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Autore: Keros_    21/07/2013    2 recensioni
Blaine non ha mai avuto un buon rapporto con la sua famiglia, così per andare via decide di fare domanda per lavorare in un qualsiasi parco divertimenti della Disney.
Sebastian per andare via di casa e potersi permettere un suo appartamento, lavora alla Disneyland Paris; dove la famiglia Smythe ricopre un ruolo importante, ma non lui.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Risposta alla sfida con il prompt "Disney", lanciata sul gruppo Seblaine Events da Black_eyes.



Disneyland

 

Blaine non poteva essere più entusiasta di quella notizia. Finalmente era riuscito a trovare un lavoro che gli piacesse dopo lunghe ricerche. Ancora non riusciva a crederci che era riuscito ad accaparrarsi un lavoro del genere: lavorare con i bambini era sempre stato il suo più grande sogno.

Certo, era un lavoro che poteva andar bene per qualche anno, lo sapeva benissimo, ma non gli importava. Finalmente avrebbe lasciato Lima alle spalle, insieme alla sua famiglia senza rimpianti e il sorriso sulle labbra.
Il ragazzo rientrò dalla veranda mettendosi il cellulare in tasca e andò nel soggiorno, dove suo padre stava guardando una gara di moto insieme a suo fratello stravaccati sul divano e sua madre era sulla poltrona accanto a leggere un libro, che sembrava interessante.

“Mi hanno preso!” Esordì, spezzando il silenzio della stanza, sorridendo raggiante e fiero di sè stesso.

“Bravo,” gli mormorò suo padre, senza nemmeno voltarsi a guardarlo e suo fratello gli alzò il pollice come segno di approvazione.

“Andrò a vivere in un altra città.” Continuò, sperando d’attirare l’attenzione su di sé, senza successo. Rimase lì a fissarli, uno per uno e poi il quadro generale, sentendo lo stomaco contorcersi.

Lui e la sua famiglia non avevano mai avuto un buon rapporto. C’era sempre stato come un vetro a separarlo da loro, per anni aveva cercato di distruggerlo, così da potersi avvicinare; poi capì che non avrebbe mai potuto far niente, dato che se ogni volta che lo scalfiva, i suoi genitori e suo fratello lo riparavano rendendolo ancora più solido.

Per uno stupido e bambinesco motivo, però, Blaine per un secondo, aveva davvero pensato che quella notizia sarebbe riuscita a scuoterli dalla loro realtà che era sempre così intoccabile e perfetta; ma niente, come sempre, d’altra parte.

Girò su i tacchi e fece per uscire dalla stanza, quando la voce di sua madre arrivò dritta alle sue orecchie; priva di preoccupazione o emozione.

“Non dimenticare niente.”

Non poteva essere più felice d’andare via come in quel momento.



*




Il sole splendeva alto nel cielo parigino e faceva un gran caldo, portando Sebastian a imprecare nel suo vestito da Pluto. Non indossava mai quei vestiti, perché solitamente era addetto ai giochi ma quel giorno uno si era assentato e avevano spedito lui a fare quel lavoro.

Era impiegato alla Disneyland Paris da due anni e ancora gli toccava fare quelle cose a volte e Dio, come li odiava. Li odiava tutti, soprattutto gli adulti super felici che gli chiedevano di fare una foto con lui; sembravano dei deficienti. I bambini li capiva, e che se non l’avrebbe mai ammesso, amava tenerli il braccio per le foto, ma gli adulti proprio no.

Ma tanto non faceva differenza, quel giorno aveva deciso che li odiava tutti.

Continuò a camminare tranquillamente per il parco, salutando con la mano i passanti che lo indicavano e i bambini che gli sorridevano, concedendo foto a chiunque glielo chiedesse facendo smorfie dentro il costume, sicuro che nessuno potesse vederlo; si vendicava così.

Si mise davanti alla casa di Pinocchio, dove aveva il compito di stare per dieci minuti prima di poter finalmente andare a cambiarsi; sbuffò pensando a quante altre persone avrebbe dato retta nei minuti restanti.

Potto fammi ua foo co e?

Sebastian strabuzzò gli occhi a quella domanda di cui non aveva capito nemmeno una parola e abbassò la testa per vedere un bambino di due anni attaccarsi alle sue gambe.

Peffaoe!” disse il piccolo, guardandolo negli occhi.

Sebastian fissò intensamente quelle iridi azzurro cielo per un momento, cercando la forza di dirgli qualcosa di acido, ma non la trovò. “Certo,” rispose infatti, non sapendo che altro dire.

Lo prese in braccio e il bimbo gli indicò con la manina di guardare verso destra, dove i suoi genitori gli stavano venendo incontro. Il padre aveva una macchina fotografica professionale e si fermò un po’ distante da loro per fare lo scatto.

“Grazie!” Disse la donna quando ebbero finito, avvicinandosi a lui per riprendere il bambino. Sebastian glielo porse stando attento a non farlo cadere, quando l’attenzione della donna venne catturata da un altro personaggio della Disney. “Scusi, è un problema se le chiedessi di fare una foto con George e Topolino? Guardi, è proprio lì.”

Sebastian si voltò a guardare il punto indicatogli, dove un gran topo gigante con indosso una salopette rossa salutava i bambini. Guardò male la signora, ma si trattenne dal dire una qualunque cosa: una settimana prima lo avevano già minacciato di spedirlo a casa per via del suo comportamento maleducato con i clienti.

