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Autore: ValeryJackson    21/07/2013    8 recensioni
A volte è difficile far parte di una famiglia. I litigi, le incomprensioni... Tutto ruota attorno ad un disegno già scritto. Essere fratelli non è una cosa facile, soprattutto quando tutto ciò che riuscite a fare è essere in disaccordo. Si può litigare, si può piangere. Si può togliere l'acqua dal pozzo e decidere di non parlarsi mai più. Si può provare a dimenticare. Ma ci sarà sempre, in un modo o nell'altro, una linea sottile, quasi eterea. Una linea piccola e indistinta, fatta di pura energia, che collega, e lo farà per sempre, due persone della stessa famiglia.
Perchè puoi negarlo quanto vuoi, ma nonostante tutto, sarete sempre fratelli.
***
‘Cause when a heart breaks, no it don’t break even
Genere: Fluff, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Carter Kane, Sadie Kane, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ATTENZIONE! Il brano qui seguente riporta alcuni nomi che sono presenti nel libro Il Trono di Fuoco. Non ci sono grossi SPOILER, quindi si può leggere tranquillamente. Volevo solo dirvelo ;)

Carter era furioso.
L’aveva fatto, l’aveva fatto di nuovo. Aveva rovinato tutto solo per dare retta a quel suo sciocco istinto che ci azzeccava una volta no e l’altra pure. Non lo ascoltava mai, non lo aveva mai fatto. L’unica cosa che Sadie era in grado di fare era dargli contro, era disubbidire alle sue regole. Era farlo infuriare a morte.
Stavano discutendo già da un po’ sul balcone che dava sull’East River. Carter aveva deciso di non fargliela passare liscia stavolta. L’aveva fatta grossa, ma come sempre si ostinava a sminuire la faccenda (atteggiamento che la rendeva ancora più insopportabile, a dir la verità).
Voleva cantargliene quattro, per rimetterla in riga. Erano furiosi entrambi, in realtà.
<< No, ma dico, sei uscita fuori di testa o cosa?!>> sbraitò Carter, ad un certo punto.
<< Si può sapere che vuoi? Mi sembra che io ti abbia riportato a casa sano e salvo, puoi anche risparmiarmi la ramanzina!>> borbottò Sadie.
<< Ramanzina?>> ripeté Carter, incredulo. << Ramanzina?!>> Stavolta era furioso. << È questo che faccio per te? Solo una ramanzina?>>
<< Certo! Che altro se no?>>
Carter era incredulo, non poteva credere alle sue orecchie. << Oh, ti prego! Ti rendi conto di quello che hai fatto almeno?>>
<< Di quello che ho fatto?>> Ora era la volta di Sadie di mostrarsi incredula. << Quello che ho fatto?! Carter, guardarmi! Ho ancora tutte le dita! E tu hai ancora quell’assurdo masso schifoso che ti ostini a chiamare capelli!>>
Carter sentì montare la rabbia. << Ah, si?!>> sbottò. << Ti rendi conto che se tu fosti stata zitta e buona ora non saremmo qui, ma saremmo riusciti a compiere la missione?! Potevamo aiutare la Casa della Vita. Potevamo aiutare tutti!>> Alzò le braccia al cielo, frustrato. << E invece, no! Per carità! La signorina “ora faccio la ribelle” aveva un piano migliore: voleva farci uccidere tutti! Quando imparerai a fare come ti dico io?>>
Sadie strinse i pugni, le guance infiammate. << Non dirmi quello che devo fare >> sibilò a denti stretti.
<< Sono io il capo, qui!>> esclamò Carter. << Sono io che prendo le decisioni!>>
<< No, non lo sei!>> sbraitò Sadie, con tutto il fiato che aveva in gola. << Vuoi atteggiarti come papà, Carter, ma, ecco la notizia del giorno. Tu non sei papà!>>
Carter la guardò, in silenzio. Era rimasto di sasso. Lui voleva somigliare al papà? Gli salì un groppo in gola. Oh, ma certo che voleva somigliare al papà. Lui era un idealista, un guerriero di sani principi. Era sempre stato lui a prendere tutte le decisioni. E, ora che non c’era più, toccava solo ed unicamente a Carter prendere le sue redini. Lo avrebbe seguito, avrebbe finito ciò che il padre non era riuscito a continuare. Ma la cosa risultava piuttosto difficile, con Sadie fra i piedi che intralciava tutti i suoi piani. Aprì la bocca per ribattere, ma la sorella lo precedette.
<< Sai, vorrei che ci fossi stato tu, quel giorno, al posto di papà, ad ospitare Osiride nel proprio corpo. Così, almeno, saresti lontano anni luce ed io non sarei più costretta a vederti!>> esclamò, quasi con foga, presa da un moto di rabbia, gesticolando come una bambina.
Carter digrignò con forza i denti. No, non poteva averlo detto. Era così che stavano le cose, allora? Lei non lo voleva fra i piedi? Bene. Strinse con forza i pugni, mentre un moto di rabbia si impadroniva di lui, colorandogli la faccia di un colore simile al porpora.
