Film > The Avengers
Ricorda la storia  |      
Autore: Mary West    15/07/2013    4 recensioni
La squadra si era radunata alla torre, alla disperata ricerca di cibo, e nessuno aveva colto segni di un plausibile contagio né si era presa, anche solo minimamente, in considerazione la possibilità che quelle Mucche a Macchie Marroni Carnivore – che Tony aveva ribattezzato Ghepardi Grassi e Affamati e Senza Cervello – potessero trasmettere un qualche virus capace di superare anche la dura scorza del bestione verde rabbioso più famoso dell'anno.
In cui dopo una lotta contro il dottor Destino, Bruce contrae un virus che si espande velocemente, Tony è un bambino, Clint fa le fusa come un gatto, Steve è un gentiluomo e Thor ama mangiare; partecipano Natasha allergica alle piume d'oca e Phil raffreddato, il tutto sotto la supervisione di Pepper, che sa gestire i Vendicatori come nessun altro al mondo.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Pepper Potts, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Eternal sunshine of spotless minds'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Avvertimenti: team!fic, battle, squadra al completo, lievissimi accenni H/C, friendship, fluff spaventoso, post-Avengers; Pepperony, accenni C/C, Brutasha quasi inesistente.

Note: i Lombrichi e le Mucche sono di mia invenzione; il dottor Destino è uno dei più grandi cattivi Marvel; “Le avventure di Tom Sawyer” è un romanzo per ragazzi di Mark Twain che il co-protagonista di “La vita è meravigliosa”, l’angelo di seconda classe Clarence legge. Quello è anche il film che vedono alla conclusione della storia; il film che vedono Steve e Pepper, invece, è “Il mago di Oz” e l’iscrizione iniziale è riportata uguale; il piumone è una pensata su Barton che ebbi sei mesi fa e su cui ho quattro storie pronte. Phil nerd è tratto dal primo appuntamento tra Phil e la violoncellista di Vannagio; le telecamere sono di Coulson che diventa Vendicatore di Will e Tony pianista è ispirato alla Sonata di Lighting.

Augurio: non mi fa impazzire in alcuni passaggi, ma non mi dispiace troppo, lo confesso. XD. Buona lettura! ^^















 

Thanks for sunshine




Il primo fu Bruce.
 
Infatti, per quanto incredibile possa sembrare, anche Hulk era soggetto a simili agenti patogeni e la missione da cui la squadra era reduce quella Domenica pomeriggio era stata particolarmente ardua.
 
L’invasione di un esercito di Lombrichi Rosa Volanti e Assassini e Mucche a Macchie Marroni Carnivore – le Mucche, non le Macchie – era giunta inaspettata e la guardia nazionale nulla aveva potuto contro quelle bestie feroci e assetate di sangue. L’armata assassina si era liberata all’alba di quel giorno e a mezzogiorno in punto la città era in stato di assedio, caos e terrore. Ogni angolo di New York era sconvolto dalle violenta presenza di quegli esseri selvaggi e tra la gente si era diffuso il panico più totale.
 
Mentre il dottor Destino gestiva il suo attacco indisturbato, dal suo superattico volante, ridendo sadicamente ogni qual volta una delle sue fedeli bestioline riusciva a mettere fuori combattimento uno dei patetici impiegati della polizia, il Presidente aveva deciso di interrompere qualsiasi offensiva di guerra e rivolgersi direttamente all’uomo più potente del mondo.
 
Nick Fury era stato contatto all’una meno un quarto, durante la sua settimanale riunione di condominio con quelle allegre e scanzonate e soprattutto sempre ottimiste persone del Consiglio ed era stata pura gioia quella che si era dipinta sul suo volto alla notizia della chiamata del secondo uomo più grande in tutta Midgard – terzo, se si contava l’Yggdrasil e, quindi, Odino. Ma Nick Fury veniva pur sempre prima del Padre degli Dei.
 
Al direttore erano stati sufficienti due minuti per aver chiara la situazione, dopodiché aveva sguinzagliato la sua fedele spalla sinistra e aveva urlato il nome di quella destra. Ancora una volta, l’intervento di Coulson si era rivelato provvidenziale: senza sbattere le ciglia o incrinare un muscolo, l’uomo aveva ascoltato con attenzione l’evoluzione delle cose e, infine, aveva annuito, pronto a prendere in mano la situazione.
 
Senza dire una parola, aveva inforcato gli occhiali da sole, si era sistemato il nodo della cravatta ed era salito su un’auto dell’agenzia, guidando con grande stile ed enorme indifferenza nei confronti degli attacchi dei Lombrichi Rosa Volanti e Assassini sugli specchietti retrovisori, provocando una crisi di identità e uno scompenso nervoso dovuto a sfiducia in se stessi a più di un Lombrico.
 
L’Acura grigio scuro era stata parcheggiata nel posteggio privato della Stark Tower all’una in punto e Phil aveva varcato la soglia dell’attico abbottonandosi il pulsante centrale della sua Armani nera e alla ricerca dei suoi sei instabili protetti.
 
Virginia l’aveva accolto con un sorriso comprensivo ed uno sguardo serio e gli aveva indicato la strada. Bruce e Tony erano immersi nella costruzione di un bunker – il cui motivo era, ahimè, a tutti oscuramente (e inquietantemente) ignoto –, il Capitano si stava godendo l’ennesima lettura de “Le avventure di Tom Sawyer” e Thor se ne stava bellamente steso sul divano tra cheeseburger e Boing.
 
