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Autore: Yvaine0    10/07/2013    8 recensioni
Ero in treno da un'ora verso il nulla più totale.
Perchè? Probabilmente tutto era iniziato quando mio fratello aveva iniziato a parlare. Fin da subito aveva capito la sua vocazione: sparare stronz-...sciocchezze. E così, litigio dopo litigio, nostra madre era impazzita e aveva deciso di spedirci tutti e due a vivere da qualche parte lontani da loro.

Pan Fletcher, diciottenne, ragazza di città, si ritrova catapultata in un mondo a lei estraneo, caratterizzato da laboriosità, aria pura, e sentimenti sinceri. Armata di mp3, di un bizzarro interesse per le mucche e di un rassicurante manuale di sopravvivenza create da lei stessa, affronta questa avventura che la vita le regala senza ben sapere cosa pensare di tutto ciò che le sta per accadere.
"Che diavolo ci fai qui?"
"Che diavolo ci fai TU qui! Questa è casa di mio nonno!"
"Io qui ci vivo!"
Fissai il ragazzo in cagnesco per qualche istante. "Bè, anche io!"
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cows and jeans'
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Cows and jeans
 
43
 
 
Il modo aveva cominciato a girare al contrario. Non c'era altra spiegazione, se non, forse, che fossi finita nel paese delle Meraviglie, dove le cose non hanno alcun senso logico e molte funzionano al contrario; quindi, in ogni caso, tutto quello che stava succedendo era assurdo.
Nulla era più come l'avevo conosciuto al mio arrivo.
A parte Kameron. Kameron era sempre lo stesso adorabile cretino che adorava prendermi in giro per via di Carol. Questa volta dovevo ammettere che non aveva nemmeno tutti i torti; dove si era mai visto che una ragazza cotta a puntino di un ragazzo, si scansava quando lui cercava di baciarlo, convinta di aver avuto una vertigine? Non aveva alcun senso. Come tutti sappiamo, però, è proprio quello che è successo a me.
Ma torniamo alla mia personale Wonderland, è davvero... curioso.
Come in ogni paese delle Meraviglie che si rispetti, anche a Sperdutolandia c'era uno Stregatto. Ecco, lo Stregatto della situazione era sicuramente il caro Kam, che compariva sempre nei momenti meno opportuni ridacchiando e sorridendo sornione, intuendo doppi sensi e mistiche rivelazioni che solo la sua sopraffine mente di poeta simbolista poteva afferrare.
Era onnipresente e sembrava reggere costantemente il coltello dalla parte del manico. La parte più dolorosa della faccenda era che, in effetti, era così. Insomma, era l'unico a divertirsi in quella situazione assurda – almeno quando il nonno non lo braccava per riempirlo di domande scomode, perché a quel punto nemmeno lui rideva più, se non per l'imbarazzo.
Il ruolo di Brucaliffo calzava a pennello a nonno Abe, invece, che se ne stava tutto il giorno appollaiato sulla sedia a rotelle – suo malgrado – a controllare le azioni degli abitanti e degli ospiti della fattoria, borbottando tra sé e sé, correggendo gli errori altrui e rispondendo a tono a tutte le frecciatine che Dean gli rifilava in risposta ai rimproveri. Forse, ripensandoci, a nonno Abe si addiceva di più il ruolo della Regina di Cuori, in quanto ad umore e gentilezza...
Al di là del suo pessimismo e della sua perenne frustrazione, non ci mise molto per migliorare. Quotidiana era la lotta per convincerlo a salire in macchina e collaborare con il fisioterapista per gli esercizi di riabilitazione, ma i risultati furono positivi: secondo i medici, sorprendentemente, era un uomo davvero forte come sembrava; era ancora presto perché si reggesse sulle proprie gambe, ma non ci sarebbe voluto molto perché potesse stare in piedi con l'aiuto delle stampelle. Da lì alla totale riabilitazione la strada era ancora in salita e parecchio accidentata, ma nessuno aveva più dubbi sul fatto che Abraham Fletcher potesse arrivare in cima e rimettersi completamente – per quanto fosse possibile.
