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Autore: BlueNacht    31/01/2008    2 recensioni
Nella notte le persone sognano.
Io ho sognato te, e ti ho riassunto in una fan fiction, rivelando segreti che solo la mia mente poteva pensare.
Valentina, ragazza di 16 anni, parte per la germania, per liberarsi della grande nuvola che la soffoca ormai da tempo, per capire cosa è meglio fare.
Li tutto è diverso, le persone, i luoghi, l'aria, il cibo.
Molte persone cambiano istintivamente al cambiare del paese, altre, invece, rimangono delle loro idee, dei loro pensieri, della loro personalità, non contando però, che altre persone possono aggiungersi al breve elenco, degli individui che lasciano un segno netto nella nostra vita.
I personaggi qui descritti NON mi appartengono, per cui i fatti sono solo l'invenzione della mia fantasia e della mia notte.
Ciò che scriverò non ha niente di fondato, solo una ff che mi ha segnato i giorni.
E' vietato introdurre il tag br doppio nelle introduzioni. Ladynotorius assistente amministratrice.
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1
Minuetto.

Correva il vento, correva il tuono.
Cadeva la pioggia, sfiorava i volti.
Scendevano le lacrime amare nelle rosse guance.
Una macchina nero lucida, ammaccata e bagnata.
Un gracile corpo, accasciato ora per terra.
Un cappellino celeste, buttato nel fondo di una pozzanghera.

31 Ottobre 2007:

E quando ti accorgi di dover cambiare, lasciare tutto alle spalle, dare spazio a una nuova vita.
Il giorno è arrivato Valentina, lascia che sia lui a prendere te, e non tu a inseguirlo con angoscia.
Tieni strette le forze attorno a te e respira un poco prima di soffocarti in mille preoccupazioni.
Cambia strada, cambia umuore, ma non cambiare mai il tuo cuore.
Seguilo e basta, arriverai dove nessun altro se non LUI ti troverà.


La mattina del 31 Ottobre arrivò.
Aprii la porta della mia veranda e con un grande sospiro immisi più aria di quanto potevo, cercando incanalarne abbastanza da poterne avere anche dopo.
Come al solito mi ero svegliata quasi all’alba, e alle 5 del mattino era già pronta per la partenza.
Mamma e Papà non si erano ancora alzati dal letto così decisi di preparare loro la colazione.
Ero estremamente eccitata all’idea di cosa mi aspettavano le ore seguenti, e non riuscivo a smettere di pensare ciò.
L’ansia però, sovrastava il mio cuore e non lasciava spazio alle emozioni che avrei voluto.
L’orologio scoccava lento, quasi stufo di farmi dei favori,stufo di veder scorrere la mia vita con troppa eccitazione per quel giorno.
Purtroppo per lui però, quell’ora arrivò.
Erano le 7 e 30, e il mio cuore non poteva più aspettare.
Con uno scossone mossi papà dall’andito che parlava con mamma e lo invitai ad entrare in macchina.
Mentre lui accendeva il motore, andai a salutare mamma e Elisa, incerte e incredule di una mia vera partenza.
Era una pugnalata per loro.
Tre mesi senza vedermi, a mala pena sentirmi e senza la consapevolezza che stessi bene.
Mamma mi baciò per prima.
Il suo bacio sulla guancia fu caldo e inumidito dalle lacrime che le scendevano agli occhi.
Elisa mi salutò naturalmente per ultima, e tra di noi non mancò un abbraccio soffocante che mi schiacciava il cuore.
Cazzo.
Quanto tempo.
Tre mesi tutti miei in Germania, in una casa famiglia la quale i componenti, li avevo “conosciuti” solo attraverso la mia consulente..
La signora tanto gentile che mi lasciava vivere in casa sua si chiamava Simone.
Quando parlavo con lei al telefono mi tranquillizzava.
La sua voce era profonda e vellutata e nonostante io non capissi il tedesco, quel suo accento mi risultava estremamente familiare.
In sette mesi avevo dovuto apprendere attraverso internet le basi fondamentali di questa lingua.
Prima di andare all’aeroporto di Cagliari, passai a casa di Susy e Fede , le mie due migliori amiche,che tanto mi avevano aiutato in questi mesi di studio.
Poi la macchina si fermò a casa di Cu, mia cugina, che più di cugina la chiamerei gemella, perché è tutto ciò che sta di buono nel mio cuore oltre a mia sorellina.
