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Autore: S t r a n g e G i r l    04/07/2013    4 recensioni
Mi hai cercato, per un po' almeno sono certa che tu l'abbia fatto.
Perdonami, Nana, se non ho mai risposto a nessuna delle tue chiamate.
Ma sai, quel buco nero alla fine ha vinto.
Non s'è accontentato di inglobare tutti i nostri giorni felici assieme, no; ha ingerito anche me.
Chissà dove ti trovi.
Chissà cosa hai pensato quando hai scoperto che me n'ero andata di corsa, senza guardarmi alle spalle, per paura di vedere qualcuna delle persone che mi stavano a cuore soffrire.
Eppure, se quel giorno lo avessi fatto, se avessi sbirciato dietro di me, forse avrei visto Nobuo in piedi sulla banchina del treno.
Forse avrei visto anche te accanto a lui.
Forse sarei rimasta... forse ora sarei felice.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nobuo Terashima
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Buco Nero

"Infrangi pure tutte le mie illusioni, non ho paura.
Tanto non saprei come fare a cancellare la tua immagine dal mio cuore."


Nana, volevi davvero vedermi, lo so.
Tanto quanto volevo io.

Perciò cerca di perdonarmi.
Non sono abbastanza forte, non per questo.
Non sopporterei di toccare con mano la profondità di quel buco nero che sta ingoiando tutti i mesi di gioia che abbiamo condiviso.
Considerami pure una vigliacca.
Mi sto comportando da tale, lo riconosco, ma... quell'appartamento semivuoto e te, scostante, con un rimprovero stampato negli occhi, sono più di quanto il mio cuore possa sopportare.

Il pianerottolo è completamente immerso nell'oscurità.
L'unica fonte di luce proviene da sotto la porta di una stanza che si trova in fondo al corridoio.
707.
Non riesco a sentire le loro risate da quaggiù, ma sicuramente se ne staranno facendo di grosse alle spalle di Shin, così poco informato sulle tradizioni.
Dovrei fare pochi passi per raggiungerli, ma le suole delle mie scarpe sono diventate un tutt'uno col parquet. Muovermi mi è impossibile.
Una parte di me vorrebbe unirsi al gruppo e stringerli così forte da strappargli via l’aria dai polmoni.
Un'altra parte invece vorrebbe solo sparire magicamente, con un sonoro “poff”.
E per quanto mi sforzi di muovere un solo muscolo, rimango impietrita dove sono, col cuore a pezzi e il viso profuso di lacrime.
Non so per quanto tempo resto lì al buio.
So solo che quando vedo la porta socchiudersi il panico m'assale.
Non so nemmeno io perchè, ma d'improvviso mi metto a correre.
Come se avessi il diavolo alle calcagna mi precipito giù, a rotta di collo, per quei gradini scarsamente illuminati che sembrano infiniti.
Mi fermo solo quando arrivo al pianterreno.
Cerco il sostegno del corrimano per riprendere fiato, mentre la testa gira, facendo ruotare l’ambiente che mi circonda, e la vista s'offusca.
Forse me li sto sognando, ma mi sembra di udire altri passi che scendono quegli scalini velocemente.
Prendendo un altro enorme respiro mi accuccio a terra, vicino al muro che è più in ombra e attendo, in apnea, che la persona in questione passi e se ne vada.
Ho paura che sia Nana, scesa a vedere se stavo arrivando.
Non voglio incontrare i suoi occhi.
Non potrei reggere il suo sguardo nemmeno un secondo.
Mi sento sporca.
Non stringo tra le mani un pugnale insanguinato, ma è come se avessi accoltellato Nobuo al cuore e questo non potrebbe mai perdonarmelo, lo so.
Chiudo gli occhi e prego silenziosamente il Grande Demone Celeste di avere pietà di me.
Vorrei uscire in punta di piedi dalle loro vite, non farmi disprezzare più di quanto già sicuramente fanno in questo momento.
Ma, evidentemente, nessuno lassù è in ascolto, perchè quando l'eco dei passi di quella persona, scesa frettolosamente dalle scale, stava per scomparire, il mio cellulare inizia a squillare.
La suoneria riecheggia per tutto l'atrio e fa immobilizzare lo sconosciuto con una mano sul portone.
Si volta incredulo, cercando la fonte del suono che continua a trillare senza sosta, tra le mie dita tremanti.
Non ho bisogno della luce per riconoscere il suo profilo.
Saprei distinguerlo anche se diventassi di colpo cieca.
Nobuo è a pochi passi da me e speranzoso mi cerca con gli occhi, spogliando ogni angolo del suo vestito fatto d’oscurità nera.
Finalmente il telefono smette di suonare e, al posto di “Shin”, sul display appare la scritta “Una chiamata persa”.
Il silenzio sceso in quel pianterreno è assoluto e irreale. Assordante quasi, di cose non dette che gridano mute.