Clint e Natasha, quasi non serve dirlo, erano in palestra, alla fine del loro quindicesimo round ma, come disse Clint, lui era un gentiluomo e le aveva concesso il privilegio della vittoria solo per non ferire i suoi sentimenti, affermazione che aveva fatto incrinare le sopracciglia a Phil e fatto scoppiare Thor in una risata sonora come solo lui sapeva fare.
 
Raggruppata la squadra di eccentrici emarginati della società, Coulson si era assicurato che ognuno avesse i propri gadget del cuore e gli aveva indicato, con dovizia di particolari, il loro compito, dando ampia e lodevole dimostrazione di grande intelligenza e capacità di resistenza nel tollerare ed ignorare ogni intervento spropositato e fuori luogo di Stark e Barton – vale a dire, ogni intervento di Stark e Barton.
 
I sei erano partiti per la loro missione con umore stranamente buono e avevano trascorso due piacevoli ore a salvare Manhattan, New York e il mondo intero come di loro consueto, liberando ogni spiffero della città da quelle strane bestie assetate di sangue e stroncando sul nascere il loro piano di conquista del mondo – naturalmente.
 
Il popolo li aveva acclamati con entusiasmo – i Vendicatori, ovviamente, non le bestie feroci – e tutti i telegiornali avevano trasmesso per ore il servizio che riportava scene per cui Fury avrebbe urlato parecchio e per parecchie ore, come quella che ritraeva Tony, senza casco e con l’armatura ridotta a pochi pezzi – tutti si chiedevano come avesse fatto a mantenersi in aria – lanciarsi in un fiume di Lombrichi Rosa Volanti e Assassini usando lo scudo del Capitano come tavola di surf, mentre Steve lo rincorreva gridando frasi poco democratiche e repubblicane, davvero fuori luogo per il paladino d’America. Il tutto era stato farcito dalla presenza di Clint sullo sfondo, il quale si era lanciato a sua volta con una corda da un palazzo all’altro come Tarzan ad una liana salutando Coulson senza motivo.
 
Il pericolo era, comunque, stato scongiurato in poche ore e il dottor Destino aveva raggiunto prima delle quattro le celle dello S.H.I.E.L.D. – per circa la novantesima volta, come Fury aveva fatto ben notare agli agenti di guardia (“E se ve lo fate scappare ancora, vi spedisco a calci nel culo in Siberia per l’eternità! Sono stato chiaro?!”).
 
La squadra si era nuovamente radunata alla torre, alla disperata ricerca di cibo e di una doccia, e nessuno aveva colto segni di un plausibile contagio né si era presa, anche solo minimamente, in considerazione la possibilità che quelle Mucche a Macchie Marroni Carnivore – che Tony aveva ribattezzato Ghepardi Grassi e Affamati e Senza Cervello – potessero trasmettere un qualche virus capace di superare anche la dura scorza del bestione verde rabbioso più famoso del 2013.
 
Il primo, infatti, era stato proprio Bruce e nessuno se n’era accorto.
 
Va detto, a onor del vero, che neanche Bruce stesso ne aveva avuto il sentore e, infatti, dopo aver trascorso i suoi venti minuti sotto la sua doccia personale, era tornato in laboratorio, a lavorare sul campione di Lombrico che era riuscito a conservare, dimentico di tutto il resto.
 
Ad accorgersene era stata Virginia.
 
L’orologio a parete con la faccia di Hulk ringhiante segnava le cinque e mezzo del pomeriggio quando Pepper uscì dal suo studio, con i muscoli indolenziti per l’eccessiva mobilità e gli occhi assonnati per il troppo tempo perso a leggere pile infinite di documenti e clausole scritte con calligrafia infima.
 
Con addosso solo i fuseaux blu e l’ampio maglione scuro, camminò lentamente fino alla cucina, scovando nella moka completamente vuota il passaggio del fidanzato. Fece salire di nuovo il caffè e ne bevve un sorso, riempiendo poi una seconda tazza bollente e fermandosi di fronte alla vetrata ad osservare New York.
 
Quella mattina, quando si era svegliata, il cielo era di un tenue fiordaliso, levigato da raggi del sole albeggiante. In quel momento, in quel tardo pomeriggio, la città era tornata in attività, dopo l’attacco del dottor Destino, rumorosa e allegra come sempre, eppure il firmamento si era oscurato ed era di un deciso blu acciaio con macchie di piombo e sfumature d’argento. Nel chiaro pervinca, sembravano galleggiare grappoli di nuvole scure e un vento forte tirava nell’aria pesante.
 
Di fronte a quel grigiore deprimente, Pepper si strinse nelle spalle e strofinò i piedi scalzi contro il marmo freddo, serrando le mani attorno alla tazza ancora fumante. All’improvviso, a contatto con quel calore tra le mani, si ricordò del motivo per cui aveva preso una seconda tazza e si diresse a passo svelto e silenzioso verso il laboratorio. Scese le scale a chiocciola e si ritrovò davanti la porta a vetri, superando la soglia con un salto allegro. La persona che stava cercando era proprio davanti a lei, china sul primo tavolo da lavoro con l’aria pensierosa e la fronte aggrottata nello sforzo della concentrazione.
 
Si chiuse la porta alle spalle e si avvicinò al dottore con un sorriso timido sotto le ciocche ramate.
 
“Disturbo?” disse con voce insicura. Bruce sollevò di scatto il volto dalla fiala che stava analizzando e si voltò con espressione prima stupita, poi si sciolse anche lui in un sorriso.
 
“No, certo che no” replicò sfilandosi le lenti protettive. Gli occhi erano stranamente lucidi. “Stavo solo dando un’occhiata al DNA di quegli animali. Il loro reticolato osseo è di una complessità notevole, incredibile considerando che le dimensioni del loro corpo non superano il 23,5-...”
 
