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Luna di Fuoco - Narrativa storica
Magnesia
al Meandro, 459 a.C.
L’uomo
era comodamente seduto, intento ad osservare dalla finestra della sua
stanza,
la città che governava. Magnesia era una splendida
città fluviale dell’Asia
Minore, una città nata per il commercio, una
città che riforniva la Persia di
grano per la produzione del pane… Una città di
animo greco, nata greca, ma
assoggettata al suo acerrimo nemico.
L’uomo
sorrise, ma non c’era allegria nella piega amara della sua
bocca: ripensando
alla sorte della città che governava, si rese conto che la
sua vita non poteva
che finire così, a capo di una polis piegata, proprio come
lo era lui.
«Una
volta ero il più potente e acclamato dei greci!»
Atene, 483 a.C.
«Cosa significa che non useremo
quei cento talenti? Provengono dalla miniera, appartengono ad
Atene!»
«Infatti li useremo per la
gloria di Atene: costruiremo una flotta!»
«Temistocle, figlio di Neocle,
a cosa ci servirebbe una flotta? Non siamo in guerra, non dobbiamo
difenderci,
né tantomeno attaccare un nemico…
Perché spendere quei talenti per qualcosa di
cui non abbiamo bisogno?»
Il figlio di Neocle sorrise
sardonico, consapevole dell’ostilità che da sempre
gli riservava Aristide, suo
antagonista designato sul piano politico, che non accettava la presenza
di uno
statista più intelligente e avveduto di lui. Avrebbe sempre
contraddetto ogni
sua mossa, ogni suo operato, solo per il gusto di fare ostruzionismo,
solo
perché era affamato di potere, quel potere che lui,
Temistocle, meritava più di
tutti. Aveva piena coscienza di sé e del suo valore, sapeva
che la sua
lungimiranza, il suo acume, il suo saper guardare lontano, avrebbero
salvato le
sorti di Atene nel futuro e non avrebbe mai ceduto davanti a proteste
che non
erano dovute alla preoccupazione per la polis, bensì a
motivazioni molto più
personali. “Non
mi farò battere da te, quella flotta verrà
costruita! Ti farò vedere io chi ha
davvero voce in capitolo!”
«Aristide, figlio di Lisimaco e
voi arconti tutti, è vero non siamo in guerra aperta, ma
c’è un conflitto alle
porte contro Egina e una flotta da guerra farebbe la differenza in uno
scontro
tra noi e gli egineti. Vorreste forse negare ad Atene, la
possibilità di
vincere un conflitto tramite un flotta da guerra che sicuramente ad
Egina non
si aspetteranno di dover combattere? Inoltre, non credete che tutta
l’Ellade
tremerebbe davanti alla potenza di una flotta navale ateniese? Vi
assicuro che
quei triremi ci serviranno, non rimpiangerete questa scelta!»
E
fu così. E non per il conflitto contro Egina, ma
perché quando, tre anni dopo,
scoppiò per la seconda volta la guerra contro la Persia, il
maestoso e glorioso
conflitto della civiltà greca contro la barbarie orientale,
la flotta voluta da
Temistocle contro la volontà degli ateniesi più
conservatori fece la
differenza. E non fu la sola azione che diede frutti grandiosi: durante
tutto
il conflitto contro i Persiani, le decisioni dello statista greco, per
quanto
avessero sempre una connotazione ardita e mal vista dai membri del
consiglio,
erano riuscite sempre a mantenere in vita gli Ateniesi e la loro amata
polis,
garante della civiltà ellenica. Persino la decisione di
abbandonarla, lasciandola
alla mercé dei Persiani che rasero al suolo tutti i templi
dell’Acropoli,
persino quella decisione così atroce, aveva dato ragione
all’arconte perché
aveva decretato la salvezza del popolo ateniese, rifugiatosi altrove in
attesa
che l’esercito del Gran Re fosse ricacciato indietro. Senza
contare la
costruzione delle lunghe mura che si snodavano per la lunghezza di due
chilometri, unendo Atene al suo porto, il Pireo. Altra grande manovra
voluta da
Temistocle, altra decisione che aveva dato forza e difesa alla polis
protetta
dalla dea Atena. Più di una volta il figlio di Neocle, aveva
salvato la città
con le sue direttive politiche.
«Ero
il migliore! Il migliore degli ateniesi, il migliore arconte che ci
fosse mai
stato!»
Con
rabbia, l’uomo strinse i
pugni,
continuando a guardare il paesaggio davanti a sé: il fiume
Meandro che scorreva
placido, la città che si affannava nelle attività
quotidiane, le distese di
grano che davano la ricchezza a Magnesia… Ma il suo sguardo
era lontano. Era
perso nella contemplazione di un altro paesaggio, quello di una polis
greca al
cento per cento, una polis che aveva rigettato i persiani e che era
fiera di
essere libera.
Rivedeva
se stesso, un arconte, uno dei saggi che governava la polis, che
camminava
sereno e soddisfatto alla fine della guerra, dopo aver vinto contro il
nemico di
sempre, dopo aver dimostrato a tutti i suoi detrattori e al popolo
ellenico,
che l’immenso esercito achemenide poteva essere battuto, che
non era immortale.
