la guancia la consistenza della giacca e strofinando la tempia sull’abito leggermente sgualcito, quasi volesse ammorbidirlo con la propria pelle.
Celò dietro le palpebre gli occhi perlacei, con lentezza, e si lasciò avvolgere dalla stanchezza – lieta, per via della vittoria conquistata – e dal debole calore che gli lambiva la schiena e le ginocchia.
Un calore quasi opprimente, indecoroso, sbagliato, perché diverso.
Perché non suo.
Le palpebre si alzarono appena a causa dei lievi sobbalzi del corpo di Link, che marciava verso un posto sicuro, verso quella vecchia casa abbandonata, solo per curarlo, per proteggerlo.
Si lasciò cullare dai passi del compagno e dai lamenti della neve da essi prodotti, e stringendo tra le dita fredde il tessuto rovinato della sciarpa, affondò il naso nella stoffa, accarezzandone la superficie con le labbra leggermente screpolate.
Abbozzò un tenero sorriso e strofinò la punta del naso contro la sciarpa rossa, scovando il profumo non troppo dolce di lui in quel tessuto, inasprito dall’odore assillante del sangue e del fumo.
E ispirando ancora, strappando possessivamente quelle dolci particelle annidate all’interno dell’intrigo di fili vermigli, si accoccolò meglio sul petto del biondo, nascondendo quel flebile sorriso dietro la sciarpa sgualcita.

“ E allora, io farò di tutto per rimanere con te “

Ruotando gli occhi offuscati, osservò il viso radioso di lui e la mano che lo salutò con un lieve cenno veloce, e sorridendo ancora, Allen si addormentò, lasciando scivolar via dalle labbra un tenue soffio e stringendo tra le dita la sua sciarpa e quella debole pace che, seppur smorzata dalla guerra e dal dolore, lo rasserenava.
Semplicemente.

Lavi lo guardò sorridente e socchiuse l’occhio, mormorandogli dolcemente “buonanotte” .