“Meraviglioso” lo interruppe Pepper con un sorriso entusiasta, mentre gli porgeva la tazza. “Ti ho preso del caffè... pensavo ne avessi bisogno” aggiunse, assottigliando gli occhi mentre scrutava con attenzione il viso un po’ più pallido del solito del dottore. Bruce afferrò il bicchiere con un sorriso grato sotto le guance lievemente più rosee per l’imbarazzo e ne bevve un lungo sorso.
 
“Grazie” le disse, la voce colma di gratitudine. “Sei sempre troppo gentile.”
 
Pepper scosse il capo chinandolo per nascondere le fiamme accese sulle gote di efelidi e rispose al sorriso. Mentre il dottore riprendeva a sorseggiare il caffè ancora piacevolmente caldo, Virginia sbatté le ciglia sulle iridi di cielo e riprese ad osservare seria il viso di Banner; oltre al colorito decisamente più chiaro del solito, uno strano di sudore non troppo vistoso gli imperlava la fronte spaziosa e il collo e continuava a toccarsi la testa e la spalla con un gesto nervoso.
 
Pepper seguì il tocco delle dita sulla stoffa che ricopriva la clavicola e strinse gli occhi, senza capire.
 
“Cos’hai lì?” domandò con voce incrinata dal sospetto, indicando lo strano gonfiore sotto la camicia. “Sulla spalla.”
 
“Umpf?”
 
Bruce allontanò la tazza dalle labbra con lo sguardo perplesso e fissò a sua volta la direzione delle dita di Virginia. Pepper sfiorò il tessuto color lavanda, poi arrossendo furiosamente, sbottonò i primi pulsanti e sfiorò con leggiadria la pelle gonfia e rossa; al centro dell’ingrossamento innaturale, s’intravedeva un punto scarlatto stranamente simile al foro di una puntura.
 
“Sei ferito” esclamò, spalancando gli occhi. “Oh mio Dio, guarda cosa ti è successo. Devi subito metterci qualcosa...”
 
“Pepper” la interruppe Bruce, vagamente a disagio per il contatto tra lui e la mano di Pepper sulla propria pelle, così gradevolmente fresco rispetto alla temperatura che sentiva bruciargli addosso.
 
“Non ti preoccupare, sto...”
 
“Bene?” fece lei, portandosi entrambe le mani sui fianchi con fare minaccioso. “Ne dubito seriamente. Se pensi di non curarti, allora Tony ti sta davvero influenzando e la cosa non mi fa per niente piacere. Devi assolutamente riposarti e prendere qualcosa per sentirti meglio.”
 
“Non è questo, volevo solamente...”
 
“Forse dovremmo chiedere a Mon-... Fury se può mandare qualcuno a darti un’occhiata” rifletté lei pensierosa. “Almeno potremmo stare tranquilli.”
 
“Virginia, io veramente...”
 
“Adesso andiamo” concluse lei scuotendo il capo con severità. “Non accetto scuse.”
 
Bruce scoppiò in una bassa risata rauca e si passò una mano tra i capelli, la chioma spettinata che gli conferiva un’aria distratta e molto attraente perfino in quello stato poco salubre.
 
“Virginia” mormorò con voce affettuosa, “volevo dirti che ho analizzato il DNA di quegli animali e che posso tranquillamente prevederne le conseguenze senza chiamare dottori di agenzie spionistiche, creare allarmismi o rubare ingiustamente tempo a straordinariamente gentili donne in carriera.”
 
Il volto di Pepper s’infiammò ancora mentre sbatteva le labbra l’una contro l’altra, presa dall’imbarazzo; poi, senza aggiungere altro, afferrò Bruce per un braccio e lo condusse all’attico, in una delle stanze da letto. Attese che s’infilasse nel suo pigiama – miniature di Hulk su una stoffa bianca? Tony aveva decisamente un macabro senso dell’humor – e si ripresentò nella camera con profusione di coperte, una tazza di thè bollente alla vaniglia, una bottiglia d’acqua fresca, il termometro e vari panni imbevuti.
 
“Bene” annunciò con fare pratico, “sarà meglio che ti metta sotto le coperte o gelerai.”
 
Bruce seguì i suoi consigli con un sorriso affettuoso, ma stanco, gli occhi che si facevano sempre più pesanti con l’aumentare della sua temperatura.
 
“Hai la febbre altissima” proclamò lei dopo qualche minuto, scuotendo il capo con decisione mentre cominciava a tamponargli la fronte con un panno saturo d’acqua, in ginocchio sulla moquette. “Non so come tu abbia fatto a non accorgertene.”
 
Bruce emise qualche verso disarticolato e poi aggiunse con voce flebile.
 
“Uno degli effetti del contagio” mormorò con la bocca contro la stoffa soffice del cuscino, “la temperatura non si alza gradualmente, è uno scatto improvviso, come per la puntura di un animale qualsiasi. È pericoloso per chi è stato in contatto con quelle bestie.”
 
Sospirò pesantemente e chiuse gli occhi, storcendo le labbra in una smorfia di fastidio quando cominciò a tossire con violenza. Pepper scosse il capo con espressione preoccupata e gli si avvicinò ancora.
 
“Vuoi bere?”
 
Lui annuì vagamente, i tratti del viso che prendevano a rilassarsi mentre si lasciava andare al sonno e, senza aprire gli occhi, bevve un sorso d’acqua fresca che lei gli porse.
 