“Va bene.” Borbottò infine, iniziando a camminare verso quella direzione con ancora il bambino in braccio e la signora al seguito. C’era un caldo straziante dentro quel costume e sperò soltanto che l’orologio battesse le dodici il prima possibile.

“Vado io a chiedere,” Disse il padre del bambino che fino a quel momento era stato in silenzio, superandoli. Sebastian sapeva che avrebbe dovuto dirgli che non ce n’era bisogno e che purtroppo dovevano concedergli le foto in qualunque caso, ma se ne fregò, restando a fissare quel bambino che era davvero bellissimo.

Due minuti dopo, l’uomo tornò irritato, sbuffò e poi disse: “George, non ce n’è bisogno; quello non ha capito un cavolo.”
Sebastian strabuzzò gli occhi a quelle parole, non poteva credergli. Non sapeva chi ci fosse sotto al costume di Topolino, ma per lavorare lì dentro assumevano persone che già avevano un minimo di esperienza e soprattutto parlassero un minimo di tre lingue.

 
Guardò Topolino che in quel momento stava dando delle indicazioni a una coppia, non sembrava un deficiente. Subito dopo averli congedati, due uomini si avvicinarono a lui e questi fece per portarsi una mano a grattarsi i capelli; era a disagio, non capiva, e si vedeva.

 
“Venite con me, vado a chiederglielo io.” Disse in fine, non capendo nemmeno perché lo fece, in realtà. Non aiutava mai nessuno a meno ché non glielo chiedessero esplicitamente, eppure c’era qualcosa in quel Topolino che lo attirava.

Si avvicinò a lui stando attendo a non urtare i passanti e non far cadere i bambini. Lo chiamò in francese ma sembrava non l’avesse sentito. “Hey, sto parlando con te.” Ripeté in inglese, supponendo che non capisse quella lingua.

 
“M-mi scusi!” farfugliò quello da dentro il costume, voltandosi verso di lui e Sebastian capì che era un ragazzo. “Posso fare qualcosa per te?”

 
“SI,” rispose lui con tono deciso, “devi fare meno casini, o qui ci rimproverano tutti.” Continuò sempre in inglese, perché a quanto pareva capiva solo quello.

 
“Mi dispiace, solo che il francese proprio non lo capisco e sembra che oggi ci siano solo francesi in giro per il parco.”
Dal tono di voce, Sebastian capì anche era davvero mortificato; avrebbe voluto continuare a rimproverarlo, ma lasciò perdere.
 
“Vieni qui che dobbiamo fare una foto con questo bambino,” disse alzando in braccio dove era seduto il piccolo.

 
“Oh, certo!” asserì subito, portando le braccia avanti per prendere in braccio George e lui ridacchiò felice mentre gli portava una mano dietro al collo per tenersi meglio. Sebastian fece segno ai due genitori d’affrettarsi a raggiungerli.

“Pronti?”

Entrambi i due ragazzi annuirono da dentro i costumi, la donna fece una faccia buffa da dietro il marito per far sorridere il figlio. Sebastian sentì la mano dell’altro poggiarsi sulla sua schiena, si mise in posa fin quando l’uomo non ebbe scattato.

“Grazie, siete stati molto gentili;” dissero i genitori del bambino, mentre la madre lo prendeva dalle braccia di Topolino che però non rispose perché non aveva ancora capito. Sebastian li salutò con la mano e George gli sorrise.

“Finalmente il mio turno è finito, non ce la facevo più.” Esordì dopo qualche istante di silenzio il ragazzo dentro al costume da topo, sospirando di sollievo. Fece per togliersi la testa del costume, ma Sebastian riuscì a fermarlo in tempo.

“Idiota, non puoi toglierlo qui,” lo rimproverò, poggiando le mani sopra le sue. “Ma non ti hanno spiegato niente?”

“No, ma se hai finito il turno, puoi spiegarmi tutto tu davanti a un piatto di pasta. Offro io.”

Sebastian lo guardò incuriosito attraverso il costume; non l’aveva nemmeno visto in viso, ma gli piaceva, non era così tonto come aveva pensato e non sapeva il motivo per cui lo affascinava così tanto.

“Accetto solo se mi offri anche una birra.”

“E una birra.” Ripeté il ragazzo.


*




 
Erano passati cinque mesi da quando Blaine incontrò Sebastian per la prima volta. Quando lo invitò a pranzo, credeva che sotto quel costume da Pluto ci fosse un ragazzo molto più grande di lui, magari sulla trentina, un po’ antipatico per via dei problemi con la ragazza, così non avrebbe avuto qualcuno da salutare la mattina senza poter avere secondi fini.

Quando quel giorno uscì dallo spogliatoio Sebastian Smythe, alto, muscoloso e bello da morire, Blaine ci rimase un po’ di sasso, a dire il vero. Dopo pranzo mise già una pietra sopra la fantasia che si era fatto di loro due che avevano una relazione.

Sebastian non era il tipo di ragazzo per lui, era il solito fighetto di turno che riusciva a portarsi a letto metà discoteca in cui andava a ballare se solo avesse voluto, non voleva relazioni di nessun tipo, ci provava spudoratamente senza mezzi termini e si prendeva ciò che voleva.

A Blaine non erano mai andati a genio quel tipo di persone, Sebastian non sarebbe stato da meno se non fosse che con lui si trovava davvero bene. Era simpatico e intelligente, a volte faceva alcune battute a sfondo sessuale più o meno velate anche a lui, ma ci passava benissimo sopra.