Sentì la morbidezza del materasso premergli contro la schiena, le spalle, e un cuscino accoglierlo dolcemente, infondendogli sollievo; si rilassò sulla confortevole superficie, abbozzando un sorriso.
Il capezzale cigolò appena, annunciando la presenza di un nuovo peso su di esso, e schiudendo le palpebre, Allen notò Lavi seduto vicino a lui, sul letto, che gli sorrideva come sempre.
«Dovreste curarvi» li richiamò Link che, prendendo lo zaino del Finder, si avvicinò ai due ragazzi, abbandonandosi sullo sgabello lasciato vicino alla parete.
«Non è stato un errore mandare il signor Alfonse in paese, da solo?» pigolò il giovane, sedendosi al bordo del letto con qualche acciacco e sorridendo al piccolo Tim accucciatosi sulla sua spalla.
«Tranquillo, Allen, i Finder non sono degli sprovveduti» lo rassicurò il guercio, sfilandosi lentamente la giacca dell’uniforme facendo attenzione al braccio sinistro. «E poi con se ha il talisman e un golem, in caso di necessità»
Il sedicenne annuì piano e sospirò, levandosi, a malincuore, la sciarpa scarlatta e lasciandola sul comodino di fianco, dove la creaturina dorata migrò.
«Oggi vi riposerete, in modo che recuperiate le forze per la ricerca dell’Innocence di domani»
L’ispettore sciolse la cinghia dello zaino e si avventurò all’interno della sacca, tirando fuori le bende, la bottiglietta del disinfettante e i vari strumenti.
«Bene!» esclamò Lavi, unendo forte i palmi delle mani. «Forza Allen, togliti la maglietta che tocca prima a te!»
L’interessato sbatté le palpebre più volte, meravigliato, e scivolò sul materasso per allontanarsi il più possibile dal compagno.
«Scemo di un Lavi, perché prima io!?»
Il fulvo sorrise bonario e avvicinò l’indice alla punta del naso dell’altro.
«Perché hai la febbre e devi metterti il prima possibile sotto le coperte, chiaro
Il giovane strabuzzò gli occhi, mentre le risate del ragazzo colmavano il silenzio della stanza.
«Tu sei pazzo»
Lavi sorrise.
«E tu sei uno sconsiderato»
Link sospirò, ignorando i bisticci, le risposte e le risate dei due, e si alzò, avvicinandosi alla finestra. Poggiò una mano al vetro e scrutò il paesaggio, la neve e gli alti abeti.
E’ andato via questa mattina presto, eppure non è ancora arrivato…
Spostò lo sguardo dalla finestra e osservò gli esorcisti, senza abbandonare, nonostante la scena strana e divertente – “Scemo di Lavi, lascia la mia maglietta!”, “Che c’è, ti vergogni?” - , la maschera dell’impassibilità.
«Il Finder è in ritardo»
I due apostoli si fermarono, quasi rimproverati dalla gravità dell’affermazione elevatasi nel frastuono, e senza lasciare la stoffa nera – per Lavi – e i polsi – per Allen – , voltarono il capo, osservando il biondo in silenzio.
«Non credo che le medicazioni basteranno, sia per le vecchie che per le nuove ferite»
Il giovane abbassò lo sguardo, lasciando il diciottenne libero dalla sua stretta.
«Spero che Alfonse stia bene…» pregò l’inglese, indifferente all’insufficienza delle cure.
«Piuttosto» continuò Link. «Qualcuno dovrà andare in paese a chiamare un dottore. Sempre che ci sia»
«Allen rimarrà qui» rispose prontamente Lavi, sorridendo al suddetto.
«Allora andrai tu, Junior»
... Eh?
Il guercio guardò stranito l’ispettore, la bocca leggermente schiusa per la sorpresa.
«Ma anche Lavi è ferito, Link!»
Il biondo incrociò le braccia al petto.
«Come facciamo, allora? Walker è impossibilitato e io-»
«Vacci tu!» gridò il rosso, indignato.
Il ragazzo scosse appena il capo, facendo ondeggiare dolcemente la treccia bionda sulla sua schiena.
«Il mio compito riguarda la totale sorveglianza di Walker, potrebbe fuggire in mia assenza, e portarlo con me in queste condizioni non sarebbe la soluzione più opportuna»
Il diciottenne si alzò dal letto con una spinta delle mani e si avvicinò al sottoposto di Lvellie, scrutandolo negli occhi rossi.
«Se hai tanta paura che Allen scappi, sigillaci qui dentro con i tuoi pezzi di carta, corvo»
Il sedicenne guardò i due ragazzi, perplesso, studiando le loro mute reazioni e lo scambio reciproco di occhiate, dure e impenetrabili.
«Aspettate, cosa…»
«Voi rimarrete chiusi in questa stanza fino al mio ritorno»
Il rosso inarcò un angolo delle labbra, soddisfatto, e socchiudendo le palpebre, osservò l’ispettore avvicinarsi all’uscita.
«Ogni tentativo di fuga sarà vano» sentenziò con voce atona, quasi come una registrazione statica.
Una volta che la porta fu chiusa – o meglio, sbattuta – il rosso si lasciò sfuggire un sospiro di liberazione, e si abbandonò sul letto spazioso, distendendosi sulle lenzuola bianche.
Il giovane voltò lo sguardo, osservando l’espressione rilassata del compagno e il suo sorriso, e, trascorsi alcuni secondi, si sdraiò anche lui, adagio, avvicinandosi piano a Lavi.
«Cosa volevi dire con “corvo”?»
Il più grande volse il capo e osservò il profilo del ragazzino.
«Link non ha armi o poteri, è… “un tipo da scrivania”, giusto?»
Sorrise a quella domanda, e sedendosi lentamente sul bordo del letto, il guercio si specchiò sul vetro della finestra.
«Pensiamo a curarci ora» disse, quasi volesse slittare la discussione a un momento futuro e, sicuramente, a qualcun’altro.
Allen annuì con un cenno del capo e si sedette anche lui.
«Però prima tu» disse l’inglese, sorridendo. «Altrimenti mi racconti tutto. Ora»
Il diciottenne rise appena, divertito dalla sottile minaccia nascosta dietro quel sorriso delicato.
«Yes sir»
Lentamente, Lavi sfilò con attenzione la maglietta nera, rivelando la contusione e le ferite che marchiavano la parte sinistra del busto.
«E tu volevi aspettare» sbuffò il più piccolo, afferrando il disinfettante, i fiocchi di cotone e le pinze, e sedendosi sullo sgabello di fronte a lui.
«Volevo fare il gentiluomo, come qualcuno»
«Zitto» tagliò corto Allen, imbevendo il batuffolo bianco stretto tra gli artigli di metallo con il liquido antisettico. «E resisti»
Il rosso annuì sorridente, ignorando il lieve bruciore sprigionato dalla pelle lacerata.
Il giovane scrutò assorto il suo addome, accarezzandogli con l’ovatta e mano ferma il profilo dei muscoli feriti, la linea finale delle costole e giù, vicino al morbido contorno dell’ombelico, lasciando scie trasparenti al suo percorso.
