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Autore: Risen93    04/07/2013    3 recensioni
Il cuore di Santana appartiene a Brittany, è chiaro a tutti, ma il destino, le scelte sbagliate o il momento meno opportuno le hanno fatte allontanare. Quando, anni dopo, Santana riceve una telefonata, si troverà nuovamente in balia di quei pozzi azzurri. Il suo compito sarà quello di aiutare la biondina durante il suo percorso. Un percorso ad ostacoli che nasconde insidie e tranelli.
Quando scopri che il tuo primo vero amore, nonché unico, ha il cancro, come reagisci? Santana non ha pensato due volte a quello che faceva, ha agito secondo cuore e, forse, non ha sbagliato.
One shot, drammatica, ma senza lacrime. Lo giuro!
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La canzone utilizzata è “My kind of love”. Consiglio di leggere attentamente il testo o la traduzione, per i meno ferrati in inglese, di questa canzone man mano che andate avanti.

http://www.rnbjunk.com/traduzione-testo-my-kind-of-love-emeli-sande-541/

 

 

 

I can’t buy your love, don’t even wanna try.
Sometimes the truth won’t make you happy,

so I’m not gonna lie,
but don’t ever question if my heart beats only for you,

it beats only for you

 

Ricordo quel giorno come se fosse ieri. L'estate prima del nostro ultimo anno scolastico, la coach ci costrinse a partecipare a quel campeggio di cheerleading. Una notte riuscimmo ad eludere la sorveglianza della Sylvester e sgattaiolammo verso quel lago che avevamo scoperto durante la corsa mattutina delle cinque, che Sue ci imponeva quotidianamente. In quel breve lasso di tempo che ci era stato concesso, ci amammo come non mai e l'unica testimone del nostro atto fu solo la luna, che brillante si rifletteva sul tuo corpo nudo, rendendo la tua pelle argentea. Nella mente rievoco ancora le frasi che mi sussurrasti, mentre con maestria mi conducesti in pochi istanti all'apice del piacere. Continuasti a ripetermi "ti amo" e a baciarmi dolcemente il viso, non lasciasti neanche la più piccola porzione di faccia priva del tocco leggero delle tue labbra. Quando, stremate e soddisfatte, ci accoccolammo a guardare le stelle, mi parlasti del tuo più grande desiderio, voler diventare una mamma. Non una comune mamma, ma un brava, una di quelle che viene considerata dai figli come un'eroina, un modello, un punto di riferimento. Non fu certo questo a scioccarmi, ma quello che mi confidasti più avanti. Mi dissi che oltre ad essere una madre, saresti voluta essere una moglie fedele e amorevole, la MIA moglie fedele e amorevole. Sebbene all'epoca i miei pensieri fossero ben lontani dall'idea di metter su famiglia, il mio petto si gonfiò di commozione e calde lacrime presero a solcare le mie guance. Io rimembro tutto di quella notte, ma tu? Tu ricordi la mia promessa? "Finché il mio cuore avrà pulsazioni, esso batterà solo per te".

 

I know I’m far from perfect, nothing like your entourage.
I can’t grant you any wishes,

I won’t promise you the stars,
but don’t ever question if my heart beats only for you,

it beats only for you
 

Era una fresca sera di maggio quando ricevetti la notizia. Erano passati otto anni da quella piacevole sera d'estate e ne erano passati sei da quando ci eravamo viste l'ultima volta. Sebbene fossero passati settantadue mesi senza sentirci, mi ero sempre tenuta informata riguardo la tua vita: le gioie, i dolori , gli obiettivi raggiunti, i fallimenti inaspettati, i nuovi amori, il tuo matrimonio, il tuo successivo divorzio, il tuo debutto come prima ballerina in quella famosa compagnia di New York. Il giorno che ci separammo mi ripromisi che mai più ci saremmo sentite, ma non riuscii a starti lontana. Gravitavo come un pianeta intorno a te che eri il mio sole.

Sai, lo venni a sapere attraverso una telefonata di mia madre. Mi bastò quel piccolo tremolio della voce nel suo saluto a farmi intuire che qualcosa non andava. Dio, se qualcosa non andava. Il mio incubo peggiore si stava realizzando, tu stavi male. Il mio mondo iniziò a sgretolarsi, quando il tuo dolce nome e il termine "cancro" finirono in collisione tra loro. Mi precipitai in aeroporto e salii sul primo volo diretto a New York.

Mi sarei voluta gettare all'istante davanti al portone di casa tua, ma la codardia mi impediva ogni passo. Non immagini quante volte mi fossi trovata davanti a quel pezzo di legno scuro con la mano a mezz'aria pronta per bussare, ma ogni scusa era valida per fuggire. La verità era semplice. Avevo paura di non trovare più la Brittany che conoscevo un tempo. Con quale faccia potevo presentarmi dinnanzi al tuo cospetto e, come se niente fosse, chiederti come te la stessi passando. Ero terrorizzata dall'idea che tu non mi volessi nella tua vita, ora come ora. Decisi, perciò, che prima ti avrei osservata da lontano. Per tre giorni ti spiai dal cruscotto di una vettura presa in affitto. In quel tempo, immaginai molte volte la tua ipotetica reazione il giorno che ci saremmo riviste, e spesso finiva con la tua mano stampata sulla mia guancia. Non credevo, certamente, che sarebbe successo in un supermercato. Quel pomeriggio, infatti, mi ero recata, come ogni altra volta, al negozio vicino casa tua per comprarmi un panino e una bottiglietta d'acqua. Sostavo davanti al reparto dei pranzi già pronti ponderando quale fosse il meno schifoso, quando mi sentii chiamare. La voce era flebile ed incerta, ma l'avrei riconosciuta ovunque. Era la tua. Mi girai lentamente e trovai quel paio d'occhi azzurro cielo che mi avevano tormentano durante la maggior parte delle notti insonni.

Mi invitasti a casa tua e parlammo per ore ed ore delle nostre vite. Ti raccontai della mia carriera di avvocato a Los Angeles, della mia fama tra le donne e del mio cane, Stardust, che a malincuore avevo lasciato alla mia vicina di casa. Tu mi riferisti alcuni degli episodi più particolari della tua vita. Parlasti prima della tua ammissione all'accademia di arte e spettacolo Juilliard, poi del tuo matrimonio, che avevi definito particolare e strano, del tuo sempre acceso desiderio di diventare madre e infine mi parlasti della tua condizione di salute.