Se da questo lato le cose non facevano che migliorare, dall'altro si complicavano giorno dopo giorno. E non azzardatevi a chiedere di quale altro lato io stia parlando, so benissimo di cosa, o meglio di chi, volete che vi racconti. Ebbene sì, era proprio sul fronte McDonnel che le cose stavano andando peggio. Non solo per quanto concerneva il buon... il caro... insomma, Dean, ma in generale tutti e tre i fratelli sembravano essere particolarmente fuori dai canoni nell'ultimo periodo: uno si presentava alla prima lezione dopo le vacanze di Natale con un compito in classe a sorpresa di letteratura, un'altra era così sfuggente come non l'avevo mai vista e, infine, l'ultimo sembrava aver dimenticato il ruolo del suo personaggio. Era completamente Out Of Character e nemmeno se ne rendeva conto. Per capirci, era arrivato a cercare di consolarmi con battutine quasi divertenti, quando ero tornata da scuola con Kameron, lamentandomi dei pessimi voti che avevamo ricevuto a quello stupido compito a sorpresa – non solo per la mia D-, ma per la F di Kam: Merlino solo sapeva quanto sarebbe stato difficile farla recuperare a quello zuccone, specie ora che il nonno era in quelle condizioni, Dean fuori da ogni controllo e i miei nervi ipertesi a causa di quel mix esplosivo di guai. Perché, sì, si trattava di guai. I sorrisi ammiccanti di Dean erano guai, il suo sguardo divertito che incrociavo ogni volta che commettevo l'errore di guardare nella sua direzione era un guaio, la sua voce, la sua risata, la sua costante presenza al mio fianco erano un enorme, immenso guaio. Non potevano che essere tali, erano un cambiamento non indifferente, una novità sconcertante che mi turbava e spaventava. Perché tutto d'un tratto rideva e scherzava con me? Perché quando tornavo a casa lamentandomi degli insegnanti, anziché zittirmi con qualche frecciatina sarcastica o ignorarmi bellamente, mi ascoltava mentre parlavo da sola per sfogarmi e buttava lì qualche battutina per prendere in giro i suoi vecchi professori? Perché continuava a comparire nel bel mezzo di un pomeriggio di studio e si trastullava in cucina, fingendo di essere lì per caso e non per darmi fastidio, mentre rideva e scherzava con Kameron? Perché quando un'equazione non ci portava al risultato giusto, si chinava sempre sul mio quaderno per controllare gli errori, e non su quello di Kameron, che aveva chiesto il suo aiuto contro la mia volontà, sapendo benissimo quanto la sua vicinanza mi mettesse a disagio? Perché sorrideva sornione quando il nonno rifilava domande assurde e imbarazzanti a Kameron sul mio conto?
La risposta era solo una: si era rimbambito. Doveva aver battuto forte la testa mentre lavorava, era evidente, mandando così a farsi friggere tutto il suo bel caratterino. Okay, un carattere di merda che avevo sempre detestato, ma che almeno era una sicurezza, una costante nella mia vita. Sapevo che Dean andava evitato, che non c'era alcuna speranza per me e la mia Carol, nella sua vita non c'era spazio per noi, se non come elementi di disturbo marginali; qualcosa come un moscerino, talmente insignificante da non dare nemmeno seriamente fastidio. A quel punto, però, non avevo più nemmeno quella certezza. Lo evitavo come la peste, perché mi mandava in tilt e non sapevo come affrontare questo suo improvviso cambiamento di rotta.
Lui, dal canto suo, sembrava averla presa come una sfida personale. Non mi seguiva, questo no, e nemmeno mi cercava o diceva frasi da “figo della scuola” da film americano di quarta categoria – grazie al cielo –, ma quando ci trovavamo nella stessa stanza, mi bersagliava con occhiatine insistenti e sorrisetti di scherno. Sorrideva, sorrideva un sacco, causando un aumento del mio battito cardiaco ogni dannatissima volta.
Sembrava più disponibile e quando mi prendeva in giro, cosa che comunque succedeva continuamente, non lo faceva più con il palese intento di ferirmi e rendermi ridicola, ma con quello puro e semplice di ridere e magari far ridere anche me. In modo giocoso colpiva Kameron, il nonno, Aggie e anche me con le sue battute e spesso risultava addirittura simpatico.
Allora, ci credete o no che il mondo stava cominciando a girare al contrario?
Come se non bastassero i due fratelli McDonnel presi da momenti di puro sadismo, anche la sorella non era da meno in quanto a stranezza, nell'ultimo periodo. Incontrarla per i corridoi della scuola era diventato più difficile di trovare la Coppa Tremaghi nel labirinto della prova finale – al posto della Sfinge si rischiava di incontrare quel simpaticone di Mark in tutta la sua gentile e bella presenza. Non la si vedeva più correre tra una classe e l'altra durante i cambi dell'ora o, quando capitava, era sempre troppo lontana per poterle parlare. A mensa, nemmeno a dirlo, non c'erano mai posti vuoti al suo tavolo e, insomma, a parte l'obbligatorio tragitto casa-scuola e scuola-casa, non c'erano occasioni per fare quattro chiacchiere.
Kameron sembrava intristito da quell'improvvisa assenza di Agatha. Avevo provato a spiegargli che probabilmente si trattava di pure coincidenze; in quel periodo era molto impegnata per la scuola e per questo non aveva molto tempo da perdere con noi, che di certo non l'avremmo aiutata a studiare – Aggie, al contrario nostro, prestava particolare attenzione ai suoi voti. Insomma, di certo non ci stava evitando, ne ero convinta. O almeno lo ero stata finché, una mattina, non assistetti da lontano ad un scena insolita.