Nonostante provasse un minimo d’interesse verso di lui –alcune notti movimentate ne erano la prova- non ci teneva a diventare uno dei tanti e sembrava che per Sebastian fosse lo stesso. Non avrebbe avuto nessun problema ad averlo, ma stranamente con lui si fermava soltanto a qualche battuta e qualche pacca vicino ai fianchi, proprio sopra al sedere, e niente di più.

Inizialmente credeva di non piacergli abbastanza, anzi per parecchio tempo, poi si era convinto che forse l’unico motivo per cui non ci provava veramente era l’amicizia che si era instaurata tra loro. Blaine stesso non sapeva mai come definirsi; diceva a chi glielo chiedeva che erano amici, ma non sapeva spiegare che tipo di amici.

Erano colleghi, non uscivano mai il sabato sera insieme, solo una volta Blaine era andato a casa di Sebastian per guardare un film, si scambiavano messaggi continuamente, a volte anche fino alle prime luci dell’alba; di tanto in tanto uscivano il pomeriggio, soprattutto i primi tempi perché Blaine voleva vedere la città e Sebastian non se l’era sentita di spedirlo da solo; due o tre volte alla settimana parlavano pure al telefono anche per qualche ora, senza programmarlo o avere un appuntamento prestabilito.

Non parlavano di tutto, ma quasi. Avevano sempre lasciato la famiglia da parte, anche se Blaine non ne aveva mai capito il perché. Chiacchieravano degli ultimi film al cinema, di quel nuovo locale che si era aperto da un po’, di alcuni amici di Sebastian e di quelli di Blaine. Ogni tanto facevano anche la lista dei ragazzi con cui erano andati a letto, dicendo soltanto i nomi, senza mai entrare nel dettaglio.

Blaine all’inizio si sentiva un vero idiota quando la sua lista era lunga un quarto di quella dell’altro, ma poi ci fece l’abitudine e capì che avevano dei caratteri totalmente diversi, quindi era inutile star lì a farsi domande.

Adesso anche Parigi era più bella ai suoi occhi; all’inizio l’aveva letteralmente odiata, ma poi aveva iniziato a conoscerla e sì, non l’amava ancora e forse non l’avrebbe mai fatto, ma adesso la Senna era più bella al tramonto, così come il quartiere Latino era divenuto più colmo ai suoi occhi. Notre Dame quando gli capitava di entrarci la trovava sempre più affascinante delle volte precedenti, così come la chiesa del Sacro Cuore e il panorama da lassù.

Le uniche cose che ancora non erano cambiate, erano il suo francese e il suo lavoro. Continuava a non capire una sola parola di quello che gli dicevano, a parte le pochissime frasi che Sebastian era riuscito a fargli imparare a memoria affinché le potesse utilizzare a lavoro, insieme a tutte le parolacce e le frasi sconce che poi Blaine ne capì dopo il significato. La cosa appagante fu mandarlo a quel paese nella sua stessa lingua.

Così senza nemmeno accorgersene, si stava innamorando di lui.


*




“Che fai stasera?”

Blaine alzò lo sguardo verso l’amico che stava schiacciando il pulsante per far chiudere le barre di sicurezza della giostra in un quel giorno avevano il compito di lavorare. Ci rifletté un attimo: era mercoledì, il giorno in cui faceva sempre la webcam con Cooper. “Niente, sono libero.”

“Sei mai stato nel parco dopo l’orario di chiusura?” Continuò Sebastian, poggiandosi con un braccio sulla parete rocciosa.
“Credevo che non si potesse restare nel parco di notte.”

“Dopo l’orario di chiusura non è di notte; resteremo fino a quando gli addetti controlleranno che tutto sia apposto. Due orette se ci va bene.”

“O-okay.”


Tre ore dopo, Blaine uscì dalla giostra dei Pirati dei Caraibi e si appoggiò a una parete. Era stanco morto, perché era tutto il pomeriggio che era in piedi. Prese dai pantaloncini della divisa il cellulare per mandare un messaggio su facebook a suo fratello dove gli comunicava che per quella sera non riusciva proprio a fare in tempo per la loro solita chiacchierata. Che peccato.

“Scrivi al fidanzato?” Gli chiese una voce familiare. Lui alzò lo sguardo per vedere Sebastian avvicinarsi a lui con la solita camminata lenta e cadenzata e quel solito ghigno sulle labbra.

“Veramente scrivevo a mio fratello.”

“Hai un fratello?!” Domandò Sebastian alzando un sopracciglio. Gli passò un braccio sulle spalle, conducendolo per i l parco ormai deserto e quasi buio.

“Si, si chiama Cooper. Non ci credo di non avertelo mai detto.” Rispose il moro, cingendogli i fianchi con un braccio. “Almeno una volta devo averlo nominato.”

“Mai.”

“Si, insomma, non mi piace molto parlare di lui. Mi fa sentire sempre un bamboccio.”

“Nemmeno a me piace parlare di mio fratello o della mia famiglia,” Disse Sebastian alzando le spalle. “Di qua, iniziamo da Peter Pan.”






“Sebastian!”

“Shhh!”

“Sebastian!” Ripeté di nuovo Blaine, ancora più allarmato, “lascia stare, hanno già chiuso, non possiamo entrare.”

“Blaine, sta zitto.” Tagliò corto il più alto, continuando a forzare la serratura con una chiave che non era quella adatta.”

“Sebas-“ Blaine si zittì nel momento esatto in cui sentì un piccolo “tac” e la porta aprirsi sotto la leggera pressione della mano di
Sebastian.
 