«Fa male?» chiese, senza alzare lo sguardo.
«No» mormorò flebile, scuotendo appena il capo. «Tranquillo»
«E tu volevi prendermi in braccio?» impregnò di disinfettante un'altra nuvoletta di cotone, gettando l’altra nel cestino lì vicino.
«Si» rispose con fierezza Lavi. «Ti avrei adagiato sul letto come ogni bravo eroe, e magari poi ti avrei anche ba-argh!»
Allen rise, stuzzicando nuovamente con l’indice il livido che anneriva la pelle rosata del fulvo, che si lamentò, portandosi una mano al fianco.
«Ah, colpito e affondato! Ora morirò!» recitò, sdraiandosi teatralmente con un sordo e tenue tonfo sul materasso.
«Lavi, così sporcherai le coperte!»
Il giovane strinse la mano destra del diciottenne e, facendo appello agli ultimi granelli di forza, lo costrinse a sedersi di nuovo.
«Ma mi hai fatto male!» piagnucolò l’altro, nascondendo con il palmo sinistro il sorriso affiorato sul viso.
Il sedicenne sospirò e arcuò dolcemente le labbra, lasciando gli strumenti sul comodino, e prese il rullino delle bende e i sacchettini contenenti le garze sterili.
«Dai, vieni che ti fascio»
Lavi annuì e allontanò il braccio sinistra dal busto, alzandolo.
L’inglese prese una delle bustine bianche e l’aprì, afferrando i vari quadrati di garza leggermente umida, e, sovrapponendone due, posò gli intrecci bianchi sulla ferita situata poco sotto le costole, vicino l’ombelico, e la fissò con la garza autoadesiva.
Con gli altri tessuti, Allen medicò le lesioni all’anca, poco sopra l’elastico dell’intimo, per poi fasciargli lentamente l’addome con le bende immacolate.
«Qui abbiamo finito» disse, lasciandosi sfuggire un flebile soffio. «Fammi vedere il braccio ora»
«Nah, non è niente quello» rispose Lavi, rimettendosi la maglietta. «E’ una scemenza»
Il giovane rise.
«La capoinfermiera ti avrebbe trascinato per le orecchie in questo momento»
Il rosso sviò lo sguardo verso un punto indefinito e lontano.
«L-lascia stare…»
Il più piccolo rise di nuovo, divertito dall’espressione annuvolata dell’altro che, richiamato dalla sua voce, lo guardò con un leggero sorriso.
«Sei felice, Allen?»
La risata si affievolì velocemente, e due gemme argentee osservarono interrogative Bookman Junior.
«Perché… dici questo?» chiese, con voce fioca.
Il fulvo lo guardò per qualche fugace attimo.
«No, niente…»
Il giovane provò a ribattere, ma il guercio lo zittì, avvicinandogli il braccio lesionato; sospirò, e mentre Tim si appollaiava sul suo capo, vigile, disinfettò e fasciò la ferita.
Lavi si alzò, allungando la schiena per sgranchirsi, e, con fare servile, invitò Allen a sedersi sul letto, annunciando che “Ora è il tuo turno”.
Docilmente, il giovane si lasciò svestire dall’altro, che gettò via la sua maglietta sull’angolo opposto del materasso; scrutò con una leggera smorfia le ferite, la pelle lacerata e le macchie violacee, per poi iniziare la medicazione, armandosi di antisettico e morbidi brandelli di cotone.
Dopo avergli fasciato l’addome, il diciottenne lasciò gli strumenti sul comodino, dove un birichino Tim si era avviluppato nella sua sciarpa, e dopo aver accarezzato e supplicato la piccola pallina – “Ti prego, non mordere anche la mia sciarpa” – , il rosso gli sfilò lentamente lo stivale lacerato.
«No, faccio-»
«Tranquillo» lo rassicurò il più grande, alzando con attenzione la stoffa dilaniata dei pantaloni, rivelando, con stupore, la gamba percorsa da una grande lacerazione.
«Anche tu, allora» disse il guercio, tamponando attentamente i contorni della ferita con un panno per pulire la pelle dal sangue. «Non volevi farti prendere in braccio?»
Il giovane sorrise imbarazzato, cercando di non ritrarre la gamba a causa del bruciore.
«E poi sarei io il pazzo»
Allen si meravigliò del tono grave che aveva rattristato la voce del compagno, e guardò in silenzio la sua figura.
«Perché rischi sempre, così tanto?» disse Lavi, consegnando il panno a Tim e iniziando a posare le strisce di garza sulla lunga ferita.
«Se qualcuno viene ferito, chiedi scusa» fissò i bordi con il tessuto autoadesivo, assicurando bene le fasce sulla sua pelle. «Se non riesci a difendere qualcuno, anche provandoci con tutte le tue forze, piangi»
Prese il rullino delle bende e avvolse con cura la gamba, cercando di non stringere troppo per non causargli dolore.
«Ti annienti per tutti. Umani, Noah, Akuma, non fai distinzioni»
Il fulvo abbandonò il rotolo sul comodino e controllò la fasciatura, accarezzando poi lentamente il polpaccio.
«Però… perché esageri sempre, Allen?»
Il giovane arcuò tristemente gli angoli delle labbra e socchiuse gli occhi.
«Devo» rispose semplicemente.
Lavi alzò il volto, facendo scivolare piano la gamba sulle sue dita.
«Perché?» disse, sollevandosi dallo sgabello e avvicinando il viso al suo. «Perché “devi”, Allen
Il sedicenne si morse il labbro inferiore, confuso dal tono dolce in cui il rosso aveva pronunciato il suo nome.
«Perché?» insistette il più grande, accarezzandogli il viso teneramente arrossato, scrutando i suoi occhi leggermente lucidi per la febbre.
«Perché…» il sedicenne guardò in basso, distogliendo vigliaccamente lo sguardo da lui, ma senza sottrarsi al suo tocco. «Perché… è il mio compito»
Perché così potrò definirmi ancora “Esorcista”, sotterrando finché posso il “Noah”
Allen chiuse le palpebre alla fugace unione delle loro labbra; sorrise, e posò la mano sul petto del fulvo.
Il ragazzo gli baciò la guancia sinistra, lo zigomo, la tempia pulsante, e più su, la fronte, dove risiedeva il pentacolo.
«Sai… Miranda mi ha detto che hai litigato più spesso con Yuu durante la scorsa missione, a Londra…»
Allen schiuse le palpebre, espirando piano.
«E’… per quello, vero?» chiese il rosso, scostando il ciuffetto bianco che minacciava di coprire gli occhi grigio perlacei.
Il giovane annuì in silenzio, stringendo tra le mani la stoffa della maglietta nera dell’altro; scacciò via dalla mente i ricordi di quella notte, la paura che Lavi ascoltasse la conversazione, che la registrasse – perché no, non gli aveva ancora detto nulla su quello che gli era successo – di quando il maestro gli svelò il significato impresso su quell’ombra persecutrice, quando lo chiamò “Quattordicesimo” e gli sfasciò le certezze su Mana.