Avevo avuto bisogno del bagno e, per questo motivo, Kameron si trovava solo in corridoio all'intervallo. Mi aspettava mollemente appoggiato al muro, con le mani dietro la schiena e l'espressione allegra di sempre, quando Aggie e le sue amiche gli passarono di fronte, senza nemmeno fermarsi a salutare. Per un attimo avevo pensato che non l'avesse visto, poi, però, la testolina bionda della ragazza si era voltata a controllare l'espressione del buon vecchio Kameron, che si grattava la testa, confuso, e si sforzava di sorridere fingendo di non esserci rimasto male. Fu quel giorno che capii che, impegni scolastici o meno, qualcosa non andava con lei. Così cercai una buona occasione per parlargliene.
Chiaramente, come ogni volta che si aspetta il momento giusto per qualcosa, quello non arrivava. Quella che seguì fu una settimana di inferno. A parte l'impellente bisogno di interrogare tutti che affliggeva il professor McDonnel, per recuperare i votacci delle verifiche di spagnolo, la scuola era l'unico momento di stacco dalle mie paranoie e preoccupazioni Deancentriche. D'altro canto, come la mia povera auto blu veniva parcheggiata fuori dall'edificio scolastico, Kameron toglieva i panni dello Stregatto, smetteva di prendermi in giro in maniera più o meno velata per l'assurda situazione con Dean, ed entrava in fase Paranoia. La fase paranoia di Kameron Towell è qualcosa che non auguro a nessuno. Perché Kameron, si sa, non è un tipo particolarmente sveglio, ma senz'ombra di dubbio è ottimista. Le paranoie di una persona ottimista sono ciò di più ridicolo e snervante che si possa ascoltare a questo mondo.
Sentirlo commentare la patetica scena del non-saluto di Aggie con un misto di ironia e autocommiserazione era snervante. Si trattava di tutto un susseguirsi di risatine nervosa, “Magari non è come sembra”, “Tu che dici?”, “Mi sta evitando”, “Che le prende?”, “Sono sicuro che le passerà presto” e “Ma come fai a sopportarmi?”. Quella sì che era una bella, bellissima domanda. Come facevo a sopportarlo? Non lo sopportavo. Quel ragazzo stava diventando il mio personale secondo incubo. Ecco perché, quando per caso incontrai Agatha nel bagno delle ragazze, durante un intervallo, la fermai.
Ehm, Aggie?” cercai di attirare la sua attenzione, come sempre in soggezione di fronte al suo carattere austero, ma questa volta anche decisa a non farmi raccontare sciocchezze. Al di là della mia pazienza giunta quasi al limite, mi dispiaceva vedere Kameron angustiarsi – anche se con una buona dose di autoironia – su quella faccenda.
Lei sussultò, mentre si sciacquava le mani al lavandino. Era evidente che sperava non le rivolgessi la parole. “Ciao, Pan” farfugliò senza guardarmi.
Ciao” ripetei, confusa dal suo atteggiamento. Non mi aveva degnata di uno sguardo e si muoveva a scatti, come se si sentisse parecchio in imbarazzo. Notato ciò, mi venne automatico girarmi alla ricerca di qualcuno che potesse metterla a disagio: non potevo credere di essere io il problema. Ma, be', a meno che l'elemento di disturbo non fossero le due ragazze che si copiavano a vicenda gli appunti stese sul pavimento, sotto la finestra, lì dentro non c'era nessun altro. Quindi, per quanto la scelta di quelle due non fosse propriamente igienica, mi ritrovai a riconoscere che il problema ero io. “Tutto a posto?” le domandai, quindi, un po' confusa.
Agatha annuì frettolosamente, mentre si asciugava le mani, in fretta e furia. Prima che potesse fiondarsi fuori dal bagno con una scusa, quindi, le chiesi: “Posso parlarti di una cosa? Da amica a amica”.
La vidi bloccarsi un attimo, soppesare le mie parole con una smorfia di disapprovazione in volto, ma, proprio quando ero convinta che mi avrebbe mandata al diavolo, sospirò, sistemandosi l'immancabile coda di cavallo alta: “E va bene”.
Grazie” esalai a mia volta, sollevata dall'essere riuscita a raggiungere almeno il primo step della mia missione. Ora, però, arrivava la parte difficile. Che dirle? Ehi, ho visto che non hai salutato Kameron e ora lui si fa un sacco di viaggi mentali; che succede? Non era un'idea malvagia, ma mi sarei mandata al diavolo pure io, se fossi stata così diretta.