“Prego,” gli disse tagliente quest’ultimo, assassinandolo con gli occhi. Blaine abbassò lo sguardo e rimanendo in silenzio lo superò entrando.

Si ritrovò proprio in mezzo a delle miniature di alcune case, ancora illuminate con delle lucine gialle. Rimase immobile non sapendo dove mettere i piedi per paura di poter distruggere qualcosa fin quando non sentì la mano si Sebastian sulla sua spalla.

“Di qua,” gli sussurrò, facendo strada. Accese la torcia del suo cellulare costosissimo , facendo vedere a Blaine che vi erano dei piccoli sentieri in cui era possibile passare. Erano lasciati apposta per i tecnici della manutenzione, così da non poter riparare tranquillamente qualsiasi cosa senza aver paura di muoversi.

Sebastian lo guidò fino alla prima sala da dove solitamente iniziava la giostra. “Ed eccoci qui, signore e signori, pronti a iniziare questo favoloso tour sotto la mia guida, spero vi piaccia!” Disse sussurrando, facendo poi spazio a Blaine che all’inizio non capì per quale motivo lo avesse trascinato lì dentro.

Aveva già visto parecchie volte quella giostra e la trovava bellissima, ma nella sua mente era molto più bella guardandola dall’alto, come la era giusto fare, che guardarla a piedi, cosa che oltretutto era proibito. Quindi trovava inutile tutto quello, fin quando Sebastian non si accucciò davanti a delle case e un campanile e glielo indicò.

Blaine rimase senza parole. Si sbagliava, vederlo da vicino era ancora più bello. Da lì poteva distinguere tutte le piccole ombre degli omini che vi erano tra le stradine, le rifiniture delle case: i balconi, i fiori, i giardini ben curati.

Si voltò a guardare Sebastian, che come lui fino a un istante prima, guardava stupefatto.
 
 
 
Sebastian?!”

“Ah Blaine, non iniziare!” tagliò corto, continuando a camminare senza voltarsi a guardarlo.

“Ma è tardi, dovremmo andare a casa.”

“So ciò che faccio, rilassati. Possiamo stare qui un’altra mezz’ora.” Ripose Sebastian cercando di farlo tranquillizzare, fermandosi per aspettarlo.

Dopo la casa di Peter Pan erano entrati in quella di pinocchio e di Alice nel Paese Delle Meraviglie; adesso stavano entrando in Fantasylandia; Sebastian gli aveva detto che per quella sera avrebbero fatto solo quelli e che qualche altro giorno avrebbero continuato il tour fino a vedere tutto il parco.
 
“Vieni e levati le scarpe.” Gli disse, afferrandolo per un braccio fino a portarlo davanti al bordo della vasca da dove sarebbe iniziato il giro nella giostra. “Dai sbrigati che non abbiamo tanto tempo, sennò non arriviamo a fare tutto il giro.”

“Perché mi devo togliere le scarpe?” Chiese Blaine, fissandolo come se fosse un alieno mentre si sfilava i calzini e li lasciava sul bordo; lì dentro non c’era mai entrato. Sebastian non gli rispose, si limitò soltanto a sedersi sul bordo e a scivolare lentamente dentro l’acqua che gli arrivava appena sopra il ginocchio. “Cosa?”

“Eddai muoviti, non possiamo prendere le barchette.” Gli spiegò, prima di tirargli un po’ d’acqua. Blaine sbuffò e poi fece come gli venne detto, lasciando a terra il cellulare, le scarpe e i calzini. “Forse sei talmente nano che ti devi togliere i pantaloncini per non bagnarteli.”

“Ci hai provato,” commentò lui acido, entrando in acqua. Credeva che quella fosse solo un’offesa e invece a Blaine davvero l’acqua gli arrivava a più di metà coscia, bagnandosi tutto fino a sopra il sedere. “Non è giusto.” Farfugliò, facendo ridere Sebastian che iniziò a camminare.

Blaine lo seguì senza dire nulla, rimanendo incantato a guardare le bambole che erano spente, ma comunque bellissime per via delle collane, dei vestiti. Erano disposte sui due lati del tunnel e poste su dei ripiani rettangolari o semicircolari; ognuno rappresentava una nazione del mondo, quindi decorati e vestiti con qualcosa di tipico dei paesi d’origine.

“Guarda che sono belli questi,” disse ad un certo punto Sebastian, salendo per avvicinarsi a delle bambole sopra a un cammello.
“Sebastian, scendi! Non puoi salire lì sopra, si romperà!”

“Non essere noioso e fammi la foto,” rispose lui con strafottenza, passandogli il suo cellulare.
Blaine lo afferrò e rimase un attimo a guardarlo, poi fece scivolare lo sguardo da lui all’apparecchio elettronico. “Solo questa volta.”

“Solo questa volta;” ripeté l’altro facendogli il verso, prima di mettersi in posa fino a quando Blaine non scattò. “Ne vuoi una tu?”

“No,” ripose lui secco, “Adesso scendi di lì!”

“Come sei noioso, Blaine Anderson,” commentò Sebastian, buttandosi in acqua, schizzandola tutta addosso al moro, “rilassati un po’.”

“Mi hai bagnato tutto!” Esclamò quest’ultimo guardandosi la maglietta.

“Sei troppo permaloso,” commentò il francese, avvicinandosi ancora di più a lui, “Questo è essere tutto bagnato,” disse schizzandogli addosso l’acqua ininterrottamente, seguendolo anche quando Blaine cercò di allontanarsi da lui e gli diede le spalle.