“Cosa ci dobbiamo aspettare?” chiese, sedendosi definitivamente sul morbido tappeto, rimanendo con le spalle all’altezza del letto. Bruce emise uno strano sbuffo e si rigirò sotto il piumone di tigri e Vendicatori che Pepper aveva regalato a Phil poco prima.
 
“Un’influenza normale, più o meno” disse con la voce rauca, attutita dal contatto della bocca con il cuscino, “solo molto più forte. Tosse, febbre, forse nausea...”
 
Storse ancora le labbra in una smorfia e si portò una mano sulla pancia, affondandola nella carne. Pepper rifletté per un istante, poi allungò la propria, di mano, e la pose sotto quella di Bruce, molto più grande e calda, cominciando a muoverla lentamente.
 
Bruce effuse un verso di compiacimento e affondò la nuca tra le piume d’oca con un sospiro e un sorriso contento. Pepper rise a voce bassa e continuò a strofinare.
 
Quando Bruce si svegliò tre giorni dopo, le piccole dita di Virginia erano ancora lì.
 
 
 
Il secondo, neanche a dirlo, fu Tony.
 
La persona che era più in contatto con Bruce, sia durante le battaglie – e quella in particolare – sia in laboratorio era lui, d’altro canto, e Pepper, che non aveva potuto sentire dal dottore, crollato troppo presto, quanto fosse potenzialmente contagioso il virus. Il problema, comunque, non si poneva troppo dal momento che, per contrarlo, era necessario aver avuto un contatto con quelle bestie incredibili, per cui non ebbe nessuna scusa per non prendersi cura di Tony quando, la mattina seguente al ricovero del collega, si svegliò accaldato e dolorante.
 
Erano le otto e Pepper era già perfettamente sveglia, accanto al letto di Bruce, per somministrargli una pasticca per fargli scendere la temperatura che continuava a mantenersi su temperature piuttosto alte. Quando Tony, che aveva riso per ore il giorno prima nel vedere Hulk malato, la chiamò, Bruce si era profondamente addormentato, cullato dalla carezza della mano di Pepper contro la sua pancia.
 
Le lamentele del padrone di casa giunsero fino alla stanza in cui il primo malato dormiva e Virginia raggiunse con espressione incuriosita la propria camera, dove Tony giaceva ancora sotto le coperte.
 
“Perché sei ancora a letto?” gli domandò con la fronte aggrottata. “Non avevi detto che volevi analizzare il DNA dei Ghepardi Grassi per aiutare Bruce?”
 
In risposta, Tony le rivolse un’espressione terribilmente simile a quella di una marmotta smarrita e sbatté le palpebre, scivolando più a fondo sotto lo strato di coperte.
 
“Sto male” annunciò con la voce rauca, tra un colpo di tosse finto ed uno reale. “Malissimo. Sto morendo. Lascio a te tutti i miei averi. Abbine cura. E di’ a Legolas che punto su di lui per scongelare Lui-Sa-Bene-Chi-E-Non-Puoi-Deludermi.”
 
Pepper roteò gli occhi al cielo con un sorriso divertito e gli si avvicinò in ginocchia sulle lenzuola per portargli una mano sulla fronte.
 
“Purtroppo, temo che tu non stia proprio recitando” asserì convinta. “Ma tu straparli anche da malato, Stark?”
 
“Secondo le statistiche, straparlare è un segno di intelligenza. O di follia. Un cinquanta per cento delle volte, di entrambe.”
 
Pepper sorrise ancora al suo fianco.
 
“Sai, sapevo fossi stupido, ma non pensavo che la tua stupidità potesse toccare vette così alte.”
 
Tony mise su un broncio infantile e arricciò il naso piccato.
 
“Aspetta qui.”
 
Lui sbuffò contro il cuscino.
 
“E dove vuoi che vada?” chiese al vuoto nella stanza. Quando Virginia tornò dopo dieci minuti, aveva la sua personale cassetta del pronto soccorso; Tony rimase al caldo mentre lei gli misurava la temperatura, lo aiutava a bere e gli fece prendere la stessa medicina che aveva già somministrato, con successo, a Bruce. Quando anche Stark sembrò cominciare ad addormentarsi, fece per alzarsi, ma, al primo tentativo, il suo fidanzato emise un verso di protesta senza aprire gli occhi e allungò un braccio.
 
Pepper scoppiò a ridere scuotendo il capo e sgattaiolò con lui sotto il piumone di tigri e Vendicatori, cingendogli le braccia in vita e accarezzandogli la fronte con una mano. Con quella risata cristallina nelle orecchie e le sue labbra fresche su una guancia, Tony l’avvolse contro il proprio petto e si addormentò.
 
 
 
Il terzo fu Clint e la cosa sorprese tutti.
 
Barton, dopotutto, non era mai stato molto in contatto con Bruce e Tony e quando il terzo giorno dal ricovero del dottore si svegliò con la voce rauca e l’aria intontita – cioè, più intontita del solito – Natasha scosse il capo con disapprovazione.
 
Pepper, reduce da una nottata tra le stanze dei due scienziati, arrivò in cucina e trovò le due spie intente a scambiarsi parole poco gentili intervallate dai violenti colpi di tosse di uno dei due.
 
“Clint” esclamò stupita, “stai male?”
 
Natasha annuì con le braccia incrociate ed un’espressione corrucciata e Barton tentò di rispondere, ma tutto ciò che la sua bocca riuscì ad emettere fu un altro raschio di tosse, più rude di tutti gli altri, che nessuna delle due presenti capì, ma che suonò stranamente simile a “Lombrichi del cazzo”.
 