Spara” mi incoraggiò quindi, sedendosi sul lavabo, lo sguardo duro e la pretesa di avere il coltello dalla parte del manico in ogni situazione tipici dei McDonnel - almeno di quelli biondi. Fu questo sgangherato pensiero a farmi venire in mente una cosa: che Agatha avesse saputo della mia cotta per Dean e dei suoi strani comportamenti e che, quindi, ce l'avesse con me? Non ero esperta dei sentimenti di amore fraterno, lo avevo sperimentato pochissime volte e negli ultimi sei mesi, ma sapevo che Agatha era molto legata ad entrambi i suoi fratelli. Che fosse gelosa? Non era una cosa poi così improbabile, dopotutto. Anche Joshua, a modo suo, aveva cercato di tenermi lontana da Dean – e, santo cielo, mi rendevo conto che aveva avuto ragione: ero caduta come una stupida nella rete del fascino dello stronzo. Uno stronzo che però si stava addolcendo mandandomi completamente in tilt.
Ma eravamo ad Aggie, torniamo ad Aggie.
Annuii distrattamente, mentre dondolavo sui talloni, le mani nelle tasche, alla ricerca delle parole giuste da dire. “Ehm, come va?”. Non un ottimo esordio, no.
Lei inarcò un sopracciglio. “Si tira avanti” rispose con freddezza. Fu proprio questo a spingermi a prendere il coraggio a quattro mani: noi avevamo superato la fase del distacco, eravamo quasi in confidenza, perché tutto ad un tratto le cose erano cambiate? “Già, ma come? Perché ho notato che sei un po'... strana, negli ultimi tempi”.
Sono stressata. La scuola, sai” buttò lì, in tono di sfida. Un tono di sfida che mi ricordava maledettamente Dean. E questo era palese: ero davvero ridotta male, non facevo che pensare a lui. Stupida, stupida, stupida!
Sì, lo so. Non intendo questo. Che mi dici di... di Kameron?”
Ah”. Agatha si rabbuiò e abbassò lo sguardo. “Cosa?” domandò poi, ostinandosi a non voler darmi risposte dirette.
Lo stai evitando o è solo una sensazione sua?” Forse le sue paranoie erano un dettaglio che non andava rivelato. Forse. “Mia. Volevo dire mia,” mi corressi.
Rimase in silenzio per un po', lo sguardo basso che saettava febbrilmente sulle piastrelle del pavimento, come alla ricerca di una via di fuga. Alla fine si arrese con uno sbuffo. “Senti, Pan, senza offesa, ma è complicato e personale, non voglio parlarne”.
Se c'è qualcosa che non va, io forse...” Mi bloccai, lanciando un'occhiata alle due ragazze che copiavano i compiti, per controllare che non stessero ascoltando; in effetti sembravano così concentrate sul loro lavoro da non aver nemmeno fatto caso a noi. “Forse potrei darti una mano. Non sono un genio ed è evidente, ma due cervelli lavorano meglio di uno”.
Agatha saltò giù dalla sua postazione e scosse ostinatamente il capo, guardandomi finalmente dritto negli occhi. “Non è che tu possa aiutarmi in questo caso, no. Anzi, hai già fatto abbastanza”.
Okay, ora la cosa si stava facendo personale. Quella sembrava a me o era proprio un'accusa? Di cosa, poi? “Io che c'entro? Ti ho fatto qualche torto?” domandai allora, sulla difensiva.
Lei sbuffò di nuovo e strinse forte i pugni. “Ho... io...”
Cosa?”
Ho una cotta per lui, va bene?!” abbaiò infine, a voce un po' troppo alta, come a liberarsi di un peso che l'aveva inibita da secoli, costringendola a sorreggerlo con fatica e dolore.
E io, da perfetta cretina qual ero, rimasi immobile sul posto, a fissarla, mentre cercavo inutilmente di ricostruire nella mia testa tutti i tasselli del puzzle.
Aggie che rimproverava Kameron per le sue battutine maliziose e i suoi atteggiamenti da playboy fin da quando li avevo visti la prima volta; le sue battutine sarcastiche, le risate trattenute, la sensibilità a tutto ciò che usciva dalla bocca di quel troglodita; il suo imbarazzo quando l'aveva costretta a ballare con lui davanti a tutti, nei corridoi della scuola e alla festa del raccolto; il fatto che fosse come la sua ombra, sempre pronta a ricordargli i suoi compiti, i suoi doveri, ad aiutarlo. Tutto tornava. Tutto, a parte il suo improvviso allontanamento.
Ma è fantas-” stavo per dire, quando la sua risata amare mi interruppe. Agatha incrociò le braccia al petto con stizza e: “No, non c'è niente di fantastico” replicò.
Questo perché non sapeva che lui ricambiava, forse, pensai. Certo, questo non andava detto, però potevo spingerla a capirlo da sola. Da quando mi ero autoeletta cupido della situazione?