Sebastian rise di gusto quando si fermò e notò che i capelli del moro adesso erano tutti scombinati per via del gel che allentava la presa e dei riccioli ribelli spuntavano qua e là sulla chioma. Gli si avvicinò alle spalle, ma proprio quando decise che forse poteva farlo cadere completamente in acqua per iniziare una lotta, Blaine si voltò di scatto e si ritrovarono faccia a faccia.

E oh, lui si che era bellissimo anche bagnato come un pulcino.

Rimase per un lungo istante a fissarlo e a tracciare ogni suo lineamento con gli occhi, trovandolo sempre più affascinante; si sentiva in uno di quei tanti film smielati di bassa categoria che non si filava nessuno: lui e Blaine che si fissavano negli occhi, con l’acqua che gli arrivava un po’ sopra le ginocchia, le luci colorate che li illuminavano, il silenzio violato soltanto dal rumore dell’acqua che si muoveva appena.

Avrebbe potuto chinarsi e baciare quelle labbra che fin qual primo giorno si chiedeva che sapore avessero, stringere in un abbraccio il corpo caldo di Blaine perché era infreddolito; ma non lo fece. Si allontanò di poco da lui e gli portò una mano tra i capelli.

“Secondo me senza gel saresti più sexy.”

“G-grazie,” farfugliò il moretto, non aspettandosi quella supposizione. Si capiva che c’era restato male anche se ce la metteva tutto per non darlo a vedere.

“Andiamo, voglio farmi la foto anche con quelli eschimesi,” cambiò discorso Sebastian, allontanandosi completamente da lui per non aver nessun contatto. Iniziò a camminare, lasciò l’altro impalato lì dov’era.

Blaine guardò il cellulare che aveva in mano, schiacciò il pulsante per sboccarlo ma vide che non andava; provò di nuovo e di nuovo ancora, ma niente. Il cellulare non dava segno di essere ancora vivo, per il momento. “Sebastian, non credo sia una buona idea.. si è bagnato e per il momento non va.”

“Ne comprerò uno nuovo,” lo tranquillizzò continuando a camminare senza nemmeno voltarsi, girando l’angolo per continuare il tragitto.

Blaine a quel punto capì di essere rimasto davvero molto indietro e iniziò a camminare il più velocemente possibile, cercando di sistemarsi i capelli che stavano sempre più diventando inguardabili.

“Sebastian che succede se scoprono quello che stiamo facendo?”

“Ci licenziano.”

A questo punto.

Blaine, che ormai era a qualche metro di distanza da lui, iniziò a correre per prendere la rincorsa e buttarsi addosso a Sebastian. Gli saltò sulla schiena, portando tutto il peso in avanti per farlo cadere, senza smettere fin quando non ci riuscì.
Iniziarono a lottare, schizzandosi d’acqua e cercando di affogarsi a vicenda.

Tanto Sebastian si sarebbe comprato un telefono nuovo.


*



Da quel giorno, restare a Disneyland dopo l’orario di chiusura era diventata quasi un’abitudine, per quanto potesse essere possibile. Blaine sapeva che si accorgevano di loro due quando si intrufolavano nella casa di Peter Pan seduti a fissare le tante case o nella grotta dei Pirati dei Caraibi. Ogni volta si chiedeva come mai non gli dicessero mai niente al riguardo, ma poi lasciava stare perché non poteva andare di certo a chiedere spiegazioni. Una volta lo fece notare anche a Sebastian, lui in un primo momento sembrò turbato, poi alzò le spalle e lo mandò a quel paese dicendogli che si faceva troppi problemi.

Quindi smise di farsi domande e quando Sebastian gli chiedeva se voleva restare, diceva sempre di sì nonostante dovesse uscire con degli amici o avesse la solita video-chiamata con i genitori o Cooper.

Il loro posto preferito era stare nel giardino di Alice nel Paese Delle Meraviglie a guardare le stelle; non importava se c’era freddo o caldo, si stendevano lì con i giacconi pesanti e a volte Blaine poggiava la testa sulla spalla di Sebastian.

Proprio come quella sera limpida, con il cielo sgombro di nuvole e le stelle poste ben in vista, come se non volessero altro che essere ammirate per tutta la notte, anche se i due ragazzi le accontentavano soltanto per qualche ora.

Erano lì da più di trenta minuti ormai e giacevano lì in silenzio, mentre il freddo di novembre incombeva su di loro. Avevano già parlato del più e del meno, adesso si stavano soltanto godendo il momento nel buio. Era tutto così tranquillo e silenzioso, che Blaine quasi si spaventò quando Sebastian parlò piano.

“Prima odiavo lavorare qui.”

“E adesso non più?” gli chiese, voltando la testa da un per guardarlo in volto.

“No, lo odio ancora, però adesso non è così male.”

“Come mai?”

“Credo perché ci sei tu,” Sebastian si voltò a guardarlo, “e alla serenità che mi danno queste cose, sai... guardare le stelle, passeggiare nel parco, scherzare durante le ore di lavoro.”

Blaine non sapeva cosa dire, perché Sebastian non diceva mai cose del genere; era felice di quelle parole come lo era stato di poche cose. Eppure c’era un velo di dolore nella sua voce e capì che voleva aggiungere dell’altro. Sapeva di doverlo fermare, dirgli non dire altro perché sennò si sarebbe fatto speranze vaghe, però non ne trovò il coraggio, perché voleva sentire ciò che avrebbe detto.