<< Ah, si?>> sbraitò. << Ed io invece vorrei ci fossi stata tu, quel giorno, al posto di mamma. Così che fossi morta tu, al posto suo, in quello stramaledettissimo museo!>> Quasi urlò quella frase. La vaschetta per gli uccelli accanto a loro espose, facendo spaventare alcuni piccioni che si stavano innocentemente facendo il bagno.
Fissò negli occhi la sorella, e si pentì immediatamente delle sue parole.
Il volto di Sadie passò dalla rabbia, all’incredulità, alle tristezza. Anzi, no, al dolore. I suoi occhi, ormai, non lanciavano più fiamme, ma erano coperti da un leggero velo opaco. Voleva piangere. In altre circostanze avrebbe dato poco peso a quelle parole, come faceva sempre, d’altronde. Ma lui era suo fratello, diamine! L’unica famiglia che le fosse rimasta, l’unica persona a cui poteva chiedere appoggio. Certo, litigavano spesso. Ma ora lui aveva appena ammesso di averla preferita morta in un museo, morta al posto della madre. E per quanto volesse essere forte, quelle parole l’avevano ferita nel profondo.
Credeva che lei non ci avesse mai pensato? A sacrificarsi pur di far tornare in vita la madre? A cosa avrebbe fatto se quel giorno fosse stata al posto del genitore?
Evidentemente Carter l’aveva fatto, ed era giunto alla conclusione che avrebbe preferito una sorella in meno, pur di riavere la madre.
Ricacciò in dentro le lacrime. No, non avrebbe pianto. Non davanti a lui. Non meritava le sue lacrime.
Strinse forte i pugni, tanto da conficcarsi le unghie nei palmi, nella speranza che quel gesto le desse un po’ di forza. << Bene >> disse, con una calma spaventosa. Carter sentì i suoi muscoli irrigidirsi. La guardò negli occhi. Dallo sguardo di Sadie non trapelava nulla se non pura indifferenza. Eppure sapeva, lui lo sapeva benissimo di averla combinata grossa. Aveva avvertito quel tentennamento, quel breve momento di debolezza che non era affatto tipico di sua sorella.
Sadie, dal canto tuo, cercò di darsi un’aria rispettabile, raddrizzando il più possibile la schiena e gonfiando leggermente il petto.
<< Allora non sarai più costretto a definirti mio fratello >> affermò, con freddezza.
<< Sadie… >> provò a dire Carter, ma non trovò le parole.
Sadie lo interruppe, lanciandogli un’ultima occhiata di puro odio prima di dargli le spalle e incamminarsi a passo spedito i camera sua.
Non appena entrò nella sua stanza e decise che Carter era abbastanza lontano da non poterla sentire, scoppiò in lacrime. Si buttò sul letto e affondò la testa nel cuscino, nel tentativo di placare i singhiozzi. Strinse nei pugni il copriletto, frustrata, e continuò a piangere senza sosta. Non avrebbe voluto farlo, ovvio, ma non riuscì a fermarsi. Per la prima volta, provava un’emozione, una tristezza molto più grande di lei.
Carter era rimasto lì, impietrito dopo che la sorella gli aveva voltato le spalle. L’aveva seguita con lo sguardo finché non era sparita dal suo campo visivo. Solo quando finalmente fu solo, e ripensò a ciò che aveva detto, si rese conto di ciò che aveva combinato.
Strinse i pugni, gridando per la frustrazione e calciando con forza la vaschetta degli uccelli, facendo volare via anche quegli ultimi due passerotti che si erano ostinati a restare.
Si prese la testa fra le mani. L’aveva combinata grossa. Di solito era Sadie quella impulsiva, quella che non pensava mai prima di agire. Eppure stavolta era stato lui a non aver pensato. Non ci aveva visto più dalla rabbia, e aveva sputato quelle parole in faccia a Sadie come fossero veleno.
E per lei lo erano stato. Addirittura gli aveva detto che da oggi in poi non si sarebbe più dovuto considerare suo fratello. Come se bastassero quattro parole per rompere una parentela.
Ptf. Insomma, se l’era meritato. Lei era odiosa, e Carter non era riuscito ad evitare di fare quella soffiata. Un po’ crudele, certo, ma comunque fondata. Se lei non lo avesse istigato così, lui sarebbe stato zitto. E poi era stata lei la prima ad affermare che avrebbe preferito avere Carter al posto del padre, per ospitare il corpo di Osiride. Era stata lei la prima ad offenderlo.
Non voleva più essere sua sorella, aveva detto. Ah si? Era questo che voleva? Perfetto, per Carter non c’erano problemi. Se lei non voleva avere nessun legame con lui, ben venga. Avrebbe lavorato meglio da solo. Sadie non gli sarebbe mancata. D’altronde, erano stati per anni senza vedersi né sentirsi, e non era stato difficile come tutti credono. Lui era stato magnificamente, solo con suo padre, in giro per il mondo, mentre sua sorella faceva la bella vita a Londra con quelli odiosi dei nonni.
Era stato bene per sei anni, e sarebbe stato bene anche ora.
Era di questo che cercava di convincersi, mentre osservava l’East River correre lento sotto di lui.
 

* * *

 
Il bastone di Meshikov emise un altro lampo.