Quando lo lasciò, solo ad accettare quella macabra previsione.
«Non pensarci» lo destò Lavi, scoccandogli un bacio tra i candidi capelli. «Dimentica. Andrà tutto bene» Allen sorrise debolmente – Come posso dimenticare? Dimmelo – e aprì gli occhi, posando un piccolo bacio sulle labbra del fulvo.
«Andrà tutto bene» ripeté le sue parole con un soffio di voce, come una formula magica pronta a proteggere e preservare quella leggera pace.
Il guercio unì le loro fronti e osservò le labbra chiare del compagno, percorrendone le morbide linee con l’iride smeraldina.
«Credo che ti stia salendo la febbre» constatò. «Dovresti riposarti»
«No» rispose l’altro, sorridendo. «Non ci penso nemmeno»
Il diciottenne rise.
«Devo costringerti?»
«Non ci riusciresti mai»
«Ooh» disse con un brillio malizioso nel verde. «Vuoi scommettere?»
Il ragazzino sussultò a quell’avvertimento – Trema, Allen – e sgranò gli occhi per la sorpresa appena le loro bocche si incontrarono ancora una volta; percepì più chiaramente il bruciore lambirgli il labbro inferiore, ma non se ne curò, cingendo lentamente il collo del guercio con le braccia, concentrandosi sulle ripetute carezze delle loro labbra.
Lavi gli accarezzò piano la schiena nuda, facendo attenzione a non allentare le fasciature da principiante, e, dolcemente, fece sdraiare il sedicenne sul letto, riuscendo furtivamente nell’impresa con la distrazione del bacio.
Il ragazzo gli morse con dispetto il labbro ammaccato, facendo mugolare il più piccolo per il dolore, e allontanando il viso dal suo dopo un fugace bacio di congedo, posò le mani ai lati del suo capo, inarcando un angolo della bocca.
«Allen…» accostò le labbra al suo orecchio, schioccando la lingua vicino alla conchiglia. «Siamo soli»
L’inglese sussultò al tono provocante che impregnava la voce roca e splendida di Lavi, e deglutì appena sentì il suo ginocchio dischiudergli le gambe senza permesso, posandosi sul materasso.
«Aspet-»
«Ssh» lo zittì flebilmente l’altro, iniziando a vezzeggiargli il lobo con la punta della lingua. «Di cosa hai paura?»
Il giovane serrò gli occhi e trattenne il respiro, piegando docilmente la testa di lato, totalmente succube delle sue attenzioni; percepì con chiarezza il caldo lambirgli le membra e bruciargli i muscoli da sotto la pelle bollente, mentre il cuore batteva forsennatamente contro le costole.
«Lavi… Lavi, non possiamo…»
Il più grande sorrise e gli morse la pelle della mascella vicino l’orecchio.
«”Non possiamo” cosa?» lo stuzzicò, accarezzandogli la tempia con la punta del naso, inspirando il suo dolce profumo.
«Idiota» sibilò l’altro di rimando, arrossendo vistosamente.
Il fulvo rise roco, confondendo maggiormente il poveretto con la sua voce.
«Sei uno scemo. Sceeemo» disse il guercio, e con un forte strattone, strappò via il lenzuolo dal materasso e si alzò, coprendo un Allen rosso e sconvolto.
«A cosa pensavi, piccolo pervertito?» sorrise malizioso, divertito dall’espressione irritata del compagno, addolcita dal rossore delle guance.
«Idiota!» gridò in risposta, lanciandogli contro un cuscino che l’altro afferrò prontamente.
«E dai, Allen»
Il diciottenne sorrise all’occhiataccia scagliatagli dal giovane, che si ritirò indignato sedendosi al centro del letto, coprendosi il capo e la schiena con il lenzuolo bianco.
Il rosso si accostò al capezzale e, con il solito sorriso, gattonò lentamente verso il giovane.
«Ne, Allen» si sdraiò di fianco a lui e lo guardò, senza distendere le labbra. «Ti sei offeso?»
Il giovane ignorò la sua presenza e fissò un punto indefinito dinanzi a lui, sulla parete di legno.
«Alleeeen» insistette, strattonando appena la sottile coperta. «Così mi uccidi»
«Non sarebbe male» rispose l’inglese, ridendo poi all’espressione corrucciata del compagno.
«Alleeeen»
L’interessato sospirò.
«Non mi sono offeso, tranquillo» lo guardò con quel sorriso dolce che Lavi tanto amava, posandogli una mano sul viso e accarezzandogli la guancia.
Lavi sorrise, pronto a stuzzicarlo di nuovo.
«Però ti sarebbe piaciuto, vero?»
Il sedicenne gli diede un pizzico alla guancia come risposta, tirandogli la pelle arpionata e ignorando le lamentele dell’altro che, desideroso di sottrarsi alla punizione, cercò di allontanare la mano, ma senza riuscirci.
«Basta, basta! Time out!» ma Allen rise solamente per la sua strana voce, e allora il rosso, per liberarsi, lo strattonò per quel braccio, facendolo cadere così su di sé.
L’inglese si levò leggermente per guardare sorridente il guercio.
«Uffa, volevo che mi supplicassi» sussurrò, fingendosi offeso. «Guastafeste»
Il guercio sghignazzò, giocando con le sue ciocche diafane.
«Tu non sei un angelo, ma un demone bianco»
Il ragazzino rise, posando il mento sullo sterno dell’altro.
«Non sei il primo a dirmelo»
Allen volse lo sguardo verso il fulvo, accarezzandogli il viso con gli occhi, i lineamenti, le labbra; e in quel momento, il giovane notò l’esistenza di un taglio, una sottile linea sulla guancia destra di Lavi, poco sotto la benda nera.
«Ehi, sei ferito, qui» lo informò, indicandogli lo zigomo. «Non lo avevo visto, mi è sfuggito»
Il sedicenne si alzò lentamente e andò carponi vicino al comodino, dove inumidì un fiocco di ovatta con un paio di gocce di disinfettante.
«Togliti la benda, su»
Il rosso sussultò a quella richiesta, sedendosi sul materasso.
L’inglese lo guardò, inarcando un sopracciglio.
«…Lavi?»
«Non voglio» rispose, indietreggiando appena.
«Cioè…» si corresse immediatamente, portandosi una mano dietro al capo. «Non serve, è solo un graffio…»
Il più piccolo lo scrutò per qualche secondo, avvicinandosi a lui.
«Cosa c’è?» chiese il giovane con una leggera preoccupazione. «Qualcosa ti-»
«No» tagliò corto l’altro, una perla di sudore che gli scorreva sulla tempia pulsante. «Nulla»
«Lavi» il giovane lo chiamò ancora, con dolcezza, avvicinando una mano al suo viso pallido.