"Ho il cancro al seno", questo bastò a farmi tremare. Un brivido gelido mi scosse tutta la lunghezza della colonna vertebrale. "Mi hanno detto che ho un carcinoma al II stadio", mi ripetesti quelle parole come se fosse la centesima volta ormai.

"Come interverranno?", mi informai, cercando di pensare nel modo più razionale possibile.

"Mi hanno detto che vorrebbero prima sottopormi a qualche ciclo di chemioterapia, visto che la massa tumorale è di difficile rimozione, dato il suo attaccamento al tessuto del seno. Dopo questo trattamento, infatti, potranno intervenire per asportare tutto. I medici sono ottimisti", mi illustrò professionalmente.

Annuii e presi a far vagare i miei occhi sulla tua figura. Dio, quanto eri bella senza trucco e con quel leggero vestitino celeste addosso. Volevo chiederti una cosa, ma non trovavo il coraggio di farlo. Chiaramente, tu capisti subito il mio stato d'animo, non ti eri dimenticata come ero fatta.

"Santana, che c'è?"

"I-io... ecco, volevo chiederti se fosse possibile per me accompagnarti in ospedale", buttai fuori in un secondo pronta per ricevere il tuo rifiuto.

"Va bene", rispondesti tu senza esitazione.

"Lo capisco. Non fa niente. Sicuramente preferiresti stare con qualcuno che senti più vicino", dissi, abbassando lo sguardo afflitta.

"San...", iniziasti teneramente. Ti avvicinasti e ponendo due dita sotto il mio mento mi alzasti la testa. "Ho detto va bene. Mi farebbe piacere averti vicina".

Il primo ciclo di chemio ce l'avresti avuto il lunedì seguente e, come promesso, ero lì vicina a te quando i medici iniziarono a spiegarti cosa, di lì a poco, sarebbe successo. Mentre aspettavamo di essere ricevute per iniziare, il tuo telefono squillò. Erano i tuoi amici e colleghi della compagnia di ballo. Erano fuori dall'edificio e volevano esserci per te. Loro sì che avevano il diritto di essere qui, non io. In pochi minuti furono davanti a te e con sguardi carichi di tristezza ti stavano abbracciavano e ti sussurravano parole di conforto. In quell'istante, mi sentii così fuori posto. Chi ero io per stare lì? Dove ero stata negli ultimi sei anni? Loro erano i tuoi amici, non io. Silenziosamente, mi alzai e mi allontanai per lasciarvi un poco di intimità. Mi diressi verso il distributore automatico per comprare una bottiglia d'acqua. Mi trovai a sbraitare contro quell'ammasso metallico, quando l'oggetto desiderato rimase incastrato. Presi a calciare con vigore la macchinetta, scaricando in parte la mia frustrazione, finché non sentii una mano fin troppo familiare posarsi sulla mia spalla. Immediatamente, il mio corpo si rilassò e un'ondata di calma mi travolse.

"Come ci riesci?", domandai criptica.

"A fare cosa?", mi chiedesti con finta innocenza, poiché sapevi già a cosa mi stessi riferendo.

"A farmi ancora questo effetto", precisai stancamente.

 

'Cause when you’ve given up,
when no matter what you do it’s never good enough
When you never thought that it could ever get this tough,
Thats when you feel my kind of love

 

Per facilitarmi la permanenza, decidesti di ospitarmi a casa tua. Erano ormai due settimane che ci recavamo in clinica per svolgere i cicli. Saranno state le sette o, forse, le otto di mattina quando un urlo, il tuo urlo, squarciò la quiete. Corsi verso la fonte del suono, la tua cameretta. Senza troppe cerimonie, aprii la porta ed entrai. Ti trovai seduta sulle ginocchia sul letto e con le mani sulla testa. Mi bastò quella visione per comprendere. Uno degli effetti collaterali era proprio la caduta dei capelli.

Mi avvicinai lentamente, temendo di poterti agitare. Il tuo sguardo era vuoto ed inespressivo. Abbassai gli occhi e vidi sul cuscino una massa di fili biondi. Alzai la mano, cercando di sfiorarti la spalla, ma quel gesto parve risvegliarti dal tuo stato catatonico e corresti a rifugiarti nel bagno.

Cercai di essere paziente e rispettare la tua riservatezza, quindi aspettai una buona mezzora nella tua camera da letto. Quando non sentii più i tuoi singhiozzi attraverso la porta, presi la decisione di entrare. Ti trovai rannicchiata a terra con una forbice in una mano e parte dei tuoi capelli, ormai tagliati, in un'altra.

"Oh, Brit", mormorai con il cuore spezzato.

La tua splendente chioma dorata, in quel momento era stata stata sostituita da corti capelli smozzicati. Ti sfilai le forbici di mano, ti aiutai ad alzarti, ti feci sedere sullo sgabello e con attenzione ti aggiustai il taglio. Una volta terminata quell'operazione, iniziai a rimuovere il pigiama che indossavi, quello con le paperelle, il tuo preferito. Ti presi in braccio e ti portai verso la vasca per sciacquarti velocemente. Ti avvolsi l'accappatoio intorno al corpo, ti condussi verso la tua stanza e ti feci stendere sul letto. Mi misi anche io sotto le coperte e avvolsi un braccio intorno alle tue esili membra. Dopo qualche minuto, paresti riprenderti, perché ti girasti e posasti il capo sul mio petto.

"Nessuno mi vorrà più", piagnucolasti, tirando su con il naso.

"Perché dici così?", domandai, sinceramente sorpresa.

"Perché è la verità. Presto non avrò più capelli. I bambini mi prenderanno in giro, le persone si impietosiranno e nessuno vorrà uscire con una pelata"

"Finché ci sarò io vicino a te, nessuno oserà prenderti in giro e se qualcuno lo farà non solo lo gonfierò di pugni ma proverò anche un'infinita tristezza per lui, perché prova godimento dal patimento altrui. Tu sai quanto io sia orgogliosa, ma una volta una persona mi ha detto che la compassione è un sentimento da non sottovalutare", iniziai, fissandoti intensamente negli occhi, alludendo proprio a te. "E per concludere, da dove hai tirato fuori la stupidaggine che nessuno vorrà uscire con te? Fino a prova contraria, io so che una certa latina caliente farebbe carte false per uscire con te".