Arrivai a casa sua, scesi dalla macchina, suonai il campanello ,lei mi aprì il cancello e scese in pigiama non curante del freddo.
La guardai negli occhi.
Mi guardò negli occhi.
Era fredda, non riusciva a rendersi conto che non ci saremmo viste per tre mesi di seguito, cosa impossibile perché la vedevo abitualmente ogni giorno.
_(Vale, vuoi davvero partire?Mi lasci qui sola?)_ Disse con tristezza.
_(Cu, lo sai che ci sentiremo, non fare così, non posso nasconderti in valigia! )_ risposi io cercando di sdrammatizzare.
_(Sei una deficiente, mi lasci qui sola a guardare gente che non mi merita, e tu invece vai in Germania e vedi tutte le persone più belle!!)_ bofonchiò con un sorrisetto.
_(Dai Cu, se ce la faccio te ne porto uno come souvenir ok??)_ dissi arricciando il naso.
_(Ok, ci tengo,guarda che l’hai promesso eh??)_ mi disse avvinghiandosi a me e abbracciandomi forte.
Non scappò qualche lacrima, ma un fiume ci bagnava lentamente le magliette.
Senza la mia Cu, non so come farò a sopravvivere.
A chi racconterò i miei pensieri?Con chi riderò?
Speravo solo di trovare degli amici, solo così, sarei riuscita a sentire meno la nostalgia.
Partimmo ormai diretti all’aeroporto, lasciando ciò che era di famigliare dietro di me, andando avanti verso una nuova e strana realtà.
Papà trovò presto parcheggio e mi aiutò a scendere velocemente tutte quelle valigie che dovevano servirmi in tre mesi di vita.
La gente mi scrutava, sembrava volesse capire perché avevo un esercito di valigie dietro, al posto dei piccoli zainetti che era abituata a vedere.
Arrivai alla cassa, scaricai i bagagli e mi feci fare il biglietto.
Ero accanto al finestrino, potevo rilassarmi e ascoltare un po’ della musica che c’era nel mio I-Pod nano celeste.
Salutai papà con le lacrime agli occhi che mi avvisò di chiamare se avessi avuto dei problemi, e di farmi sentire spesso.
Con il sorriso in bocca mi voltai e mi diressi verso il Check-in, pronta per aspettare l’imbarco.
Tin-tin-tin-tin-tin.
Cazzo.
Il metal detector aveva rilevato qualcosa di metallico in me.
Avevo qualcosa, ma non mi ricordavo decisamente COSA!! Con l’ansia di quell’inizio così burrascoso mi misi a cercare in ogni singola parte della mia borsa, maglietta e pantaloni.
Mi controllarono pure loro e la macchinetta strillò sempre più forte quando si avvicinò alla tasca dei pantaloni.
La gentile poliziotta mi chiese di svuotare la tasca e con mia sorpresa trovai qualcosa che mi fece bagnare lentamente gli occhi.
Un anello, piccolo piccolo, freddo e duro si accasciava nella mia mano e con un inchiostro nero mi ferrava nella mente una scritta: “Mi mancherai”.
Era di Elisa, la mia sorellina, che mi aveva di nascosto infilato l’anello nella tasca, sicura che l’avessi trovato, sicura che mi sarebbe piaciuto.
Solo da quel momento, grazie a quelle piccole parole protette da una lastra di plastica, capii che ciò che stavo per fare era veramente una realtà.
Non ero sino ad allora ancora del tutto cosciente di ciò che stavo per fare, ma quel piccolo oggetto, quell’anello, mi fece capire il grande passo.
Con ansia mi diressi verso la sala d’attesa, e mi sedetti in una piccola poltroncina blu.
Gli altri passeggeri erano quasi tutti tedeschi, a parte uno spagnolo e un romano, che probabilmente studiavano li, ed erano venuti qui in Sardegna per alcuni giorni di vacanza.
Merda.
L’hostess era arrivata, si parte.
Mi affrettai a prendere un posto nella fila e consegnai la carta d’imbarco e quella d’identità alla signorina.
Mi guardò per vedere se fossi io la ragazza nella foto e mi lasciò passare.
Arrivai in aereo, l’ansia mi stava prendendo, il caldo cominciava a farsi sentire.
Con respiri lunghi mi diressi verso il mio posto e mi sedetti tranquillamente.
Affianco a me si sistemò una madre con due bambini, probabilmente di tre anni.