«Perché non vuoi toglierti la benda?»
Il ragazzo si morse il labbro inferiore, volgendo lo sguardo di lato.
«Perché…» disse con voce leggera, quasi non volesse che le parole giungessero chiare ad Allen; strinse i denti, soppesando la situazione.
«Mi toglierò la benda» dichiarò infine, timoroso. «Ma non aprirò l’occhio»
Il giovane gli prese il mento tra le dita, delicatamente.
«Va bene» rispose, sfiorandogli le labbra con le sue, scettico per la richiesta fattagli.
«Non ti costringerò»
Il fulvo lo guardò, sprofondando in quell’argento lucido quasi fosse alla ricerca di coraggio.
Il più grande sfiorò il tessuto nero della benda e, lentamente, scoprì quel ritaglio di pelle celato da tempo.
L’inglese sorrise e gli baciò le palpebre calate sull’occhio tanto nascosto; avvicinò il morbido batuffolo allo zigomo, e posando la mano sulla guancia destra, tamponò delicatamente la ferita sottile.
Il guercio sospirò, affranto, rilassandosi alle cure del compagno.
«Non essere triste» gli disse il sedicenne, senza fermarsi. «Non addolorarti se non puoi dirmelo»
Lavi continuò a guardarlo, posandogli con delicatezza i palmi sui fianchi.
«E poi» proseguì, gettando il batuffolo sul comodino. «Anche io ti ho nascosto qualcosa, su Mana…»
Allen si chinò e lo baciò dolcemente, accarezzandogli la guancia sinistra.
Il fulvo sorrise sulle sue labbra e, scostandosi appena, gli morse giocosamente il labbro inferiore, senza fargli male.
«Sai» disse, carezzandogli la pelle scoperta dall’intimo. «L’occhio destro è di un colore differente dell’altro»
Il ragazzino l’osservò.
«Però così mi incuriosisci»
Il diciottenne rise.
«Scusa» sussurrò, baciandolo nuovamente.
Il più piccolo sorrise e gli cinse le spalle con affetto, stringendolo debolmente a sé e accarezzandogli i capelli rossi, piano, sfiorandogli a volte la pelle del collo.
Lavi posò le labbra sull’unione del collo e della spalla, stuzzicandogli la pelle con un leggero morso, e sorrise nel sentire le tenere risate del giovane rallegrare la stanza; risalì piano con le mani fino ad incontrare le scapole delineate di Allen, e con la destra scese nuovamente, percependo le vertebre sotto la pelle, la sua e la propria.
«Spero che non sia nulla di grave» mormorò l’inglese, intrecciando le dita con i fili ramati.
Se ti dicessi “Non è nulla” mentirei
Il rosso si scostò, affievolendo l’abbraccio, e abbassò leggermente lo sguardo.
Il ragazzino gli accarezzò la guancia, lasciandogli un bacio sulla fronte.
«Non ti costringerò, l’ho detto»
Lavi chiuse l’occhio, mordendosi internamente la guancia.
«Però lo vuoi sapere, ammettilo»
Il giovane borbottò qualcosa, e il fulvo rise, scuotendo il capo.
«Perché non mostri quell’occhio?» disse infine il più piccolo, timidamente.
Il diciottenne aprì le palpebre e lo guardò in silenzio.
«… Ho paura» svelò alla fine.
«Di cosa, Lavi?»
«Ho paura che quest’occhio estraneo ti guardi, ti scruti nel profondo»
Allen tremò appena a quella misteriosa rivelazione e lo guardò, interrogativo.
«Perché dovrebbe?»
Il diciottenne deglutì, indugiando sulle parole, mentre le mani delicate dell’altro gli accarezzavano la pelle del viso.
«Perché quest’iride quasi non mi appartiene, anche se è insieme a me dalla nascita»
«Non capisco…» confessò il più piccolo, annegando in quel verde alla ricerca della verità.
Lavi rimase in silenzio, in conflitto tra il confessare tutto a lui, alla luce a cui si era legato – andando così contro le regole, perché “Le informazioni su Bookman le può fornire solo Bookman” – , oppure salvarsi grazie al segreto e seguire la ragione, ma appena il calore di quelle mani si insinuò nuovamente nei suoi sensi, nella sua mente, il guercio sorrise, deciso ad abbracciare la pazzia; inspirò e liberò l’aria dalla bocca, guardando il viso del compagno.
«E’ una maledizione, una punizione da parte di Dio»
Il giovane sgranò gli occhi, sconcertato.
«Una… maledizione?»
Il fulvo sorrise mestamente e allungò una mano verso il volto dell’altro, gli accarezzò la guancia imporporata, segnando con l’estremità del pollice la cicatrice rossa.
«Si» confermò, senza affievolire il sorriso. «Però, Allen, la tua è l’ultimo ricordo di un padre che ti voleva bene, che ti amava, e in cui oggi lui risiede»
Il giovane socchiude gli occhi, lasciandosi cullare dalle delicate carezze del rosso.
«Questa maledizione racchiude quasi i sentimenti stessi di Mana, e l’immenso suo desiderio di proteggerti» la carezza morì lentamente insieme al calore che sparì come un’ombra «ma la mia…»
Allen avvicinò la mano sinistra all’iride celata del ragazzo e gli sfiorò con il polpastrello la palpebra chiusa, percependo sotto la pelle i lievi fremiti dell’occhio, turbato dal fugace contatto.
«La tua?»
L’altro sospirò.
«La mia, invece, è nata dall’avidità del sapere. E’ la condanna di Bookman» rispose con una tranquillità disarmante, una serenità nata dalla rassegnazione, triste.
Il giovane gli baciò l’occhio destro, quasi volesse dissipare quella maledizione con un piccolo gesto d’amore.
«Cosa ti spaventa, Lavi?» chiese, baciandogli la tempia e poi la mascella.
«Tu vedi le anime degli Akuma, io invece…»
«Cosa vedi?» insistette con voce dolce, continuando ad incoraggiarlo con i baci.
Il diciottenne sospirò, volgendo lo sguardo di lato.
«Vedo te…» ammise, cercando di assimilare il conforto che quei tocchi imprimevano sulla sua pelle.
Scorgo il tuo inchiostro salire dalle tue spalle, e le sfumature vorticare nefandamente in circolo, creando mille nuovi colori.
«Le tue emozioni…» confessò, percependo la frescura lambirgli il tatto dove le labbra dell’inglese si erano posate.
E questa nube di sensazioni ti tradisce, mi attraversa, stabilendo un legame fra la tua anima e la mia.
«Le tue angosce…»
Serrò i pugni.
«Poiché Bookman è condannato a condividere il dolore altrui nel silenzio della neutralità, attraverso l’occhio di Dio»
Ho paura, Allen.
Perché se affogherò nelle tue emozioni, nel mio petto fiorirà nuovamente un cuore, vero come quello che abbandonai anni prima.
E da quel momento non sarei più in grado di lasciare la tua mano, neanche per un istante.