"Davvero?"

"Certo. Perché tu, Brittany, sei bellissima. Sia dentro che fuori. Non saranno i capelli a compromettere la tua magnificenza".

Non mi ero accorta che mi fossi avvicinata così tanto a te, fino a ché il tuo profumo dolce non invase le mie narici. Eravamo a una manciata di centimetri di distanza, già mi stavo pregustando l'impatto con le tue labbra, quando tu, improvvisamente, ti allontanasti. Il tuo sguardo aveva assunto un'espressione cupa e dubbiosa.

"Lo dici solo perché ti faccio pena?", mi chiedesti, poco dopo.

"Ricordi chi sono? Sono Santana Lopez, nessuno mi fa pena", scherzai cercando di tirarle su il morale. "E comunque, io mi sono innamorata di te per quello che sapevi donarmi con il cuore, non solo con il corpo. Il tuo aspetto esteriore è solo un bonus."

"Mi ameresti anche senza denti e con un neo gigante sul naso?", mi domandasti con un sorrisetto beffardo.

"Ti amerei sempre e comunque. Ti amerei così tanto, Britt, che non immagini quanto."

"Mi ameresti, certo, ma se io ti chiedessi di amarmi ora, non solo ipoteticamente, lo faresti? Se ti chiedessi di fare l'amore con me, lo faresti?", mi sfidasti.

Quello non era certo il momento di perdere tempo in futili parole. Non attesi altro e mi gettai sul tuo corpo per dimostrarti quanto amore potessi donarti.

 

And when you’re crying out
when you fall and then can’t pick, you’re heavy on the ground.
When the friends you thought you had haven’t stuck around.
That’s when you feel my kind of love

 

"Non capisco, dottore", iniziai scuotendo la testa per infondere più enfasi alla mia confusione. "Non ha manifestato altri sintomi oltre l'alopecia, perché accusare nausea e vomito proprio ora?"

"Solitamente, questi effetti collaterali si presentano entro 24-48 ore dalla somministrazione del farmaco, in qualche paziente possono presentarsi anche dopo due giorni e, raramente, nei più "fortunati" non insorgono proprio", mi informò professionalmente il tuo medico di oncologia.

"Appunto! Brittany svolge la chemioterapia da tre settimane e non ha mai avuto questi problemi!", sbottai spazientita. Non avevo bisogno della lezioncina, volevo soltanto scoprire il perché.

"La causa principale di tali sintomi è legata ai medicinali che vengono iniettati, ma spesso anche i fattori psicologici giocano la loro parte"

Compresi subito dove volesse andare a parare il dottore. La causa era il tuo stato emotivo. Aggrottai la fronte. Da quella volta in bagno, quando ti tagliasti i capelli, non ti ho più vista o sentita piangere.

"Si trova in errore. Brittany sta affrontando i trattamenti con serenità e ottimismo. È lei che forse sta sbagliando qualcosa con la chemio. La avverto: se qualcosa dovesse andare storto, so dove trovarla", lo minacciai, rabbiosa.

L'uomo non disse nulla. Si limitò a fissarmi con occhi onesti e capii che tra i due in torto ci fossi proprio io.

La sera stessa, ti misi alle strette. Volevo capire cosa ti stesse affliggendo, così ti portai in salotto e lì iniziai ad indagare.

"Che sta succedendo, Brittany?".

Sapevi meglio di me che il nome completo non augurava niente di buono.

"Niente, San. Sto bene", mi risposi, dipingendoti sul viso uno strano sorriso, uno di quelli che non arrivava agli occhi. Mi rimproverai. Come ero potuta essere tanto cieca? Avresti potuto vincere il premio per il sorriso più finto del mondo.

"Te lo dico io che succede: qualcosa ti sta facendo male, ma io non capisco cosa. La chemioterapia sta funzionando, presto potranno operarti e tornerai più forte di prima. Non devi buttarti giù proprio ora".

"Non capisci, vero Santana? Non ti sei resa conto in questi ultimi tempi che non ho nessuno?", mi gridasti con le guance arrossate per lo sforzo.

"Che intendi? C'è la tua famiglia. E poi tutti quegli amici che sono venuti a trovarti l'altra volta?"

"Quello era tre settimane fa, cazzo! Da allora nessuno si è più fatto sentire. Neanche un fottuto messaggio per sapere se fossi ancora viva. Hanno paura di stare con me e di affezionarsi, perché potrei morire. Hanno ragione, sai. Perché sprecare del tempo con una malata di cancro in una puzzolente stanza d'ospedale, quando puoi andare a ballare e a divertirti?".

Rimasi qualche minuto a metabolizzare le sue parole. Finché non presi coraggio e dissi due semplici parole.

"Hai me"

"Come?"

"Hai me. Fregatene di quegli spocchiosi con la puzza sotto il naso. Tu hai me e mi avrai sempre. Potrai darmi per scontata tutte le volte che vorrai, perché io sarò sempre vicina a te, troverai sempre la mia mano che stringerà la tua. Non ti lascerei per niente al mondo.", cercai di convincerla.

"Perché?", mi chiedesti flebile.

"Davvero? Davvero mi chiedi questo, Britt? Perché ti amo! Perché non ho mai smesso di farlo. Neanche quando ti ho lasciata, neanche quando ti sei messa con Sam Evans al liceo, neanche quando ho scoperto che avevi trovato marito e neanche quando ti ho vista da lontano con l'abito bianco da sposa, anzi quella visione non ha fatto altro che alimentare il mio amore per te! Sai quante volte ho immaginato il nostro matrimonio? Miliardi di volte! Quindi, Brittany, non chiedermi perché non ti abbandonerò mai, visto che lo sai meglio di me", sbraitai prima di prendere il cappotto ed uscire per sbollentare un po' la rabbia.

Dovevo intervenire. Dovevo intervenire al più presto. Quindi tirai fuori il telefono e feci un paio di chiamate.

Quando tornai a casa era notte fonda, stavi già dormendo. Probabilmente, non mi volevi con te. Così presi una coperta dall'armadio del salotto e al buio mi fiondai sul divano. Atterrai su qualcosa di morbido che faceva strani versi. Saltai in aria e mi misi in posizione d'attacco, pronta per aggredire chiunque ci fosse stato.

"Ouch. San, mi hai quasi rotto una costola", piagnucolasti.