« Hachi? » la sua voce titubante giunge alle mie orecchie stanche, delicata come una carezza.
E mentre compie un altro passo nella mia direzione, mi rendo conto di avere il cuore nello stomaco, o forse in gola, e le guance di nuovo inumidite da lacrime silenziose.
- Non t'avvicinare, Nobuo. Ho ancora quel coltello tra le mani. Non voglio usarlo per l'ennesima volta. Per favore. -

E così mi hai mentito, Nana.
Vorrei strozzarti in questo momento...credo.
Forse invece vorrei ringraziarti con un abbraccio, non so.
Probabilmente farei entrambe le cose, se non avessi davanti Nobuo ora.
Perchè hai voluto che lo incontrassi?
Dimmi.... cosa devo fare, Nana?


« Hachi? » ripete lui debolmente, avvicinandosi ancora con cautela.
Mi sento trattata come una tigre affamata.
- Non ho intenzione di divorarti, Nobuo, se è questo che temi.
Meriterei io che fossi tu a divorarmi pezzo pezzo, a piccoli morsi per incentivare la mia pena. -
E, inevitabilmente, un singhiozzo mi sfugge di bocca, confermandogli la mia presenza e rivelandogli infine la mia posizione.
Lui si blocca per un attimo e poi si getta nella mia direzione, cercandomi con mani protese.

Oh, Nana, se solo tu sapessi quanto ho anelato che le sue braccia mi stringessero un'altra volta, che il suo profumo m'invadesse di nuovo le narici, che la sua voce mi parlasse ancora...
Che scema sono: tu lo sai. Lo sai bene.
Lo hai sempre saputo, anche quando non ne ero io stessa a conoscenza.


Mi sta abbracciando.
Nobuo mi sta stringendo davvero.
Con disperazione s'è aggrappato alle mie spalle senza proferire altre parole e continua a tenermi saldamente, come se avesse paura che potessi scappare.
Ed in verità, prima, avrei voluto potermene andare di corsa, fuggire di nuovo piangendo tutte le mie lacrime… ma non appena Nobuo mi ha sfiorata io mi sono sentita completa.
Non mi ero neppure accorta di aver perso qualche tassello strada facendo.

« Hachi? » sussurra debolmente, alzando il viso dall'incavo del mio collo e asciugando una lacrima che stava per cadermi dalle labbra.
« Dimmi. » bisbiglio con voce tremante, serrando le dita attorno alla sua felpa.
Lui si alza in piedi e tira su anche me con una facilità impressionante.
Mi tiene per le spalle e i suoi occhi brillano nell'oscurità, mentre cerca le parole per dirmi qualcosa che sembra esserglisi incastrato tra le corde vocali.
Vorrei essere sorda perchè so che le parole che usciranno dalle labbra di Nobuo annienteranno ogni mia fragile certezza, ma allo stesso tempo bramo con ogni fibra del mio essere che lui parli e mi tenga stretta... ancora un po'. Solo un altro po’.
« Ho bisogno di sapere una cosa. » deglutisce con fatica, facendomi trepidare.
« Sposi Takumi per amore... o per non complicare la vita a me? »