Virginia e Natasha si scambiarono un’occhiata complice e, nonostante tutte le proteste, dopo venti minuti, Clint era nella stanza tra quella di Tony e Bruce, sotto il piumone di tigri e Vendicatori, con un panno imbevuto sulla fronte e l’aria davvero molto intontita.
 
“Come ha fatto ad ammalarsi?” chiese Pepper scuotendo il capo, una volta che Barton si fu addormentato. “Dopo Tony, ho fatto attenzione che nessuno si avvicinasse a loro.”
 
Natasha sospirò profondamente e si versò un bicchier d’acqua.
 
“Clint si ammala molto facilmente” disse dopo qualche istante. “È sempre stato così. Da piccolo, ha lavorato in un circo... sai, i suoi genitori sono morti giovani e lui è stato adottato da un uomo di quell’ambiente e lì è facile, con tutte le persone e gli animali, prendere malattie, anche stupide... i suoi anticorpi sono praticamente inesistenti.”
 
Pepper sospirò a sua volta, osservando il viso di Clint sereno e pacifico e rifletté che era adorabile quando dormiva, innocente e tranquillo come un bambino.
 
“Forse dovremmo avvertire Coulson” tentò Natasha dopo qualche istante. Pepper rispose al sorriso e fece per alzarsi, ma l’altra la fermò.
 
“Non preoccuparti, vado io.”
 
Virginia osservò la spia varcare la soglia, poi si alzò a sua volta, avviandosi verso la porta. Un istante prima che la superasse, Clint emise un verso strano nel sonno, come se fosse agitato, e Pepper tornò sui suoi passi, avvicinandosi al viso di Barton.
 
“Ehy, va tutto bene” gli mormorò ad un soffio dalla guancia. Barton si lamentò ancora e allora lei si sporse più contro di lui e, all’improvviso, si ricordò di una cosa che le aveva detto Phil.
 
Chiudendo gli occhi, imbarazzata, dischiuse le labbra e cominciò a intonare una melodia quieta che Tony le aveva suonato una volta. Barton, all’ascolto di quella sinfonia, emise un verso contento.
 
Virginia, senza smettere di canticchiare, gli passò una mano sulla fronte e poi sul dorso e, nel sonno, Clint intrecciò le loro dita.
 
Sorridendo con le guance in fiamme, lei scosse il capo e si morse il labbro per non svegliarlo con la sua risata quando lui sfregò una guancia contro il cuscino e s’immerse più a fondo nelle coperte, sorridendo per l’incastro confortevole delle loro dita e la musica delicata che risuonava nella stanza.
 
 
 
Il quarto fu Phil e Pepper non si sorprese affatto.
 
La quantità di tempo che l’agente aveva trascorso accanto a Clint era un fattore sufficiente perché, al risveglio di Bruce, Virginia non si stupì quando una quarta voce rauca sostituì quella del dottore non del tutto guarito, ma certamente rimesso più in forma.
 
Coulson non era evidentemente abituato ad ammalarsi e convincerlo del proprio status mali fu non poco arduo come compito. Sta di fatto che Pepper era abituata a trattare con magnati dell’industria mondiali, capi di agenzie spionistiche internazionali, divinità norrene e Tony Stark e il problema per lei fu di facile risoluzione.
 
Tuttavia, sapeva in partenza che convincere Phil a lasciare il capezzale di Clint, quando Barton non mostrava segni di miglioramento come i due malati precedenti, era una battaglia persa in partenza, così si limitò a convincere il suo migliore amico a stendersi al fianco dell’arciere, coprendo anche lui con il piumone di tigri e Vendicatori e sedendosi al suo fianco per avvolgerlo perbene nella stoffa calda.
 
Phil sorrise mezzo addormentato e si sistemò tra le coperte; Clint teneva una guancia affossata nel palmo di una sua mano.
 
“I tuoi regali sono sempre perfetti” fece in uno starnuto e Pepper si sporse per porgergli un fazzoletto e schioccargli un bacio sulla fronte.
 
 
 
La quinta fu Natasha e la vera sorpresa fu che si ammalò così in ritardo rispetto a Clint, considerando la grande quantità di tempo spesa insieme a lui e a Bruce, ancora in fase di ripresa insieme a Tony.
 
Natasha sembrava anche lei non esser grande fan dello status mali e quando Virginia la trovò nella quarta camera in corridoio, sotto le coperte, stanca e seccata, quasi scoppiò a ridere.
 
Senza dire niente, le procurò un panno imbevuto e la coperta colorata e pesante che stava facendo il giro dell’attico da, ormai, quasi una settimana. Tuttavia, quando ebbe convinto anche lei a prendere la medicina, non poté fare a meno di notare che una cosa mancava nella sua stanza.
 
“Natasha, dov’è il cuscino?” domandò incrinando la fronte perplessa.
 
L’altra sbuffò e scosse il capo, schiudendo appena gli occhi.
 
“Sono allergica alle piume d’oca” sussurrò seccata. Pepper sorrise di quel tono e rifletté per un attimo; attese che la spia si fosse addormentata, poi sgattaiolò fuori dalla torre, sotto la pioggia incessante che continuava da giorni, per tornare meno di un’ora dopo.
 
Rientrò nella camera di Natasha e, attenta a fare il minor rumore possibile, raggiunse il letto e le infilò sotto la nuca di riccioli scarlatti un cuscino imbottito di lana. Nel sonno, la ragazza si rigirò tra le lenzuola con aria finalmente soddisfatta.
 
 
 
Il sesto fu Thor.
 