"Che ci fai sul divano?", chiesi perplessa.

"Ti stavo aspettando, che domande! Poi ho chiuso gli occhi un secondo solo ed eccomi qui", mi spiegò innocentemente.

"Non sei arrabbiata con me?" domandai titubante e vergognosa. "Mi dispiace per la scenata di prima. Non volevo urlare"

"Sei proprio scema, Sannie. Sarei una pazza a prendermela per la più bella dichiarazione d'amore mai ricevuta".

 

Il mattino seguente mi alzai di buonumore. La sorpresa fra qualche ora si sarebbe attuata.

'Chissà che faccia farà?' sghignazzai tra me e me.

Silenziosamente, mi districai dalla tua stretta ferrea e mi diressi vero la cucina. Decisi di prepararti la colazione e portartela al letto.

"Britt-Britt", soffiai dentro il tuo orecchio per svegliarti.

"Mmm, Lord Tubby lasciami dormire", mugugnasti nel sonno.

"Questo si che ferisce i miei sentimenti", mormorai sbuffando. "Britt, sono Santana"

Finalmente ti decidesti ad aprire gli occhi. Avevi l'espressione più buffa del mondo stampata sul viso.

"Voglio dormire", bofonchiasti stancamente, prima di rimetterti a dormire.

"Ma io ti ho addirittura preparato la colazione", sussurrai con finta afflizione.

A quelle parole, il tuo stomaco produsse un piccolo ruggito. Le tue orecchie si tinsero immediatamente di rosso. Sconfitta, ti mettesti a sedere e prendesti il vassoio.

"San, apprezzo il gesto, ma non potevi portarmi dei pancake o del buon croccante bacon?"

"Il medico è stato chiaro. Per evitare ulteriore nausea, devi mangiare solo cibi asciutti. Quindi ora mangia questo buon toast che è stato amorevolmente preparato dalla sottoscritta", le spiegai attentamente. "Prima che mi dimentichi, vorrei informarti che stamattina usciamo. Andiamo a fare un po' di shopping"

"Non mi va. Voglio poltrire tutto il giorno", grugnisti profondando nuovamente nel cuscino.

"Costi quel che costi, tu oggi scendi dal letto ed esci insieme a me"

"Perché uscire, quando potremmo avere una sessione intensa di sweet lady kisses", cercasti di persuadermi. Mi sfiorasti appena il braccio, facendomi rabbrividire.

"Per quando la proposta sia allettante, io dovrei fare dei giri e ci terrei se venissi con me", dissi teneramente. L'approccio gentile, sebbene un po' meschino, era probabilmente il più efficace.

"Ho paura di non essere in grado di sopportare gli sguardi", mi rivelasti onestamente. "La gente è curiosa e la cosa mi infastidirebbe molto".

"Lo sai che facciamo? Ti metti il mio cappello di lana in testa, poi andiamo in centro e ti compro una bella parrucca. Che ne pensi?", proposi cercando di farti accettare.

Non servì, fortunatamente, molto tempo per convincerti, Annuisti in fretta e corresti a lavarti. Non ti avevo vista così contenta da giorni e questo mi riempii il cuore di gioia.

Come promesso, ti portai a comprare una parrucca. Cercai su internet il negozio più fornito di New York e ti portai lì.

Il sito non mentiva: il posto era gigantesco e vantava una vasta scelta di chiome finte.

"Guarda qui, Britt. Questa è bellissima", ti chiamai, indicandone una bionda, simile a quello che era il tuo colore.

"Non lo so, San. Sto cercando qualcosa di unico, ma che si ricolleghi al mio passato", mi dicesti ponderando attentamente, prima di spalancare la bocca e dirigerti verso un punto ben preciso.

"Brittany, non ci pensare minimamente", intervenni immediatamente. "Non andrai in giro con i capelli color arcobaleno!"

"Ma...ma, Santana", mi guardasti con quella boccuccia piegata in un piccolo broncio.

"Oh, e va bene! Ma mettiamo in chiaro alcune cose. Punto primo, oltre a questa parrucca, devi comprarne una con un colore unico e possibilmente non psichedelico. Punto secondo, non puoi indossare solo quella. Ok?", chiarii da brava adulta, quale ero.

"Punto terzo?", dicesti soltanto.

"Be', non c'è un punto terzo"

"Ma c'è sempre un punto terzo!", protestasti con aria saccente.

"Punto terzo: ogni volta che indosserai quel trionfo di colori in testa, dovrai pagarmi con un bacio", barattai furbamente.

"Mi pare giusto", accettasti di buon grado, avvicinandoti e lasciandomi un lieve bacio sulle labbra.

 

 

Il piano stava procedendo come avevo organizzato. Fra pochi minuti ti avrei rivelato la sorpresa.

"San, sei una vecchietta! Come fai ad essere già stanca?", mi chiedesti incredula, quando mi sedetti sulla panchina del centro commerciale dove ci eravamo dirette precedentemente.

"Non faccio attività fisica da un bel po'. È più che comprensibile", mi giustificai, guardando l'orologio da polso con ansia.

"Vai di fretta?"

"N-no perché?", balbettai terrorizzata.

"È la centesima volta che controlli l'ora", mi illustrasti sagacemente.

"Il fatto è che... ho fame! Sì, ho tanta fame, ma non è ancora il momento di pranzare e questo mi mette angoscia", mentii spudoratamente, ma così spudoratamente che lo capisti subito.

"Va bene, ma spero che tu non mi stia tirando un brutto scherzo. Sicuramente, ti sarai stancata di stare qui e mi vorrai scaricare al centro commerciale. Astuta, ma io sono troppo furba per questi giochini", scherzasti con il tuo bel sorriso sul volto.

Proprio mentre io ero pronta a ribattere, sentimmo una voce familiare:

"Oh, ma fatemi il favore. Santana, ci faresti un piacere a sparire"

Riconoscesti subito la proprietaria della voce, i tuoi occhi si spalancarono come piatti e ti voltasti.

"Quinn!!", quando ti girasti per correrle incontro, scopristi, però, che non era sola. Infatti, insieme a lei c'erano tutti i nostri amici del Glee.

"Sugar, Rachel, Mr. Schue, Puck... Oh mio Dio! Ci siete tutti!", esclamasti con gli occhi umidi. "Che ci fate qui?"