***


Un mugolio ripetuto si fa breccia nella nebbia che aleggia nella mia testa e la dirada.
Socchiudo lentamente gli occhi, portando subito una mano al viso per schermarmi dai raggi solari che illuminano la stanza a giorno.
Dopo qualche attimo di disorientamento mi rendo conto di non trovarmi nella mia camera nella casa che Takumi ha comprato per me.
Non sono nemmeno nell'appartamento che dividevo con Nana.
La stanza è pregna di luce, enfatizzata dal candore delle pareti e delle lenzuola di cotone leggero.
Solo in quel momento, guardandomi attorno con circospezione, mi rendo conto di un particolare fondamentale: Nobuo è accucciato accanto a me, con la fronte appoggiata dal bordo del materasso e la mano stretta nella mia.

« Signorina Komatsui, è sveglia! » una donna di mezza età, con indosso un camice e sottobraccio una cartellina, fa il suo ingresso con un sorriso stentato stampato in volto.
Nobuo si sveglia si soprassalto, alzandosi in piedi e gridando:
« Non mi sono affatto addormentato, Nana. Ero sveglissimo, giuro! »
Poi osserva la situazione e si rimette seduto in silenzio, cercando di nascondere il rossore della vergogna che gli sta imporporando il naso.
La dottoressa ride divertita e poi scrive qualcosa in un foglio che estrae dalla cartellina chiedendomi nel frattempo:
« Ha dei capogiri? Si sente stanca? Affaticata? »
Accoglie ogni risposta con un cenno del capo, poi controlla il battito e la pressione ed infine esce, con la promessa di tornare a verificare le mie condizioni per l'ora di pranzo.
Vago con lo sguardo fuori la finestra, riempiendomi gli occhi di un paesaggio a me totalmente estraneo.
Mi sento smarrita ed impaurita.

« Nobuo, perchè mi trovo qui? » gli chiedo sottovoce, continuando a fissare l'esterno, tentando, invano, di non farmi assalire da quel predatore famelico che è l'ansia.
In risposta ricevo un silenzio greve che mi annoda le viscere.
Finalmente mi volto a guardarlo e, nonostante abbia un viso cinereo e scavato, il mio cuore ha un sussulto; una specie di singhiozzo trattenuto.

« Hachi... » inizia esitante, guardando ogni cosa di quella stanzetta poco ammobiliata, tranne che me.

Nana, dove sei?
Ho paura.
Così tanta che a malapena riesco a respirare.

Ti vorrei qui.
Avrei tanto bisogno di stringere la tua mano calda, ora.


« Io...non so... »
Nobu s'interrompe, passandosi una mano tremante fa i capelli biondi scarmigliati.
Gli sorrido con dolcezza, pendendogliela in segno d'incoraggiamento.
Che cosa buffa.
Dovrei essere io a chiedere a lui un po' di coraggio, per ascoltare le sue parole, ed invece mi ritrovo a dargliene.
- Non preoccuparti, Nobuo: qualunque cosa mi dirai non potrà farmi il cuore più a pezzi di così.-

« Hachi tu... ecco...hai...hai... » prende un respiro di quelli enormi e quasi grida, buttando fuori le tre parole peggiori che qualcuno mi avesse mai detto in vita mia.

***


Mi hai cercato, per un po' almeno sono certa che tu l'abbia fatto.
Perdonami, Nana, se non ho mai risposto a nessuna delle tue chiamate.
Ma sai, quel buco nero alla fine ha vinto.
Non s'è accontentato di inglobare tutti i nostri giorni felici assieme, no; ha ingerito anche me.
Chissà dove ti trovi.
Chissà cosa hai pensato quando hai scoperto che me n'ero andata.
Forse per la prima volta mi hai portato rancore.
Ti ho abbandonata.
Ho abbandonato tutti voi senza una spiegazione.
Non ho potuto far altrimenti: Tokyo mi stava uccidendo, con tutte quelle sue strade costellate di ricordi ad ogni angolo, come volantini sbiaditi da sole e pioggia.
Non che ora non mi perseguitino, solo che pian piano stanno assumendo i contorni opachi di un sogno.
Un brutto sogno in cui tu, Nana, eri l'unica nota positiva.