Erano riusciti a fermare l’ascesa di Apophis, certo, ma non avevano calcolato il fatto che Vlad il Rantolo non si fosse dato per vinto.
Si trovavano dentro un’antica tomba, scoperchiata, dato che il tetto era volato via poco fa, e ormai combattevano da un paio d’ore. O meglio, Vladimir attaccava mentre i fratelli Kane cercavano di difendersi. Ma erano stanchi. Tentare di fermare Apophis aveva richiesto gran parte delle loro energie, e tutto ciò che riuscivano a fare, in quel momento, era creare un piccolo scudo protettivo con le loro bacchette.
Ma Vladimir, d’altronde, era sempre il terzo mago più potente al mondo, e non ci mise molto prima di infrangere anche quell’ultima barriera.
Il suo bastone a forma di serpente emise delle scintille e cozzò contro il loro scudo protettivo, mandandolo in frantumi. Meshikov arretrò solamente di qualche passo, ma per i Kane l’impatto fu così forte che vennero scagliati all’indietro, con una forza brutale.
Carter andò a sbattere con la schiena contro il muro di pietra, e l’impatto fu così violento da togliergli il respiro, costringendolo a boccheggiare in cerca d’aria. Sadie, invece, atterrò di fiancò, e in quel momento poté giurare che gli si fosse incrinata qualche costola.
<< Allora, ragazzini >> cantilenò Vladimir, compiaciuto. << È tutto qui quello che sapete fare?>>
Sadie e Carter si guardarono per un attimo. Ecco, avete presente quei momenti in cui non servono le parole, perché riesci a comunicare con l’altro anche solo con lo sguardo? Beh, quello per loro era uno di quei momenti.
E sebbene fossero malconci e disperati, la soluzione arrivò rapida a entrambi.
Avevano parlato diverse volte con lo zio Amos di questo fatto. Loro avevano deciso di abbandonare gli dei, ma alcuni dei loro poteri erano ancora vivi dentro di loro, forti e pronti ad essere usati. Solo che era pericoloso. Perché se non riuscivano ad incanalare bene tutta quell’energia, la situazione sarebbe sfuggita loro di mano, e l’avrebbero pagata con conseguenze orribili, o addirittura con la morte.
Ma non avevano altra scelta. Se non si fossero sbrigati, Vladimir li avrebbe di sicuro sopraffatti. La loro magia era già agli sgoccioli, perciò quella era la loro unica possibilità.
Si alzarono in piedi.
Per un attimo Meshikov rimase interdetto, poi scoppiò a ridere. << Avete proprio deciso di morire, vero?>> disse, fra una risata e l’altra. << Molto bene, allora >> Sul suo viso spuntò un ghigno malvagio. << Vorrà dire che vi riserverò il trattamento peggiore.>>
Carter e Sadie strinsero i pugni, con forza. Dovevano concentrarsi, se volvano riuscire nel loro intento. Chiusero gli occhi. Nelle loro palpebre chiuse si materializzarono una serie di immagini. Immagini di guerra, immagini di gloria. Immagini di tutte le vite passate degli dei. Strinsero i denti. Si afferrarono a quei ricordi e li fecero loro. Si allungarono nella Duat e incanalarono nei loro corpi tutto il potere che il loro dei avevano da offrire.
Entrambi si sentirono colmare di rabbia. Intorno a loro, un leggero bagliore prese vita. Pian paino, poi, diventarono due bagliori separati. Quello emanato da Carter era di un blu intenso, accecante. Quello di Sadie, invece, era di un rosa esageratamente fluorescente.
Quando Meshikov vide quelle luci, andò nel panico. Alzò in aria il bastone e iniziò a cantilenare qualche vecchio incantesimo. Carter e Sadie sentirono la loro forza venir meno.
Strinsero più forte i denti, fino a farsi male. No, non si sarebbero lasciati sopraffare. Seguirono il sentiero di Iside e Horus. Non avrebbero permesso a uno stupido russo di distruggerli in una vecchia tomba senza il tetto. Non dopo che erano riusciti nel loro intento. Non dopo che avevano sfiorato più volte la morte per essere lì.
Il bagliore crebbe, accecando il mago, che smise subito di cantilenare.
I ragazzi sbarrarono gli occhi. Videro rosso. Urlarono, con tutta l’aria che avevano nei polmoni. Anche Meshikov gridò.
E poi, BOOM!
Ci fu una grossa esplosione. Le pareti di pietra tramarono, minacciando di crollare. Carter e Sadie vennero lanciati ai lati opposti della tomba, con forza. Atterrarono a circa sei metri di distanza.
Sadie aprì gli occhi. Era crollata su alcune ceneri del vecchio tetto. Provò a muoversi, ma era troppo stanca per fare qualcosa di diverso da tossire. Fece vagare lo sguardo per la stanza. Cerano vecchie ceneri ovunque. Di Meshikov, nessuna traccia. Sorrise: ce l’avevano fatta!
Spostò lo sguardo in cerca di Carter. Non appena lo vide, il suo cuore saltò un battito. Era steso a terra, il viso inerme, ma il corpo era attraversato da degli spasmi di dolore.