Ero contenta. Contenta perché all'improvviso tutto aveva un senso, le paranoie di Kameron erano infondate e, anzi, forse addirittura quei due avrebbero potuto essere felici insieme. Sì, era decisamente meraviglioso! Perché Aggie non se ne era accorta?
Oggi, a distanza di tempo, noto con disgusto che allora tutto ciò che vedevo era distorto dalla mentalità di una ragazza innamorata, la stessa che mi ero vantata di non aver assunto qualche tempo prima. Ovviamente non avrei dovuto cantare vittoria tanto presto, perché a quel punto ero piuttosto rammollita, nonostante non me ne rendessi conto. Tutto ciò che vedevo era rose e fiori oppure biondo con gli occhi castani e un pessimo carattere – che andava addolcendosi.
Agatha, ma che dici? Stiamo parlando di Kameron! Voglio dire, passate insieme tutto il vostro tempo, o quasi, e...”.
Ed è il migliore amico di mio fratello” obiettò lei con tono di sfida. “È molto più grande di me” contò sulla punta delle dita; “è ottuso come pochi al mondo e non si accorgerà mai di come lo vedo. E poi...”.
Poi?”
La concorrenza non è da poco”.
Okay” ricominciai subito a parlare, prima ancora di aver davvero ascoltato le sue parole. Dovevo risolvere la situazione al più presto: “Okay, Aggie, non tutto è perduto. Punto primo: è il migliore amico di tuo fratello. E allora? Mica stanno insieme! Punto secondo: è molto più grande di te”. Alzai gli occhi al cielo con fare teatrale; ammesso e non concesso che quattro anni di differenza potessero essere considerati molti – a quell'età, forse, ma nel giro di qualche anno sarebbero stati un ostacolo insignificante –, bisognava anche valutare la maturità dei due individui: Kameron era molto infantile e Agatha, invece, decisamente matura per la sua età. Il problema in pratica non sussisteva.
Per quanto riguardava il problema succ- … un momento. Cosa aveva detto?
Come, scusa?” domandai scioccamente.
Lei inarcò un sopracciglio. Sembrava rassegnata ad avere a che fare con una stupida e, devo dargliene atto, non aveva tutti i torti a considerarmi tale. “Cosa?”
Concorrenza?” ripetei, confusa. “Ma quale concorrenza? C'è forse qualcuno in questa scuola che si interessa a Kam in quel mod-... che si interessa a Kameron e basta?” No, perché io ero rimasta alla situazione in cui tutti lo evitavano in quanto amico di Dean McDonnel. Possibile che tutto ad un tratto si fosse trasformato anche questo?
Mi prendi in giro?” mi domandò, rivolgendomi un'occhiata così gelida che avrebbe potuto congelare l'inferno.
A quel punto capii di essermi persa qualcos'altro. Ma cosa? “Ehm... no” ammisi.
Oh, ti prego. Ora vorresti farmi credere che tra voi non c'è niente?!”
Black out. Ci fu un momentaneo black out nel mio cervello. Tutto era nero e silenzioso e poi, dal nulla, le parole di Agatha mi esplosero in testa.
Che cosa?! “Eh?!”
Senti, basta. È meglio che vada, ho lezione e...”
Sei totalmente fuori strada!”
Lo so, infatti vorrei andare in classe”.
Non...” Mio malgrado mi ritrovai a ridere di quella battuta involontaria, spinta anche dall'assurdità delle sue insinuazioni. “Non intendevo quello!” precisai, cercando di darmi un contegno. E io che credevo avesse capito di me e Dean! Non che ci fosse qualcosa da capire: io avevo una pericolosa cotta per lui e lui si era improvvisamente bevuto il cervello. “Tra me e...” Ridacchiai, davvero non riuscivo a crederci. “ Tra me e Kam non c'è nulla! Siamo amici!”
Già” sbuffò lei, sarcastica. Senza una parola di più, si avviò per uscire dal bagno e io la seguii.
No, Aggie, ascoltami, sono seria: siamo amici, solo amici. Buonissimi amici, non potrebbe mai esserci dell'altro tra noi”.Anche perché lui è cotto di te e io di tuo fratello. Già. Compatiscimi pure.
Continuò a camminare, rallentando però sempre più, fino a fermarsi; a quel punto di voltò verso di me, incerta: “Davvero?” domandò, indecisa se sentirsi sollevata o continuare a sospettare.
Spalancai le braccia, come a dimostrare la mia innocenza, e, così facendo, colpii un povero passante. Povero passante che, quando mi voltai per scusarmi, mi fulminò con un'occhiataccia, rivelandosi essere proprio il nostro carissimo amico Mark. Spalancai la bocca mortificata; perché tutte a me? “Scusa!” gli urlai dietro, mentre si allontanava rapidamente.