Il sedicenne gli scostò i capelli dal viso, accarezzandogli la fronte fredda con i polpastrelli.
«Se già i tuoi occhi mi raccontano la tristezza e la malinconia che ti accompagnano, non oso pensare a ciò che questa mia maledizione scoprirebbe in quelle tue iridi» la voce incrinata dal timore della vista richiamarono Allen che, guardando l’espressione abbattuta del ragazzo, avvicinò il volto al suo, baciandolo con dolcezza.
Lavi posò i palmi sul suo viso e gli accarezzò la pelle con i pollici, lentamente, mentre con la lingua inumidiva la linea chiara delle labbra del più piccolo, che gli morse la bocca come divieto, perché ancora imbarazzato da quei tipi di baci.
Ma il rosso perseverò con delicata fermezza, continuando a pregare l’accesso a quell’antro, a chiedergli calore perché dopo quella rivelazione si sentiva fragile e gelido.
Il sedicenne sospirò e socchiuse gli occhi, realizzando il desiderio dell’altro, e schiuse tremante le labbra come se gli fosse stato richiesto uno sforzo immane; e appena percepì la lingua del ragazzo salutare la sua e chiamarla con seducenti carezze, la confusione crebbe in lui insieme al bruciore che lo soffocava, ma non si fece sopraffare.
Il fulvo non si sorprese della reazione del giovane, che seppur tarda e intenerita dalla vergogna e dagli ansiti che gli velavano il palato, fronteggiava i suoi movimenti, voglioso quasi di dettare l’armonia di quella danza fatta di schiocchi e saliva.
Il diciottenne si alzò piano e, sentendo il materasso piegarsi ai suoi movimenti e al suo peso, si inginocchiò, sovrastando in altezza Allen, che lo osservò, socchiudendo gli occhi languidi dietro le ciglia bianche.
Stuzzicò l’inglese con un ritmo crescente, perché lo divertiva sentire il disagio e l’imbarazzo dell’altro sulla superficie della lingua, e allora continuava, finché il ragazzino non si allontanava ansante, guardandolo rosso, o rispondeva con lo stesso ardore.
E il giovane non tardò, tastandogli le pareti lisce della bocca, la timidezza ormai lontana, espirata via come aria.
Il ragazzo fece scivolare le mani dietro la nuca, intrecciando le dita in quei fili di zucchero, e lo attirò a sé per non porre fine a quel contatto, ma appena l’esigenza d’aria crebbe come i battiti dei loro cuori, si separò da lui con uno schiocco.
Ad Allen piaceva quel legame trasparente che univa le loro lingue come ultimo ricordo del bacio, e spezzato quel filo, sottile come composto di ragnatela, sfiorò nuovamente le sue labbra socchiuse con le proprie.