Erano così piccoli, così teneri, cosi innocenti.
La madre parlava in continuazione con loro e io non capivo una briciola di quel che dicesse.
Loro si limitavano solo a risponderle con un accenno o con un semplice “ja”.
Il viaggio durò due ore.
Quant’era bello osservare dall’alto la distanza che c’era tra Italia e Germania.
Quant’era bello poter vedere finalmente tutto ciò.
_Signori e Signore siamo atterrati, vi prego di sganciare le cinture e ritirare i vostri bagagli.Per l’uscita seguite la linea rossa alla vostra destra_ disse all’altoparlante il pilota.
Sono qui.
Ce l’ho fatta.
Sono nell’aeroporto di Magdeburg.
Con ansia a agitazione mi faccio strada tra le tante persone che ci sono nella sala dei ritiro bagagli, e con fatica prendo i miei e li carico nel carrello.
Aspetto con ansia una chiamata da Simone per farmi sapere dove posso trovarla.
Cerco disperatamente qualche via d’uscita ma ovunque vada mi ritrovo nello stesso punto.
La gente è tanta, non capisco più niente, voglio piangere, voglio tornare a casa, voglio tutto ciò che conosco.
Guardo in lontananza e non trovo niente di familiare, niente di tutto ciò che vedo assomiglia all’Italia.
_ Wir mussen nur noch 1000 meere weit_ Il cellulare squilla con la canzone dei Tokio.
Le persone che mi stanno accanto mi osservano, riconoscendo forse le voci di quei cantanti così vicini a loro.
Apro il cellulare e guardo chi è.
E’ Simone.
_(Santo cielo Valentina dove sei?Sono preoccupata non ti trovo)_ mi chiese con ansia.
_(Dio Simone, per fortuna che hai chiamato, stavo impazzendo, aiutami, sono al ritiro bagagli)_ Dissi in Inglese, perché il tedesco non lo sapevo ancora.
_(Ok arrivo subito resta FERMA li)_ mi disse con voce preoccupata Simone.
Ero fortunata che qualcuno di quella famiglia sapesse parlare bene l’ inglese.
Dopo circa dieci minuti vidi arrivare da lontano una donna bellissima, capelli ricci coi riflessi rossi, viso sereno e rassicurante e un corpo che ancora faceva invidia a noi ragazze.
Era lei.
L’avevo riconosciuta dalle tante foto che mi aveva mandato, assieme a due bambini piccolissimi in un canotto. Ero curiosa di vedere quei piccoli monelli.
_(Valentina!!Ciao!!Oddio quanto sei bella!!abbracciami!!)_ disse Simone tutta contenta.
_(Ehm…ciao!!Sono contenta di vederti)_ dissi io stupita dall’altezza di quella donna.
_(Vieni andiamo in macchina!!Ti porto a casa così ti riposi e poi parliamo un po’ ok?)_ mi disse.
_(Si si, per me va bene, non vedo l’ora di riposarmi e di farmi una doccia)_ risposi gentilmente.
La seguii con ansia, il mondo che mi aspettava fuori stava per essere scoperto ed ero in febbricitante attesa di vedere la casa in cui avrei vissuto per ben tre mesi.
Arrivai davanti a una macchina lunga e rossa, vecchia ma ancora bella e mi feci aiutare da Simone a caricare i bagagli nel retro.
Salita in macchina sentii subito un odore di lavanda, buonissimo e non nauseante.
Il tragitto fu breve e la macchina si fermò in una villetta con giardino attorno a tre lati.
Con calma scesi dal mezzo e mi misi ad osservare tutto ciò che mi circondava.
L’aria, la terra, il cielo, le case, TUTTO mi ricordava casa mia.
La mia preoccupazione era sparita, sentivo che quei tre mesi sarebbero stati tra i più belli della mia vita.
Simone apri il portabagagli e chiamò due nomi maschili per aiutarci a portarli in casa.
Mi aspettavo di vedere due marmocchi prendere i bagagli più leggeri, ridendo così della loro superforza, ma quel che vidi fu totalmente diverso da ciò.
Due ragazzi uguali uscirono dalla casa lentamente. Erano altissimi, uno con i rasta e un altro con i capelli sparati all’insù quasi avesse preso la scossa elettrica.
_( Ecco, ti presento i miei due omaccioni, i miei bimbi di casa)_ disse Simone ridendo.