Agatha ridacchiò; dopotutto non doveva essere più così arrabbiata con me. “Te lo assicuro” ribadii comunque.
Lei annuì e si strinse nelle spalle, imbarazzata. Solo in quel momento pensai a quanto doveva essere stato difficile per una persona così riservata e orgogliosa ammettere una cosa del genere ad alta voce. Mossa da un'impeto di solidarietà, trotterellai verso di lei e la travolsi in un abbraccio del tutto inaspettato. “Ehi!” protestò infatti lei, ridendo. Sorrisi e stringendola un po' più forte, le promisi che avrei fatto del mio meglio perché le cose andassero per il meglio e che avrei mantenuto il segreto.
Che cosa stai dicendo?” chiese con una smorfia, una volta che ebbi riacquistato la dovuta distanza di sicurezza.
Alzai gli occhi al cielo. “Cercavo di essere carina, non è colpa mia se voi McDonnel siete allergici agli slanci affettivi!” brontolai, alzando il mento come a dichiarare la mia superiorità. Inoltre avevo già parlato troppo, dovevo tenere a mente che lei non sapeva di piacere a Kameron e che non avrei dovuto in nessun caso dirglielo.
Lei allora rise e inarcò un sopracciglio con fare intimidatorio: “A quanto ne so, noi non siamo gli unici a rifiutare le attenzioni altrui”.
Rimasi spiazzata. Quella era forse una frecciatina? No, perché aveva tutta l'aria di essere una frecciatina. Una frecciatina che temevo di non aver capito – o di non voler capire. “Come, scusa?” domandai, quindi, presa in contropiede.
Aggie rise di nuovo e mi fece l'occhiolino: “Oh, hai capito benissimo, cognata!”.
Probabilmente in quel momento passai a miglior vita.
 
Quindi, ricapitoliamo. Nel Paese delle Meraviglie c'erano lo Stregatto Kameron, il nonno Regina di cuori, un Dean Cappellaio Matto (molto matto e poco Cappellaio) e una Aggie Lepre Marzolina, che se ne usciva dal nulla e, proprio come il compare Stregatto, mi prendeva in giro. Perché, ebbene sì, non era solo una mia impressione che lei sapesse; lei effettivamente sapeva. A parte il mio sommo sconcerto iniziale, mi aveva confessato di aver sentito suo fratello e il migliore amico parlare di quell'episodio in camera mia e aveva ammesso di essersi battuta una mano in faccia. “Insomma, sì, è mio fratello, quindi che schifo. Ma... “ aveva lasciato la frase in sospeso, rivolgendomi poi uno sguardo eloquente.
Oh, smettila, non ti ci mettere anche tu!” sbottai imbarazzata, nascondendomi il volto tra le mani. Sì, lo sapevo, ero stata una cretina, non c'era bisogno che me lo ripetesse anche lei. Avevo avuto paura, d'accordo? Non ero riuscita a credere nemmeno per un secondo che Dean volesse davvero baciarmi; quando l'idea mi si era intrufolata nella mente, mi ero spaventata. C'erano una montagna di motivi a giustificare il mio timore. Migliaia. E me li ripetevo tutti ogni volta che lui era carino con me, ogni volta che eravamo soli nella stessa stanza: Dean McDonnel che mi odiava era fastidioso, ma era okay; Dean McDonnel interessato a me, era portatore di guai. Montagne, mari, oceani, intere galassie di guai.
Era quello che mi ripetevo continuamente. Dean era un guaio. Non era per me. O magari era anche per me, ma io non ero per lui. Ero in grado a malapena di affrontare me stessa e un paio di amici, non avrei mai potuto sopportare un... un... un Dean. Non ne ero capace. Pan Fletcher era un organismo unico, solo, separato da tutto il resto del mondo. Ero la Strega tra i Babbani e, se così sembro troppo presuntuosa, ero il Magonò che spazzava i pavimenti nella Scuola di Magia e Stregoneria più famosa del mondo. Sì, questo secondo paragone rende decisamente l'idea.
Dean aveva un carattere troppo diverso dal mio. Era laborioso, intollerante, severo, proprio come il nonno e sua sorella. Io ero pigra, goffa, blanda, non sapevo fare praticamente nulla. Ero persino più incapace di Kameron, che, comunque fosse, sapeva svolgere i propri compiti, nonostante tendesse a prenderli un po' troppo alla leggera. Se Agatha e Kameron nella mia visione dei fatti erano anime gemelle, fatte appositamente l'una per l'altro, io e Dean eravamo così diversi e così simili da essere assolutamente incompatibile. Era così, punto.
Non mi importava che tutto d'un tratto andasse in giro per casa cantando e facendo impazzire le farfalle nel mio stomaco – per non sentirlo, diverse volte mi ero messa a cantare a squarciagola la prima canzone natalizia che mi fosse venuta in mente; cosa che l'aveva divertito molto, ma non gli aveva impedito di smettere di cantare e mandare a farsi friggere i miei neuroni.