Per un attimo Sadie non capì, poi ricordò. Bes l’aveva avvertita. Se Carter si fosse stancato troppo, dal punto di vista fisico o magico, il veleno ancora il circolo che gli era stato iniettato da quello stupido tjesu heru avrebbe potuto riattivarsi, e ucciderlo.
Sadie sentì montare il panico. Provò ad urlare il nome del fratello, ma la sua voce era così flebile e spezzata che anche lei faticò a sentirsi.
Si guardò intorno. Aveva bisogno di aiuto. provò ad alzarsi più volte, ma il suo corpo non si spostava di un centimetro. Era così affaticata, che anche respirare era doloroso. Guardò Carter disperata. Non c’era modo di salvarlo. O forse… un modo c’era.
Tentò di spostare il braccio, non facendo caso al dolore che quel gesto le provocava. Non appena la sua mano sfiorò la rilegatura in pelle della sua borsa, la infilò dentro. La trovò quasi subito.
La tirò fuori e la osservò.
Era la statuetta di c’era di Carter, quella che le aveva dato Jaz. Era un po’ deformata, dato che era stata tutto quel tempo nella sua borsa. Ma anche Carter era decisamente malconcio. Sadie sperò con tutto il cuore che la connessione magica funzionasse.
Strinse i denti.
“Non farlo!” la ammonì una voce dentro la sua testa. Iside.“La tua magia è agli sgoccioli, se farai anche solo un altro incantesimo, morirai!”
Sadie indugiò. È vero, era così stanca che non riusciva neanche a sbattere le palpebre, e sentiva che la magia dentro di lei stava per venir meno. Sospirò e guardò Carter, ancora in preda a degli spasmi per via del veleno che stava entrando in circolazione. Strinse la statuetta fra le mani. No, non avrebbe lasciato che morisse, avrebbe fatto di tutto per salvarlo.
Sollevò per quanto potesse la figurina di cera e pronunciò il nome segreto di Carter. La magia fluì dal suo corpo attraverso le sue dita, fino a disperdersi nella statuetta di cera. Immediatamente, il veleno si ritirò dalle vene del fratello. La statuetta diventò verde e si sciolse fra le sue mani. Queste caddero a terra con un tonfo.
Eccola, la sentiva. La magia che la stava abbandonando. E con quella, anche la sua forza vitale. Una lacrima silenziosa le rigò la guancia. L’aveva fatto, aveva sacrificato la sua vita pur di salvare suo fratello. L’aveva aiutato. E, per quanto non volesse lasciarlo solo, si rese conto che una strana sensazione di pace si stava impadronendo di lei. Forse perché ora non aveva più preoccupazioni, o forse perché Anubi era già venuto a prenderla. E per quanto le dispiacesse morire lì, lontano da casa, in cuor suo sentiva di aver fatto la cosa giusta. Aveva salvato suo fratello, lasciandolo al suo destino. Sarebbe rimasto solo, è vero, ma Sadie sapeva che i suoi amici non l’avrebbero abbandonato.
Lasciò che un’ultima lacrima colasse. “Mi dispiace, Carter” pensò. Poi chiuse gli occhi, e non li riaprì più.


* * *


Uno. Due. Tre. Quattro.
La sua anima era diventata di piombo.
Cinque. Sei. Sette.
Si sentiva così leggero da credere di poter volare.
Otto. Nove.
Vedeva una luce, e stava per raggiungerla.
<< Dieci!>> gridò una voce sopra di lui.
Due mani premettero con forza sul suo petto, era la fine di un massaggio cardiaco. Carter schiuse gli occhi, boccheggiando in cerca di ossigeno. Tossì con vigore e provò di nuovo ad ispirare aria. Qualcuno gli massaggiava il petto. Schiuse un po’ di più gli occhi e una luce bianca lo accecò. Sopra di lui, a pochi centimetri dal suo viso, il volto di zio Amos lo studiava, preoccupato.
<< Carter >> chiamò. La voce arrivava ovattata al suo orecchio. << Carter, sei sveglio?>>
Il ragazzo tossì nuovamente. << Si >> provò a dire, ma tutto ciò che uscì dalla sua bocca fu un grugnito dolorante.
Amos sospirò sollevato. << Grazie agli dei >> mormorò, rilassando i muscoli.
Qualcuno gli posò una pezza bagnata sulla fronte. Carter spostò lo sguardo. Bast gli sorrideva dolcemente. << Ben tornato fra noi >> gli disse.
Carter aggrottò leggermente le sopracciglia. << Perché… dove… dove sono stato?>> chiese. Faceva ancora un po’ di fatica a parlare.
Amos sospirò. << Hai rischiato di morire, ragazzo. Per fortuna ti sei salvato.>>
In quel momento, una serie di immagini attraversò la mente di Carter. Ricordò tutto. Del loro incontro con Meshikov, di come avevano incanalato tutto il potere degli dei usando le loro ultime forze, dell’esplosione.
Si mise a sedere, ma non appena si alzò la sua testa cominciò a pulsare. Si stropicciò gli occhi con una mano. << Dov’è… dov’è Sadie?>> chiese.
Amos e Bast si guardarono. Nessuno dei due rispose. Carter alzò lo sguardo, sorpreso da quel silenzio. Fu Amos il primo a parlare. << Carter… dobbiamo dirti una cosa >> disse, con molta calma.