Io rimasi a bocca aperta.
Cazzo.
Non sapevo che quella fosse la casa dei due gemellini più famosi del mondo.
E non sapevo soprattutto che tornassero nelle pause della Tournee a casa ad aiutare la mamma.
Bill e Tom Kaulitz arrivavano ora verso di noi sicuri e decisi, pronti ad aiutare la mamma.
_(Bill, Tom, questa è Valentina, la ragazza che sarà ospite in casa nostra per tre mesi)_ Disse rassicurante Simone.
_(Nice to meet you) dissi a Bill e Tom stringendogli la mano.
Ero tesa, ero incredula, ero-ero- felicissima.
Entrammo dentro casa e inutile dire che era bellissima.
Appena entrati si potevano vedere le scale davanti a sé, in legno, coperte da un tappeto rosso scuro vellutato con i bordi color panna.
A sinistra si arrivava al soggiorno avente un camino con sopra tutte le loro foto.
Attraversando questo si arrivava in cucina sorpassando un arco.
Poggiai i miei bagagli in soggiorno e Simone chiese gentilmente ai due ragazzi di mostrarmi la camera.
Loro accettarono volentieri e salimmo nel primo piano.
Appena salite le scale a destra si trovava la stanza di Bill, tutta blu con foto e pupazzi sparsi qua e la, sicuramente regalati dalle fan.
Più avanti a sinistra c’era quella di Tom, molto Hip Hop con magliette appese dappertutto e un armadio pieno zeppo di capellini.
Andando avanti si arrivava alla mia, posta alla fine del corridoio e al centro di questo.
Era bellissima.
Aveva una grandissima finestra con davanzale interno dove sedermi la notte a guardare le stelle, e a destra, c’era una scrivania tutta attrezzata.
Il letto era matrimoniale e al centro c’era un cuscino a forma di cuore e un cartellone con scritto “Wilkommen Valentina”.
_(Ti piace la stanza?)_ mi chiese Tom.
_(Moltissimo non me l’aspettavo così, grazie)_ risposi io timida.
Bill mi guardava con occhi profondi e non riuscivo a staccarmi dal suo sguardo.
Nelle foto era fotogenico e catturava il tuo sguardo ma vederlo dal vivo era tutta un’altra cosa, credetemi.
_(Ti serve qualcosa?)_ chiese Tom.
_(Si grazie, solo una cosa, potrei sapere dov’è il bagno?Vorrei farmi una doccia)_ chiesi imbarazzata.
_(Si certo, vieni con me)_ rispose finalmente Bill smettendo di guardarmi.
Mi portò nel piano superiore, dopo aver oltrepassato delle scalette in legno.
Il bagno anche esso era bellissimo.
Sembrava una sauna.
Aveva 2 vasche, una idromassaggio e una normale, pronta per me con l’acqua calda quasi fossimo alle terme.
_( Ehm…grazie ora potete andare)_ dissi io gentilmente.
_( eh?Come? Oh si certo…giusto)_ disse Bill tutto distratto cercando ancora il mio sguardo.
_( Se vuoi io rimango, non ci sono problemi per me, anzi ti faccio i massaggi.)_ Disse tom facendo lo scemo.
_( NO!Tom tu vieni con me, lascia in pace Vale poverina.)_ Disse Bill prendendolo per un braccio e trascinandolo fuori dal bagno.
_(Buon bagno e rilassati)_ disse di nuovo affacciandosi dalla porta prima di chiuderla.
_(GRAZIE!!)_ urlai nel tentativo di farmi sentire anche a porta chiusa.
Con calma mi tolsi i vestiti e li poggiai nella sedia affianco alla prima vasca e con piacere mi immersi nella seconda.
Il profumo del bagnoschiuma al melone inondava ormai tutta l’aria possibile del bagno e l’acqua cristallina emetteva bolle colorate che si infrangevano nell’aria.
La dolcezza con cui l’acqua mi avvolgeva il corpo mi fece rilassare improvvisamente e la mia testa si immerse per metà nella calda sensazione del bagnato.
Il mio pensiero vagava, volava chissà su quale direzione obbligatoria per lasciarmi sfuggire dal controllo la fantasia.
Immaginai troppo presto cosa poteva accadere e con puerilità pensai a una bella vacanza trascorsa con qualcosa di più che una semplice amicizia tra i due ragazzi.
Basta.
Era troppo.