Il problema di Thor nacque in modo spontaneo, dal momento in cui il dio continuava a girovagare per l’attico senza precauzioni, e fu una vera tragedia perché aveva programmato di lì ad un paio di giorni la partenza per il New Mexico.
 
Quando Pepper scorse in lui gli stessi sintomi che aveva già evidenziato negli altri, sorrise affettuosa e si avvicinò al nuovo malato con aria materna.
 
Thor stava seduto in cucina, a controllare la lista di cose da portare con sé in viaggio per Puente Antiguo, e sorrideva come in uno spot di dentifrici; purtroppo, l’allegria della sua faccia vispa era continuamente interrotta da starnuti e colpi di tosse.
 
“Thor” gli disse Virginia, poggiandogli delicatamente una piccola mano su una delle sue immense spalle, ritraendola quasi subito troppo colpita da quella mole enorme, “come ti senti?”
 
Thor sollevò il viso e sbatté le palpebre con l’espressione di un cucciolo di ippogrifo al suo primo volo.
 
“Lady Virginia, la vostra preoccupazione per le condizioni della mia sanità mi scalda il cuore e, invero, sono costretto ad ammettere di avvertire un qualche strano sentore in gola, ma non v’è cagione per la quale temiate per me. Sono, di fatto, in un momento di sofferenza, ma anche di allegria perché son meno di due albe quelle che mi separano dall’incontro con la metà del mio cuore. Voi, che siete amata all’estremo e che a vostra volta amate all’estremo, siete in grado di comprendere la mia gioia e la sua superiorità nei confronti di qualsiasi altro dolore.”
 
Pepper sorrise con dolcezza e gli sfilò la lista tra le mani.
 
“Perché non ascolti il mio consiglio, Thor?” tentò ancora, con maggiore soavità. “Potresti riposare un po’ e attendere di star meglio, così l’incontro con la tua amata sarà ancor più fastoso, perché potrai viverlo in piena salute, di corpo e di cuore.”
 
Thor attese qualche istante e annuì, seguendo Pepper lungo il corridoio. Virginia lo aiutò ad infilarsi nel pigiama – piccoli martelli tempestavano la stoffa, come gli archi su quella di Clint e le pistole su quella di Natasha. Virginia aveva sbuffato quando aveva visto le padelle su quella di Phil e le armature su quella del suo fidanzato ed era stata indecisa se prendere Tony a calci o strappargli un bacio da mozzargli il fiato.
 
Quando anche lui si fu infilato nella quinta stanza sotto la coperta di tigri e Vendicatori, Pepper gli chiese se gli necessitasse qualcosa e lui esitò prima di risponderle.
 
“Invero, mia signora, in questo momento, avverto un grande vuoto nello stomaco e sentirei il bisogno di cibarmi.”
 
Lei nascose un sorriso divertito sotto la mano e gli chiese:
 
“Cosa vorresti mangiare?”
 
“In realtà, rimembro ancor mia madre, quando, nel periodo della mia spensierata fanciullezza, in situazioni di malattia, mi nutriva con una calda zuppa di montone e capra.”
 
Virginia esitò a sua volta, poi sparì in cucina. Quando riemerse nella stanza di Thor, reggeva tra le mani un piatto capiente colmo fino all’orlo di un brodo caldo e gustoso.
 
Il dio ne assaggiò un cucchiaio e sbatté le palpebre entusiasta.
 
“Questo è cibo degli dei.”
 
 
 
Il settimo ed ultimo fu Steve e questa fu una vera sorpresa.
 
Non che Pepper fosse grande esperta di supereroi né di Capitan America in particolare come Phil, ma aveva visto troppi filmati sul paladino d’America con il suo migliore amico per non sapere che ci fosse qualcosa, nel siero del soldato, che impedisse a Steve di ammalarsi.
 
Tuttavia, nel DNA di quegli strani animali – il dottor Destino l’avrebbe pagata amaramente, oh eccome – doveva esserci qualcosa in grado di superare anche quel siero, il che sorprese Pepper fino ad un certo punto considerando che aveva annientato le barriere anche dell’incredibile Hulk.
 
Quel settimo giorno, Pepper aveva appena fatto il controllo di tutti i suoi malati e si era recata in cucina per potersi prendere un minuto per sé. Accanto al bancone ad isola, però, trovò il Capitano, che, considerando l’abbigliamento, doveva appena esser stato in palestra.
 
Pepper si fermò sulla soglia e lasciò che il suo sguardo vagasse sul volto di Steve: la pelle era pallida, imperlata di sudore, incrinata da brividi di freddo, la fronte, lei era sicura, era accaldata e continuava a schiarirsi la gola come se gli raschiasse. Quando starnutì, Virginia entrò.
 
“Ciao Steve” lo salutò calorosamente, prendendo posto affianco a lui. “Come stai?”

Steve arricciò le labbra con fare imbarazzato e avvampò. Pepper sbatté le palpebre, intenerita, e lo osservò con aria dolce, combattuta tra il desiderio di adottarlo o sposarlo. Era sicura, comunque, che Tony non avrebbe avallato nessuna delle due proposte.
 
“Forse potrei stare meglio” confessò infine e Pepper gradì molto come le sue proteste fossero gentili – oh, Steve era sempre così gentile, perfino quand’era malato – mentre lo conduceva nell’ultima stanza a disposizione.
 
Gli porse un pigiama, l’ultimo – quello con il tessuto ricoperto da piccoli scudi a stelle e strisce – e attese che si infilasse sotto la coperta colorata prima di misurargli la temperatura e somministrargli la medicina. Quando si accorse che non si addormentava, lo fissò senza capire.
 