Carter sentì montare il panico. Cos’era successo a sua sorella? Dov’era finita? Voleva fare mille domande, ma tutto ciò che riuscì a fare fu aggrottare le sopracciglia.
<< Carter, lei è… >> iniziò Bast, ma non finì la frase.
Carter si alzò di scatto, ignorando il forte dolore alle tempie. << Dov’è? Che cosa le è successo?>> chiese, preoccupato. Ancora nessuna risposta. A quel punto Carter iniziò a temere il peggio, e andò nel panico.
Spostò velocemente lo sguardo, cercando nella sala il volto di sua sorella. Si era accorto che era piena di maghi, maghi che molto probabilmente erano corsi lì per salvarli. Ma non ci badò molto. Non vide il viso di Sadie da nessuna parte. Poi, un gruppetto di maghi guaritori tutti riuniti in un angolo attirò la sua attenzione.
Non pensò neanche un attimo con razionalità. << Sadie!>> gridò. Iniziò a correre verso quel gruppo di maghi, nonostante avesse le gambe pesanti.
Amos e Bast scattarono in piedi. << Carter, no!>> urlò la dea gatto, preoccupata.
Amos fu più veloce di lui e gli si parò davanti, bloccandolo. Walt lo aiutò. Aveva gli occhi lucidi, ma Carter non ci fece caso. << Sadie!>> urlò di nuovo, in preda al panico. << Lasciatemi passare!>> Tentò di divincolarsi, ma Amos e Walt lo tenevano ben fermo. Agli occhi di chiunque sarebbe sembrato un pazzo disperato. Ma in quel momento lui si sentiva pazzo. Ed era più che disperato.
<< Sadie!>> gridò ancora. La voce gli si incrinò leggermente. Sentiva gli occhi gonfi e la sua vista cominciava ad appannarsi. << Sadie! Lasciatemi passare! Sadie!>>
Alcuni maghi di quel gruppetto lo sentirono, e si voltarono a guardare. Avevano tutti un’aria molto cupa, e la maggior parte di loro lo guardava con compassione.
Carter continuava a gridare il nome della sorella, ordinando di lasciarlo andare.
Non appena tutti i maghi si furono accorti della sua presenza, si scansarono, permettendogli di vedere attraverso quella barriera.
Quello che vide non gli piacque per niente.
Sdraiato a terra, c’era il corpo della sorella, inerme e senza vita, gli occhi chiusi, i capelli scompigliati, il viso pallido e le mani accasciate a terra a peso morto. Accanto a lei, in ginocchio, Jaz continuava a formulare incantesimi.
Carter si sentì mancare l’aria. Il suo cuore perse un battito, e la sua testa cominciò a pulsare così forte da otturargli le orecchie. Stava per crollare. << Sadie!>> urlò, con tutto il fiato che aveva in gola.
Amos gli strinse una spalla. << Carter… >> mormorò, ma non disse nient’altro.
Carter scoppiò in lacrime. Se ne accorse, quando sentì un sapore salmastro in bocca, a cui prima non aveva dato attenzione, e percepì le guance bagnate. Iniziò a singhiozzare.
<< Sadie >> mormorò ancora, stavolta con la voce spezzata. Non riusciva a formulare un pensiero preciso, tutto ciò che riusciva a fare era ripetere il nome della sorella e guardare il suo corpo inerme, nonostante la vista gli si fosse completamente appannata.
Smise di divincolarsi con tutte le sue forze, e si aggrappò alle spalle dei suoi amici, che ancora lo tenevano fermo.
Lentamente, i due lo lasciarono andare. Non appena Carter si sentì libero di camminare, corse con furia verso la sorella, mentre i maghi si dividevano in un varco per lasciarlo passare.
Non appena le fu vicino, le si inginocchiò accanto.
Teneva gli occhi chiusi, e non respirava. Jaz provò a fare il suo ultimo incantesimo di guarigione. Un geroglifico verde brillò sul corpo della ragazza a terra. Fluttuò per alcuni secondi, poi si spense. Jaz scosse la testa, sconfitta. Carter sentì il suo cuore mancare un'altro battito.
Le lacrime continuavano a rigargli le guance. << Che cosa… Come… >> provò ad articolare delle domande, ma non ci riuscì.
Jaz alzò gli occhi lucidi. << Mi dispiace, Carter >> disse, con tristezza. << Ho provato, ma… ormai è troppo tardi. I miei incantesimi non funzionano.>> Si sforzò di trattenere le lacrime. << Mi dispiace…>> mormorò.
Carter guardò la sorella, disperato. Il suo volto era attraversato da mille emozioni diverse. Rabbia. Stupore. Tristezza. Dolore. Incredulità.