«Allora anche Bookman…?»
«Si» rispose il rosso con tranquillità. «io toglierò questa benda quando prenderò il suo posto»
Il più piccolo guardò con tristezza quel sorriso spento e privo di gioia.
«Lavi» lo chiamò, carezzandogli le guance, lentamente. «Lavi»
Il ragazzo posò il palmo sul dorso della sua mano, osservando in silenzio il brillio degli occhi grigi.
«Vorrei parlarti di tutto, di Mana, delle mie paure e delle mie convinzioni, ma non riesco…»
Il giovane posò la fronte sulla sua e lo guardò.
«Tu mi hai confidato questo segreto» continuò, carezzandogli le guance con i pollici. «Ora aiutami a farlo con il tuo occhio, ti prego»
Il fulvo lo fissò, spiazzato dalla richiesta e dallo guardo privo di incertezze. Sospirò.
«Non puoi chiedermi questo» gli prese le mani e le allontanò dal proprio viso. «Non voglio…»
«Ti prego» replicò senza timore l’inglese. «Ti prego»
Lavi si morse il labbro inferiore ed osservò le loro mani.
«Però» si fermò e gli carezzò nervosamente il dorso nero, soppesando le parole. «Deciderò io quando chiudere di nuovo l’occhio»
Il giovane annuì, baciandogli la guancia destra.
«Si»
Il rosso sospirò, sconfitto, e deglutendo a causa della tensione, aprì lentamente le palpebre destre, svelando lo spettacolo celato dietro quel sipario di ciglia: l’occhio, come aveva accennato precedentemente Lavi, aveva un colore discordante dal gemello, era chiarissimo, una gemma di ghiaccio dalla tenue e fredda sfumatura azzurrina.
Allen osservò il colore meravigliato, sfiorandogli lo zigomo con l’indice e il medio.
«E’ splendido…»
Ma il diciottenne chiuse gli occhi, nervoso.
«…Lavi?»
«Scusami» disse flebilmente. «Ora li… riapro»
L’inglese sorrise e posò le labbra sulla sua guancia, costellandogli lentamente la pelle di piccoli baci.
«Tranquillo»
Il fulvo sorrise a quella voce, dolce e delicata, e aprì gli occhi, mentre l’altro incominciava a lambirgli il collo con la bocca schiusa.
«Cosa senti?» domandò il ragazzino, soffiandogli sulla pelle leggermente umida.
Lavi osservò con ribrezzo un fumo denso e nero salire dalle spalle del compagno, dando vita a una piccola nuvola che si sporcò di grigio scuro.
«Distacco» rispose, percependo un senso di malinconia aleggiargli nel petto.
Il giovane gli baciò l’unione delle clavicole, tirando appena la pelle arrossata con i denti.
«Sono passati circa dodici giorni dalla scomparsa del generale Cross» continuò il rosso, lo sguardo perso in quei vapori. «E non hai mai parlato di quella notte, svelandomi i tuoi pensieri»
Volse lo sguardo verso il comodino, sorridendo al piccolo golem addormentato.
«Forse a Tim, perché in fondo tu temi la solitudine»
Il sedicenne inarcò dolcemente le labbra e gli baciò la spalla scoperta.
«Poi?»
Il ragazzo notò nascere un nuovo pigmento che divorò il grigio con le sue candide polveri.
«Fiducia» disse, mentre un senso di tranquillità gli allietava le percezioni. «Verso gli altri. Verso il futuro»
Sorrise, osservando la nuvola battere come un cuore.
«E infine?»
Il bianco fu divorato da un colore chiaro, da una tinta gentile miscelata a una più scura, il rosa che vorticava insieme al rosso.
Lavi tremò, mentre qualcosa di indefinito lo avvolgeva dolcemente, regalandogli un tepore commuovente.
«Amore» rivelò flebile, ponendo fine a quell’astratta visione con il buio delle palpebre.
«Per gli altri»
Sorrise, Allen, stringendo a sé il più grande.
«Per me» aggiunse il rosso, accarezzandogli lentamente la schiena nuda.
L’inglese annuì con un sorriso, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo.
«Per te. Per sempre»
Il ragazzo inarcò debolmente un angolo delle labbra, posando il mento sul capo dell’altro.
«Perché questo sentimento non svanirà mai, come me»
Lavi strinse a sé il sedicenne, affondando il volto fra i suoi morbidi capelli, e accarezzandogli la pelle, gli diede un bacio, sfiorando con le labbra le ciocche pure.
«Grazie» mormorò il rosso, aprendo lentamente gli occhi. «Grazie per essere ancora qui con me»
E lasciandosi cullare da quel dolce calore partorito dal suo amore, sentì chiaramente la presenza di un cuore privo di paure germogliare nel suo petto, capace di amare senza timore di un addio.
Un cuore astratto, ma vero.
«Ti amo, Allen»