Il primo concerto dei Blast a cui avevo assistito mi aveva ammaliato, come se mi fosse stato lanciato contro un incantesimo.
La voce di Nana vibrava roca nell'aria, le dita di Nobuo e di Shin sembravano volare sulle corde delle chitarre e Yasu roteava le bacchette in aria come un giocoliere.
Da quella volta io divenni la più grande sostenitrice e fan del gruppo.
Loro erano i miei amici, il mio mondo... quasi una seconda famiglia.
E nonostante il flusso del tempo non si sia interrotto e loro siano praticamente identici a come li ho lasciati, penso a quanto possa averli cambiati questo periodo di distacco.
Magari si sono trasformati in un gruppo d'estranei per me, magicamente intrappolati nei corpi dei membri dei Black Stones.
Cerco gli occhi di Nana, riparandomi dietro quel marasma di gente che si agita sulle note del nuovo singolo che ha fatto impazzire la città.
Una volta sarei stata la prima a sentirlo; adesso sono solo una delle tante che può comprare il cd in un negozio di musica.
Assimilare una consapevolezza del genere mi fa male.
Vorrei poter cancellare tutti gli errori commessi e soprattutto la mia presenza dalle vite di quelle persone, che alla fine ho solamente ferito, come fossero scarabocchi a matita su un foglio.
Non posso.
Lei si muove con energia su quel palco ed io invidio ogni singola asse del parquet che sta calpestando.
Darei qualunque cosa per potermi avvicinare a lei e non vedermi incenerire con lo sguardo o peggio: esserne ignorata.
L’indifferenza è sempre stata l’arma peggiore fra quelle che Nana possedeva nel suo arsenale.
Shin ha di nuovo cambiato colore di capelli e, forse sono solamente le luci stroboscopiche del palco a renderlo tale, sembra invecchiato.
Yasu è una mummia, io credo. Invariabile, immutabile nel tempo.
E Nobuo… è bello come lo ricordavo.
Sorride sereno al pubblico, muovendo le dita sulle corde con velocità impressionante.
I suoi occhi però sono velati da uno spesso strato di malinconia. Magari sono io che sogno, accecata da quei neon fluorescenti che mi impediscono di capire con certezza i suoi sentimenti, ma per un po’ mi lascio cullare dall’illusione che sia davvero così.
Sorrido nella loro direzione, asciugandomi col dorso della mano una guancia umida, e li saluto con uno sguardo grato, triste e silenzioso.
Mi sono mancati e sempre mi mancheranno, ogni giorno di più, ma non ho alcun diritto di ricomparire a mio piacimento e scombussolar loro di nuovo l'esistenza.
Il mio tempo è scaduto.
Mi faccio largo tra la folla scalpitante, che si muove a tempo di musica come se fosse un solo essere, e poi mi volto un'ultima volta a rimirare lo splendore dei Blast in concerto.
Troppo tardi mi accorgo che i miei occhi si sono incatenati con quelli di un solo membro della band, che mi fissa atterrito come se avesse visto un fantasma.
E quello sguardo magnetico riesce ad annullare ogni mio pensiero razionale, come quello di dovermi al più presto allontanare da lì, calamitandomi di nuovo vicino al palco.

Sai, Nana, lasciai Tokyo per fuggire al dolore.
Non ho mai pensato, però, di esserne io stessa fonte per altri.
Sono stata egoista... di nuovo.
Purtroppo l'angoscia, la sofferenza e lo struggimento mi hanno seguito anche in quel piccolo paesino di montagna dove mi sono rifugiata.
Non si scappa dai problemi.
Te li ritrovi sempre di fronte prima o poi. E più agguerriti che mai.