Tirò su col naso. << Perché, Sadie?>> mormorò, la voce spezzata. << Perché?>>
Jaz gli mise una mano sulla spalla. << Quando avete incanalato il potere degli dei, avete usato tutte le vostre ultime forze >> spiegò. << Avete sconfitto Vladimir, ma purtroppo il tuo sforzo era stato troppo grande, e il veleno che era ancora in te ti ha attaccato, rischiando di ucciderti. Sadie aveva ancora la figurina di cera che le avevo dato. Una di quelle per la guarigione. Quando ti hai visto in quello stato, sul punto di morte, lei ha… >> fece una piccola pausa, poi continuò. << Lei ti ha salvato. Ha preso la tua statuetta ed ha compiuto l’incantesimo di guarigione. Solo che così facendo… ha… ha usato anche il suo ultimo sprazzo di magia. E questa l’ha prosciugata, portandola via con se.>>
Carter singhiozzò, afferrando la mano della sorella.
Jaz sospirò. << È morta da eroina, Carter >> aggiunse, con sguardo dolce. << È morta per salvare te.>>
<< No…>> mormorò lui, scuotendo la testa. Strinse di più la mano della sorella, e con la vista appannata le accarezzò delicatamente i lunghi capelli color caramello. << No, lei non può essere morta. Non può averlo fatto.>>
<< Mi dispiace…>> disse Jaz.
<< No!>> insistette lui. << No, voi siete dei maghi guaritori. Dovete aiutarla!>>
Jaz lo guardò, lo sguardo pieno di rammarico. << Non possiamo, Carter. Ci abbiamo provato in tutti i modi, ma nelle nostre competenze questo non rientra. È stato tutto vano.>> Tirò su col naso. << Mi dispiace…>> ripeté.
Carter scoppiò in lacrime. Non che fino ad ora non avesse pianto, ma stavolta le lacrime erano più forti, più disperate.
Prese il corpo inerme della sorella fra le braccia e se lo strinse al petto, più forte che poteva. Poggiò la fronte contro quella di Sadie.
Si sentiva a pezzi, si sentiva distrutto. Avrebbe giurato che sarebbe potuto crollare da un momento all’altro. Era come se un grosso macigno di ferro gli si fosse posato sulle spalle, minacciando di non spostarsi. Un groppo enorme gli era salito in gola, e lui faceva anche fatica a respirare. Si era sacrificata, si era sacrificata per lui. Aveva rinunciato alla sua vita pur di salvare il fratello. E lui si sentiva come se l’avesse appena uccisa.
<< Sadie. Sadie, ti prego, svegliati >> mormorò in preda alla disperazione. Le lacrime gli rigavano velocemente le guance, cadendo sul volto pallido di Sadie.
Carter singhiozzò. << Sadie, ti prego. Non puoi morire così. Non puoi andartene.>> Strinse di più a se la sorella e affondò il viso nell’incavo del suo collo. << Sadie, ti prego, non puoi andartene. Non puoi lasciarmi da solo. Io ho bisogno di te, Sadie. Ho bisogno di te.>> Continuò a piangere. La sua vista ormai era completamente offuscata. << Ti prego, non lasciarmi qui >> singhiozzò, la voce gli si incrinò. Strinse gli occhi. << Tu sei mia sorella.>>
In quel momento successe l’impensabile, perché il corpo di Carter cominciò a brillare.
Ma non di una luce debole, eterea, ma di una luce forte e accecante. Una luce dorata. Questa luce ricopriva ogni singolo poro della sua pelle, trasformandolo in una specie di statuetta d’oro.
La luce cominciò a crescere, ed aumentare. Poi esplose.
Tutti i presenti si voltarono, coprendosi gli occhi con le mani per non essere accecati. Bast soffiò.
Quando li riaprirono, però, la scena era rimasta intatta. Carter era ancora inginocchiato a terra, il corpo inerme della sorella fra le braccia, la faccia nascosta nell’incavo del suo collo. Ancora piangeva.
Carter sembrava l’unico a non essersi accorto di niente. Continuò a singhiozzare per un po’. << Carter… >> mormorò una flebile voce nel suo orecchio. Carter smise di piangere all’istante, e sentì il suo sangue gelarsi. << Perché mi stai abbracciando così? Mi fai male, e puzzi peggio della biancheria di Khufu.>>
Carter sgranò gli occhi. Si allontanò leggermente, quel tanto che bastava per vedere il volto della sorella. << Sadie?>> sussurrò, in un misto di speranza e sorpresa.
Sadie sbatte leggermente le palpebre e lo guardò negli occhi. << No, sono la nonna. Cavolo, Carter, sei diventato più stupido del babbuino!>>
Carter sorrise, esterrefatto. << Sadie!>> urlò, pieno di gioia. Iniziò a ridere, come un bambino, e strinse di nuovo a se la sorella. << Sadie, sei viva!>>
<< Carter >> mormorò la ragazza, debolmente, con voce quasi sofferente. << Non respiro…>>
Carter smise di ridere e allentò la presa sulla sorella. << Scusa…>> sussurrò, gli occhi lucidi per l’emozione. Non riusciva a smettere di sorridere.
In men che non si dica, Jaz gli fu di fronte. Si inginocchiò di nuovo accanto a Sadie. << Sadie?>> chiese. << Sei tu?>>
<< Ma certo che sono io!>> esclamò la ragazza. << Si può sapere che cosa avete tutti quanti?>>
Jaz sospirò, chiudendo gli occhi sollevata. Poi sorrise. Intorno a loro, un boato di esclamazioni si levò per tutta la stanza. I presenti esultarono felici.