“I miei genitori non ci sono mai stati; erano sempre impegnati e in giro per lavoro, così stavo sempre con i miei nonni. Sono stati loro a insegnarmi le buone maniere, come prendere le forchette, usare il coltello, quale bicchiere utilizzare per il vino e quale per l’acqua. Mi hanno insegnato a leggere e a scrivere prima ancora che andassi a scuola; mio nonno mi aiutava a fare i compiti, mentre mia nonna a cucinare e a prendermi cura di me stesso. Possono sembrare cose banali dette così, ma io le amo. Tutti dicono che i propri nonni sono i migliori, ma i miei lo erano davvero; mi facevano sentire amato e non mi facevano mancare mai niente. Mia nonna non mi accontentava mai,” Sebastian fece una piccola risata, “e quando sbagliavo mi mandava a letto senza cena; forse penserai che era crudele, ma in realtà era la migliore: non era assillante ma si preoccupava per me. Mi ha insegnato che se si vuole qualcosa bisogna fare di tutto per ottenerla e che nessuno ci può trattare come uno zerbino; credo che fosse per questo che non mi diceva niente quando mi trovava alle due di notte in cucina con una padella in una mano e i bastoncini di pesce nell’altra.”

Sebastian si mise a sedere, allontanandosi da Blaine. In un primo momento pensò che fosse per nascondere le lacrime, ma poi ci rifletté. Non aveva la voce inclinata dalle lacrime o il dolore, perché evidentemente ci aveva fatto l’abitudine, ma si allontanava per restare solo, come era sempre abituato a stare.

“Abitavamo in una piccola campagna in Inghilterra -per questo parlo l’inglese così fluentemente- quando avevo undici anni morirono entrambi nel giro di un anno, lasciandomi solo. I miei genitori mi riportarono qui a Parigi, nonostante io non volessi, e tentarono di starmi vicino. Per il primo mese. Poi tornarono alle loro solite vite, come se io fossi stato ancora con i miei nonni, e restai solo con le mie innumerevoli tate.” Sebastian iniziò a stappare l’erba.“Ho passato la preadolescenza e l’adolescenza nella solitudine; fin quando a sedici anni non capii che nonostante il mio caratteraccio, le persone mi volevano comunque bene. Quindi ho passato la fase della “scoperta” senza nessun aiuto, sperando di non essere sbagliato. Per un periodo ce l’ho avuta a morte con i miei nonni,” rise, “perché mi avevano lasciato da solo e mi avevano lasciato tornare a Parigi dove la mia stanza era sempre troppo grande, vuota e fredda; non volevo nemmeno sentire parlare di loro. Poi ovviamente capii che morire è un processo naturale e che non era colpa loro, così ricominciai a piangere per la loro mancanza.”

Blaine si mise a sedere pure lui, abbracciandolo senza un apparente motivo ma che in realtà voleva dirgli “io sono qui.”

“A diciotto anni dissi ai miei genitori della mia omosessualità, credevo che essendo persone di mondo mi avrebbero compreso ma non fu così. Mi fecero numerosi problemi, volevano mandarmi da uno psicologo e mi presentarono numerose ragazze. Io mi trovai un lavoro e me ne andai di casa, non volevo sottomettermi alle loro regole. Non significa che se loro non riuscivano ad accettarmi, allora non l’avrei fatto nemmeno io.”

Sebastian lo guardò negli occhi e poi gli diede un baciò sulla fronte, “poi sei arrivato tu e non mi sono sentito più solo; si, è vero, adesso ho molti amici, ma nessuno è come te, Blaine. Quando sto con te è diverso, mi fai sentire bene con me stesso. Prima non parlavo con nessuno a telefono per ore, non guardavo un film sul divano e non potevo dire di voler voluto bene a qualcuno seriamente se non hai miei nonni.”

“Sebastian, i-io..”

“Hai spazzato via il dolore, tutti i pomeriggi davanti alla finestra ad aspettare i miei genitori, i pianti nel sonno, i brutti e i belli ricordi, l’infelicità della mia vita in un colpo solo.” Si mosse tra le braccia di Blaine, per poterlo abbracciare a sua volta e stringerlo stretto. “Ti voglio bene, sei il mio migliore amico.”

Eccola là la goccia che fece traboccare il vaso. Sebastian gli diceva che gli voleva bene e che era il suo migliore amico e lui che faceva?

Se ne innamorava totalmente.


*


Blaine si stava infilando i pantaloni, piegato in avanti per sistemarli, quando la porta dello spogliatoio si aprì e un fischio di approvazione riempì la stanza.

“Bel culo, Anderson.”

“Ciao anche a te, Sebastian,” lo salutò rialzandosi, sentendo le guance colorarsi appena, “Come va?”

“Solita noia, a te?” rispose il più alto buttando il borsone sulla panca. Si levò il giubbotto e anche la maglietta restando a torso nudo, facendo mozzare il fiato a Blaine che immediatamente abbassò lo guardo.

“Tutto come al solito,” rispose frettolosamente, mentre i suoi occhi tornavano sugli addominali di Sebastian, tutti costellati da piccoli nei che lo rendevano ancora più allettante. Aveva un fisico perfetto.

“Se continuerai a guardarmi così mi consumerò,” lo incalzò Sebastian, accorgendosi di come Blaine lo stava fissando.