"Diciamo che un uccellino ci ha spifferato che avevi bisogno di sentire l'affetto degli amici ed eccoci qua!", rispose vago il professor Schuester.

Qualche anno fa avresti ringraziato gli uccellini per averli informati, questa volta ti girasti a guardarmi e, prima di essere sotterrata dagli abbracci, con la bocca mimasti un "grazie".

 

I know sometimes I get angry,

and I say what I don't mean.

I know I keep my heart protected far away from my sleeve,

but don't ever question if my heart beats only for you,

it beats only for you

 

La rimpatriata improvvisata con il Glee Club ti aveva risollevato notevolmente il morale. Inoltre, gente come Rachel, Kurt e Quinn, settimanalmente venivano a trovarti e ti accompagnavano ai cicli di chemioterapia. Ero grata di questa sistemazione, visto che dovevo assolutamente tornare a Los Angeles per lavoro. Ogni sera ti chiamavo per informarmi di eventuali miglioramenti o semplicemente per sentire il suono della tua voce. Visto il fuso orario, addirittura, molto spesso, rimanevo in silenzio con la chiamata aperta, aspettando che tu ti addormentassi. D'abitudine una notte, presi il telefono e digitai il tuo numero, ma tu non rispondesti. Riprovai almeno altre dieci volte. Aspettai una mezzora, credendo che ti stessi lavando, ma, riprovando, non ottenni nulla. La paura che ti fosse successo qualcosa si impossessò di me, ma subito al posto del terrore subentrò il panico. Chiamai Rachel chiedendole di andare a controllare se stessi bene. Mi richiamò, venti minuti dopo, riferendomi che non rispondeva nessuno, quindi la esortai ad entrare in qualche modo e, sebbene i primi istanti di esitazione e le lunghe motivazioni per le quali fosse un reato entrare nelle case altrui senza permesso, lo fece, ma di te non vi era traccia. Senza pensarci due volte, mi recai all'aeroporto. Tra traffico, biglietto e scartoffie varie atterrai verso le nove di mattina, orario New Yorkese. Appena accesi il telefono, mi arrivò un messaggio di Rachel che mi informava del tuo rientro a casa. Carica di sollievo ripresi a respirare, finché non rilessi il messaggio e mi resi conto della frase finale: 'è tornata a casa con un uomo'. Non volevo essere la Santana infantile e impulsiva delle superiori che si faceva prendere dalle emozioni, ma il pensiero che tu avessi preferito uscire con un altro, piuttosto che stare al telefono con me mi travolse come un treno. Presi un taxi e mi trovai di fronte alla tua abitazione. Mi accorsi subito della presenza di una macchina mai vista prima davanti al tuo posto auto. Invece di gestire la situazione come un essere civile e bussare, preferii fare il giro e sperare di trovare la porta della veranda aperta. La fortuna mi assisté e mi intrufolai, come una ladra, dentro la tua dimora. La nausea mi piombò addosso come un macigno, quando la tua risata, accompagnata da una maschile, mi giunse alle orecchie. Come un toro mi diressi verso il salotto e, senza troppe cortesie, spalancai la porta. Ti trovai spensierata appoggiata al petto di un uomo. Io, come un cane minacciato, lo attaccai.

"E tu chi cazzo sei?", pretesi furibonda.

"La domanda più opportuna è chi sei tu?", mi ritorse la domanda.

"La sua ragazza", risposi possessiva.

"Santana, per favore", mi supplicasti cercando di intervenire.

"Aspetta un secondo, tu sei la famosa Santana?", chiese sbalordito, prima di annuire a se stesso. "Ora capisco molte cose".

"Andy, forse è il caso di salutarci. Ti chiamo dopo", ti affrettasti a parlare.

"Adesso siete voi ad aspettare un momento", sbottai nervosa. "Andy, come Andrew, il tuo ex marito?", ti domandai con la bocca aperta.

Mi veniva da vomitare. Era vero, non avevamo ufficializzato nulla, ma credevo che per te fosse qualcosa di più. Senza dire altro, mi girai e uscii da casa tua. Dopo neanche due secondi, la porta si aprì nuovamente. Tu eri lì che con quegli occhi supplicanti che sembravano chiedermi di restare che tu eri in grado di potermi spiegarmi tutto, ma il mio orgoglio ferito mi sconfisse sul tempo e rispose per me.

"Sai, Brittany, una volta mi dissi che non mai mi avresti tradito, ma ora sei cambiata. Infatti, ti scopi gli altri come una puttana", sputai feroce, prima che la consapevolezza si impossessasse di me. Sbarrai gli occhi e cercai subito di rimangiarmi le mie parole. "Britt, scu-"

Mi desti uno schiaffo. Di schiaffi in vita mia ne avevo presi davvero tanti, ma il dolore che mi provocò quello lì era un qualcosa di inspiegabile. Non era una sofferenza fisica, era il mio cuore. Pungeva e chiedeva sollievo, ma non potevo donarglielo, perché i tuoi occhi gonfi di lacrime di guardavano delusi.

"Vattene", fu tutto quello che riuscisti a dirmi, prima di chiudermi il portone in faccia.

Rimasi lì fuori per almeno un'ora a riflettere. Quel tempo mi aiutò a giudicare con razionalità la situazione. La porta, all'improvviso, si aprì e ne uscì l'uomo di prima. La vecchia Santana sarebbe partita in quinta e lo avrebbe preso a schiaffi, scaricando su di lui tutte le colpe del mondo, ma la venticinquenne che ero diventata fece qualcosa di inaspettato.

"Ti chiedo scusa per il modo infantile in cui mi sono comportata", dissi porgendogli la mano in segno di resa, stupendolo.

Lui mi scrutò per qualche secondo, finché sorridendomi mi strinse la mano.

"Brittany è un po' turbata al momento. Dalle qualche giorno di tempo e vedrai che saprà perdonarti. Ha un animo buono e non riuscirebbe mai a tenere il broncio alla donna che ama", mi consigliò amichevolmente.

"La d-donna che a-a-ama?", domandai incerta e stupita.

"Ma certo. Non ha fatto che parlare di te per tutta la notte", mi spiegò gentilmente.

"Io credevo che tu...", lasciai la frase a mezz'aria, perché non sapevo che dire.