Dean era un ragazzo di campagna, io venivo dalla città. Era già molto che fino a quel punto fossi riuscita a sopravvivere, che addirittura preferissi quel posto a quello da cui venivo, ma nonostante questo ero comunque una ragazza di città. Una ragazza che non viveva senza il suo fidato mp3, che aveva ancora bisogno di nascondersi in cortile o nei bagni, a scuola, per telefonare alla sua migliore amica. Gridavo quando vedevo un insetto, quando sentivo qualcosa frusciare nel fosso accanto al quale stavo camminando, non avevo mai più, dopo la mia prima crisi di nervi, camminato scalza, né in casa e tanto meno fuori. Non ero una ragazza di campagna.
Ragazza di città e ragazzo di campagna non erano una coppia che poteva funzionare. La mia famiglia ne era la prova. L'ultima cosa che volevo ero diventare come mia madre, un giorno. Il fatto che non sapessi cucinare era già un indizio piuttosto preoccupante di quanto effettivamente promettessi male. Non avrei intrapreso una relazione con una persona dalla mentalità così diversa dalla mia, sapendo benissimo che sarebbe andata a finire male. Non mi sarei messa assieme ad un uomo solo per non rimanere da sola, non ero egoista come lei e speravo proprio di non diventarlo mai. Pan non era Felicity e non voleva diventarlo.
Coscientemente o meno, era questo che mi bloccava. Ero terrorizzata all'idea di finire come mia madre. E, sì, indubbiamente correvo troppo, nessuno parlava di matrimoni, non ero nemmeno sicura che Dean avesse intenzioni serie con me – Agatha me lo aveva assicurato, sapevo di potermi fidare del suo giudizio critico, ma non ero comunque convinta al cento per cento: ogni piccolezza era buona per dubitare.
Le cose procedettero così per un po': Kameron non perdeva occasione per prendermi in giro, che Dean fosse presente o meno, a casa e a scuola, completamente dimentico delle sue paranoie, ora che Aggie era tornata a frequentarci come agli inizi, pur non abbandonando mai le sue amiche; Emily, durante le telefonate della pausa pranzo, lo spalleggiava amabilmente, rischiando seriamente di farmi saltare i nervi; Agatha era l'unica che, strano ma vero, cercava di rincuorarmi, intuendo la mia confusione e il mio timore. Forse il motivo era che eravamo entrambe sulla stessa barca, in un certo senso, anche se lei non sapeva di esserci e Kameron non mostrava più attenzione del solito nei suoi confronti. La novità, comunque, era che avevo tutto il diritto e la possibilità di ripagare il mio buon amico con la stessa moneta, ogni volta che Agatha era nei paraggi. Cosa che facevo, causando così l'imbarazzo di entrambi, che grazie al cielo non sembravano mai prendersela davvero. Lo ammetto, quel ruolo da burlona mi faceva sentire tanto Terrence, ma era più forte di me: avevo un bisogno smisurato di vendicarmi di quelle quotidiane prese in giro.
Ah, e a proposito di Terrence: era incredibile l'intesa con cui smettevamo di fare allusioni a Dean, Agatha o chiunque non appena lui si univa a noi. Non era solo una mia impressione, quindi, che Mr Burlone fosse una rana dalla bocca – non larga – larghissima. Gli arrivi tempestivi di Terrence Doyle erano quasi una manna dal cielo certe volte: quando le cose si mettevano male e stavo per morire dall'imbarazzo, lui arrivava, portando con sé il silenzioso Phil e una quiete di cui probabilmente non si capacitava nemmeno lui. Perché, sì, insomma, era uno di quei ragazzi non esattamente calmissimi. Non che fosse un poco di buono, questo mai. Piuttosto era una sorta di Attila: dove andava lui, non cresceva più l'erba. E nemmeno lo faceva di proposito. Insomma, era un casinista pieno di buone intenzioni, ma era anche un casinista che non sapeva tenere la bocca chiusa, qualcuno a non avrei mai raccontato i fatti miei, per quanto fosse evidente che fosse un tipo comprensivo e accomodante.
Una volta tornata a casa, comunque, il mio problema principale rimaneva Dean. Considerato che non potevo stare tutto il giorno col fiato sul collo del nonno, o come minimo mi avrebbe cacciata di casa, visto il suo sempre ottimo umore, e che i compiti reclamavano di essere fatti, non avevo alcun modo di evitarlo, specie durante le sue pause.
 
Kameron sbuffò per l'ennesima volta, mentre cercava di studiare una maledettissima funzione. “Qual è la derivata di coseno di x?”