Quando convinco i muscoli delle mie gambe a collaborare e a fare dietrofront è ormai troppo tardi: le luci sul palco si sono spente e la folla intorno a me comincia già a diradarsi.
Riluttante mi dirigo verso la stazione dei treni. Proprio su uno di quelli conobbi Nana.
Quanto sa essere stronzo il destino: qui è iniziata e qui si conclude la mia avventura.
Quel bagaglio di ricordi non fa che pesare di giorno in giorno sempre di più.
Forse, però, è la punizione che merito per aver calpestato così insensibilmente i sentimenti di tante persone che dichiaravo di amare.
Siedo stancamente su una delle panchine e appoggio la testa contro il muro, rievocando, per chissà quale assurdo motivo, il giorno in cui il mio piccolo e fragile mondo si sgretolò, con la facilità di un castello di sabbia ingoiato da un’onda più feroce delle altre.

« Perso il bambino. »
Erano state queste le tre parole agghiaccianti che Nobuo aveva pronunciato.
Non ero stata capace di articolare nemmeno un singolo suono quando riuscii finalmente a capirne il significato.
Avrei voluto gridare, piangere fino ad impazzire, prendere qualcuno a schiaffi, ma ero paralizzata in quel letto, prigioniera di un corpo che non reagiva agli stimoli del mio cervello.
Né le carezze di Nobuo, né i trattamenti medici o la seguente visita di Takumi e Nana avevano sortito effetto.
Loro, nessuno di loro, poteva capire cosa si prova a perdere una parte di sé.
Non c'era stata nemmeno una spiegazione scientifica plausibile.

« Succede spesso nelle giovani donne. »
Quella minuscola frasetta era quanto di meglio fossero riusciti a dirmi per consolarmi, per darmi pace.
Ma non l'avevo accettata.
Incapace di sopportare il tocco di chiunque, avevo preso una valigia, buttato dentro qualche abito e preso il primo treno che mi portasse via da Tokyo.
Volevo soltanto abbandonare i demoni, che mi inseguivano, sui binari della stazione.
Invece mi avevano rincorso e raggiunto e dilaniato l'anima giorno e notte.

« Nana. »
Sorrido, tenendo gli occhi chiusi e la testa appoggiata contro quel muro ruvido e freddo, al suono della sua voce incerta.
« Speravo di trovarti ancora qui. »
« Non avresti dovuto venirmi a cercare. » gli faccio notare, fingendo un distacco che non riesco a provare.
« L'ho fatto anche il giorno che sei scappata, ma appena arrivai qui, il tuo treno partì ed io non riuscii a fermarti. »

Oh, Nana, perchè Nobuo deve essere così?
Perchè non può odiarmi?
Perchè continua a cercare di salvarmi?
Non lo vede ormai che io son già dannata?
Se non mi gira alla larga potrei trascinarlo tra le fiamme dell'inferno con me.
Devo salvarlo, Nana... come non ho saputo fare con te.

« Va via, Nobuo. »
Continuo ostinatamente a non volerlo guardare.
So che se commettessi questo errore non sarei più capace di respingerlo e mi lascerei cullare dalle sue braccia, cercando conforto.
Lo sento muoversi e, supponendo che se ne stia andando, mi rilasso appena.
Invece di udire i suoi passi allontanarsi, però, i miei timpani vengono bombardati dalle sue grida di frustrazione.
Mai aveva perso le staffe, Nobuo, quindi, evidentemente, l'ho portato al limite.

« Smettila, smettila, Nana! »
E d'improvviso mi crolla addosso, stringendomi con disperazione e sussurrandomi all'orecchio parole che mi fanno rabbrividire:
« Perchè ti ostini ad allontanare chiunque cerchi di starti accanto? Non stai meglio tu e di certo non fai del bene nemmeno a chi vorrebbe aiutarti. Sfogati, non reprimere il tuo dolore. Io sono qui...per te. »
Incapace di controllarmi, comincio a tremare e poi scoppio in un pianto dirotto, aggrappandomi alle sue spalle, conficcandogli le unghie nella pelle.
Lui mi accarezza la testa e deposita delicati baci sulla mia fronte, consolandomi come si fa con una bambina che si è sbucciata un ginocchio cadendo dalla bicicletta.