"Sappi solo che il nostro non è mai stato un matrimonio d'amore. Mi spiego: Brittany è una delle amiche più care che ho. Quando ho avuto alcuni problemi con i miei genitori, lei accettò la mia proposta solo per amicizia. Stanco di nascondermi e di far soffrire Brittany, decisi di dire la verità ai miei"

"Nasconderti?", chiesi non capendo a cosa si riferisse.

"Sono gay, cara. Eppure, dicono che voi lesbiche abbiate un gayradar madornale!", scherzò ammiccando.

"Bene. Ho fatto il diavolo a quattro per una cosa infondata", mi rimproverai battendomi la mano sul viso.

"Se la conosci, come la conosco, stai pur sicura che ti perdonerà. Abbi pazienza. In questo momento ha bisogno di tutto l'amore possibile", mi confortò donandomi una pacca sulla spalla e, senza proferire altro, se ne andò.

 

Come mi aveva consigliato il tuo caro amico, decisi di lasciarti sola per qualche giorno. In quel lasso di tempo, organizzai nei minimi dettagli il piano di “Ricongiungimento del Brittana”, come lo aveva chiamato Berry..

Un pomeriggio mi trovai davanti casa tua a bussare alla porta. Non ci volle molto, prima che quest'ultima venisse aperta. Come sospettavo, il tuo sguardo assunse una faccia seccata.

"Santana, che ci fai qui?"

"Se esiste un premio per gli stupidi, io l'ho già vinto da tempo", iniziai timidamente.

"Non provare a storpiare le frasi di Meg! Non basta così poco per farti perdonare", mi ammonì severamente.

"Lo so", sospirai tristemente, prima di riacquistare il sorriso. "Per questo ho deciso di portarti in un posto speciale".

"Un posto speciale?", i tuoi occhi brillarono di curiosità, prima di stamparti sul viso un'espressione scettica.

"Tu sii paziente e vedrai che ti piacerà!", esclamai eccitata. "O almeno spero", borbottai tra me e me.

 

Ti indicai la macchina e ti aprii la portiera. Misi in moto e ci recammo verso la prima tappa del "tour".

"Central Park?"

"Be', volevo iniziare con qualcosa di tranquillo e carino e so quanto stare a contatto con la natura e con gli animali, in particolare le paperelle, ti faccia stare bene", spiegai attentamente.

Ci incamminammo verso il lago, cercavi di nasconderlo, ma avevi una voglia pazza di correre verso quei piccoli esserini gialli e strapazzarli di coccole. Così tirai fuori dalla borsa un po' di pane che avevo portato per questo evento e te lo consegnai. Bastò un piccolo cenno di assenso da parte mia e scattasti verso l'acqua. Passammo così il pomeriggio sedute nella pace più assoluta e senza il minimo imbarazzo, semplicemente osservando gli alberi, i bambini che giocavano e le papere che starnazzavano. Verso le sei, controvoglia, dovetti destarti dal tuo spensierato momento di quiete.

"Britt, direi che è ora di andare", ti sussurrai dolcemente.

"Dove?"

"A casa tua", risposi ingenua.

"Pensi che ti abbia già perdonata?"

"Intendo a casa tua, perché devi prepararti. Ci aspetta una prenotazione al ristorante", chiarii pazientemente.

Ti riportai nella tua tua abitazione e ti informai che sarei ritornata tra un'ora. Risalii in macchina e corsi verso l'albero per prepararmi.

Come promesso, alle sette in punto mi trovai davanti casa tua, ma non ebbi neanche bisogno di venire a chiamarti, perché tu eri già lì, incantevole come non mai. Indossavi un vestito da cocktail turchese, un copri-spalle nero che si abbinava ai tuoi vertiginosi tacchi e una pochette gialla, che onestamente non c'entrava nulla, ma ti donava quel pizzico di personalità in più. Vedendomi paralizzata sul posto, prendesti l'iniziativa di avvicinarti. Ti muovevi sinuosa, quell'abito sembrava ti fosse stato cucito addosso. Eri l'eleganza fatta persona. Quando finalmente mi riscossi, tu eri ad un passo da me. Da bravo cavaliere, ti presi la mano e me la portai alle labbra, lasciandogli un leggero bacio, per poi accompagnarti verso la macchina ed aprirti la portiera.

Sebbene lungo, il viaggio fu silenzioso e, stranamente, non mi aveva dato alcun fastidio. Non era un silenzio teso o imbarazzante, tutt'altro. Era piacevole e, soprattutto, familiare.

Arrivammo al ristorante in perfetto orario. Quando identificasti il posto, ci mancò poco che gli occhi ti uscissero dalle orbite.

"Il River Café? Santana, è un ristorante costosissimo. Non posso permettermelo", mi dissi allarmata.

"Da quanto ricordo, quando qualcuno ti invita ad un appuntamento paga anche il conto", scherzai beffarda.

"Appuntamento?"

"Ecco, io pensavo che l'avessi capito", spiegai scrollando le spalle.

"Oh, ecco, non ero più abituata...", mormorasti timidamente.

"Che vuoi dire?", mi incuriosii.

"Che dopo di te, non ho più avuto relazioni serie e quindi niente appuntamenti e cose sdolcinate"

"Allora diciamo che presto ti ci riabituerai", affermai enigmatica.

Entrammo e fummo subito accolte cortesemente dal personale. Sebbene ci fosse una fila di persone in attesa, il cameriere ci fece subito strada verso il nostro tavolo. Il ristorante era ormeggiato sotto il ponte di Brooklyn, la vista quindi era mozzafiato. Tutto lo splendore delle luci riflesse nelle acque dell'East River e l'ammaliante panorama dello skyline di Manhattan.

"È meraviglioso...", sussurrasti con gli occhi fissi sull'orizzonte.

"Sapevo che ti sarebbe piaciuto. Sebbene mi costi ammetterlo, sono contenta che la nana Berry mi abbia consigliato questo posto. Aveva ragione: se vuoi passare una serata romantica non c'è meglio che una buona vista e del delizioso cibo", parlai fissandoti intensamente.

"Anche la compagnia è importante", aggiungesti sorridendo. Annuii lentamente, condividendo a pieno le tue parole.

La cena trascorse nel migliore dei modi. Parlammo molto e riuscimmo anche a chiarire l'equivoco. Ovviamente, eri ancora un po' risentita delle mie stolte parole, ma riuscisti a non farmele pesare troppo. Quando uscimmo dal ristorante, camminammo per un po' lungo il fiume. Le nostre mani continuavano a sfiorarsi e la cosa stava cominciando a stancarmi. Volevo sentire il tuo calore, la morbidezza della tua pelle, volevo stringerti forte e non lasciarti andare più. Probabilmente, stavi pensando le stesse cose, poiché agisti prima di me e agguantasti la mia mano.