Ehm... seno di x” risposi, dopo averci pensato su un attimo. La matematica era abbastanza complicata anche per me, senza che lui continuasse a chiedermi cose che avrebbe potuto benissimo leggere sul formulario che avevamo preparato prima di passare agli esercizi.
Giusto. Quindi quella di seno di x è coseno di x” snocciolò, correndo subito a scrivere.
Senza nemmeno ascoltarlo annuii, troppo concentrata nel tentativo di ricordarmi come dimostrare uno di quegli stupidissimi teoremi dal nome ridicolo. “Sì, il seno di x è...” mi accigliai, rendendomi conto che aveva appena detto una cretinata. “No, ma cosa dici? La derivata del seno di x è meno-”
Utile di qualsiasi altra cosa studierai nella tua vita” si intromise una terza inconfondibile voce, mentre i passi di Dean attraversavano il corridoio diretti al piano superiore.
Sbuffai, mentre Kameron rideva: “Quindi niente!” gli gridò dietro, ottenendo in risposta un grugnito divertito.
Alzai gli occhi al cielo, tornando al mio teorema. Ci mancavano solo le sue battute demotivanti: svolgere esercizi di matematica era già abbastanza complicato e noioso anche senza che lui ci ricordasse quando poco ci sarebbe stato utile conoscere quelle nozioni.
Poi, naturalmente, i suoi passi si interruppero a metà scala e tornarono al pian terreno. Mentre faceva il suo ingresso in cucina, diretto come al solito verso il lavabo per riempirsi un bicchiere d'acqua. “Scusa, quindi qual è la derivata del coseno di x?” ripeté.
Kameron si strinse nelle spalle e guardò me, carico di aspettative.
Stupido pigrone! Alzai gli occhi al cielo e mi voltai appena sulla sedia per poter vedere Dean, allora risposti, in tono piatto e rassegnato: “Meno seno di x”.
Dean sghignazzò tra sé, chiudendo il rubinetto. “È la tua formula allora: qui non c'è traccia di seno!”.
Sgranai gli occhi, oltraggiata, e spalancai la bocca per dirgliene quattro. Non aveva perso il suo pessimo senso dell'umorismo, questo era evidente.
Inutile dire che Kameron se la stava ridendo della grossa, fomentandosi così l'ego di Dean, che mi fissava soddisfatto, sfidandomi con lo sguardo a replicare. Così io non replicai: feci un respiro profondo, sbuffai e tornai a ragionare – per quanto fosse possibile – sul mio esercizio di matematica, la testa tra le mani e i capelli a coprire la mia aria frustata. Si meritava una montagna di schiaffi, ecco cosa. “Stronzo” non riuscii ad impedirmi di borbottare, comunque.
Lui ridacchiò, mentre Kameron si svegliava dalla sua trance di ilarità per venire in mio soccorso: “Dean! Non puoi trattare così la ragazza a cui fai il filo!” Be', circa.
La mia occhiataccia successiva fu riservata proprio a lui, ma questa volta mi trattenni dall'aprir bocca o mostrarmi colpita da ciò che era stato detto. Sì, be', e naturalmente ero arrossita, motivo per cui non mi degnai nemmeno di alzare la testa dal quaderno.
Il mio supplizio non era ancora finito, però: Dean si avvicinò al tavolo, bevendo, poi posò il bicchiere sul tavolo e appoggiò le mani sullo schienale della mia sedia, mentre, in un soffio, diceva: “Ho notato che con le cattive ottengo più risultati che con le buone, a dire il vero. Ho cambiato tattica”.
Kameron annuì con aria teatralmente solenne e emise un grugnito d'intesa, mentre morivo dall'imbarazzo. Per coronare il tutto, Dean mi scompigliò i capelli e se ne andò, lasciandomi nel più totale imbarazzo alle prese con un maledettissimo esercizio di matematica.
Visto? L'avevo detto io che portava guai. Ed era un grandissimo stronzo. Sarei morta di vergogna, un giorno o l'altro.
 
 
In der Ecke – Nell'angolo:
Eccoci qua, finalmente, al penultimo capitolo. Non vi dirò cosa ne penso, perché ultimamente mi disgustano quasi tutti i capitoli, ma non pensiamoci.
Vorrei ringraziare tantissimissimo la cara Meri, Aries Pevensie, che oltre a sopportare tutti i miei scleri – che son parecchi ultimamente, davvero troppi e su ogni cosa – mi ha fatto l'enorme favore di betare questo capitolo. E ha avuto il coraggio di ringraziarmi. LEI! XD Grazie, Poop, tantissimo, per tutto. ♥
Poi naturalmente ringrazio anche voi, che siete fantastiche ed incredibilmente non vi siete ancora stufate di questa storia e di me, dei miei ritardi, delle mie scuse. Grazie anche a voi. :)
Ci sentiamo il prima possibile con il prossimo e ultimo capitolo. ^^
  
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