Carter rise, unendosi al coro.
Sadie corrucciò leggermente le sopracciglia. Le faceva male la testa, e quelle voci non aiutavano. Tentò di mettersi seduta e Carter la sorresse. << Che cosa… Che cosa è successo?>> chiese.
<< Carter ti ha salvato >> le rispose Jaz, felice.
<< Cosa? Io? Ma io… io non ho fatto niente.>>
<< Credo che tu non abbia fatto tutto da solo >> disse Bast, decisa. I ragazzi si girarono a guardarla. << Riconoscerei quel potere fra mille >> affermò, con un sorriso sghembo.
<< Quale… quale potere?>> Carter sembrava confuso.
<< Il potere di Osiride >> disse la dea gatto. << Quello che ti permette di dare vita a cose o corpi inanimati.>> Sorrise. << Sai, credo che Horus non sia più l’unico dio che creda in te.>>
Carter rimase esterrefatto. Ora non aveva più a che fare con un solo dio, ma con due. Poteva incanalare due poteri diversi. E questo era strano. Ma c’era un’altra cosa che subito gli era venuta in mente. Che Osiride era suo padre. All’improvviso capì. Suo padre l’aveva aiutato a salvare Sadie, gli aveva donato i suoi poteri per permettergli di non perdere sua sorella. Sorrise. “Grazie, papà” pensò.
Sadie provò ad alzarsi ma una fitta di dolore le colpì il petto. Emise un lamento.
<< Non muoverti >> la ammonì Jaz. << Adesso ti guariremo.>> Chiamò con un cennò della mano alcuni suoi colleghi e in meno di cinque minuti ben sette maghi guaritori si stavano adoperando con cantilene e geroglifici per guarire la ragazza.
Sadie sospirò, arricciando in naso in una smorfia di dolore. Anche il solo stare seduta le faceva male. Carter se ne accorse e si mise dietro di lei. << Appoggiati a me >> le disse. Suonava come un ordine. << Così non ti stanchi.>>
Sadie non se lo fece ripetere due volte. Si rilassò e poggiò la schiena contro il petto del fratello, sciogliendo i muscoli. Carter l’abbraccio, sostenendola da dietro.
<< E così… >> disse la ragazza, mentre un piccolo geroglifico verde le volteggiava su una gamba. << Mi hai salvato la vita?>>
Carter sorrise. << Così sembra.>>
Sadie fece una smorfia. << Cavolo >> borbottò.
Carter aggrottò la fronte. << Che c’è?>>
<< Me lo rinfaccerai a vita, vero?>> chiese lei, scocciata.
Carter rise. << No >> mormorò. << Solo per i prossimi quindici anni.>>
 

* * *

Carter respirò a fondo l’aria di New York.
Erano passati due giorni dallo scontro con Meshikov, e dopo una lunga serie di medicine e incantesimi per la guarigione, finalmente erano potuti tornare alla Brooklyn House.
Si trovava fuori al balcone e, con i gomiti poggiati contro la ringhiera e le mani penzoloni verso il basso, ammirava in silenzio il mormorio della città.
Era davvero rilassante starsene lì tutti soli, e in un certo senso quel balcone gli era mancato.
Fu una voce a distoglierlo dai suoi pensieri.
<< New York mi era proprio mancata!>> esclamò. Carter sorrise, senza voltarsi, e Sadie gli fu accanto.
<< Anche a me >> sussurrò il ragazzo.
Sadie lo guardò di traverso. Sospirò un attimo, prima di decidersi a parlare. << Sai, non ti ho ancora ringraziato >> disse. << Per quello che hai fatto. Se non fosse stato per te, in questo momento sarei già fra le braccia di Anubi. Il che non mi sarebbe dispiaciuto, onestamente, ma… >> Guardò il fratello, stringendo le labbra come se quello che stesse per dire le costasse davvero la vita. << Grazie.>>
Carter sorrise, con un sorriso sghembo. Ma non distolse gli occhi dalla città. << Non devi ringraziarmi di niente >> disse. << Sei stata tu la prima a salvarmi. Io ti ho solo restituito il favore.>>
Sadie annuì, rilassata. << Fantastico. Quindi siamo pari?>>
<< Siamo pari.>>
Passarono alcuni minuti in silenzio. Poi Carter si decise a parlare. << Sai… >> disse, con un po’ di fatica. << Quando eravamo lì, e tu eri senza vita fra le mie braccia, io… ho temuto… ho temuto davvero di perderti.>> Alzò lo sguardo e finalmente la guardò negli occhi. << Non so cos’avrei fatto senza di te.>>
Sadie sorrise, ma non si capiva se più per incredulità o compiacimento. Abbassò lo sguardo e iniziò a giocherellare con alcuni braccialetti che aveva al polso. << Te la saresti cavata benissimo.>>
A quel punto, Carter sembrava sia sorpreso che offeso. << No, non è vero >> affermò, quasi con rabbia. << Io… io mi sarei sentito perso. Tu ci sei sempre stata per me, mentre io ero solo il fratello stupido che giocava a fare l’eroe. Non ho mai fatto niente per aiutarti. Ti ho addirittura lasciata da sola a combattere contro un esercito di mummie solo per cercare una ragazza. Ma a te non è importato. Tu mi hai salvato, mettendo a rischio la tua vita pur di aiutarmi. Io non ho fatto… niente.>> Sembrava avvilito.