« Non sei sola, Nana. » continua a ripetere nelle mie orecchie « Mi sei mancata così tanto... »
Cerco a fatica di scansarmi da lui, spingendo coi palmi delle mani sul suo petto, ma lui si rifiuta di lasciarmi andare.
« Tu non capisci. » gemo, tra un singhiozzo e l’altro, con la voce in frantumi « Devi starmi lontano, Nobuo! Io non faccio che ferire chi ho attorno. Sono velenosa. Se soltanto ti avvicini rischi di… »
« Correrò il rischio! Nana, ma perchè non vuoi capire che io ti amo?! » grida tutto d'un fiato, costringendomi finalmente ad aprire gli occhi per guardare una realtà che non avevo mai voluto vedere davvero.
Fisso l’espressione dura di Nobu e continuo a piangere sommessamente, portandomi una mano davanti la bocca, sbalordita.

« No! » grido arretrando.
« Sì, invece! E tu non puoi farci niente. » insiste testardo, stringendomi più forte per le spalle, quasi fino a farmi male.
« Nobuo, io t'ho fatto il cuore a pezzi e, non contenta, ho saltato a piedi uniti sopra le briciole rimaste, riducendole in schegge! » ansimo spaventata.
« Lo so bene. » asserisce, rabbuiandosi. « Ma potevo sopportare che tu avessi scelto un altro o che fossi incinta del suo bambino. Me ne sarei fatto una ragione, Nana. » mi prende il viso tra le mani gelide e mi costringe a rimirare il suo bel viso solcato da una solitaria lacrima. « L'importante era che io ti avessi sempre attorno. Non m'interessava in che modo. Dovevi solo rimanere con me... ed invece te ne sei andata e mi hai lasciato solo. »

Nana, sono proprio ottusa.
Me ne sono andata di corsa, senza guardarmi alle spalle, per paura di vedere qualcuna delle persone che mi stavano a cuore soffrire.
Eppure, se quel giorno lo avessi fatto, se avessi sbirciato dietro di me, forse avrei visto Nobuo in piedi sulla banchina del treno.
Forse avrei visto anche te accanto a lui.
Forse sarei rimasta... forse ora sarei felice.

« Io... non... non potevo restare. »
Nobu annuisce greve.
« Lo capisco. Semplicemente avrei voluto che mi avvisassi. Sai che sarei venuto con te, vero?»
« Non te lo avrei permesso! » esplodo, alzandomi di scatto dalla panchina.
« Andiamo Nobuo, che razza di vita sarebbe stata accanto a me? Io dovevo leccarmi le mie ferite da sola, senza pesare su chicchessia. Nessuno poteva capire! »
Lui mi fissa per un po', ignorando un treno che, sfrecciando alle mie spalle, mi fa svolazzare i capelli davanti al visto.
« Bastava dirlo chiaro e tondo dall'inizio che non mi volevi. » butta lì, con un tono lugubre che incenerisce la mia rabbia.
« N-no. » borbotto incerta, azzardando un passo verso di lui.
« No, cosa, Nana? Dimmi... non preferiresti che al mio posto, ora, ci fosse Takumi? Beh, mi spiace darti questa delusione ma qui, ora, ci sono solo io! » alza la voce, avvicinandomisi fino ad arrivarmi ad un soffio dal viso.
« In fondo hai perso suo figlio, ci credo che fossi così disperata. Lui non aveva avuto nemmeno una parola gen... »
« Sei un idiota, Nobuo. » lo insulto senza mezzi termini, con un tono glaciale che non sapevo nemmeno di possedere.
Preso in contropiede, lui ammutolisce e per un attimo torna il ragazzo timido e insicuro che io conoscevo e che, ovviamente, il tempo e la solitudine hanno cambiato.
Si passa una mano tra i capelli, confuso, e poi getta un'occhiata verso di me e rimane sbigottito.
Sto tremando e piangendo convulsamente senza riuscire ad emettere un vocabolo.