"È stata davvero una giornata fantastica. Vorrei non finisse più", mi confidasti fissando le luci di Manhattan.

"E chi ha mai detto che è finita?", le domandai retorica. "C'è ancora un'ultimissima sorpresa. Forse due".

"Sorpresa?", mi domandasti interrogativa.

Non risposi, ma con la mano ti indicai davanti a noi. Mentre ti stavi voltando, una musica si cominciò a diffondere. Di fronte a te apparirono alcuni ex componenti del Glee. Erano proprio loro la fonte del suono. Puck pizzicava leggermente le corde di una chitarra, Sam lo accompagnava con il basso e Finn batteva il ritmo su un piccolo banjo. C'erano, poi, Quinn e Rachel che ti sorridevano teneramente e mi inviavano segnali di complicità.

"Non capisco. Che sta succedendo?", chiedesti a nessuno in particolare mentre ti avvicinavi ai ragazzi.

"You're just too good to be true. Can't take my eyes off you", in quel momento, la musica venne affiancata da una voce, la mia voce. Ti girasti e mi guardasti confusa. Per tutta risposta, io mi avvicinai e ti presi le mani. Quel toccò bastò a farti lasciar fuori tutte le preoccupazioni e le perplessità. Cominciasti a muoverti al ritmo della canzone e mi regalasti qualche giravolta e addirittura un casquet al finale. Non aspettai altro ed iniziai a parlare.

"Dicono che una nave in porto è al sicuro, ma non è per questo che le navi sono state costruite. Sai, in parte hanno ragione, l'uomo è come una nave deve viaggiare, fare esperienze e scoprire tante cose nuove, perché è questo che rende vivo l'uomo. Io sono un po' come quella nave che parte e solca i vasti mari e spesso si trova a lottare contro le tempeste violente e i venti instancabili, ma alla fine torna sempre all'origine, al suo porto. Il porto per un'imbarcazione è quel luogo dove può rifugiarsi dopo una tremenda battaglia con la natura, dove può nascondersi per riparare i danni subiti dopo che il vento l'ha quasi buttata giù, dove può semplicemente rimanere ferma e ancorata a godersi il tramonto. E tu Britt, tu sei il mio porto sicuro. Sei quella certezza che nella vita non mi abbandonerà mai, sei la mia essenza di felicità, sei la mia droga, sei la mia fonte vitale, sei la donna che ci sarà sempre, quella che nelle notti più buie saprà confortarmi, che nelle gioie più vere si rallegrerà insieme a me. Sei la donna della mia vita", le riferii tutto quello che il cuore mi consigliava. Eri commossa, le lacrime ti scivolavano calde lungo il viso. Era arrivato il momento. Mi inginocchiai e tirai fuori dal reggiseno (già, certi vizi sono duri a morire) una scatolina vellutata blu. Se eri emozionata prima, non sapevo descrivere lo stato in cui piombasti dopo. Cominciasti a singhiozzare tenendoti una mano sul cuore e una sulla bocca per contenerti. "Tu sei quello che mi fa stare bene e io non voglio separarmi da questo neanche per un secondo. Vorrei che tu fossi per sempre il mio porto. Quindi, Brittany Susan Pierce, vorresti farmi l'onore di diventare mia moglie?", conclusi aprendo la scatolina, rivelandone un anello.

"Oh mio Dio, certo che sì!", esclamasti piangente, gettandoti verso di me e baciandomi con foga. "Santana Lopez, non immagini quanto ti ami".

 

'Cause when you’ve given up,
when no matter what you do it’s never good enough
When you never thought that it could ever get this tough,
Thats when you feel my kind of love

 

Era arrivato quel giorno. Il giorno che tutti noi temevamo, quello della tua operazione. Sebbene i medici ci avessero illustrato l'intervento e informato dei rischi che si correvano, ancora non mi sentivo pronta. Non potevo credere all'idea del tuo piccolo corpo esile sotto i ferri. Il solo pensiero mi arrecava il rigetto e la nausea, ma dovevo essere io la più forte. Questa volta il porto sicuro ero io e speravo con tutta me stessa di non deluderti. Ti trovavi già in ospedale visto che i medici avevano ben pensato di ricoverarti un giorno prima. La mattina dovevi eseguire alcuni accertamenti di routine e dai risultati di questi sarebbe arrivato l'ok del primario per intervenire. Cercavi di nascondere le tue paure, ma per una come me, che ti conosceva come le sue tasche, era abbastanza ovvio che l'angoscia ti stesse divorando. Così, tentai di farti distogliere il pensiero dall'operazione.

"Sai, per il matrimonio vorrei fare una cosa molto intima. La famiglia, gli amici più stretti e basta"

"San, se stai provando a tranquillizzarmi parlando del matrimonio, ti stai sbagliando. Il solo pensiero di dover prenotare il ristorante e il giudice di pace, mandare gli inviti e provare l'abito mi stanno mettendo ansia. Fosse per me, partirei per Honolulu con i quattro testimoni, i nostri genitori e basta", sospirasti guardando con orrore l'orologio.

"Possiamo fare tutto quello che vuoi. Tutto ciò di cui ho bisogno è la tua felicità", le risposi baciandole delicatamente la mano, che stringevo forte.

"Brittany, è il momento", fummo interrotte dalla dolce voce dell'infermiera.

"Salve, Jenny. Ti ringrazio", le dicesti cortese, come sempre. "Potresti lasciarci solo due minuti. Devo dire una cosa alla mia futura mogliettina"

"Certo, cara"

Appena l'infermiera uscì ti girasti a guardarmi con una tale intensità, pareva stessi cercando di imprimerti il mio viso nella memoria.

"Cosa?", ti chiesi perplessa.

"Se qualcosa dovesse andare storto, voglio portare con me il tuo viso per sempre", riflettesti semplicemente.

Fino a quel momento avevo cercato di non piangere, ma la gola si era fatta così stretta che mi doleva, gli occhi pizzicavano e la bocca aveva assunto una smorfia dolorosa.