“C’è qualche problema?” chiese serena. Lui arrossì ancora e borbottò qualcosa che lei non colse.
 
“Eciovorrinsomvedrufim.”
 
“Scusa?”
 
Steve deglutì con una smorfia infastidita per la gola e ripeté.
 
“Ecco, io... vorrei, mi piacerebbe... insomma, vorrei vedere un film.”
 
“Oh” esclamò Pepper sorridendo. “Ma certo. Naturalmente.”
 
“Ma non vorrei disturbarti” aggiunse subito, infiammandosi ancora di più. Virginia scosse il capo tranquilla e lanciò un’occhiata al comodino del Capitano, dove la sua copia consunta de “Le avventure di Tom Sawyer” giaceva in ordine.
 
Uscì dalla stanza e si recò nel salotto. Quando tornò, reggeva tra le mani un dvd dalla copertina colorata e vivace; inserì il disco nella macchina e attese qualche istante. Immediatamente sullo schermo si proiettò un’immagine in bianco e nero che ritraeva una fattoria del Kansas; sulla foto, una scritta bianca recitava:
 
“Per quasi quarant’anni, questa storia ha reso un fedele servizio ai Giovani di Cuore; e il Tempo non è riuscito a far sfiorire la sua garbata filosofia. A tutti coloro che continuano ad amarla e ai Giovani di cuore, noi dedichiamo questo film.”
 
“Avevo la sensazione che ti piacessero i film di questo genere.”
 
 
 
Bruce si riprese completamente poco più di una settimana dopo il suo ricovero e il virus fece lentamente il suo corso per tutta la torre, riportando alla sanità, uno dopo l’altro, tutti i Vendicatori.
 
Fu con grandissimo entusiasmo che Pepper assistette alla ripresa dei suoi eroi e quando anche l’ultimo sintomo, l’ultimo colpo di tosse e l’ultimo starnuto furono solo un ricordo di quella Domenica pomeriggio in mezzo ai Lombrichi Rosa Volanti e Assassini e alla Mucche  Macchie Marroni Carnivore, lei poté tornare a lavoro.
 
Quel giorno, si presentò presto alle Industrie per presenziare a tre diverse riunioni, importanti e decisive per la firma ad un contratto che avrebbe significato l’affermazione definitiva delle Stark Enterprises nell’ambiente dell’energia pulita.
 
Quando arrivò in sede, Pepper cominciò a sentire un raschio fastidioso alla gola e bevve un caffè per eliminare quella strana sensazione dalla parte posteriore della sua laringe e mangiò una brioche salata per riempire lo stomaco.
 
Ignorando con decisione mal di testa e brividi di freddo, si presentò in sala riunioni e si rifiutò categoricamente di lasciarla fin quando anche l’ultimo nome non fu segnato al bordo della pagina del contratto.
 
Era quasi l’una e lei cominciava a sentire una fastidiosa sensazione di nausea e il sapore acido della brioche che aveva mangiato le si rigirava nello stomaco.
 
Starnutì.
 
Senza attendere ancora, si fece accompagnare alla torre e raggiunse in fretta la propria stanza; si infilò nel pigiama con le armature, quasi senza aprire gli occhi, e crollò stesa sul letto, senza neanche avere la forza di scostare le coperte.
 
Si risvegliò un istante dopo e scoprì con la testa che le doleva ancora che qualcuno l’aveva infilata sotto le lenzuola e le stava stringendo con delicatezza le braccia in vita. La sua testa non giaceva più sul materasso, ma era poggiata sul petto di qualcuno; il ronzio del reattore e la luce blu che emanava la cullavano con dolcezza.
 
“Tony?” mormorò confusa. Lui le rivolse un sorriso divertito e si sporse per schioccarle un bacio sulla fronte; il contatto, piacevolmente fresco, la fece svegliare del tutto.
 
Con l’intento di rimettersi a dormire, si sistemò meglio sotto le lenzuola, ma l’unica conseguenza che ebbe quel movimento improvviso fu di farle risalire bruscamente tutto il sapore della brioche in gola e allora scostò all’istante le coperte per fuggire verso il bagno.
 
Si scagliò contro il water, entrambi i palmi sul bordo, e rigettò con violenza e disgusto tutto quello che aveva in corpo. La testa continuava a girare e si sentiva così debole che credeva di poter svenire da un momento all’altro; prima che potesse cadere davvero, però, avvertì una mano delicata raccoglierle i capelli sulla nuca e la sua gemella accarezzarle la schiena con movimenti circolari e gradevoli.
 
Bruce si assicurò che non dovette rimettere ancora, poi l’aiutò a pulirsi la bocca e attese che si sciacquasse i denti, senza spostarle la mano dalla schiena, e la condusse nella stanza da letto.
 
Pepper si lasciò scivolare tra le lenzuola ancora una volta e si raggomitolò contro il petto di Tony quando lui sporse le braccia per accoglierla di nuovo su di sé.
 
Si alzò dal letto per la seconda volta quattro giorni dopo e andò in cucina, con ancora il pigiama addosso e l’aria stanca.
 
Fuori continuava a diluviare e nella stanza buia Steve era seduto sul divano accanto a Clint, coinvolti entrambi in una disputa per entrare in possesso del telecomando.
 
Phil, che era seduto accanto a Barton, stava cercando di convincere il ragazzo di cedere il potere della tv al Capitano, mentre Natasha osservava la scena con il principio di un sorriso sulle labbra.
 
Pepper osservò incuriosita le immagini sullo schermo e comprese per quale motivo Steve non sembrava esser tanto d’accordo con l’agente.
 