Fermiamoci qui, il tempo passava velocemente e ormai stavo perdendo il controllo della mia fantasia.
Uscii dalla vasca e cancellai apparentemente tutto quello che mi era passato precedentemente nella testa.
Fantasie comprese.
Mi cambiai, asciugai i capelli, sistemai il bagno e uscii. Cazzo erano le 14, era ora di pranzo.
Scesi giù velocemente e aiutai Simone ad apparecchiare.
_(MAMMA VALENTINA NON C’E, E’ SPARITA, NON E’ IN BAGNO)_ sentii urlare Tom dal piano superiore.
_(TOM CALMO, RILASSATI E’ QUI CON ME, MI STA AIUTANDO, COSA CHE NON FATE VOI!!!)_ bofonchiò urlando Simone.
Non passò un minuto da quando si sentirono passi veloci e decisamente pesanti scendere le scale.
I gemellini erano arrivati ad aiutarci.
Tom incominciò a parlare in continuazione, ma non avevo voglia di ascoltare, le mie orecchie distratte udirono solo “Vedrai che ci divertiremo in questi mesi”.
A pranzo dovetti raccontare un po’ tutto dell’Italia curiosi di scoprire qualcosa in più su di me e assetati di sapere che ne pensavo per il momento della Germania.
Solo Simone interruppe il discorso.
_(Vale, stasera di dovresti vestire elegante, sei invitata ad una festa…)_disse Simone mostrando un grandissimo sorriso.
_(Uhn?Quale festa?)_ risposi io deglutendo l’ultimo sorso di acqua dopo aver posato il bicchiere.
_(Ecco vedi, stasera a mezzanotte i miei due bimbi crescono..)_ disse sorridendo sempre di più.
_(Non capisco..)_ dissi io un po’ frastornata rivolgendomi distratta a Bill e Tom.
_(Stasera noi compiamo 18 anni…)_ mi rispose Bill.
_(Si, e tu sei invitata alla nostra festa!!)_rispose gentilmente Tom.
_(Ah…ecco..scusate me ne ero completamente dimenticata!!)_ risposi io con un bollore in faccia.
_(Non preoccuparti Vale, stasera esci con me a comprare la roba per questa occasione!)_ disse Simone mettendo la sua mano sopra la mia e sfoderandomi il suo più raggiante sorriso.
_(Possiamo venire?)_disse Tom facendo gli occhioni alla mamma.
_(No, è una sorpresa, e poi, mi aiuterà a scegliere pure il mio vestito, giusto?)_chiese Simone.
_(Oh, si certo!!)_ risposi io con aria vagante.
Finita la cena, Tom e Bill ci aiutarono a sbarazzare la tavolata mentre io mi misi a lavare i piatti.
_(Grazie Vale, ma non devi..)_disse Bill poggiando i piatti nell’acqua calda.
_(No, dovere, voi mi ospitate io aiuto!!)_ risposi io con una linguetta.
_(Già, sei un angelo!!)_ rispose lui sorridendomi. Quant’era dolce quel ragazzo.
Quel sorriso, quel piccolo gesto, mi rese felice per il resto del tempo.
Finito di sistemare tutto salii in camera per prepararmi ad uscire con Simone.
Presi la prima cosa che mi capitò in mano e mi vestii.
Dopo essermi messa un paio di jeans, e una felpa bianca con strisce nere nelle maniche, calzai le mie adorate converse nere basse e scesi giù nel salotto ad aspettare Simone.
Arrivata mi sedetti nel divano ed osservai un po’ la casa.
Le mie orecchie però udirono qualcosa, melodia, note, ritmo.
Aprii la porta affianco alla cucina e vidi Tom seduto su una sedia con una chitarra classica in mano suonando chissà quale melodia.
Appena entrai si fermò e io completamente imbarazzata feci un piccolo sorriso ed uscii dalla stanza chiudendo lentamente la porta decorata con un delicato vetro.
Mi diressi velocemente in soggiorno e neanche il tempo di arrivare al divano che vidi Simone alla fine delle scale.
_(Siamo pronte?)_ mi disse ancora sorridendomi.
_(Eccomi!)_ risposi io battendo le braccia con i pugni lungo i fianchi in segno di imbarazzo e dirigendomi con un sorriso verso la porta.
_(Speriamo di trovare i negozi aperti!E’ ancora presto..)_mi disse rincuorata Simone.
_(Già…)_risposi io imbarazzata.
  
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