“Sei il solito vanitoso perverso; stavo solo costatando che i tuoi allenamenti con i pesi stanno dando i loro frutti, tutto qui.”

“E questa costatazione prevedeva che anche te mi lasceresti una serie di succhiotti qua e là o che mi daresti soltanto una bottarella?” incalzò Sebastian, aprendo il borsone rosso per uscirne la maglietta della divisa e i pantaloni.

“Pensi sempre male,” tagliò corto Blaine, infastidito che Sebastian riuscisse a capirlo subito come nessun altro, anche se non gli dava peso e ci scherzava su.

“Killer, lo sai che con me non ti devi fare di questi problemi,” continuò il francesino, cercando di fargli capire che non era un rimprovero. Si calò i pantaloni, per restare con soltanto i boxer bianchi addosso, “vieni a casa mia stasera?” gli chiese facendogli un occhiolino, cambiando totalmente discorso.

“O-ok.” Balbettò Blaine, mentre la sua attenzione veniva attirata come una calamita verso il basso ventre del ragazzo, “verso le undici e mezza sono da te.”




Il moro quella sera si cambiò quattro volte prima di decidere cosa indossare per andare a casa di Sebastian. Quell’occhiolino lo aveva fatto pensare malissimo e gli aveva fatto fare parecchi viaggi mentali mentre camminava per le strade caotiche di Parigi per dirigersi a casa sua.

Tutte le sue speranze e desideri, si infransero nel momento esatto in cui Sebastian gli aprì la porta con indosso un pigiama e alcune briciole sulla guancia di patatine al formaggio. Lo conosceva abbastanza per poter dire che non si sarebbe mai fatto trovare in quel modo se avesse avuto dei secondi fini.

Si sedettero sul divano e guardarono due film appollaiati lì, mentre mangiavano porcherie e bevano birra. Verso le due e mezza, verso la metà del secondo film, Blaine si addormentò e non avrebbe aperto gli occhi se Sebastian non avesse provato a sollevarlo.

“Sebascian, cosa fai? Sono pesante,” biascicò con la voce ancora impastata dal sonno.

“Volevo portarti in camera da letto senza svegliati. Sei carino mentre dormi.” Rispose lui alzando le spalle, in piedi davanti al divano.

“Non preoccuparti,” cercò di tranquillizzarlo, portandosi una mano a strofinarsi gli occhi, “Adesso vado a casa.”
Sebastian alzò un sopracciglio prima di scoppiare a ridere, “e come, che stai dormendo?”

“A piedi.”

“Blaine, non ti faccio andare in giro così, mezzo addormentato dopo che hai pure bevuto.”

Il moro lo guardò un attimo dalle palpebre ancora mezze chiuse. Sebastian lo guardava impassibile, come quando era deciso a vincere e Blaine non se la sentiva proprio di iniziare a discutere con lui, aveva ragione: stava dormendo.

“Ok, allora resto qui.”

“Blaine, ti verrà il torcicollo a stare qui; muovi quel bel grasso culo sexy che hai e portalo in camera da letto.” Detto questo lo afferrò per un polso e lo costrinse ad alzarsi, trascinandoselo letteralmente fino alla sua camera.

Il moro lo guardò malissimo, ma aveva troppo sonno per dire qualcosa, così lasciò che Sebastian gli togliesse il papillon, gli sbottonasse la camicia, gli calasse i pantaloni e gli sfilasse scarpe e calzini, lasciandolo in boxer e canottiera.

Lo guidò gentilmente davanti al materasso, gli spostò il piumone e il lenzuolo per poi farlo sdraiare e coprirlo per bene. Blaine gli sentì imprecare qualcosa che suonava simile a un “guarda che mi tocca fare,” prima che si allontanasse da lui.

Cinque minuti dopo lo rivide tornare, probabilmente era andato a chiudere bene la porta e a spegnere le luci, e infilarsi sotto le coperte. Si avvicinò a lui e Blaine, un po’ perché aveva bevuto, un po’ perché era in dormiveglia, un po’ perché ne aveva voglia, non ci pensò due volte ad abbracciarlo, affondando la testa nell’incavo del suo collo.

Non aveva avuto quello che si aspettava perché dormire tutta la notte abbracciato a Sebastian andava oltre qualsiasi aspettativa avesse mai fatto.


*




Sebastian girò la chiave nella toppa ed entrò entusiasta a casa del suo migliore amico, sperando che fosse già pronto per uscire. Non gli andava di stare lì, seduto sul divano a non fare niente mentre Blaine gli sfilava davanti chiedendogli cosa gli stesse meglio, anche a dirla tutta vederlo sfilare non era per niente una cosa negativa, anzi.

“Blaine, sei pronto? Io sono in cucina a prendermi un bicchiere - Blaine.” Disse entrando nel vano, bloccandosi di sasso nel vedere il ragazzo seduto al tavolo della cucina con gli occhioni rossi e lucidi, i capelli scombinati e una lettera tra le mani. “Hey?”

“Chiesi il trasferimento una settimana dopo essere arrivato in città,” farfugliò il moro, “Sono passati tre anni, perché me l’hanno concesso adesso?” Chiese retoricamente in un sussurro, alzando per la prima volta gli occhi per incontrare quelli di Sebastian da quando era arrivato.

Sebastian deglutì, sentendo il respiro farsi più pesante, gli occhi riempirsi di lacrime e il suo mondo cadere a pezzi.

“Che peccato, proprio adesso che sai parlare francese.”