« Pensi davvero che io soffrissi tanto perchè il bambino che portavo in grembo era di Takumi? »
La spavalderia, che lo aveva animato fino ad allora, abbandona di colpo Nobuo, lasciandolo incerto e senza difese.
« Io volevo morire. Morire assieme a quella creatura che per qualche settimana aveva vissuto in me. Non riuscivo a capacitarmi di non essere stata in grado di metterlo al mondo. Mi ero rivelata una cattiva madre prima ancora che nascesse. Sono io la causa della sua morte e chi fosse il padre per me non aveva importanza. Mio figlio era morto, portandosi via un pezzo di me, ed io non riuscivo a capacitarmene. »
Vomito tutto il dolore e la disperazione, che avevo represso e cacciato in un angolo del mio essere fino a quel momento, con lo stesso tono usato dai radiocronisti di una partita.
Distaccato, fuori portata.
Nobuo mi osserva basito asciugarmi con stizza le lacrime.
Dietro di me il fischio del treno mi annuncia il suo arrivo.

« Allora... ciao Nobu... » accenno un saluto e poi mi volto verso le porte che si schiudono davanti al mio viso umido.

Sai, Nana, per qualche attimo ho sperato di sentirgli gridare il mio nome.
Evidentemente il peso della mia sofferenza è troppo anche per lui.
Sfogarmi, però, mi ha fatto in qualche modo accettare l'accaduto.
Vorrei aver aperto bocca prima e averti reso partecipe del mio dolore.
Forse mi avresti capito.
Forse ora non sarei nuovamente sola e non lo saresti nemmeno tu.

Le sue labbra umide premono con veemenza contro le mie e le sue braccia mi stringono con disperazione.
Resto immobile, passiva al suo bacio, cercando di capire perchè Nobuo mi sta tenendo contro di sè.

« Non lasciarmi di nuovo. »
Sussurra, spalancando quei suoi occhi grandi e timorosi.
« Ho sbagliato tutto con te, Nana. Mi sono sentito abbandonato e mi sono crogiolato nella mia solitudine, senza capire che dovevo metterla da parte per consolare te. Ho aspettato che tu tornassi per così tanto tempo.... I miei occhi si sono consumati a furia di cercarti tra il pubblico dei nostri concerti. Mi mancavi da impazzire. » confessa, di nuovo sull'orlo delle lacrime.
« Non ti merito, Nobuo. » sussurro, commossa.
« Ti amo, Hachi. »
Erano anni che nessuno mi chiamava con quel nomignolo.
Erano anni che non mi sentivo a casa.
Erano anni che non mi sentivo amata.
Mi volto a guardare il treno che riparte e che, lasciandomi a terra, si porta via i demoni che tanto a lungo mi avevano accompagnata.
Nobuo mi asciuga il viso con il pollice della mano ed io gli sorrido, sentendo di nuovo battere in me un cuore creduto deceduto. Mi alzo sulle punte dei piedi e gli stampo un bacio delicato sulla bocca.

« Grazie di avermi salvata. Di salvarmi sempre. »
« Farò sempre l'impossibile per renderti felice. » sorride lui di rimando, stringendomi più forte.

Nana, non so spiegarti con parole come mi senta in questo momento.
Ubriaca, forse.
Ebbra di una felicità che non credevo più di poter sentire.
Il buco nero, che aveva inghiottito ogni cosa, di colpo l'ha risputata.
Le avversità che avevo incontrato sulla strada sono svanite senza lasciar traccia, sai?
Certo, dietro il prossimo angolo probabilmente ci saranno altri ostacoli ad attendermi, ma sono certa di saperli affrontali. Sono forte abbastanza per riuscirci.
E ora che posso tenere di nuovo la mano di Nobu, sono sicura che presto tornerò a stringere anche la tua.





Questa OS era già stata pubblicata qui, ai tempi in cui ero morbosamente innamorata di Nana.
Ora quell'amore è scemato un po', ma ogni volta che vedo un video su youtube ancora non riesco a rassegnarmi al fatto che Hachi e Takumi finiscano assieme.
Lei appartiene a Nobuo; in qualunque universo finissero sarebbe così sempre.
Ed ecco che ho deciso quindi di rispolverare il mio finale alternativo.
Spero che vi piaccia e che me lo facciate sapere con una piccola recensioncina <3
C'è ancora qualcuno in questo fandom, no? *-*
Un forte abbraccio.

Strange
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