Sadie gli mise una mano sulla spalla. << Ehi, non provare nemmeno a pensare che tu non abbia fatto niente. Tu ci sei sempre stato. Hai sempre tentato di proteggermi e, anche se a volte non ci sei riuscito, apprezzo il tentativo. So che ti sei sempre sentito responsabile di me, in qualche modo, da quando mamma e papà sono morti. E sei anche venuto fino a Londra solo per aiutarmi.>> Gli passò scherzosamente una mano fra i capelli ricci. << Tu sei il fratello maggiore migliore del mondo. Un po’ rompiscatole, certo. Ma pur sempre il migliore.>>
Carter la guardò, riconoscente. << Sadie, mi dispiace.>> disse.
Lei aggrottò la fronte. << Per cosa?>>
<< Per quello che ti ho detto. Non è vero che avrei preferito che ci fossi stata tu, al posto della mamma, quel giorno al museo. Se tu fossi morta, non so adesso che cosa sarei diventato. Sarei stato perso.>>
Sadie sorrise, iniziando, stavolta, a giocherellare con la collanina che aveva al collo. << Non devi scusarti. So che non dicevi sul serio. E poi me la sono andata a cercare.>> Lo guardò negli occhi. << Neanche io dicevo sul serio. Non è vero che preferivo avere te, al posto di papà, ad ospitare lo spirito di Osiride. Non vorrei mai che tu fossi così distante da me. Sei il mio fratellone, ho bisogno di te.>>
Restarono alcuni secondi a guardarsi, poi si abbracciarono. Sadie nascose il viso nell’incavo del collo di Carter, e lui fece lo stesso. Sadie sospirò. Era da tanto tempo che non si abbracciavano così. Le mancavano, i loro abbracci. Non si abbracciavano spesso. Si erano visti per soli due giorni l’anno per sei anni, e non avevano mai condiviso granché. Ma erano pur sempre fratelli. Il loro legame era più forte di qualunque altro, e loro lo sapevano. Da quando i loro genitori erano morti, senza volerlo erano diventati inseparabili. Anche se litigavano spesso, non riuscivano neanche ad immaginare come potesse essere la loro vita senza l’altro.
Sadie si strinse di più a lui, improvvisamente rincuorata di sentire quel suo profumo che tanto le dava conforto.
Sospirò. << Ti voglio bene, Carter >> mormorò.
Carter sorrise, accarezzandole i capelli e baciandole la tempia con fare protettivo.  Sospirò anche lui.
<< Ti voglio bene, Sadie.>>


'Cause when a heart breaks, no it don't break even


Angolo Scrittrice
Bien, bien, bien... Bounjour!
Allora, riguardo la storia. Beh, che dire. Avevo già letto il primo libro, La Piramide Rossa, e ora ho da poco iniziato Il Trono di Fuoco... e li ho trovati fantastici! Rick Riordan è in assoluto il mio scrittore preferito. Quell'uomo è un genio!!
Non so esattamente da dove sia uscita questa One-shot. So solo che stavo leggendo uno dei tanti litigi di Carter e Sadie e ho pensato: Litigano così tanto, ma cosa proverebbero se sapessero che uno di loro due è morto?
E così eccomi qui, a scrivere questa cosa. Ho cercato di descrivere al meglio i sentimenti dei due personaggi. So che fa un po' schifo, mi dispiace, ma non sono questa grande scrittrice, quindi mi limito a fare il meglio che posso. Spero comunque che vi sia piaciuta.
Non è un granchè, lo so, ma spero che apprezziate.
Ho scelto questo titolo grazie ad una canzone dei The Script, un gruppo irlandese che adoro. So che non c'entra molto, e che quella canzone parla di una storia d'amore e non di due fratelli, ma ho trovato quella frase perfetta. Perchè quando un cuore si spezza, non si spezza davvero. E nonostante Sadie ce l'avesse a morte con Carter, e Carter a morte con Sadie, alla fine si sono salvati a vicenda. :)
Spero che abbiate apprezzato. Ora me ne vò. Vi chiedo solo la cortesia di lasciare qualche commentino. Così che io possa capire se questa One-shot piace, e se mi sono resa ridicola a pubblicarla D: Per chi ama scrivere storie, sa quanto si sta in ansia chiedendosi: Piace? Non piace? Qualcuno commenterà?
Se tra voi c'è qualche anima pia dal cuore d'oro, vi prego di farlo. Mi rendereste felicissima :D
Ok, è tutto. Un bacione a tutti quanti e buon proseguimento ;)

ValeryJackson
P.s. Non ho ancora finito di leggere il libro, quindi non ho idea di come vada a finire. I fatti da me scritti sono puramente inventati, e non voglio sapere se ci ho azzeccato oppure no. Quindi niente SPOILER, please! Grazie ;)
P.p.s. Se può interessarvi, mi farebbe piacere che passiate a leggere anche qualche altra mia storia. E commentate questa ;D Merci :*

  
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