Star Wars?” disse con la voce flebile e rauca. “Sul serio, Clint? E dire che io credevo che Phil fosse un nerd perché collezionava figurine di Capitan America.”
 
Clint storse per un istante le labbra e infine cedette il telecomando al Capitano, il quale si alzò e si avvicinò a Pepper per farla sedere al suo posto, prima di cominciare a trafficare con alcune copertine. “Le avventure di Tom Sawyer” erano sopra il primo tavolino a destra.
 
Virginia si strinse contro il sofà e schiuse gli occhi, ancora pesanti, starnutendo ancora.

Tony e Bruce risalirono dal laboratorio in quel momento e Stark si affrettò a sedersi affianco a Pepper. Lei richiuse gli occhi con un sospiro e poggiò la tempia contro la sua spalla mentre due dita le accarezzavano la tempia scoperta.
 
Intravide attraverso le palpebre semi aperte il volto di Phil mentre la copriva con il piumone di tigri e Vendicatori e le schioccava un bacio sulla fronte calda. Sentì vagamente Tony borbottare qualcosa e sorrise nel mentre due mani piccole e delicate le sollevavano il capo per poggiarle un morbido cuscino dietro la nuca e un’altra, decisamente più grande e con le dita callose, afferrava la sua e cominciava a mormorare una melodia deliziosa contro il suo palmo.
 
In quel momento, mentre Tony e Coulson ancora discutevano a proposito di limiti e relazioni sentimentali, Steve riprese posto accanto a Clint sulla moquette e osservò con aria compiaciuta lo schermo, dove in una piccola cittadina innevata, due campane levavano il proprio suono accompagnate dalle preghiere affettuose di bambini ed adulti.
 
Il paesaggio era stato appena sostituito da un cielo stellato quando l’ascensore dell’attico si aprì e la sfolgorante figura di Thor varcò la soglia mentre un tuono rimbombava nella stanza.
 
Clint gli rivolse un sorriso malizioso e si stese meglio addosso a Coulson.
 
“Ce la siamo spassata in New Mexico, non è vero, Riccioli d’Oro?”
 
Phil gli diede una gomitata che Barton non riuscì a scansare e Natasha sorrise compiaciuta.
 
“Uomo dei dardi” proclamò il dio con un sorriso da favola, “invero, il mio soggiorno nella dimora di lady Jane è stato felice e gioioso, ma son tornato presto sui miei passi quando mi è giunta l’infausta nuova dello stato di lady Virginia.”
 
Si avvicinò al divano e poggiò sul tavolino ai piedi del sofà un contenitore caldo e fumante, accanto alla scatola di Kleenex che aveva preso Phil. Pepper, di nuovo sveglia, sbatté le palpebre, timorosa che si trattasse di zampone di capra o montone o chimera o altra roba simile.
 
“Questo è un preparato di Jane, mia signora” annunciò Thor fieramente, “si tratta di una zuppa magica preparata con” esitò, estraendo da una tasca un piccolo foglio e leggendolo, “pollo, patate e pasta con tagliatelle. Si duole di non poter venire a farvi visita, ma promette di rimediare il prima possibile.”
 
Virginia si sciolse in un tenero e stanco sorriso e mimò un grazie con le labbra. Thor s’inchinò e prese presto posto dall’altro lato di Tony, accanto a Bruce.
 
Le loro voci cominciarono a mescolarsi man mano che il film procedeva, ma Pepper non riusciva bene a distinguerle, limitandosi ad ascoltare le morbide e confortevoli cadenze della voce di Clint contro la sua mano e affondando con un sospiro contento contro la coperta e il cuscino.
 
Strofinò appena la nuca contro il palmo di Bruce e guardò affettuosa le scene del film, assaggiando un cucchiaio di minestra, scoprendola saporita e gradevole.
 
Dopo qualche istante, distinse la voce di Steve chiedere:
 
“Come sta?”
 
Pepper sorrise.
 
“Mai stata meglio.”

E tornò a crogiolarsi nel tenero candore delle braccia di Tony ancora una volta.
 
 
 














-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
 
Buongiorno a tutti miei prodi. *-*
So come sempre di essere assolutamente imperdonabile a causa del mio mancato aggiornamento della long e mi scuso, ma lo studio mi tartassa e dopo questa bocciatura prometto la mia presenza lì.
So anche che avevo promesso un AU, ma ho avuto un improvviso raptus dopo la visione di una puntata di un telefilm sconosciuto somministratomi contro la mia volontà da una mia anziana zia, puntata in cui la ragazza protagonista si prende cura di tutti i suoi amici malati – c’entravano anche dei cavalli e una fattoria. E allora ho pensato che, se i Vendicatori fossero malati, sarebbe Pepper a prendersi cura di loro e, poi, sarebbe stato splendido se loro avessero fatto lo stesso. ^^
Gli espedienti usati, naturalmente, erano diversi. Lì, essendo un western o qualcosa di simile, si parlava di conigli e roba varia. Comunque, questo è stato il risultato, per quanto la malattia sia un prompt molto comune, spero che vi sia gradito. ^^
Non ho molto da dire, a parte che amo il titolo, anche se non ha nessunissimo senso. XDDD Avevo questa idea in mente, comunque, e volevo scriverla il prima possibile e pubblicarla; mi auguro che la gradiate. ^^ Un bacio a tutti e a presto!
Ah, e ringrazio Vannagio per la consulenza; spero che ti piaccia Bruce malato. <3 Un bacione a tutti e alla prossima! ♥
Mary.
 
 

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: Mary West