“Io non voglio lasciarti solo, Sebastian,” disse Blaine scoppiando a piangere per quella che era sicuramente l’ennesima volta per quel pomeriggio. Si alzò in piedi e corse da lui per gettargli la braccia al collo, alzarsi sulle punte e abbracciarlo forte. “Non voglio che tu ti senta come prima.”

“Lo so, non ti preoccupare.” Gli sussurrò l’orecchio, mentre lo stringeva possessivo, non volendo più lasciarlo andare.

“Mi dispiace tanto,” continuò Blaine tra i singhiozzi.

“Non è colpa tua, troveremo un modo.”


*


Un modo non lo trovarono e un mese e mezzo dopo, Blaine partì per Orlando.

Solitamente in questi casi le amicizie rimangono solide all’inizio, poi pian piano si sgretolano, gli appuntamenti per vedersi su Skype saltano, non si può restare tutto il tempo su facebook per chattare, si ci inizia a distaccare e le chiamate diventano sempre più brevi fin quando non si ha più nulla da dire che valga la pena di pagare una telefonata internazionale.

Ma questo non successe a Blaine e Sebastian.

Ogni sera chattavano fin quando non crollavano, il martedì e il giovedì alle nove spaccate si ritrovavano davanti al pc pronti per la video-chiamata ed entrambi sganciavano una cifra improponibile per poter parlare con l’altro.
Anche a distanza di sei mesi.

E come la loro amicizia, anche la cotta di Blaine era rimasta bella viva e incandescente. Non c’era giorno in cui riuscisse a pensare il contrario e non lo volesse accanto a sé.

Tornare negli stati uniti era stato un po’ traumatizzante all’inizio, soprattutto risentire tutti parlare la sua lingua. Questa volta farsi dei nuovi amici non era stato un problema, perché riuscendo a comunicare con tutti senza problemi, nel giro di due settimane conosceva già mezzo parco; aveva trovato perfino un pretendente, ma non era quello che cercava, così mise subito le cose in chiaro.

Lì era felice, anche se in modo totalmente diverso da quando era a Parigi.

Gli mancava Sebastian per potersi definire davvero felice.

Lì aveva trovato un piccolo appartamento che trovava davvero grazioso; era già arredato, ma lui non smetteva mai di apportare piccole modifiche di qua e di là, per sentirlo più suo.

Blaine sistemò la miniatura di una chitarra elettrica sulla mensola, poi annuì sentendosi soddisfatto del suo operato. Scese frettolosamente dalla scala e si avvicinò a uno scatolone pieno di libri che ancora non aveva mai aperto.
Lo afferrò e si diresse davanti alla libreria che occupava metà parete; si assicurò che le mensole fossero pulite prima di aprire lo scatolone e iniziare tutti i volumi che vi erano dentro.

Dopo cinque minuti sentì suonare, urlò un “arrivo,” frettoloso e corse alla porta. “Chi è?” Chiese cordiale, senza avere una risposta. Chiese di nuovo, ma ebbe lo stesso esito. Decise di guardare dallo spioncino, da cui non vide niente perché chi stava dall’altra parte aveva pensato bene di coprirlo con la mano, sicuramente di proposito.

Cooper. Lui lo sapeva che era Cooper. Appena avrebbe aperto la porta e si sarebbe trovato di fronte suo fratello, lo avrebbe rispedito da dov’era venuto e-

“Sebastian!”

Il ragazzo era in piedi davanti alla porta con due occhiaie a contornargli i meravigliosi occhi verdi, i capelli perfettamente in ordine, bello come sempre, un ghigno sulle labbra e due valigie al seguito. “Ciao Blaine.”

“Che ci fai qui?”

“E io che credevo che mi avresti abbracciato come minimo.” Scherzò lui, facendogli l’occhiolino. “Ho chiesto pure io il trasferimento e avendo conoscenze hanno fatto in fretta, sai come quando non ci mandavano a casa per stare in giro nel parco.
Imbecilli.”

“Tu… cosa..? Ma perché?” domandò incredulo, non riuscendo a credere che fosse proprio lì davanti a lui.

“Perché sei il mio migliore amico e ti voglio bene come nessun altro.” Gli spiegò Sebastian poggiandogli una mano su un fianco, “e tu ti meriti tutti i sacrifici di questo mondo,” poi lo strinse a sé e Blaine non si fece scappare l’occasione d’abbracciarlo come non aveva potuto fare in quei mesi.

“Anche tu sei il mio migliore amico, Sebastian,” rispose quando sciolsero l’abbraccio.

“Ti ho portato questi,” disse il francese, mostrandogli due peluche che teneva nella mano destra. Era talmente entusiasta di vederlo che non se n’era nemmeno accorto. “Sono Pluto e Topolino.”

Blaine scoppiò a ridere prendendoli in mano, non riuscendo a concepire come fosse riuscito a fare una cosa così smielata. “Ti ricordi del nostro primo incontro.”

Sebastian alzò le spalle e lui rise, “Mi dispiace per te, ma per qualche giorno dovremo dividere il letto,” disse entrando in casa, facendo segno all’altro di seguirlo.

“Killer, figurati se mi dispiace.”
  

 



Fondamentalmente il problema è questo: Ho scritto una Seblaine Friendship.
Si, non me ne capacito nemmeno io.
Si, è meglio così. E sono sicurissima che riuscirete a capire i motivi anche senza il mio aiuto.
Io non la volevo pubblicare, quindi mi scuso con la bruttezza di questa shot.  
Un bacione e a domani con la long. <3 

   
 
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