Rivedeva ancora quel se stesso che gioiva soddisfatto e che ergeva
persino un
tempio dedicato ad Artemide Aristoboulë,
dea del buon consiglio, per
ricordare a tutti i cittadini quanto fossero state decisive la sua
astuzia e le
sue decisioni. Rivedeva la sua casa, la sua famiglia… la sua
Atene. Atene
circondata dai monti, Atene con il suo Aeropago, con il fuoco sacro che
ardeva
nel Pritaneo, il Ceramico, il quartiere dei vasai,
l’Agorà, centro di tutta la
vita politica e sociale, l’Acropoli con i suoi
templi… Quei templi bruciati dai
persiani… Quegli stessi persiani che lui aveva
combattuto… E che ora serviva.
«Come
ho fatto a finire così?»
L’uomo
poggiò sconsolato la testa sulle mani, puntellando i gomiti
sulle ginocchia, lasciandosi
andare allo sconforto. «Atene, oh
mia Atene, la mia polis, che ho
fatto
crescere, che ho rafforzato, che ho portato alla vittoria… e
che ho dovuto
abbandonare!»
Atene, 471 a.C.
«Temistocle, figlio di Neocle,
per volontà del popolo ateniese che ha votato a favore, sei
ufficialmente ostracizzato.
Sei esortato ad allontanarti dalla polis per la durata di dieci anni,
allo
scadere dei quali potrai ritornare e riprendere parte alla vita attiva
di
Atene.»
«Sparta accusa formalmente
Temistocle, figlio di Neocle, di complicità nel tradimento
perpetuato dal
generale Pausania, tramite una segreta alleanza con il nemico
persiano.»
«È un traditore!»
«È in combutta con i
Persiani!»
«Gli spartani hanno ragione, ci
ha tradito!»
«Maledetti
stolti! Hanno creduto alle subdole accuse di Sparta, mi hanno chiamato
traditore… Io! Io che ho fatto crescere Atene come nessuno
prima, io che ho
preferito vederla in ginocchio, alla momentanea mercé dei
persiani, pur di non
saperla del tutto sconfitta, pur di avere ancora la
possibilità di vincere… Io
che ho fatto di tutto per renderla la potenza che è adesso!
Maledetto Aristide,
maledetti spartani! Ho donato la mia intelligenza, il mio acume, le mie
capacità politiche ad Atene, e mi ritrovo a governare una
conquista persiana!»
La
rabbia che colse l’uomo fu tale, da affannarlo: portandosi
una mano al petto,
cercò una posizione più comoda e distesa, e
attese che gli tornasse il fiato.
Nel suo corpo non c’era più il vigore di un tempo:
aveva sessantacinque anni,
un’età invidiabile; eppure la felicità
aveva abbandonato da tempo quell’anima
che aveva vissuto a lungo.
Quell’anima
che aveva fatto di tutto per sconfiggere Serse e il suo esercito, solo
per
finire esule, in ginocchio al cospetto di suo figlio Artaserse.
«Non
tornerò mai più ad Atene. Non rivedrò
più l’agorà, non salirò
più sull’Acropoli
devastata per onorare la dea guerriera che da sempre protegge la sua
polis… Non
vedrò mai più gli ulivi e i vigneti, non
assisterò più alle tragedie di
Eschilo…»
Una
lacrima attraversò il viso dell’uomo, del
governatore di Magnesia, del greco
che era stato accolto a braccia aperte dal Gran Re, in cambio della sua
fedeltà.
«Cosa
sono ora? Vesto da persiano, parlo da persiano, vivo da persiano. Ho
giurato di
servire il nemico, quel nemico che ero stato così fiero di
aver cacciato via,
quel nemico che era la chiave per la gloria eterna di Atene…
e della mia! Ho
giurato di tradirti, mia polis. Che ironia della sorte: mi hai mandato
via, mi
hai dato del traditore quando io ti ho solo amata e difesa, ed ora sono
costretto a rendere vera quell’accusa… Come
potrò vederti mentre soccombi alle
forze persiane? Io che ho fatto il possibile affinché
ciò non avvenisse! Come
potrò?»
Il
sole arrivava caldo dall’esterno, riscaldando la stanza.
Magnesia era immersa
nel sole, la luce si rifletteva nelle acque scintillanti del
Meandro… ma nel
cuore di un uomo che aveva toccato l’apice e che era caduto,
e che
ciononostante era riuscito a ricostruirsi una vita, non c’era
calore.
Tucidide,
il famoso storiografo greco, narra che Temistocle morì a
Magnesia nel 459 a.C.
di morte naturale, all’età di sessantacinque anni.
Tuttavia, voci di corridoio e i pettegolezzi che sempre accompagnano le figure di spicco, volevano che il famoso statista greco, che finì i suoi giorni al servizio del Gran Re di Persia, si fosse suicidato pur di non tenere fede alle promesse fatte al sovrano.
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Note
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NDA
Ho
sempre amato la storia, in particolare la storia antica, e grazie
al contest di Inchiostro
DiVerso, sono riuscita a mettere giù
un piccolo brano dedicato ad una delle figure più importanti
di tutta la storia greca. Il destino di Temistocle mi ha sempre
colpito, perché per quanto si sia prodigato per Atene e per
renderla la potenza che poi effettivamente è diventata, ha
terminato i suoi giorni come un esule, come il più vile
degli uomini, costretto a servire proprio quel nemico che voleva
cacciare dalla sua città.
L'accoglienza di questo brano
nell'ambito del contest è stata gratificante e mi auguro che
lo possa essere anche qui, ma sono aperta a critiche eventuali. ^^