E sorridendo, Lavi percepì qualcosa districarsi dalle sue ciglia, bagnandogli appena la guancia.

















N.d.A ♥

*in piedi su un Tim dolcemente obeso*
Hola gente! Congratulazioni per aver finito questo sclero! ♥
*volano coriandoli*
Oh… si, questa one-shot è il sequel di The nightmare Before Christmas inside me, scusate la battuta idiota, ma io amo quel film quindi niente.
Bene, chi di voi, avendo già letto la precedente, si aspettava un’altra pr0n-schifo?
Perché non so se, normalmente, il seguito di una rossa debba essere come la mamma, quindi trattare… le stesse cose, ecco.
Chieeedo venia.
*fa inchino*
Comunque, non serve aver letto il prequel per capire questa, sostanzialmente le due fic sono separate, solo che possono sorgere dubbi per… due affermazioni, che sarebbero le “promesse” fatte in precedenza nel cuore dell’arca.

La fic è ambientata due giorni dopo la missione a Londra, quella con Kanda e Miranda nella centosettantanovesima notte quanto è dolce Allen quando mangia le caramelle ♥ , quindi il nostro cucciolo bianco ancora non sa dei superpoteri ma che…? di Link. Happy!
Avviso speciale: nessun Finder è stato massacrato/torturato/ucciso in questa fic, quindi in nostro povero Cristo ritardatario – Alfonse …Elrich (sono fuori oggi) – è ritornato nella baita, ma siccome l’ha trovata tappezzata di amuleti peggio di Allen nella 165-166 notte – troppo lungo da scrivere in lettere, pardon - , ha aspettato da bravo bimbo l’arrivo di Link in verità è lui il ritardatario!

Ok… parliamo di questo sclero.
Non so come e perché mi sia venuta in mente questa… boiata assurda sulla maledizione/usodiLSD di Bookman, davvero.
… No, aspetta… so come mi è venuta in mente, stavo ovviamente pensando a Lavi ♥ Perché IO almeno, insieme ad altri lettori, mi ricordo di questo povero coniglio sfigato rinchiuso in una delle stanze dei Noah, troppo spilorci da pagare la bolletta della luce.
Ma ora ragioniamo insieme.
Un Bookman ha il compito di registrare la storia bla bla bla rimanendo neutrale, giusto? Bene.
Peeerò! Non vi sembra strano che proprio Bookman e il suo bel successore siano prescelti della rara, rarissima Innocence? Cavolo, su 109 pezzi – sottrai quelli distrutti da Tyki e compagnia - , questi due su 6439582078 persone al mondo sono stati scelti dai cubi. Che botta di fortuna, vero? Lavorare in una torre su una cima antigravità che ospita la sede dell’Ordine Oscuro, un’organizzazione sconosciuta a tutti i poveri mortali che combatte da sempre contro il Conte.
Il desiderio di ogni Bookman.
Ah, e loro prima erano dai parte dei Noah, quindi hanno giocato con entrambe le fazioni.
Qui, secondo me, Dio ci cova – MAVVA’! – .
Il primo pezzetto riguarda infatti la nascita di Bookman e dei suoi onori e oneri.
Ho cercato di scriverlo con lo stesso stile della Bibbia, ovvero la presenza sempre di Dio, del Signore, dialoghi lunghi, gli accapo mandati al rogo eccetera.
Ovviamente, dovevo aggiungere qualcos’altro.
E la punizione più grande E’ *rullo di tamburi* il poter vedere il dolore e la tristezza “dell’inchiostro” della guerra, rimanendo tranquillamente neutrali.
E’ una gran cavolata, lo so, però secondo me non è tanto facile rimanere zitti e muti mentre percepisci lo strazio degli altri.
Questo è stato un tentativo per svelare il segreto della benda di Lavi.
Ma comunque, lascio a voi poveri lettori l’ardua sentenza.

Oh, vero. Ho cambiato lo stile, ve ne siete accorti?
Spero di non essere peggiorata, d’oh xD

Penso di aver detto tutto…

NO!
Gente, questa è la Laven più lunga che io abbia mai scritto!
Omydog *-*
Grazie di nuovo a tutti voi lettori che siete arrivati fin qui, e un ringraziamento megaspeciale a fra_York, Violet Bouvier, riku_shini, Rosy99 e zelo97 per aver recensito/aggiunto in preferite-seguite-ricordate il prequel.
V’amo, tutti voi.
E un giorno risponderò a tutte le recensioni xD

See ya, gente! ♥


  
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