"Non dire così", non riuscii a trattenermi. Scoppiai in possenti singhiozzi e con la voce tremolante ti portai alla memoria un'antica promessa. " Finché il mio cuore avrà pulsazioni, esso batterà solo per te. Quindi, Britt, come può continuare a battere il mio cuore se tu mi lasci?"

"Ti amo", mormorasti solamente.

"Ti amo", ti sussurrai vicina al viso, sfiorando le tue labbra con le mie, prima che lo staff medico ti venisse a prendere. Dopo averti messo sulla barella, cominciarono a trasportarti fuori dalla camera a e poi lungo il corridoio. I miei occhi non lasciarono mai i tuoi e quando entrarono nella zona riservata solo al personale, presi ad urlare. "Ti amo! Hai capito, Britt? Ti amo! Non lasciarmi, amore mio".

 

Non ero mai stata un tipo paziente. Ricordo che quando ero piccola, odiavo attendere il mio turno per uscire da scuola. Crescendo, poi, ho iniziato a detestare le code alla posta, i semafori rossi e la fila al supermercato. Odiavo la notte di Natale, perché dovevo rimanere tutta la serata a fissare quei pacchi sotto l'albero, ma i miei genitori mi costringevano ad aprirli solo la mattina seguente. L'attesa non era una cosa che andava d'accordo con il mio carattere. Certo, dicono che l'attesa aumenti il desiderio, ma quanto è brutto dover attendere qualcosa o qualcuno. È tempo perso e si sa già come viene speso: si pensa. Già, perché quando aspetti, non fai altro che ponderare. Rifletti sulla vita, gli amici, l'amore, i soldi, la solitudine, il dolore, il disappunto. Pensare fa bene, ma con moderazione. Quando attendi, ti senti dilaniare dalla brama di scoprire e di conoscere. Vieni divorato dall'interno, la sensazione parte dalla bocca dello stomaco e arriva fino alla punta dei capelli. Ti elettrizzi, la pelle freme e vieni scosso dai tremiti. E poi ci sono le aspettative, perché, come dice la parola stessa, esse sono le cose che ti immagini e quando non ottieni quello che desideri, la disgrazia è doppia. Come si dice, non solo il danno, anche la beffa. Ti sorbisci quella tortura che è l'attesa per poi rimanere deluso e con le mani vuote.

Io mi sentivo un po' così in quel momento. La testa mi scoppiava, poiché era piena di pensieri sbagliati. Ero irrequieta, non riuscivo a stare seduta per troppo tempo e quando mi alzavo mi era impossibile stare ferma più di quindici secondi nello stesso punto. Ormai erano passate 4 ore e mezza e nessuno si era degnato di farmi sapere come stesse andando. Mi sentivo di impazzire, nessuno riusciva a tranquillizzarmi e poi non mi sembrava giusto distrarmi mentre tu eri in sala operatoria. Finalmente, vidi il dottore aprire la porta che mi avevano sbattuto in faccia poco prima. Scrutai il suo viso in cerca di indizi, ma il suo volto rimase impassibile. Sembrava una maschera.

"Lei è la compagna della paziente Brittany Pierce?", mi chiese neutrale.

"Sì, sono io. Come è andato l'intervento?", mi affrettai a chiedere, in preda all'ansia e alla paura.

"Come già sapeva, la signoria Pierce ha reagito bene alla chemioterapia, l'operazione quindi è stata facilitata. Abbiamo asportato tutta la massa tumorale e, per sicurezza, anche i linfonodi", mi rispose professionale.

"Quindi?Lei sta bene? Il tumore non c'è più?", domandai, mentre il mio cuore aveva preso a battere impazzito.

"Azzarderei a dire che la paziente è sana.", mi sorrise.

Quelle parole mi bastarono. Scoppiai in un pianto liberatorio e abbracciai il medico, che dopo un primo momento di esitazione, si rilassò e ricambiò il gesto.

"Ovviamente, bisognerà fare dei controlli ogni sei mesi, ma oltre a questo è andata bene", aggiunse ricomponendo il suo aspetto medico.

 

Don't ever question if my heart beats only for you,

it beats only for you...

 

Sebbene la convalescenza fosse stata lunga, reagisti ottimamente. Eri tornata la ragazza di sempre. Quella solare e spensierata che non capitava mai di trovare senza il sorriso sulle labbra. Era passato ormai un anno e mezzo e l'unico intervento che subisti fu la mastoplastica additiva.

Quel giorno in particolare, sfoggiasti tutta la tua felicità. Io ero in preda ad una crisi di nervi, mentre tu eri così rilassata, Probabilmente, sarà stata l'aria di mare o la prospettiva di incontrare Mago Merlino. Non scorderò mai quel attimo, quello in cui nostri cuori iniziarono a battere entrambi sotto lo stesso tetto, quello in cui le nostre vite si sarebbero appartenute fino alla fine dei tempi, non solo fino alla morte, perché se c'era una certezza nella mia vita, era la reciproca fedeltà che ci riuscivamo a donare a vicenda.

"Con il potere conferitomi dallo stato delle Hawaii, vi dichiaro moglie e moglie", recitò solenne il giudice di pace. "Bene, ora la sposa può baciare la sposa".

Ormai era fatta. Eravamo spostate, per sempre. Con gli occhi umidi di emozione, mi avvicinai lentamente verso di te, che con un sorriso stellare mi guardavi soddisfatta e contenta, e, sfiorandoti la tua splendida chioma lucente di capelli con la punta delle dita, ti lasciai un delicato bacio sulle labbra.

"Riuscirai a sopportarmi per tutto questo tempo?", ghignasti divertita.

"Non è difficile, visto che il mio cuore batte solo per te", risposi avventandomi sulle tue labbra, alla ricerca di un bacio vigoroso e passionale.

 

 

~ ~ ~

 

Quando sento di non poter andare avanti, inizio a scrivere. Questa storia mi è venuta in mente in un momento di afflizione e infelicità. Dalla mia testa, poi, l'ho trasferita direttamente sul computer. Spero vi sia piaciuta. Inoltre, voglio dedicarla ad una persona fin troppo speciale, che purtroppo non è riuscita a sconfiggere questo male terribile, che da sempre affligge l'umanità. Finché ci sarà il suo ricordo, lei vivrà.

 

Risen

 

P.s.: Se ve lo state chiedendo, entro la fine della settimana aggiornerò “Priorities”.

  
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